di Giulio Chinappi
Le elezioni presidenziali del 29 giugno in Mauritania sono state cruciali per i governi europei, poiché questo Paese è visto come un partner strategico per gestire i flussi migratori dopo la formazione dell’Alleanza dei Paesi del Sahel.
Le elezioni presidenziali del 29 giugno in Mauritania sono state osservate con particolare attenzione da parte dei governi europei, soprattutto dopo che i vicini governi anticolonialisti di Niger, Burkina Faso e Mali hanno deciso di dare vita all’Alleanza dei Paesi del Sahel, di cui parleremo in un prossimo articolo. Venuta meno la collaborazione soprattutto del Niger, i Paesi europei si sono rivolti proprio alla Mauritania nel tentativo di gestire i flussi migratori diretti verso la Libia e, successivamente, verso il nostro continente, rendendo questo Paese particolarmente importante dal punto di vista strategico.
Con una popolazione di circa 4,5 milioni di persone, la Mauritania è un vasto Paese desertico che ha affrontato decenni di colpi di Stato e governi militari. Dall’indipendenza dalla Francia nel 1960, il Paese è stato quasi sempre sotto dittatura militare, con il primo trasferimento pacifico di potere avvenuto solo nel 2019, quando l’allora presidente Mohamed Ould Abdel Aziz scelse di non candidarsi per un terzo mandato, lasciando l’incarico all’attuale capo di Stato Mohamed Ould Ghazouani, vincitore delle elezioni di cinque anni fa, ottenendo in quell’occasione il 52% delle preferenze.
Alla competizione elettorale di quest’anno hanno partecipato sette candidati, ma il favorito era proprio il presidente in carica, rappresentante del partito al governo, El Insaf (Equità). Ghazouani, ex capo dell’esercito, veniva infatti dato come netto vincitore da tutti i sondaggi della vigilia. Gli altri candidati includevano figure di spicco come Biram Ould Dah Ould Abeid, noto attivista anti-schiavitù e parlamentare, e Outouma Antoine Souleïmane Soumaré, un neurochirurgo indipendente con un programma incentrato sulla giustizia sociale.
Le elezioni si sono svolte in un contesto di numerose sfide interne ed esterne. Tra i temi principali della campagna elettorale vi erano la disoccupazione giovanile, la povertà diffusa, l’accesso ai servizi di base e la sicurezza. La disoccupazione giovanile è infatti particolarmente preoccupante in un Paese dove il 60% della popolazione ha meno di 25 anni. Inoltre, la povertà spinge molti giovani a intraprendere pericolosi viaggi verso l’Europa in cerca di migliori opportunità, sebbene la Mauritania sia spesso un Paese di transito dei flussi migratori, mentre sono ancora relativamente pochi i mauritani che emigrano verso nord.
Un’altra questione cruciale è quella della sicurezza, considerando il fatto che nella regione del Sahel non manca la violenza di gruppi armati, che dal vicino Mali e da altri Paesi limitrofi minaccia di estendersi al territorio mauritano. A tal proposito, Ghazouani ha sottolineato l’importanza della stabilità e della leadership esperta per evitare che il Paese scivoli nel caos.
Secondo i risultati ufficiali, le elezioni hanno visto la conferma di Mohamed Ould Ghazouani con il 56,12% dei voti, facendo segnare addirittura un incremento rispetto alle preferenze di cinque anni fa, mentre il suo principale sfidante, Biram Dah Abeid, ha ottenuto il 22,10%. La partecipazione elettorale è stata del 55,39%, inferiore rispetto al 2019, quando aveva superato il 62% degli aventi diritto.
Come anticipato, un tema rilevante nel contesto politico ed economico della Mauritania è l’accordo migratorio firmato con l’Unione Europea nel marzo di quest’anno, proprio con gli auspici del presidente Ghazouani. Questo accordo, del valore di 210 milioni di euro, mira a ridurre gli arrivi irregolari in Europa attraverso il rafforzamento delle forze di sicurezza e delle capacità di gestione delle frontiere mauritane, similmente all’accordo stipulato in passato con il Niger. L’accordo prevede anche fondi per la creazione di posti di lavoro e il miglioramento del sistema di asilo nel Paese, misure che tuttavia rischiano di non essere sufficienti per un Paese dalle scarse risorse economiche come la Mauritania.
Non a caso, l’accordo ha generato forti critiche e preoccupazioni all’interno della Mauritania. Molti analisti e oppositori dell’attuale governo vedono questo accordo come un modo per l’UE di esternalizzare i propri confini, trasferendo il compito di controllare i flussi migratori al Paese africano, le stesse accuse che erano state rivolte alle istituzioni europee in occasione dell’accordo preso con il Niger. Le critiche sono arrivate anche da organizzazioni della società civile, che temono un aumento delle tensioni sociali e razziali, già accentuate dalla difficile situazione dei diritti umani e dalla discriminazione verso le comunità afro-mauritane. La storia dei tentativi di esternalizzazione delle frontiere da parte dell’UE suggerisce che questi accordi raramente risolvono le cause profonde della migrazione, e possono avere conseguenze negative per i Paesi di transito, portando a tensioni interne e ad ulteriori violazioni dei diritti umani.
Nel complesso, dunque, la rielezione di Ghazouani rappresenta una continuazione della stabilità relativa che la Mauritania ha vissuto negli ultimi anni, ma il presidente dovrà affrontare problematiche importanti in questo suo secondo mandato, tra cui la gestione della sicurezza, la lotta alla povertà e alla disoccupazione, e il miglioramento dei diritti umani e delle condizioni socio-economiche per tutti i cittadini.
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