L’IMPORTANZA DEL DOLLARO AMERICANO NELL’EGEMONIA STATUNITENSE

27 Giugno 2024
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di Virginia Rosina

Lo scopo di questa prima analisi sarà di ricostruire la nascita e i mutamenti del sistema monetario e bancario statunitense nei suoi primi cent’anni di vita per arrivare a comprendere la base monetaria con la quale l’economia Americana entrerà nel XX secolo, nonché a come la sua storia abbia modellato la mentalità americana e il suo sguardo verso la cultura del denaro.

LA NASCITA DELL’UNIONE E DEL SISTEMA MONETARIO AMERICANO

Nel 1783, confinata dal Trattato di Parigi tra la Nova Scotia da un lato e la Florida dell’Est dall’altro nasceva, da 13 ex colonie britanniche nel continente americano, l’Unione degli Stati Uniti d’America. Una sanguinosa guerra civile, la vittoria di due conflitti mondiali e duecentoquarantotto anni di storia dopo, gli Stati Uniti d’America rimangono, nella definizione collettiva, la più grande superpotenza d’Occidente. Con il loro solo schieramento sono in grado di modellare l’opinione pubblica globale sulle più grandi controversie internazionali e con il loro intervento, ne determinano l’esito. Ad oggi gli USA contano più di 331 milioni di abitanti e un PIL al 2023 di circa 27,36 miliardi di dollari. Com’è stato possibile trasformare una semplice unione di colonie, una popolazione di poco più di due milioni di abitanti, nel più influente Paese del nostro tempo e che ruolo ha giocato il dollaro statunitense nella conquista di questo potere egemonico sul mondo?

La divisione politico-geografica tra federalisti e sudisti e il loro impatto sulle politiche monetarie

L’Unità tra colonie che aveva permesso loro di ottenere l’indipendenza fu fin da subito messa alla prova dalla profonda diversità delle stesse. Nonostante mirassero tutte all’indipendenza e ad essere una nazione unita, al di là di questi ideali di base, esse differivano totalmente. Si trattava infatti di stati con economie profondamente diverse che forgiavano mentalità e orientamenti politici quasi opposti fra loro. Queste differenze sono da ritrovarsi alla base di tutti i motivi più concreti che portarono allo scoppio della guerra civile e, come vedremo, molti possono essere anche collegati alle numerose discussioni sui tentativi di instaurare una moneta e un sistema bancario nazionale ed anche quindi al fallimento di questi tentativi. 

Per comprendere al meglio i dibattiti che vedremo in seguito è importante chiarire come discussioni sul ruolo della moneta, delle banche, e l’implicazione del governo nella gestione del sistema bancario furono sostanzialmente l’ennesimo teatro di guerra tra gli schieramenti ideologici che si batterono in America fino all’inizio della guerra civile. Si tratta della divisione tra Federalisti, sostenitori delle necessità di un forte governo centrale che potesse sostenere l’espansione del commercio e l’evoluzione industriale, e i sudisti, democratici sostenitori della necessità di lasciare che ogni stato gestisse i propri affari in autonomia e che l’America si concentrasse sul fiorire e prosperare internamente, grazie all’economia agricola invece che pensare ad espandere la propria influenza nel resto del mondo. 

Quando l’indipendenza dall’impero britannico fu vinta, le preoccupazioni degli americani si rivolsero principalmente nel ricostruire la nazione nel periodo post bellico. Nonostante il pensiero principale dei padri fondatori non fu subito quello di agire sul sistema monetario l’intenzione era chiara e dichiarata già nel loro più importante documento di rappresentanza, la Dichiarazione d’Indipendenza Americana.

“…That these United Colonies are, and of Right ought to be Free and Independent States; that they are Absolved from all Allegiance to the British Crown, and that all political connection between them and the State of Great Britain, is and ought to be totally dissolved; and that as Free and Independent States, they have full Power to levy War, conclude Peace, contract Alliances, establish Commerce, and to do all other Acts and Things which Independent States may of right do”

Il desiderio di poter agire come uno stato totalmente libero ed indipendente con la possibilità di poter portare avanti tutte le “attività” tipiche di uno stato. Come abbiamo detto l’indipendenza dall’Inghilterra venne sì vinta nel 1783, ma l’indipendenza economica, l’unico vero mezzo in grado di garantire ad uno stato la più completa libertà di azione, si prospettava ancora come un traguardo lontano. Era infatti chiaro a tutti gli intellettuali statunitensi quanto il denaro fosse importante per far progredire il paese, e per questo sicuramente non si poteva contare sull’aiuto di alleati. Pur non venendo discusso in alcun modo il tema dell’organizzazione finanziaria del Paese, venne comunque espressa la volontà affinché quest’ultima, d’ora in avanti, ciò non fosse che affare dei cittadini statunitensi. 

Il rinnovato interesse nelle politiche monetarie sia da parte del governo che dell’opinione pubblica durante periodi di crisi, specialmente bellica, sarà un ciclo ricorrente all’interno di questa analisi. 

Il tema venne poi affrontato in maniera più ufficiosa con la firma della Costituzione Americana nel 1789, in cui si dichiarava dovere del governo centrale: coniare la moneta, regolarne il valore, il rapporto con le monete estere nonché il creare una legge unica per regolare le vicende bancarie di uomini o aziende. Se si considera questo ultimo punto come asserzione che è dovere del governo emanare e gestire nella loro totalità tutti i provvedimenti i quali si occupino di gestire crisi a livello monetario, sia a livello personale che a livello industriale, esso diventa centrale nella discussione che dividerà l’America nel corso di tutta la sua storia. Quanto potere è giusto che il governo abbia sulle banche? E’ compito del governo gestire l’attività bancaria del suo Paese o è diritto dei suoi cittadini l’autogestione? Come può lo stato proteggere i suoi cittadini dalla bancarotta senza controllare le banche? Perché scegliere di affidarsi ad una banca gestita privatamente, invece di una gestita dallo Stato?

La discussione riguardante il sistema monetario rimase pressoché invariata per il decennio a seguire; ci furono tentativi di stabilire un conio, ma risultarono tutti come vedremo fallimentari. 

Sebbene la volontà che l’Unione disponesse di una propria valuta nazionale fosse chiara e condivisa, le modalità attraverso le quali questa dovesse essere gestita, oltre che la sua importanza rispetto ad altre questioni di cui il governo dovesse occuparsi, non lo erano altrettanto. La discussione e i disaccordi su quale configurazione avrebbe dovuto adottare l’Unione, sull’interpretazione della Costituzione e sulla divisione dei poteri tra Stati e Governo Centrale animeranno il dibattito politico per tutto il suo primo secolo di storia.  

Alexander Hamilton: il padre del federalismo e del piano finanziario per stabilizzare l’economia dell’unione 

Nonostante l’importanza organizzativa di una valuta nazionale non fosse sconosciuta a nessun americano, mentre molti festeggiavano ancora l’indipendenza pochi contemplavano come questa fosse stata sì un passo importante, ma non definitivo. Il dollaro americano, il sistema di produzione monetario americano, erano fondamentali perché l’America potesse muoversi in maniera indipendente da qualunque altra potenza europea in ogni ambito di governo e perché potesse mettersi al pari di suddette potenze. 

Il principale sostenitore, nonché divulgatore di questo pensiero, fu uno due più importanti e influenti intellettuali del suo tempo, le cui idee ancora oggi possono rivedersi nella mentalità statunitense: Alexander Hamilton.

Nato nelle Indie Orientali, padre fondatore nonché primo segretario del Tesoro americano, Alexander Hamilton viene comunemente identificato tra i creatori del pensiero federalista. Fu tra i primi a lottare per la costituzione di una forte banca nazionale per rafforzare il sistema governativo centrale. Il suo pensiero, i suoi scritti e il suo lavoro forgiarono gli stati del Nord in quello che furono nonché i motivi che li portarono in guerra con i propri connazionali. Hamilton rientra tra coloro che si batterono sull’importanza di una forte banca nazionale a sostegno del governo e sull’importanza di un potere centralizzato per mantenere salda l’Unione prima ancora che essa nascesse. 

Risulta complicato, basandosi solo sulle stime e i dati ufficiali del periodo, analizzare quale fosse lo stato del sistema monetario americano e che sviluppi si sarebbero potuti prevedere.  Alla luce di ciò per analizzare cosa il pensiero federalista dichiara a  riguardo, gli scritti di Hamilton risultano fondamentali. Attraverso le pagine del federalista, una raccolta di saggi e articoli scritti assieme a James Madison e John Jay, abbiamo la più diretta delle fonti informative su cosa effettivamente il movimento federalista prospetta il futuro del sistema bancario statunitense.

