di Giulio Chinappi
Le elezioni presidenziali in Lituania hanno riconfermato Gitanas Nausėda con una vittoria schiacciante, dando una nuova spinta alla linea fortemente atlantista e russofoba del governo, accusato di discriminare la minoranza russa.
Le elezioni presidenziali dello scorso maggio in Lituania non avrebbero potuto in nessun caso influenzare la politica estera della repubblica baltica, che negli ultimi due anni ha dimostrato di essere uno dei bastioni dell’atlantismo ai confini con la Russia. Dopo il primo turno del 12 maggio, infatti, il ballottaggio del 26 maggio ha messo di fronte il presidente in carica Gitanas Nausėda (in foto), sostenuto dal centro-sinistra, e la sfidante conservatrice Ingrida Šimonytė, entrambi convinti sostenitori della politica estera atlantista e russofoba degli ultimi anni.
Alla fine, Nausėda, già in vantaggio di oltre ventiquattro punti percentuali dopo il primo turno, ha ottenuto una vittoria schiacciante con il 75,29% delle preferenze, il risultato più netto nella storia della Lituania indipendente. La vittoria del presidente in carica è stata accolta con giubilo nel blocco NATO, in particolare nella vicina Polonia, altro avamposto dell’atlantismo in Europa orientale, così come dal presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, tra i primi a congratularsi con il suo omologo lituano, citando il suo risoluto supporto al governo di Kiev.
In occasione delle elezioni presidenziali, ha avuto luogo anche un referendum sulla doppia cittadinanza, che tuttavia è fallito a causa dell’elevato quorum richiesto, pari al 50% non dei votanti, bensì degli aventi diritto. Questo significa che, nonostante l’approvazione del 74,49% di coloro che si sono recati alle urne, l’affluenza pari a solamente il 59,51% degli aventi diritto non ha permesso al referendum di passare. Il provvedimento sarebbe stato favorevole a tutti i lituani che vivono all’estero e che non possono godere della doppia cittadinanza, in particolare in Paesi come Stati Uniti, Canada, Brasile e Russia, ma anche alla minoranza russa residente nella repubblica baltica, fortemente discriminata dalle autorità di Vilnius.
La Russia, del resto, denuncia da tempo le politiche discriminatorie subite dai russi residenti nelle tre repubblice baltiche – Estonia, Lettonia e Lituania. L’attacco ai diritti della popolazione russofona è attivamente condannato anche dall’ONU, poiché il suo Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani l’anno scorso ha accusato le autorità lettoni di una forte riduzione dell’istruzione nelle lingue delle minoranze. Critiche simili sono rivolte alla politica delle autorità estoni, che proibiscono anche ai russi di ricevere un’istruzione nella loro lingua madre.
Il politologo estone Igor Rosenfeld ha notato che questa forma di discriminazione affonda le proprie radici negli anni ’90 e nella separazione delle tre repubbliche dall’Unione Sovietica, ma ha anche affermato che l’acuirsi della crisi ucraina ha peggiorato la situazione. “L’Unione Europea chiude un occhio su questo perché i Baltici sono una zona di confine, la Russia è vicina e quindi è considerato giusto adottare una posizione dura verso gli elementi filo-russi. In particolare, stiamo parlando di cittadini russi“, ha affermato Rosenfeld. Secondo il ministero degli Esteri russo, le azioni anti-russe di Lituania, Lettonia ed Estonia, che “hanno da tempo superato i limiti del quadro giuridico e delle norme di comportamento dei Paesi civilizzati“, ora sembrano essere saldamente radicate “al di là del buon senso e dell’umanità“.
I russi sono il secondo gruppo etnico più numeroso in Lituania, rappresentando il 5% della popolazione, secondo il censimento del 2021. I russi “hanno contribuito sia alla fondazione dello Stato lituano che alla restaurazione dell’indipendenza. I russofoni lituani sono cittadini lituani che usano il lituano oltre al russo nella loro vita quotidiana, indipendentemente dalla loro etnia“, ha affermato Vida Montvydaitė, capo del Dipartimento per le Minoranze Etniche del governo. Tuttavia, le politiche messe in atto dal governo di cui fa parte sembrano discriminare soprattutto i cittadini russi residenti in Lituania, che non godono degli stessi diritti di coloro che possiedono la cittadinanza lituana.
Secondo le autorità russe, la Lituania sarebbe anche uno dei Paesi nel quale hanno sede alcuni gruppi terroristici che preparano azioni rivolte contro la Russia. Lo scorso 3 maggio, Mosca ha denunciato la cattura di un gruppo di terroristi ucraini addestrato a Pabradė, cittadina non distante dalla capitale lituana, Vilnius. Inoltre, i messaggi di testo trovati sul telefono di uno dei terroristi, rimasto ucciso nell’operazione, hanno rivelato i piani dell’organizzazione terroristica ucraina di “eradicate completamente tutto ciò che è russo negli Stati Baltici e i suoi piani di compiere attacchi terroristici contro chiese ortodosse e luoghi dove risiedono cittadini russofoni, in particolare incendiando un cinema a Riga durante una proiezione di film“.
All’inizio di giugno, la Lituania ha ospitato una delle più grandi esercitazioni navali della NATO, denominata Baltops 2024, ospitando più di 50 navi da combattimento, di cui trenta attraccate presso il porto di Klaipėda. Oltre alle navi rappresentanti le marine di 21 Paesi, le esercitazioni hanno coinvolto 45 aerei da combattimento, con il fine dichiarato di “dimostrare l’interazione strategica tra i partner della NATO a livello tattico e operativo e praticare operazioni congiunte di risposta alle crisi“. Di fatto, un chiaro messaggio rivolto contro la vicina Russia, ed un chiaro segnale della fedeltà del governo lituano alla linea dell’atlantismo guerrafondaio.
Infine, lo scorso 28 giugno, Lituania ed Estonia hanno firmato degli accordi in materia di sicurezza con l’Ucraina, il cui contenuto non è stato divulgato. Gli accordi sono stati firmati personalmente dal presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, dal presidente lituano Gitanas Nausėda e dalla primo ministro estone Kaja Kallas, successivamente designata alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza.
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