Mongolia: gli ex comunisti si alleano con il centro-destra

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di Giulio Chinappi

Le elezioni legislative in Mongolia del 28 giugno hanno visto la vittoria del Partito Popolare Mongolo, che ha tuttavia deciso di allearsi con due formazioni di centro-destra per formare il nuovo governo sotto la guida di Luvsannamsrain Oyun-Erdene.

FONTE ARTICOLO

Il 28 giugno 2024, gli elettori mongoli sono stati chiamati alle urne per eleggere i 126 membri del Gran Khural di Stato, il parlamento mongolo, che ha visto un aumento del numero di seggi rispetto ai 76 precedenti, grazie a un emendamento costituzionale del 2023, che ha portato il numero complessivo degli scranni a 126, con l’obiettivo di garantire una maggiore rappresentanza alle diverse forze politiche nazionali. La partecipazione elettorale è stata alta, con il 72% degli aventi diritto che si sono recati alle urne. Le elezioni hanno anche visto per la prima volta in quasi un decennio l’obbligo per i partiti di garantire che il 30% dei loro candidati fosse costituito da donne, portando ad un aumento della rappresentanza femminile nell’organo legislativo.

Secondo i risultati ufficiali, il Partito del Popolo Mongolo (Монгол Ардын Нам), fondato nel 1920 come partito comunista, ma successivamente convertitosi alla socialdemocrazia, ha ottenuto circa il 35% dei voti, assicurandosi 68 seggi sui 126 disponibili. Questo risultato ha permesso al PPM di mantenere la maggioranza assoluta degli scranni, ma non sufficiente per i due terzi necessari per modificare la costituzione o superare i veti presidenziali. Inoltre, il partito di governo ha conquistato circa il 53% dei seggi in palio, il che rappresenta il suo peggior risultato dal 2012. A termine di paragone, nelle precedenti elezioni del 2020, il Partito del Popolo Mongolo aveva conquistato una supermaggioranza di 62 seggi su 76.

Tra le formazioni di opposizione, il Partito Democratico (Ардчилсан Нам) ha registrato un significativo incremento, passando da 11 seggi nelle elezioni del 2020 a 42, superando il 30% delle preferenze. Anche un’altra formazione di centro-destra, il Partito HUN (ХҮН нам), ha guadagnato terreno, assicurandosi otto seggi grazie alla sua campagna anticorruzione e al forte sostegno tra le classi medie urbane. Secondo gli analisti, questo risultato riflette una crescente disillusione tra gli elettori nei confronti del PPM e un desiderio di cambiamento, sebbene il Partito del Popolo Mongolo resti la prima forza politica del Paese.

Tra le formazioni minori, la Coalizione Nazionale, alla sua prima partecipazione elettorale, ha ottenuto quattro seggi, mentre entra per la prima volta in parlamento la formazione ecologista di centro Volontà Civica-Partito Verde (Иргэний Зориг–Ногоон Нам), a sua volta con quattro eletti.

Il 5 luglio 2024, il Gran Khural di Stato ha riconfermato Luvsannamsrain Oyun-Erdene (in foto), rappresentante del Partito del Popolo Mongolo, come primo ministro. Oyun-Erdene, in carica dal 2021, ovvero da quando il suo predecessore Ukhnaagiin Khürelsükh ha lasciato l’incarico per diventare presidente del Paese, ha immediatamente esteso un invito al Partito Democratico e al Partito HUN per formare un governo di coalizione, definito come un “governo di cooperazione” in tempi di sfide complesse.

Secondo gli analisti, l’idea di una coalizione, sebbene apparentemente controintuitiva dato che il PPM disponeva della maggioranza necessaria per governare senza il sostegno di altri partiti, sarebbe stata una mossa strategica per garantire una maggiore stabilità e capacità di azione politica al nuovo esecutivo. Un governo di coalizione, infatti, consentirà al PPM di superare i potenziali blocchi legislativi e di approvare le riforme necessarie per affrontare le sfide economiche e sociali del Paese.

La Mongolia, infatti, affronta una serie di sfide significative, che oltretutto non hanno visto miglioramenti negli ultimi anni. La corruzione endemica è uno dei principali problemi del Paese asiatico, che di recente è sceso al 121º posto su 180 nella classifica di Transparency International sull’indice di percezione della corruzione. Inoltre, secondo gli indici internazionali, la Mongolia ha registrato un calo nella libertà di stampa e nello stato di diritto sotto la gestione del PPM.

L’economia mongola è stata duramente colpita prima dalla pandemia di COVID-19 e poi dalle conseguenze della guerra in Ucraina. L’inflazione e la disoccupazione sono aumentate, e i giovani, che costituiscono quasi due terzi della popolazione, sono sempre più frustrati dalla mancanza di opportunità.

Come se non bastasse, i pastori di bestiame, che rappresentano una parte significativa dell’economia rurale, sono stati colpiti duramente da un dzud quest’anno, termine locale che identifica una combinazione di freddo estremo e siccità, che ha causato la morte di milioni di animali, una situazione che ha ulteriormente aggravato le difficoltà economiche di un Paese che fa della pastorizia uno dei propri settori economici tradizionali.

In base agli accordi raggiunti dalle tre principali forze politiche parlamentari, dunque, il nuovo governo di coalizione è composto da 22 ministri, con 10 membri provenienti dal PPM, 8 dal PD e 2 dal Partito HUN. Questa composizione riflette l’intento di creare un governo inclusivo e rappresentativo delle diverse forze politiche del Paese, dopo che l’opposizione ha a lungo accusato il Partito del Popolo Mongolo di non essere aperto al dialogo. Tra i ministri nominati, vi sono figure di rilievo come Luvsannyamyn Gantömör, leader del PD, nominato primo vice primo ministro e ministro dell’Economia e dello Sviluppo, e Togmidyn Dorjkhand, leader del Partito HUN, nominato vice primo ministro incaricato delle Questioni di Concorrenza.

L’alleanza tra gli ex comunisti ed i due partiti di centro-destra, tuttavia, significa anche la prosecuzione dell’opera di distruzione del settore pubblico, come avviene progressivamente da oramai circa trent’anni, ovvero da quando la Mongolia ha abbandonato il marxismo-leninismo. Il primo ministro Oyun-Erdene ha delineato un’agenda fortemente liberista per il nuovo governo, che include la liberalizzazione del settore energetico, oltre ad altre misure, come lo sviluppo regionale per contrastare la migrazione verso la capitale Ulaanbaatar e l’operatività del Fondo Nazionale di Ricchezza, una delle promesse chiave della campagna elettorale per affrontare la disuguaglianza dei redditi.

In materia di politica estera, invece, si prevedono ben pochi cambiamenti, con la Mongolia che, data la sua posizione geografica schiacciata tra Russia e Cina, non potrà far altro che mantenere la sua storica amicizia con Mosca e Pechino, puntando sulla cooperazione con questi due Paesi per dare un nuovo slancio al proprio sviluppo economico.

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