Hamilton era convinto che l’idea di poter contemplare gli Stati dell’Unione come indipendenti e autogovernati, tenuti insieme solo dal sentimento di libertà ed armonia che li governava, fosse un’utopia in quanto l’uomo è in se troppo avido e vendicativo per poter convivere con i suoi vicini se questi hanno le sue stesse ambizioni. Hamilton ammette come le classi abbienti, di cui lui stesso faceva parte, fossero troppo avide e guidate dall’interesse personale per poter contemplare di vivere pacificamente con altri 12 stati gemelli che li circondano. Se l’America si dovesse trovare a vivere circondata da altre 12 nazioni come lei, soccomberebbe all’eterna guerra.

“There are still to be found visionary or designing men, who stand ready to advocate the paradox of perpetual peace between the states”.

Per quanto ogni Paese si sforzi di vivere in pace con i suoi vicini, nello spirito degli interessi e della benevolenza comune, soprattutto riguardo al commercio, è evidente che non sempre possa essere così.

“Momentary passions, and immediate interest, have a more active and imperious control over human conduct than general or remote considerations of policy, utility or justice”

Secondo Hamilton ogni governo, che sia una repubblica o una monarchia, rimane governato da uomini, che fanno gli interessi di altri uomini e che il commercio non ha avuto altro effetto se non quello di cambiare il motivo di conflitto. Non più il territorio, ma l’influenza e la materia di commercio. Analizza, sull’esempio di vari conflitti avvenuti tra le superpotenze europee, come una disputa nata a fini commerciali spesso sfocia in guerre di orgoglio e giochi di potere, poiché iniziata da uomini con motivi opportunistici; e vedendo come questi sembrano ripetersi in maniera metodica tra poteri secolari, nulla può provare che ciò non potrebbe capitare all’Unione. Adottando un punto di vista estremamente realista Hamilton spiega come è ormai tempo di abbandonare i sogni di armonia e di pace per ammettere che, in fondo, sono utopie non adatte all’essere umano e invece di accettare la nostra natura avida come parte di noi. 

“Neighboring nations are naturally enemies of each other, unless their common weakness forces them to league in a confederative republic and their constitution prevents the differences that neighborhood occasions, extinguishing that secret jealousy, which disposes all states to aggrandize themselves at the expense of their neighbors” .

Le idee di Hamilton su come superare queste numerose falle umane comprendevano ovviamente molto più che la semplice costituzione di una banca o la gestione delle leggi monetarie da parte del governo,  ma certo è che questo provvedimento è tra i più pratici che egli desiderava mettere in atto. Fu grazie a lui che uno dei primi dipartimenti creati con la nascita degli Stati Uniti fu il dipartimento del Tesoro, perché si occupasse dei problemi finanziari nazionali e internazionali e di gestire le passività dell’autorità centrale. Hamilton ne fu il primo Segretario.

La filosofia hamiltoniana si sviluppò sugli interessi della borghesia commerciante marittima e venne dunque accolta dagli Stati del Nord, dove si diffuse negli ambienti industriali e commerciali.  Le industrie degli stati del Nord, infatti, possedevano economie più varie rispetto a quelle del Sud che invece necessitavano di maggior sostegno da parte del governo e che quindi beneficiavano al rafforzarsi del potere centrale. Per poter portare avanti il proprio commercio le industrie nordiste necessitavano di una valuta stabile, che venisse accettata senza problemi sia all’interno che all’esterno dell’Unione, necessitavano dunque di quel tipo di sicurezza che il controllo del governo centrale sul sistema monetario prometteva. 

In sintesi la società e l’economia degli stati del Nord erano più diversificate rispetto al resto dell’Unione e necessitavano di un’autorità centrale forte che si eleggesse al di sopra delle singole parti, che mediasse e provvedesse alle necessità di ognuno.

Thomas Jefferson: la cultura legata alla terra e la nascita del partito democratico-republicano

Con portavoci quali Hamilton e Adams, il partito federalista incontrava perfettamente gli interessi degli stati del Nord e delle loro economie industriali. La prospettiva di questo tipo di controllo e organizzazione dava agli imprenditori nordisti la possibilità di progettare un’espansione delle loro attività molto più efficace di quella che si sarebbe potuta ottenere dallo sforzo delle singole parti. La presenza di banche stabili, rette dalla garanzia dello Stato, promettevano la possibilità di grandi investimenti sicuri per le loro imprese e sicuramente non mancava chi, aspirando ad inoltrarsi tra le amministrazione di queste istituzioni, mirava ad arricchirsi.

Era proprio questa la preoccupazione degli intellettuali sudisti come Thomas Jefferson, preoccupati che questo accentramento dei poteri potesse minacciare l’autonomia dei singoli stati e potesse degenerare in un potere dispotico. Già da subito, grazie al lavoro di esponenti quali Patrick Henry, iniziò a circolare tra gli stati del Sud l’idea che il governo federale non mirasse ad altro che a fondere tutti gli stati dell’Unione in un unico grande stato con un solo governo. Le ostilità verso la dirigenza governativa si inasprirono ad ogni manovra dei federalisti. 

Pur non sostenendo completamente questa visione, Jefferson ripudiava il pensiero federalista perché profondamente legato ad uno stile di vita industriale molto lontano da quella che era la sua visione per il Paese. Jefferson, infatti, aspirava a forgiare un’America fondata sull’autonoma attività agricola di milioni di lavoratori indipendenti. I suoi scritti nelle “Note sulla Virginia” lo rendono di fatto il portavoce del pensiero sudista. Egli non mirava a rendere l’America una grande superpotenza che potesse competere con i paesi europei ma anzi, era convinto che il lavoro industriale andasse lasciato a loro così che l’America potesse concentrarsi sulla sua attività agricola e mantenersi a contatto con la natura. Era convinto che vivere in città avrebbe portato una profonda tristezza per i cittadini americani e che in ultima istanza avrebbe fatto cadere la repubblica. E’ grazie a questi ideali ed al grande consenso che ottenevano nei ceti alti del sud che Jefferson potè nel 1800 fondare il partito Democratico-Republicano, con il quale conquistò la presidenza nel 1801 e successivamente il dominio del governo da parte dei democratici fino al 1860, salvo eccezioni. 

Il dominio dei democratici-repubblicani sul pensiero popolare arrivò ad essere quasi totalitario soprattutto grazie all’evoluzione dell’industria agricola e all’espansione dell’Unione per ottenere nuove terre coltivabili. La produzione raggiunse livelli altissimi tanto che ciò portò ad una profonda crisi del partito federalista il quale non aveva previsto che l’industria agricola si sarebbe sviluppata così velocemente. Ma nonostante il partito democratico dominasse l’Unione, anche grazie al suo ripudio del governo centralizzato, anche loro saranno in seguito costretti ad ammettere la necessità di un sistema bancario più organizzato per evitare che il paese andasse in bancarotta. Come vedremo la guerra contro l’Inghilterra del 1812 rese necessario affrontare il discorso sulla banca nazionale dato il rischio molto concreto di una bancarotta nazionale. 

Nonostante inizialmente Jefferson si fosse fortemente opposto all’istituzione di una banca nazionale, i suoi successori furono costretti ad ammettere la necessità di tale istituzione per poter sostenere un’economia che ormai, pur essendo ancora legata all’agricoltura non poteva più definirsi rurale, ma un’industria della coltivazione che aveva bisogno di una sicurezza monetaria non indifferente per sostenere i suoi affari. Con ciò non si intende che il partito democratico si stesse lentamente fondendo con quello federalista, nordisti e sudisti si mantenevano ancora molto distinti, ma è importante notare come questo particolare punto, l’organizzazione di un sistema bancario centrale, fosse ormai diventato indispensabile ed anche se come vedremo visto  il tentativo democratico di fondare una banca anzionale fallì, i motivi erano da ritrovarsi ormai nel l’impreparazione dello stato, che già due volte si era reso conto quanto per sostenere una guerra, servisse una quantità di denaro che non poteva aspettarsi se non da se stesso. Il denaro iniziava a palesarsi come un pilastro fondamentale dell’espansione e della sopravvivenza dell’Unione, e lo sarà ancora di più allo scoppio della guerra di secessione.

La divisione portò al conflitto irreprimibile, Nord e Sud crebbero sempre più diversi fin quanto non sembrò che fossero inconciliabili, le loro economie così come le loro soluzioni per conciliarle sembravano non riuscire ad incontrarsi mai. 

LA GENESI DELLA MONETA NAZIONALE: Origini del Desiderio e complessità della Gestione

Continental Currency Dollar: Primo tentativo di Instaurare una moneta nazionale 

Il primo tentativo di instaurare un proprio conio avvenne mentre ancora le colonie stavano combattendo per l’indipendenza, quando nel 1775 il Congresso autorizzò la produzione del “Continental Currency Dollar”, nel tentativo di finanziare la rivoluzione. 

