di Giulio Chinappi
Il 26 giugno, la Bolivia è stata scossa da un tentativo di colpo di Stato militare da parte del generale Juan José Zúñiga. Il presidente Arce ha gestito la crisi con determinazione, ottenendo il supporto popolare e internazionale, ma i pericoli sono sempre dietro l’angolo.
Il 26 giugno, la Bolivia è stata scossa da un tentativo di colpo di Stato militare operato dal generale Juan José Zúñiga, che si inserisce in un contesto nel quale, pur al potere, la sinistra socialista si trova attualmente nel bel mezzo di una profonda spaccatura tra i sostenitori del presidente in carica Luis Arce e quelli del leader storico del Movimiento al Socialismo, Evo Morales. Tale situazione rende alquanto complicata la lettura di quanto accaduto negli scorsi giorni, visto che il generale Zúñiga ha attaccato sia Morales che Arce, mentre gli oppositori del governo in carica hanno accusato quest’ultimo di aver operato un “autogolpe” per aumentare la propria popolarità.
Alle questioni interne, devono poi aggiungersi anche quelle internazionali. Quando si sente parlare di un golpe militare in America Latina, l’esperienza storica ci spinge immediatamente a pensare ad un coinvolgimento degli Stati Uniti. Altri, hanno pensato ad un possibile coinvolgimento del governo argentino guidato dall’estrema destra di Javier Milei, mentre non pochi hanno ipotizzato un possibile coinvolgimento dei servizi segreti israeliani, come forma di vendetta per la decisione dell’amministrazione Arce di rompere le relazioni diplomatiche con Israele a seguito del genocidio messo in atto dall’esercito sionista nella Striscia di Gaza.
Tuttavia, al momento nessuna di queste teorie ha trovato riscontri tali da essere confermata con certezza. Quello che possiamo dire, è che difficilmente un militare esperto come Zúñiga, nominato nel 2022 comandante generale dell’Esercito della Bolivia proprio da Arce, avrebbe potuto dare vita ad un’operazione del genere senza un solido sostegno sia interno che esterno. Mentre attendiamo che le indagini facciano, il loro corso, ci limitiamo a riassumere quello che sappiamo sul fallito golpe boliviano.
Il 24 giugno, il generale Juan José Zúñiga, excomandante dell’Esercito boliviano, rilascia un’intervista a un canale televisivo. Nelle sue dichiarazioni, minaccia di arrestare l’ex presidente Evo Morales. La ministra della Presidenza, María Nela Prada, e altri membri del governo vengono informati del contenuto dell’intervista, sollevando immediatamente preoccupazioni.
Il giorno successivo, a mezzogiorno, il presidente Luis Arce si incontra con la ministra Prada e il ministro della Difesa, Edmundo Novillo. I tre discutono le dichiarazioni di Zúñiga e decidono di convocarlo per una discussione alla Casa Grande del Pueblo. Zúñiga, in abiti civili, ammette di aver commesso degli eccessi e si mette a disposizione del presidente Arce, promettendo fedeltà al governo. La situazione sembra momentaneamente rientrata.
Nonostante le rassicurazioni del generale, la situazione precipita il 26 giugno. Nella mattinata, Novillo riceve una segnalazione di movimenti sospetti di truppe da Challapata, nel dipartimento di Oruro. Dopo aver confermato l’ordine di acquartieramento per la settima, ottava e nona divisione, Novillo informa il presidente Arce.
Le comunicazioni con Zúñiga e altri comandanti delle forze armate risultano infruttuose. Arce e i suoi ministri cercano di contattare Zúñiga, ma senza successo. Nel frattempo, truppe di Viacha, nella provincia di Ingavi, si stanno muovendo verso La Paz.
Alle 15:00, unità militari iniziano a muoversi verso la centralissima Plaza Murillo di La Paz, inclusi Zúñiga e altri alti ufficiali. Il presidente Arce denuncia pubblicamente queste mobilitazioni e invita al rispetto della democrazia.
