di Giulio Chinappi
Le elezioni legislative in Corea del Sud hanno rappresentato una sonora bocciatura per il governo del presidente conservatore Yoon Suk-yeol, che con le sue politiche belliciste e di asservimento agli Stati Uniti ha portato ad un riacutizzarsi delle tensioni nella penisola coreana.
Nelle recenti elezioni legislative tenutesi nella Repubblica di Corea (Corea del Sud) lo scorso 10 aprile 2024, il Paese asiatico si recava alle urne per rinnovare la composizione dei 300 seggi dell’Assemblea Nazionale di Seoul, ma soprattutto per dare un giudizio sui primi due anni della presidenza conservatrice di Yoon Suk-yeol, eletto alla leadership del Paese nel 2022. Leader del Partito del Potere Popolare, Yoon sperava di conquistare la maggioranza dei seggi nell’organo legislativo, ma le elezioni si sono concluse con l’opposizione sudcoreana del Partito Democratico di Corea, noto anche come Partito Minju, che ha confermato il proprio primato all’interno dell’Assemblea Nazionale.
Secondo molti analisti, similmente a quanto accade con le elezioni di mid-term negli Stati Uniti, queste elezioni rappresentavano non solo un test politico cruciale per il presidente conservatore, ma anche un’importante valutazione a metà mandato della sua amministrazione. In effetti, Yoon era reduce da mesi di bassi tassi di approvazione secondo numerosi sondaggi, costretto a confrontarsi con un’opposizione decisa e fortemente critica nei confronti del suo operato, sia in politica interna che in politica estera. Per questo, il risultato di queste elezioni è stato ampiamente interpretato come un referendum sul governo in carica.
Dopo una campagna elettorale accesa e un’affluenza record alle urne, con il 66,99% degli aventi diritto che ha partecipato al voto, il Partito Democratico è emerso come vincitore, ottenendo una solida maggioranza dei seggi nell’Assemblea Nazionale. La principale forza di opposizione ha infatti conservato 176 scranni nell’emiciclo di Seoul, mentre la formazione di governo, pur aumentando la propria rappresentanza di due deputati, resta ben lontana, ferma a quota 108. Questo risultato assume dunque un importante significato nel panorama politico sudcoreano, visto che, anche per i prossimi due anni, il governo di Yoon dovrà continuare a lavorare con un parlamento controllato dall’opposizione.
Uno dei fattori chiave in gioco in queste elezioni è stato il crescente malcontento pubblico riguardo ai problemi economici, tra cui l’aumento dei prezzi alimentari e il costo della vita. Il presidente Yoon e il suo partito hanno lottato per affrontare efficacemente queste sfide, e il loro fallimento nel farlo ha contribuito alla perdita di fiducia da parte degli elettori. Inoltre, lo scandalo della corruzione ha continuato a tormentare entrambi i principali partiti politici, con accuse che vanno dalla ricezione di regali illegali alla cattiva gestione degli affari pubblici.
Le conseguenze di queste elezioni, poi, sono significative non solo per la politica interna della Corea del Sud, ma anche per le sue relazioni estere. Con un parlamento controllato dall’opposizione, il presidente Yoon potrebbe incontrare maggiori ostacoli nel perseguire la sua agenda politica e potrebbe essere costretto a fare concessioni nei negoziati con altre nazioni. In particolare, l’opposizione critica fortemente la politica bellicista impostata dal governo conservatore, che ha intensificato la cooperazione militare con Stati Uniti e Giappone, interrompendo invece il canale di comunicazione con la Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord) precedentemente riaperto dal presidente Moon Jae-in, del Partito Democratico, che nel corso del suo mandato (2017-2022) aveva persino incontrato il leader nordcoreano Kim Jong Un ed aveva espresso il proprio sostegno al progetto di riunificazione tra le due metà della penisola.
In teoria, il governo sudcoreano controlla la politica estera, e dunque il presidente Yoon non dovrebbe avere troppi problemi ad imporre la sua linea, anche contro il parere del parlamento. Tuttavia, sebbene l’Assemblea Nazionale non abbia un impatto diretto sulle questioni relative alla sicurezza regionale e alle relazioni estere, il deludente risultato delle elezioni legislative dovrebbe quanto meno invitarlo a ripensare le relazioni intraprese dal suo governo nei confronti di Paesi come il Giappone, gli Stati Uniti, la Corea del Nord e la Cina.
Negli ultimi due anni, come detto, la Corea del Sud ha intensificato la collaborazione militare con Stati Uniti e Giappone, dando vita ad esercitazioni militari congiunte con i soldati nordamericani non distante dal confine con la Corea Popolare, tutti atti considerati come provocatori da parte del governo di Pyongyang. Sebbene la stampa occidentale sottolinei unicamente i lanci ed i test effettuati dalla Corea del Nord, in realtà entrambe le parti della penisola stanno intensificando le proprie attività militari, un circolo vizioso iniziato proprio dalla vittoria di Yoon alle elezioni presidenziali sudcoreane nel 2022. Allo stesso tempo, coloro che condannano i test nucleari nordcoreani dimenticano la presenza dell’arsenale nucleare statunitense sul territorio della Repubblica di Corea, facendo ancora una volta prova di malafede.
Di recente, ad esempio, la Corea del Sud ha lanciato con successo il suo secondo satellite spia militare, su un razzo SpaceX Falcon 9 dal John F. Kennedy Space Center in Florida, beneficiando dunque del pieno appoggio degli Stati Uniti. Nelle dichiarazioni ufficiali provenienti da Seoul, si legge che le sue “capacità di intelligence, sorveglianza e ricognizione indipendenti sono state ulteriormente rafforzate“. Inoltre, la Corea del Sud prevede di lanciare un totale di cinque satelliti spia militari entro il 2025, forzando di fatto anche la Corea del Nord a partecipare a questa corsa per espandere le sue capacità di sorveglianza.
Ricordiamo, a tal proposito, che Pyongyang ha lanciato il suo primo satellite spia, denominato Malligyong-1, lo scorso novembre, senza tuttavia beneficiare dell’assistenza di una superpotenza della tecnologia come gli Stati Uniti. Il 31 marzo, Pak Kyong Su, il vice direttore generale dell’Amministrazione nazionale della tecnologia aerospaziale della Corea del Nord, ha detto che il paese prevedeva di lanciare diversi altri satelliti di ricognizione quest’anno. Lo stesso leader Kim Jong Un ha precedentemente dichiarato di avere l’obiettivo di mettere in orbita altri tre satelliti spia militari nello spazio nel 2024.
Alla luce di queste considerazioni e della politica estera impostata dall’attuale governo sudcoreano, appare chiaro anche il significato delle recenti parole di Kim Jong Un, che ha parlato della necessità di prepararsi per una possibile guerra imminente: mentre la stampa occidentale ha letto queste parole come una minaccia da parte del leader nordcoreano, in realtà Kim Jong Un ha solo fornito un quadro dell’attuale situazione di alta tensione nella penisola coreana, di certo non causata da Pyongyang, ma dal governo di Seoul e dalle continue interferenze di Washington nella regione.
In conclusione, la vittoria dell’opposizione alle elezioni legislative sudcoreane deve essere letta come un chiaro segnale nei confronti del governo del presidente Yoon e del Partito del Potere Popolare, che fino ad ora non ha raggiunto i propri obiettivi in politica interna, mentre in politica estera continua a perseguire la via suicida del riarmo e dell’asservimento a Washington, con il serio rischio di portare ad un conflitto su vasta scala in Asia orientale.
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