Si trattava sostanzialmente di note di garanzia fatte dal Congresso con la promessa di pagare, una volta che la guerra fosse stata vinta, la somma messa a disposizione per finanziare le azioni militari. La speranza del governo era quella che, a guerra finita, la grande maggioranza di coloro che avevano “prestato” il solo denaro al governo non tornassero per ritirare il loro prestito e che invece le note in sé diventassero la nuova moneta. In virtù di ciò produssero molte più note di quante effettivamente le risorse auree potessero pagare e così, quando la guerra si protrasse più di quanto il Congresso avesse immaginato, divenne sempre più difficile ripagare i prestiti ottenuti con le note cartacee e ciò che fece cadere questa valuta in crisi. Questo e altri fattori quali la contraffazione fecero sì che per la fine della guerra il valore del “Continental Currency Dollar” fosse praticamente nullo.

Da questo primo rudimentale tentativo di coniare una sua moneta l’Unione abbandonò l’obiettivo per i dieci anni successivi alla fine della guerra fino a quando, ispirandosi allo stesso Continental Currency, Dollar Benjamin Franklin progettò il Furgio Cent, il quale però non entrò mai in circolazione. Da qui le monete che continuarono a circolare sul suolo americano furono quelle delle potenze europee come Gran Bretagna e Spagna, le quali con un sistema monetario completo ed efficiente potevano permettersi di sostenere le spese dell’economia americana.

L’Epoca del Sistema Bancario con Statuto e i Primi Sforzi per la Creazione di un Sistema Bancario Nazionale

Sulla scia del pensiero hamiltoniano, nel 1791 il congresso dichiarò la fondazione della prima banca nazionale americana. Con sede a Philadelphia la banca avrebbe avuto il compito di facilitare le attività finanziarie e economiche soprattutto riguardanti il governo.

“will  tend  to  give  facility to  the obtaining  of loans, for the use of the government, in sudden emergencies;  and will  be pro­ductive  of considerable  advantages  to  trade  and  industry in  general”

Lo statuto conteneva dettagliate istruzioni su come e da chi la banca avrebbe dovuto essere gestita, specificando il capitale iniziale e massimo che la banca avrebbe potuto possedere. I limiti erano comprensivi anche dei prestiti al governo, specifici sia per il governo sia per gli stati, salvo se concesso da una speciale legge emanata appositamente. Veniva inoltre chiarito come la banca fosse unicamente una banca di credito, e non una banca di investimento in quanto l’utilizzo dei soldi posseduti dalla banca da parte di qualunque suo dipendente o dirigente per effettuare acquisti sarebbe risultato nell’annullamento dell’acquisto e nel licenziamento del responsabile. 

Per quanto riguardava i rapporti della banca con il governo quello più diretto era sicuramente la corrispondenza tra la banca e il segretario del tesoro, il quale doveva essere aggiornato costantemente ma non più che una volta alla settimana sulle transazioni effettuate dalla banca. 

“The officer at the head of the  treasury department of the Uni­ted  States, shall  be  furnished, from  time  to  time,  as  often  as he may require, not exceeding once a week, with  statements of the  amount of the capital stock  of the said  corporation,  and  of the  debts  due  to the same;  of the monies deposited therein ; of the notes in circulation,  and of  the cash in  hand;  and  shall  have  a  right  to  inspect  such  general accounts in the books of the bank, as shall relate to the said statements. Provided, That this shall not be construed to imply a right of inspecting the account of any private individual or individuals with the bank” 

Lo statuto della banca era fissato con scadenza nel 1811, ciò significava che la banca avrebbe avuto l’autorizzazione dello stato a portare avanti i suoi affari fino ad allora, quando un gruppo di uomini del Congresso avrebbe poi deciso come e se rinnovare i privilegi e doveri della banca nazionale. Ciò non avvenne e quindi nel 1811 la prima banca nazionale venne chiusa per volere del Congresso. 

La ragione di ciò può ritrovarsi nel fatto che in quel periodo il Congresso era dominato dai democratici i quali ritenevano l’adozione di un sistema bancario nazionale come un tentativo del governo di ottenere il monopolio del settore e quindi affossare gli imprenditori indipendenti a favore degli interessi governativi.  

Il Coinage Act del 1792: Costruire una zecca e regolare la produzione di moneta americana 

Il primo vero decreto con il quale si avviò la coniazione di valuta nazionale in America fu il Coinage Act del 1792, con il quale il Congresso dichiarava l’apertura della prima, ufficiale, zecca di stato a Philadelphia. Col crescere della febbre dell’oro molte furono le zecche coordinate da Philadelphia che vennero aperte nel resto del Paese, fu questo il punto di svolta. 

Questa legge sulla coniazione della moneta prevedeva che la zecca producesse monete da dieci dollari, viz.Eagles, half-eagles dal valore di cinque dollari, quarte eagles dal valore di due dollari e mezzo, il dollaro, il mezzo dollaro, quarto di dollaro, dimes (dieci centesimi), half dime and quarter of dime. Oltre a ciò la legge specificava le posizioni di lavoro necessarie alla zecca, i rispettivi salari, lo specifico design che le monete avrebbero dovuto adottare e la loro composizione in termini di materiale, che variava in varie proporzioni d’oro e argento.

La legge prevedeva inoltre che chiunque provvedesse alla zecca oro e argento avrebbe ricevuto, esente da qualunque spesa, oro e argento sotto forma di monete (l’importanza di questo punto riemergerà nelle discussioni sulle politiche dell’argento e il corso aureo quando nel 1879 gli USA si riattaccarono al Gold Standard dopo la guerra civile). Questa strategia fu particolarmente redditizia per il governo in quanto permetteva loro di reperire la materia prima con la quale produrre il conio ed inoltre promuovere la circolazione. 

“That it shall be lawful for any person or persons to bring to the said mint gold and silver bullion, in order to their being coined; and that the bullion so brought shall be there assayed and coined as speedily as may be after the re-ceipt thereof, and that free of expense to the person or persons by whom the said bullion shall be been coined, the person or persons by whom the same shall have been delivered”

La legge inoltre, al fine di correggere gli errori passati, specificava che la contraffazione delle monete, in riferimento alle proporzioni dei metalli preziosi al loro interno a scopo di lucro personale, sarebbe stata punita con la morte. La fermezza e la severità di questo punto doveva servire non solo come deterrente contro la contraffazione, ma anche per sottolineare quanto il governo prendesse seriamente il nuovo programma monetario e come, rispetto ai precedenti tentativi di coniare una moneta nazionale per far fronte a spese dello stato, il Coinage Act 1792 dichiarava l’intenzione risolutiva di procedere alla creazione del definitivo sistema monetario americano. Varie altre regolazioni per la produzione dei coni in diversi materiali vennero emanate negli anni successivi. 

“That if any of the gold or silver coins which shall be struck or coined at the said Mint shall be debased or made worse as to the proportion of fine gold or fine silver therein contained…

 every such officer or person who shall commit any or either of the said offenses, shall be deemed guilty of felony, and shall suffer death.”

– Coinage Act 1792, sec. 19

Nonostante il lavoro della zecca, i vari coni delle potenze europee continuarono a circolare sul suolo americano, poiché nonostante il dollaro stesse venendo prodotto ad un buon ritmo, la quantità non era semplicemente in grado di sostenere indipendentemente la grandezza del mercato americano.

E’ importante sottolineare come durante questo periodo insieme alla rivoluzione del sistema monetario l’America stesse vivendo in pieno la prima rivoluzione industriale e dunque, per poter sostenere il ritmo di produzione a rimanere al passo con l’evoluzione tecnologica di altre potenze, non si poteva permettere di frenare lo sviluppo della sua economia (a causa dell’impossibilità del governo di sostenere il potere di acquisto dei suoi cittadini e delle sue industrie). Proprio per questo accettò, per molti anni, dopo il 1792, monete estere come pagamento legale. 

La zecca di Philadelphia fu il primo edificio del governo federale costruito secondo la costituzione del presidente Washington. Nonostante fosse specificato che da quel momento l’unica valuta accettata sul suolo americano sarebbe stato appunto il dollaro americano chiaramente non fu così a causa della carenza dello stesso. Il dollaro, specificatamente del “Flowing Hair Silver dollar”, non venne erogato fino al 1794, e con meno di 11.000 pezzi. 