Il ministro del Governo, Eduardo del Castillo, affronta Zúñiga in Plaza Murillo, chiedendogli di smobilitare le truppe. Evo Morales denuncia il tentativo di golpe. Zúñiga, dopo aver sfondato con un veicolo militare la porta del Palazzo di Governo, entra e minaccia il governo, chiedendo un cambio totale del Gabinetto. Arce lo affronta in prima persona e lo esorta a ritirare le truppe.
Nel frattempo, la risposta del popolo boliviano è immediata. Migliaia di cittadini si riversano nella Plaza Murillo, confrontandosi con i militari. Gli scontri tra civili e militari provocano nove feriti. Il governo decide di sostituire i comandanti delle forze armate. Novillo comunica con i nuovi comandanti e Arce presiede la cerimonia di insediamento: il generale José Wilson Sánchez viene nominato comandante dell’Esercito, il generale Gerardo Zabala Álvarez viene messo a capo delle Forze Aeree e l’ammiraglio Renán Guardia Ramírez della Marina.
Alle 17:30, Zúñiga e i militari si ritirano da Plaza Murillo. Il presidente Arce e il vicepresidente David Choquehuanca salutano la folla dal balcone della Casa Grande del Pueblo. Alle 19:00, Zúñiga viene arrestato.
Durante una conferenza stampa, Novillo dichiara che il governo ha ripreso il controllo delle forze armate. La ministra Prada rivela che Zúñiga ha ammesso di non aver potuto consumare il golpe a causa del ritardo nei rinforzi e della mancata adesione di alcune unità militari.
Dal canto suo, la comunità internazionale condanna il tentativo di golpe e sostiene la democrazia in Bolivia. Il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, tiene una conferenza stampa nella quale dichiara: “Fortunatamente, il governo della Bolivia, guidato da Luis Arce, ha risposto molto bene; e ha risposto molto bene anche il popolo della Bolivia, con la gente che ha difeso la democrazia e rifiutato il colpo di Stato militare“. Diversi altri governi hanno espresso solidarietà al governo di Arce. Nel frattempo, l’indagine sui responsabili del tentativo di golpe prosegue. Il procuratore generale apre un’inchiesta per i reati di terrorismo e insurrezione armata.
Come detto, in molti hanno tentato di dare un’interpretazione a quanto accaduto a La Paz il 26 giugno, ma al momento ogni analisi risulta parziale. Intervistato da TeleSur, Hugo Moldiz, ex ministro del Governo e analista politico, ha sottolineato i diversi fattori che hanno contribuito al fallimento del golpe: la determinazione del presidente Arce, la rapida mobilitazione del popolo, il rifiuto di alcune unità militari di aderire al golpe e il sostegno internazionale sono stati cruciali. Tuttavia, Moldiz ha avvertito che, nonostante il fallimento del tentativo di golpe, la minaccia alla democrazia boliviana non è del tutto scomparsa.
Dal canto suo, il presidente Arce ha assicurato che la situazione è tornata alla normalità e ha ringraziato il popolo boliviano per il sostegno. Il capo dello Stato andino ha poi sottolineato l’importanza di riprendere le attività economiche e di mantenere la vigilanza per evitare futuri tentativi di destabilizzazione.
Indubbiamente, il tentato colpo di Stato del 26 giugno ha rappresentato un nuovo momento critico nella storia recente della Bolivia, già destabilizzata dal golpe del 2019, che aveva portato alla destituzione di Evo Morales. Tali avvenimenti evidenziano la fragilità della democrazia e la necessità di una vigilanza costante in un Paese che sta cercando di intraprendere una propria via al socialismo, ma non senza difficoltà. La pronta risposta del governo e del popolo ha impedito una crisi politica che avrebbe potuto avere gravi conseguenze per il Paese, ma tali campanelli d’allarme dovrebbero far comprendere l’importanza di mantenere l’unità all’interno della sinistra socialista boliviana, pena l’esporsi a nuovi avvenimenti di questo tipo.
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