L’era Jacksoniana: la guerra alle banche e la caduta della seconda banca nazioale 

La prima banca nazionale, come abbiamo visto, aveva statuto fino al 1811, anno in cui un consiglio di uomini scelti si sarebbe dovuto riunire per decidere, alla luce del lavoro condotto dalla banca, se rinnovare dato statuto o meno. Si trattava di un periodo, quello all’inizio del XIX secolo, fortemente dominato politicamente dal democratico-repubblicano e quindi il pensiero comune era generalmente prevenuto nei confronti della banca nazionale. Argomentando come, i presidenti e i dirigenti della banca avessero sfruttato la loro posizione per arricchirsi e arricchire la loro classe invece che lavorare al servizio del governo, i sudisti confermarono come la banca nazionale non facesse altro che mettere troppo potere nelle mani del governo per i motivi sbagliati e per questo la banca doveva essere soppressa. 

Nel 1812, la guerra contro l’impero Britannico aveva completamente distrutto il traffico esterno americano, a causa del blocco navale impostigli. Per questo motivo, alla fine della guerra, l’Unione si era ritrovata, molto similmente alla situazione post-rivoluzionaria, a dover pagare un’ingente somma di debiti di guerra. Queste difficoltà risvegliarono ancora una volta nella mente dello Stato il bisogno di un sistema monetario adatto a sostenere le loro operazioni. Ancora una volta infatti l’America si trovava penalizzata nella ripresa economica dalla mancanza di un forte circolo monetario interno controllato dallo stato centrale. Il Paese dunque si trovava nuovamente bloccato e apparve chiaro al congresso che la discussione non poteva più essere rimandata.

Benché la guerra fosse finita, il colpo inferto all’economia americana era stato considerevole e la ripresa, quantomai lenta, aveva bisogno del supporto dello Stato in forma di incentivi finanziari i quali  però, in quel periodo, a causa dei pesanti debiti di guerra, non poteva permettersi. Dopo molti dibattiti nel 1816 il presidente Madison firmò lo statuto per la creazione della seconda banca nazonale.

La banca aprì le sue attività nel gennaio del 1817 con molte similarità con la sua promotrice, compresa la sua funzione di agente fiscale per il governo. Essa si occupava di gestire i depositi governativi, effettuare i suoi pagamenti, e concedere prestiti al pubblico. La sua commissione era formata da 25 direttori, 5 dei quali scelti dal presidente e approvati dal Senato. Lo statuto della banca aveva valore di 20 anni, autorizzata ad operare fino al 1836.

Per molti questo sembrò un passo concreto verso la vera realizzazione di un sistema bancario nazionale, dopotutto la guerra con l’Inghilterra aveva provato come esso fosse necessario per sostenere non solo il governo, ma anche gli stati e i cittadini. Sembrava che ogni discussione sulle problematiche di una banca nazionale tra federalisti e sudisti fossero state accantonate a fronte di quanto questa fosse, indipendentemente da tutto, necessaria.

Il lavoro della banca si rivelò infatti fondamentale per la crescita di molte imprese, soprattutto grazie al fatto che essa non operava solo a Philadelphia dove era posizionata, ma estendeva le sue attività in altre 20 città. I prestiti concessi ai proprietari terrieri, come agli imprenditori industriali, aiutarono ad espandere molte delle principali attività produttive del paese così come il loro commercio sia interno che esterno.

Una delle caratteristiche che più distaccavano la banca dall’ambito governativo e la dipingevano come una vera e propria attività economica assestante era il fatto che essa non si occupava di effettuare prestiti di salvataggio ad altre imprese finanziarie. Al di là dei suoi obblighi verso il governo, essa conduceva la sua attività come qualunque altra impresa economica, anche se una delle più prosperose degli Stati Uniti. La sua espansione sia geografica che populistica permetteva un flusso di capitale senza precedenti che la rendeva una delle industrie più floride di quegli anni e ciò le permise di acquisire una sorta di monopolio sul settore che la portarono, anche se non con leggi scritte, a dettare delle norme monetarie per l’intero settore e a darne quindi una straordinaria stabilità, proprio come chi aveva lottato per la sua creazione sperava.  

Questa stabilità deriva soprattutto dall’estrema affidabilità delle note bancarie che essa emanava, grazie al fatto che le riserve auree governative garantivano una grande sicurezza oltre che la possibilità di emettere una quantità di biglietti molto più elevata rispetto a qualunque altra banca statale. Dopotutto erano le stesse su cui doveva fare affidamento il governo. 

Attraverso la modifica delle sue politiche di prestito del flusso di fondi e attraverso i suoi conti, la Banca poteva, e lo faceva, alterare l’offerta di denaro e credito nell’economia del Paese e quindi gestire indirettamente i tassi di interesse applicati ai mutuatari. 

Una delle mosse della banca nazionale che più può ricordare una politica monetaria era la sua gestione delle note emesse dalle varie banche statali. La banca accumulava queste note nelle sue riserve e nel momento in cui avesse voluto rallentare la crescita monetaria e di possibilità di credito di queste, la banca presentava le note con richiesta di riscossioni in capitale aureo e argenteo, limitando così la riserva della banca statale e la sua possibilità di fare prestiti. Al contrario nel momento in cui la necessità fosse quella di una crescita di flusso di capitali, la banca avrebbe conservato queste note permettendo alla banca statale in questione di ingrandire la sua riserva ed elargire dunque altre note. In questo modo, bloccando, ma anche aiutando le altre banche americane, la banca nazionale si assicurava non solo il monopolio del mercato monetario ma anche le regolarizzazione dei traffici per conto del governo.

Ovviamente le politiche dei diversi presidenti della banca non furono sempre efficaci o comunque non sempre gestite al meglio, creando, come nel caso del suo primo presidente William Jones, periodi di estrema crescita non sostenuta che si alternava quindi a panici economici e recessione. 

Nonostante ciò i lavori della seconda banca nazionale, per il suo primo decennio di vita procedettero, sicuramente con non pochi problemi, ma in modo positivo. La situazione tuttavia cambiò quando nel 1832 Andrew Jackson venne rieletto presidente. L’attenzione era puntata sulla banca dato che da lì a poco si sarebbe dovuto rinnovare il suo statuto e la richiesta venne mandata proprio durante la seconda presidenza Jackson. 

Jackson rappresentava pienamente la nuova evoluzione del partito democratico-republicano, se prima esso era dominato da intellettuali sudisti guidati dagli ideali jeffersoniani l’espansione dell’unione verso Ovest aveva portato una nuova ala del partito, quello dei frontiersmen, gli esploratori delle nuove terre, i pionieri dell’Ovest entrati nell’Unione dopo in Compromesso del Missouri e che quindi avevano dovuto sviluppare la loro economia senza l’ausilio del sistema schiavista. Si trattava di una élite contadina legata alla terra da piccole coltivazioni, che si sentiva marginalizzata nel dibattito politico, specialmente economico, e che vedeva nella banca nazionale, l’ennesimo strumento messo a disposizione degli industriali del Nord a spese dei coltivatori. 

L’insediazione di Jackson alla casa bianca diede inizio ad un processo di democratizzazione che portò nel 1832 alla liquidazione della seconda banca nazionale e questo fu un duro colpo per l’oligarchia finanziaria.

Nonostante la proposta dello statuto avesse ottenuto l’approvazione della Camera e del Senato essa venne comunque bloccata dal veto del presidente Jackson. La sfiducia del presidente nei confronti delle banche era un affare generale, che però sfociò anche nella sua visione politica. Secondo Jackson l’attività della banca nazionale non era sufficientemente controllata dal governo e ricadeva invece in mano a un gruppo ristretto di privati uomini d’affari, il che rischiava di deviare l’attività monetaria per scopi egoistici. La giudicava quindi troppo al di fuori dalla giurisdizione dello Stato e del Congresso, cosa troppo pericolosa considerando anche come essa non era regolata da vere e proprie politiche monetarie rigide sulle sue attività. 

Jackson sfruttò quindi la sua rielezione per agire contro la sua attività e ordinò che tutti i depositi federali venissero rimossi dalla banca e depositati presso varie banche statali. Nonostante la fervente opposizione a questo procedimento, per la fine del 1833 così fu fatto. 

Le attività della banca proseguirono ancora per qualche anno, ma la drastica riduzione delle sue riserve e le politiche fallimentari dell’allora presidente Nicholas Biddle rafforzarono l’ideale Jacksoniano che la banca fosse stata creata solo per servire gli interessi di pochi, e non per aiutare lo stato e così nel 1834 il congresso rifiutò il rinnovo dello statuto della banca che venne quindi liquidata.  

Si chiuse così, anche il secondo tentativo statunitense di creare un sistema bancario nazionale. Da qui diversi fattori trasformarono lo scenario politico e l’opinione pubblica. L’idea di una banca nazionale risultava assai contraddittoria e soffocante e per questo ogni tentativo di costituire un sistema bancario nazionale venne accantonato fino alla creazione del National Banking System nel 1863.

Nei trent’anni che seguirono la chiusura della seconda banca nazionale un nuovo sistema monetario si diffuse nei vari stati dell’Unione. Abbandonata l’idea di un sistema bancario unico, la gestione di crediti e prestiti venne affidata ai singoli stati, cha a loro volta in pieno spirito indipendentista preferirono affidarla ai loro singoli cittadini e così cominciò una nuova era, l’era del Sistema Bancario Libero (Free Banking). 

Per capire l’evoluzione politica che portò alla caduta del sistema bancario nazionale, è necessario analizzare i vari cambiamenti che caratterizzarono l’America in quegli anni, non solo a livello politico, ma anche a livello economico. 

L’UNIONE NEGLI ANNI CENTRALI DEL XIX SECOLO: L’escalation fino al conflitto civile

La corsa all’oro e l’espansione a Occidente

Nel 1860, la popolazione statunitense cresceva rapidamente (nel 1860 supererà i 31 milioni rispetto ai 23 milioni del 1850) ed essendo ancora una nazione dall’economia prevalentemente agricola, necessitava costantemente di nuova terra coltivabile. 

L’enorme quantità di territori posseduti in Occidente, per lo più spopolati oppure popolati solo da qualche minoranza indiana, era stata trasformata in Demanio Nazionale e l’Unione  iniziò dunque a lottizzarla al 50% a speculatori e il resto a contadini. Questa strategia diede inizio ad un fenomeno di migrazione in massa della popolazione verso la “frontiera”.  Qui, raggiunti i sessantamila abitanti, l’Insediamento poteva convocare una Convenzione Costituzionale per richiedere di venir ammesso all’Unione, e così dai tredici stati iniziali l’Unione passo presto a trentasette.

Il movente agricolo non era però l’unico che aveva spinto la popolazione a viaggiare per il Paese cercando una nuova vita nelle terre inesplorate, molto più importante per quanto riguarda il nostro focus, fu che nel 1848 il carpentiere James Marshall scoprì l’oro nel fiume Marshall dando così il via alla corsa all’Oro in California. Grazie a questo fenomeno la popolazione della sola California passò da circa 15.000 abitanti a 400.000 e diventò la prima produttrice globale di oro. Nel 1853 ne dette tre volte il resto del mondo e nonostante di lì a poco sarebbe stato scavato anche il primo pozzo di petrolio, pochi ne diedero attenzione rispetto al fenomeno dell’oro. 

La crescita demografica aiutò anche il resto dell’Occidente, era risaputo che i territori dell’Unione fossero ricchi di materie prime e ora, grazie alla crescita demografica ed al costante flusso migratorio, si disponeva anche della manodopera per estrarle, e permettere all’Unione di crescere. 

Nonostante l’Unione rimanesse basata su un’economia prevalente agricola ed in costante sviluppo, tale sviluppo era anche il risultato di una formidabile industrializzazione del Paese che forniva alla manodopera dei campi nuovi macchinari per permettergli di accelerare i tempi di produzione in maniera esponenziale. Dal 1850 al 1860 il valore della produzione industriale statunitense era balzato da 533.200.000 a oltre un miliardo di dollari in dieci anni. 

Gli USA stata vivendo nel pieno della prima rivoluzione industriale; un apparato industriale grandioso si stava sviluppando, tutti i campi più importanti dell’economia crescevano grazie anche all’aiuto reciproco, e la necessità di miglior comunicazione per poter ottimizzare il lavoro portò anche ad uno sviluppo tecnologico interno al Paese. Nel 1860, in tutti gli Stati Uniti correvano più di 80.000 metri di linee telegrafiche; la costruzione di strade continuò fino ad essere oscurata totalmente dall’avvento delle ferrovie che nel 1860 avevano raggiunto un’estensione di 53.416 chilometri, un sistema ferroviario che solo Inghilterra e Francia potevano dire di possedere.

Questo periodo della storia statunitense è particolarmente importante per quanto riguarda la loro mentalità, per quello che noi oggi definiamo l’essere americani e il significato di sogno americano. Nonostante le condizioni di lavoro non rispettassero assolutamente gli standard moderni, a confronto con la classe operaia europea, quella statunitense risultava effettivamente molto più tutelata e fu questo che portò l’ondata migratoria che arrivò nell’Unione in questi anni. La speranza di un lavoro onesto e ben retribuito che desse la possibilità di costruire una vita per se stessi e per la propria famiglia in un territorio vergine dall’aristocrazia. Benché esistessero ricchi e poveri, il confine tra questi non era mai stato, nella storia di nessun altro Paese, così malleabile. Non era una questione di sangue o di famiglia, ma di lavoro e di tenacia e anche se certamente anche qui esistesse una élite più acculturata, la differenza con quella europea era come essa nascesse proprio dal lavoro. Non c’era in America una classe superiore nullafacente che dipendesse dal lavoro della classe media.

Il poter salire la scala sociale era una promessa da parte del Paese che creava un desiderio e una speranza perfetti per motivare uno sviluppo così rapido. Fu uno dei fattori chiave che gli permise di portare avanti una rivoluzione industriale ad un ritmo così sostenuto: quello di cui non disponevano in termini di mezzi o di ricchezza dello Stato, veniva compensato dalla pura volontà di crearsi un futuro e portare avanti una nazione per amore della nazione. C’è sempre stato bisogno, per lo sviluppo americano, di più terreno, più materiale, più valuta per far circolare i sogni di rivalsa di sempre più persone e ciò, come vedremo, con il tempo arrivò a non riuscire più a rientrare nei limiti dell’Unione, ma si dovette scontrare con i confini degli altri Stati.

L’Era del Free Banking e il dibattito sulla necessità delle regolazioni bancarie

Come abbiamo detto, nel 1836 venne soppressa anche la seconda banca nazionale americana e così per i trent’anni successivi la gestione del sistema bancario venne lasciata in mano ai singoli stati, permettendo la diffusione in molti del sistema bancario libero.

Si definisce “Free Banking” un sistema monetario nel quale ogni banca è libera di fare prestiti ai propri clienti richiedibili in valuta monetaria. E’ spesso utilizzato in modo da togliere allo Stato il potere finanziario e quindi de-politizzare il settore (così effettivamente venne usato in America).

Per gli Stati americani del XIX secolo, Free Banking significava che ogni banca poteva entrare nel sistema debitorio e fare credito ai propri clienti, anche di somme assai maggiori alla liquidità effettiva dello stabile. Era possibile riscuotere le note di credito emesse dalla banca in oro o in argento sia nei Paesi che si regolavano con il free banking sia in quelli con altri sistemi monetari. Nei sistemi freebanking, specifici bond governativi dovevano essere depositati dall’autorità dello stato come garanzia per queste banche. 

Nonostante i vari problemi legati al costante fallimento di numerose banche, dato appunto dal fatto che esse emettono prestiti per somme maggiori rispetto al capitale che effettivamente possedevano, senza poter poi poter sostenere di pagare, durante questo periodo, osservando la capacità di questo sistema di sopravvivere, il free banking si dimostrò alquanto efficace. 

Benché con Free Banking si intenda effettivamente un sistema bancario particolarmente autonomo e libero dalle intromissioni governative,  è importante chiarire come questo venisse comunque regolato da delle leggi emesse dello Stato che decidesse di adottare tale sistema. Con il fatto che venissero emesse singolarmente da ogni Stato, la formulazione di queste leggi cambiava e non di poco. Possono essere quindi considerate come molte variazioni dello stesso sistema, alcune più e altre meno efficaci.

Il Michigan fu il primo stato americano che adottò il sistema bancario libero. Con una legge emanata nel 1837, esso doveva servire per facilitare la crescita economica del paese. Precedentemente per entrare a far parte del business bancario era necessario l’intervento della legislatura governativa che garantisse a ogni ente un permesso, mentre ora era sufficiente presentare richiesta soddisfando determinati standard fissati dal governo. Da lì in poi, salvo regolazioni riguardanti la frode, gli affari di ogni banca avrebbero dovuto rispondere unicamente a quelli delle altre banche e regolarsi di conseguenza. 

Secondo le leggi governative emanate al 1837 in poi ad ogni banca era richiesto di acquistare un certo quantitativo di obbligazioni governative da depositare poi per l’autorità dello Stato come garanzia e avrebbe potuto poi emettere note di credito fino al valore in obbligazioni che possedeva. Altro requisito era quello di poter convertire, su richiesta del cliente, la nota cartacea nel suo equivalente aureo o in argento. Nel caso la banca non fosse stata in grado di fare ciò sarebbe stata chiusa dallo Stato.

Impatti dei sistema bancario libero sull’economia dell’unione e sulla circolazione della valuta

Allo scoppio della guerra civile, la maggior parte degli stati dell’unione utilizzavano il sistema bancario libero, ma come abbiamo detto le leggi emanate nei diversi stati erano particolarmente diverse e questo rendeva più difficile analizzare l’efficacia del sistema in quanto ebbe risultati molto diversi nei vari stati dove venne applicato. In Michigan si rivelò un disastro mentre si adattò benissimo al sistema economico di New York e anzi contribuì alla sua crescita. I motivi per queste differenze si possono ritrovare negli stessi che scatenarono la guerra civile, una profonda differenza tra le economie dei diversi stati dell’Unione e nelle loro mentalità lavorative che spesso risultavano l’una il limite al progresso dell’altra invece di lavorare insieme.

Durante il periodo del Free Banking la valuta cartacea era emessa appunto dalle banche e assumeva quindi valore diverso a seconda dello stato e della banca che la emetteva. La risposta del mercato a questo fenomeno fu di introdurre dei brokers, degli specialisti dei valori di cambio delle varie note bancarie che si occupassero di regolarne il valore negli scambi tra diversi stati, ovviamente trattenendo una parte come loro compenso lavorativo. 

Le banche in questo periodo si dividevano tra specie price e broken banks, le quali note non venivano quasi mai considerate valide o accettate come forma di pagamento. 

Nonostante la relativa efficacia dei cambi tra stati, è chiaro che una moneta così eterogenea rendesse le cose più difficili in quanto richiedeva un alto livello di giudizio personale sulla qualità delle note e della banca. Al di là di questo, il sistema bancario libero può risultare sotto questo aspetto, molto più simile al nostro attuale sistema monetario internazionale di quanto possiamo pensare, ed analizzare il perché può aiutarci a capire come questo non sia stato generalmente un impedimento alla crescita economica americana di quegli anni. 

Anche nel sistema monetario moderno accettare un assegno richiede un certo livello di giudizio personale sulla persona e sulla banca da cui lo stiamo accettando. Nonostante il conio circolante nel nostro paese sia unico oggi dobbiamo preoccuparci dei diversi tipi di deposito che possiamo fare in banca, ognuno dei quali con caratteristiche e cambi diversi; e soprattutto, considerando che viviamo dell’era della globalizzazione, viaggiare ci richiede dei cambi monetari non molto differenti da quelli che si verificano nell’Unione di quegli anni. Il conio straniero ha valore diverso da quello locale e per effettuare queste transizioni spesso anche noi ci rivolgiamo a enti che trattengono una parte di questo valore come spesa di commissione proprio come ci pagava un broker durante l’era del free banking. Con questo non si intende che il sistema fosse perfettamente funzionante al livello del nostro sistema moderno, ma solo che spesso i giudizi sul sistema finanziario di questo periodo, certamente caotico e disorganizzato, ne esagerano però l’inefficacia, soprattutto se consideriamo che in quegli anni, nell’Unione, circolavano già una grande varietà di monete con valori diversi. La differenza fu il numero di banche che nacquero e fallirono in quel periodo. per quanto il free banking fosse un sistema sregolato, rimaneva un sistema, e questo incredibilmente aiutò a stabilizzare se non altro i tassi di cambio tra diverse note bancarie e le quantità di asset legate a ogni nota.

Questo fenomeno anima ancora oggi un acceso dibattito sull’effettiva utilità della regolazione monetaria da parte dello stato quando anche in casi di sistema bancario libero un Paese ha la possibilità di svilupparsi economicamente in tal maniera. Come abbiamo già detto le applicazioni del sistema bancario libero in America furono talmente eterogenee che risulta difficile trarre delle conclusioni generali sulla sua efficacia.

E’ possibile che nell’immaginario comune americano l’efficacia del free banking in certi Paesi abbia contribuito al pensiero librale secondo il quale non è necessario che lo stato intervenga o gestisca il settore economico del suo paese in quanto esso è governato da leggi sue che ristabiliscono indipendentemente l’ordine e che lavorano meglio se non intralciate de interventi esterni. Il fatto che in molti stati il sistema del free banking sia stato gestito in maniera sorprendentemente efficace e che abbia contribuito allo sviluppo economico dello stesso, rimane nel pensiero collettivo statunitense un’ulteriore prova che, se autogestiti, gli americani e i loro business riescono ad emergere in modo più equo. Un pensiero che potremmo definire rassicurante in quanto prevede un risultato certo e pochi sforzi da parte dell’autorità. 

E’ da considerare che sicuramente la mancanza di requisiti troppo ristretti per entrare nel business bancario abbia alzato il livello di competizione accelerando dunque l’evoluzione del settore e nonostante l’elevato numero di banche che nacquero e fallirono in questo periodo esso aiutò sicuramente il sistema a rendersi più indipendente e a regolarsi in base alle richieste e bisogni dei suoi clienti e delle altre banche. Molti tra i soggetti più importanti del settore come i presidenti delle banche e direttori si opponevano fermamente al sistema del free banking in quanto lo consideravano una minaccia al loro monopolio sul settore date le basse barriere per entrare, come in qualunque altro settore economico del resto.

Possiamo dire che il sistema bancario libero fu fondamentale per la crescita economica americana di quel periodo? Come già detto, è difficile valutare l’effetto totale che questo fenomeno ebbe sulla nazione appunto a causa dell’elevata eterogeneità con la quale venne applicato. Ricordiamo che in questo periodo i Paesi dell’unione si differenziavano notevolmente a livello economico oltre che intellettuale; considerando inoltre altri fattori che contribuirono alla crescita economica come la crescita della popolazione, lo sviluppo del sistema dei trasporti e di comunicazione è difficile trarre delle conclusioni certe. Possiamo affermare che l’esperienza abbia temprato tutti coloro che dal 1838 allo scoppiò della guerra civile abbiano gestito una banca negli Stati Uniti. Oltre a i requisiti per entrare a far parte del sistema, la sopravvivenza di una banca dipendeva unicamente dall’abilità degli imprenditori di gestire il proprio traffico di denaro, l’alto numero di banche che fallirono in quegli anni ci dice che sicuramente non fosse una cosa facile, ma può anche suggerire che da ciò molte altre siano sopravvissute ed abbiano imparato a riconoscere i più ampi trend macroeconomici ascoltando e rispondendo adeguatamente al mercato.

Osserviamo quindi un’altro dei più fondamentali tasselli della mentalità americana che si lega sia al denaro che all’imprenditoria: la convinzione che l’intervento del governo sia sempre meno necessario e che il settore monetario, proprio perché strettamente legato a quello economico, sia anch’esso governato da proprie leggi di domanda e offerta in grado di autogestirsi senza intervento esterno. Ma ancora più importante vediamo qui nascere un altro dei più celebri tratti distintivi della mentalità americana e cioè la convinzione sempre presente e sempre più temprata dell’uomo che nasce dal nulla. Viene data la possibilità ad un uomo con niente di diventare qualcuno, grazie ai suoi soli sforzi ed al talento grezzo, di riuscire dove chiunque altro non può. In questo periodo, a ridosso della rivoluzione industriale questa convinzione, si concretizzò in diversi settori, alcuni si aiutarono a vicenda, altri riuscirono a sabotarsi l’un l’altro anche senza l’intervento del governo. 

LA GUERRA CIVILE: GESTIONE VALUTARIA PER IL FINANZIAMENTO DEL CONFLITTO 

L’epoca della Guerra Civile Americana rappresenta un periodo cruciale nella storia monetaria degli Stati Uniti, caratterizzata da significativi mutamenti nel sistema finanziario nazionale. Lo scoppio del conflitto nel 1861 fu il culmine di profonde divisioni politiche ed economiche all’interno dell’Unione. Questa frattura ideologico-geografica ebbe riflessi diretti sul sistema monetario, con le tensioni crescenti che influenzarono le politiche economiche e finanziarie dell’epoca. In questo contesto, il preambolo della creazione dei Greenbacks, ovvero le “banconote verdi”, rappresentò una mossa senza precedenti da parte del governo federale per finanziare lo sforzo bellico e stabilizzare l’economia nazionale. Tali azioni ebbero un impatto profondo sulla circolazione della valuta e sulle relazioni finanziarie tra il governo centrale e le istituzioni bancarie, delineando un nuovo quadro monetario che avrebbe influenzato il destino economico degli Stati Uniti per gli anni a venire.

Il Legal Tender Act e la nascita dei Greenbacks

Il sistema monetario subì diversi, significativi cambiamenti durante il periodo della guerra civile. Nel tentativo di stabilizzare l’economia e soprattutto di finanziare le azioni belliche. Allo scoppiò della guerra, il Paese si dimezzò: undici stati dichiararono la loro non appartenenza dall’Unione.

Durante Il periodo della guerra civile, il governo, per potersi permettere le spese della guerra, introdusse in circolo più di 450 milioni di dollari in “note bancarie” senza avere le riserve auree per garantire il loro valore, nacquero così i Greenbacks. Chiamati così appunto per il colore verde del retro della nota, tipicità che rimarrà per sempre distintiva anche del futuro dollaro, il termine veniva usato in maniera dispregiativa. La fiducia, infatti, che i Greenbacks,  una volta terminata la guerra, se questa fosse terminata a favore dell’Unione, avrebbero mantenuto un qualche tipo di valore era bassa. 

Prima della guerra civile, la valuta nazionale consisteva in note e monete emanate da banche con statuto garantito dallo stato e come abbiamo detto queste leggi variavano da stato a stato e così il valore della valuta che esso produceva. Questo caos rendeva difficile la gestione di attività e commerci tra stati, e la cosa diverrà ancora più evidente quando questi dovranno occuparsi di gestire azioni belliche. L’idea che ora anche il governo potesse direttamente emettere valuta cartacea trovò le ostilità dei bancheri che la vedevano come l’ennesima intromissione del governo nel controllo del mercato e portare a risultati disastrosi nel caso l’unione avesse perso la guerra. 

Inizialmente introdotti come “biglietti di richiesta del tesoro” (demand notes), I Greenbacks si aggiunsero alla moltitudine di note bancarie già in circolazione e vennero emessi nel primi due anni di guerra, fino al 1862, nel tentativo di pagare i salari e le altre spese governative.  Come demand notes, i Greenbacks non avevano valore corrente, ciò significava che le banche potevano decidere di non accettarle come pagamento e come richiesta di conversione in oro. Per ovviare a questo problema nel 1862 un atto rivoluzionario venne approvato dal governo, destinato a cambiare il sistema monetario americano per sempre: il Legal Tender Act del febbraio del 1862. 

L’atto legittimava il governo ad emettere carta moneta con valore corrente e veniva ora consentito il pagamento di ogni tassa e debito all’interno dell’Unione. Prima del 1862 il governo non era autorizzato ad emettere moneta fiat, ovvero valuta non supportata dalle riserve auree. Così, la gestione delle note cartacee passò nelle mani del governo, che più di tutti aveva bisogno di valuta, più di quanto la zecca e le miniere auree e di argento potesse fornire. Durante questo periodo quindi, il valore del dollaro variò a seconda dei successi o insuccessi che il Nord riportava in guerra. Accadeva specularmente al Sud, dove venne invece emesso dalla Confederazione il dollaro confederato, sparito dopo la fine della guerra.

Durante il corso di tutta la guerra vennero immessi sul mercato Greenbacks per un valore complessivo di 400 milioni di dollari. Nel suo punto di valore più basso, nel 1864 il valore dei Greenbacks era sceso tanto che 258 Greenbacks equivalevano a 100 in oro per poi riprendersi alla fine della guerra ed arrivare ad un rapporto di 150 a 100.

I dati indicano che i Greenbacks aiutarono a pagare il 15% delle spese di guerra, d’altra parte è anche vero che la loro circolazione causò un aumento dell’inflazione che nel 1863 arrivò al 25%. 

Le conseguenze della nascita dei Greenbacks furono molteplici. L’unione riuscì a sostenere effettivamente le spese di guerra e a stabilizzare l’economia, ma ciò sollevò non poche controversie. Nel 1870 la Corte Suprema, dichiarò che l’emissione di cartamoneta da parte del governo violava il quinto emendamento argomentando che l’obbligo di accettare i Greenbacks come forma di pagamento forzato dal governo equivaleva ad una forma di espropriazione di proprietà privata senza la giusta compensazione. La sentenza venne successivamente ribaltata, con non poche obiezioni, giustificando Il Legal Tender Act come misura straordinaria legittima nelle circostanze della guerra nella causa Juilliard v. Greenman (1884).

Con la fine della guerra i più conservatori lottarono per il ritiro di tutti i Greenbacks, il loro uso aveva causato un estrema volatilità dei prezzi, soprattutto per il terreno, che si erano alzati, così come le frodi. Logicamente, i principali oppositori al ritiro dei Greenback erano i proprietari di queste terre che desideravano mantenere il loro potere nella coltivazione alzando quindi delle barriere alla competizione.

Il valore dei Greenback, e così il loro successo nel sostenere l’unione, era basato in larga parte come abbiamo detto dai successi e insuccessi che il Nord registrava durante la guerra; nel caso in cui l’Unione fosse uscita sconfitta dalla guerra, molto probabilmente i Greenbacks avrebbero cessato di esistere, ciò è esattamente quello che accadde alla carta moneta emessa dai Confederati. Mentre l’Unione emetteva nel mercato 450 milioni di dollari cartacei per finanziare la guerra, anche la Confederazione fece lo stesso, con il fatto però che allo scoppio della guerra era il nord a possedere la maggior parte delle ricchezze della nazione e i sudisti dovettero trovare un modo per finanziare la loro guerra. Nacque così il dollaro confederato (Confederate Dollar). Questa valuta non era legata, nemmeno in modo formale a nessun altro tipo di asset, si trattava sostanzialmente di una nota ufficiosa che garantiva il pagamento di un debito entro i sei mesi dalla fine della guerra, il problema sorse quando la guerra si prolungò molto più di quanto chiunque avesse pronosticato. Anche se la depressione del dollaro confederato non può propriamente essere considerata uno dei motivi determinanti per la sconfitta del Sud, sicuramente contribuì ad accelerarne la caduta. Non essendo legato a qualunque altro asset (come del resto i Greenbacks) che ne garantisse la stabilità, il valore dei dollari confederati era basato unicamente sulla fiducia della vittoria del sud; quando questa iniziò a venir meno così crollò anche il valore del dollaro confederato. 

La conseguenza più significativa dell’emissione dei Greenbacks, e lo fu perché influì anche sulle azioni internazionali dell’unione, fu l’interruzione del gold standard. Come detto prima, dalla nascita del Greenbacks l’emissione della valuta americana era strettamente legata alla quantità d’oro presente nelle riserve del Paese. Ora invece circolavano 500 milioni di dollari non garantiti dalle riserve auree ma dichiarati dal governo con valore corrente. Ciò rappresentava quindi la transizione in un sistema monetario per cui la fiducia nel governo e nella sua capacità di rimborsare la moneta emessa diventava un fattore chiave per stabilire il valore della valuta. 

Nonostante nel 1875 gli Stati Uniti si legarono nuovamente al Gold Standard il fatto che il governo americano avesse dimostrato di poter emettere moneta fiat e di poterla far circolare con successo nell’economia segnò un episodio importante nello sviluppo del sistema monetario futuro.

L’istituzione del sistema Bancario Nazionale (National Banking System)

Abbiamo visto come la necessità di finanziare le proprie azioni di guerra abbia fatto realizzare al Paese più volte nel corso della sua storia l’importanza della sua valuta, ma ora più che mai si era evidenziata l’importanza del controllo centrale sulla sua gestione. A due anni dallo scoppio della guerra non si poteva più contare sull’autogestione dei singoli stati e non si poteva più temere il peggio lottando contro l’arricchimento dei banchieri. L’Unione era sciolta, gli ideali dell’unione erano crollati ed occorreva ora pensare ad un modo rapido di portare il Paese fuori da questa crisi superando i conflitti ideologici sulla base di una necessità più che pratica.

Nato durante la guerra civile e considerato il predecessore del Federal Reserve System, il National Bank fu il primo, dopo molto tempo, e il più riuscito tentativo di nazionalizzare il sistema bancario statunitense. L’atto fu di per sé un tentativo di incentivare la circolazione dei Greenbacks a discapito di quelle emesse dalle banche statali imponendo una tassa annuale al 2% sulle ultime (che passò al 10% nel 1865). L’iniziativa si rivelò efficace e la circolazione di note statali diminuì di soli 60 milioni di dollari in un anno. 

La diffusione delle banche nazionali continuò grazie ai decreti del 1864 e ‘65, i quali permettevano de facto solo alle banche nazionali il privilegio di stampare note bancarie, privilegio che veniva considerato così importante che in massa le banche statali si trasformarono in banche nazionali, ma questo trend era presto destinato a cambiare. In un periodo in cui erano i depositi ad avere la maggiore importanza e non le note bancarie, l’importanza di poter emettere cartamoneta crollò e il trend di declino delle banche statali si fermò. Presto i depositi nelle banche commerciali statali arrivarono agli stessi livelli di quelle delle banche nazionali, un trend che continuò pressappoco fino alla crisi finanziaria del 2008. 

Il passo più rivoluzionario del trattato fu l’introduzione del Office of the Comptroller of the Currency (OCC), un organo governativo che si occupava di fatto di regolare le azioni delle banche con leggi e restrizioni. Si trattava di una reintroduzione del sistema bancario con statuto (chartered banking) e la fine quindi del sistema bancario libero. A differenza delle prime due banche nazionali, le quali operavano in vari stati e in varie città, le azioni di ogni nuova banca nazionale erano ristrette alla sua singola locazione ufficiale.

Il National Banking Act, entrato in vigore il 3 giugno del 1864, specificava i requisiti stabiliti dal governo per formare un’associazione bancaria nazionale. Ciò includeva una riserva minima di capitale basato sulla popolazione e designazione della città dove la banca era locata. Alle banche locate nelle città dove era presente la riserva federale, come New York e Chicago, era richiesto una riserva aurea pari al 25% delle loro note e passività dei depositi. 

Le banche situate in altre città di riserva erano autorizzate a detenere una parte dell’importo richiesto come depositi presso le banche nazionali della città centrale di riserva. Infine, tutte le altre banche nazionali, conosciute come “country banks”, avevano un requisito di riserva del 15% di cui una parte poteva essere tenuta come deposito nelle città centrali di riserva. La legge del 1864 autorizzava ogni banca nazionale ad ammettere 500 mila dollari in note bancarie garantite da obbligazioni del tesoro detenute presso il dipartimento del tesoro. Erano inoltre specificate le tasse annuali che ogni banca avrebbe dovuto pagare. 

Dato che le banche erano tenute a detenere sotto forma di valuta, o ad un loro equivalente, una data frazione dei loro debiti, la gestione delle attività delle banche era collegata alla quantità di moneta tramite la creazione di depositi. 

Alla fine del 1864, 683 banche avevano ottenuto la licenza federale ad operare. Il National Banking Act segnò la fine del sistema bancario libero e l’inizio di un nuovo sistema bancario nazionale con statuto, delineando la cornice generale che regolerà la struttura del sistema bancario negli Stati Uniti per i cinquant’anni a seguire. Nonostante il governo fosse riuscito ad eliminare in gran parte il problema della circolazione di valuta non uniforme, le crisi bancarie e i panici continuarono a destabilizzare il sistema economico. Il Congresso cercò di risolvere questo problema con la creazione appunto del Federal Reserve System nel 1913.

LA RIPRESA ECONOMICA POST BELLICA E IL CONSOLIDAMENTE GLOBALE

La Coesistenza indipendente di Greenbacks e Oro nel sistema monetario post-bellico

A seguito del distaccamento del dollaro dal gold standard, oro e Greenbacks iniziarono a circolare all’interno dell’Unione come due valute distinte.  Questo fenomeno generò non poche particolarità nella gestione del denaro e diede adito a numerosi dibattiti sul futuro del sistema monetario e su quale valuta avrebbe infine prevalso, se l’oro o i Greenbacks. 

Il periodo che va dalla fine della guerra civile alla ripresa dei pagamenti in oro ebbe caratteristiche uniche, a partire dallo standard monetario. Si trattava di un corso fiduciario. Nessun ente governativo aveva il compito di vendere oro ad un prezzo fisso a chi offrisse valuta a corso legale. Il risultato fù la libera fluttuazione dei tassi di cambio tra la valuta statunitense e quelle delle altre nazioni, cosa che non riapparve fino al primo dopo guerra e in ogni caso non durò mai per un periodo così lungo. Un periodo in cui le transazioni ufficiali degli Stati Uniti non giocarono un ruolo significativo nei mercati dell’oro e dei cambi. All’interno degli Stati Uniti circolavano ora due diversi tipi di valuta, uno parallelo all’altro, con cambio fluttuante. Mentre il livello dei prezzi cadeva a metà di quello iniziale lo sviluppo economico procedeva a livello elevato. Questi due fenomeni generarono diverse discussioni all’interno della nazione, discussioni sulla regolazione monetaria che ancora oggi sono vivi. Se è vero infatti che la fluttuazione dei tassi di cambio è generalmente considerata come pericolosa lo è anche che in questo periodo gli USA stessero vivendo un’enorme crescita economica che consolidò definitivamente la sua posizione come potenza economica mondiale.

L’effettiva rilevanza dell’oro nell’analisi finanziaria statunitense di questi anni è da considerarsi di fatto solo in relazione alle transazioni estere dato che la maggior parte delle potenze europee ancora mantenevano un gold standard. Per questo motivo molte banche americane istituirono degli speciali depositi pagabili in oro i quali avevano un valore che pur espresso in dollari aveva un significato ben diverso da come veniva utilizzato per i greenbacks. Esso esprimeva la quantità in dollari legata all’oro prima della guerra civile, ossia prima che i due si distaccassero, e rimasero così fino al 1879. 

Il ritorno al Gold Standard nel 1879 

Dopo i turbolenti anni della guerra, era volontà del governo dare più stabilità al proprio sistema monetario e venne così presa la decisione di aderire nuovamente al Gold Standard. Ciò avveniva in un periodo in cui la maggior parte dei suoi partner commerciali si regolava anch’essa al gold standard, provocando all’inizio un invertimento nel ruolo della quantità di moneta. La ripresa dei pagamenti in numerario alla parità prebellica comportò delle implicazioni per la quantità di moneta, dai cambiamenti che il sistema economico non era in grado di far capitare da sé, occorreva infatti un’azione politica mirata. Durante il periodo dei tassi flessibili la quantità di moneta era una variabile indipendente influenzata soltanto, come abbiamo visto dalle attività di tesoro e banche, da fattori interni. Ma ora questa quantità doveva rispondere ad altri che non fossero statunitensi, ad altri Paesi i quali non cosideravano minimamente il valore dei greenbacks. 

La ripresa del gold standard ebbe importanti implicazioni per lo sviluppo del Paese: mentre da una parte essa diede effettivamente più stabilità al dollaro, la sua rigidità rappresentò spesso un fattore limitante nell’evoluzione economica americana.

L’AFFERMAZIONE DEGLI STATI UNITI COME SUPERPOTENZA: Le basi finanziarie e ideologiche finora stabilite

All’inizio del XX secolo, gli Stati Uniti si trovavano ad affrontare una fase di trasformazione senza precedenti, caratterizzata da un forte impatto sulla scena internazionale e da un’enorme crescita economica e sociale. Nonostante fosse ancora prematuro parlare di una superpotenza, il Paese aveva già attraversato una serie di eventi fondamentali e uno sviluppo di una rapidità senza precedenti.

Dopo il 2 dicembre 1823, quando il presidente James Monroe si presentò davanti al Congresso  per tenere uno dei discorsi che più influenzerà la visione americana degli affari esteri quasi per i seguenti cento anni, la visione americana delle relazioni estere si presentava pronta a vivere per il resto della sua storia un’alternarsi di approcci che ha del paradossale. Esprimendo l’idea della supremazia degli Stati Uniti all’interno del continente americano Monroe affermava che da quel momento non sarebbero state più accettate intromissioni da parte dell’Europa né per quanto riguardava gli affari statunitensi e nemmeno per quanto riguardava i processi di indipendenza dell’America Latina. Si esprimeva la volontà di separare le due sfere di influenza ognuna strettamente al proprio continente, il che permise agli Stati Uniti di crescere e prosperare sia economicamente che socialmente fino a che come vedremo, la dottrina isolazionista non fu più un’opzione. 

Al di là dell’influenza internazionale però il livello di sviluppo americano era arrivato al pari delle altre potenze europee, grazie allo sviluppo del sistema industriale, ferroviario, agrario e a sostegno di ciò da parte del sistema monetario e bancario. Come abbiamo visto ogni importante modifica a questi sistemi si verificò in periodi di estrema crisi, durante o alla fine di una guerra, oppure come sostegno alla crescente e diversificata economia industriale. I vari sistemi che si susseguirono nella gestione della valuta sul territorio statunitense anche se estremamente diversi tra loro hanno ognuno in qualche modo contribuito a modellare l’attuale sistema monetario americano, che fosse nella creazione di una struttura concreta, nella mentalità degli imprenditori e dei cittadini o nell’approccio del governo alla sua gestione. 

Con l’avvento del nuovo secolo, gli Stati Uniti si preparavano ad affrontare una fase di prosperità senza precedenti, ma anche periodi di sfide e oscurità. La loro ascesa come la più influente potenza occidentale negli affari esteri sarebbe stata possibile grazie a una solida base, sia materiale che ideologica, costruita negli anni precedenti. In questo contesto, il dollaro avrebbe assunto un ruolo centrale, costituendo un elemento essenziale per sostenere l’intero sistema.

RIFERIMENTI:

Il Dollaro, Storia Monetaria degli Stati Uniti; M. Friedman- A. Jacobson Schwartz, pg. 15-65

Storia della Guerra Civile Americana, R. Luraghi, pg. 5-41

A World Safe for Commerce. Dale C. Copeland

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https://www.let.rug.nl/usa/documents/1826-1850/
https://www.politico.com/story/2014/02/this-day-in-politics-legal-tender-act-passed-feb-25-1862-103857
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