L’interpretazione occidentale alla Belt and Road Initiative ha spesso riflettuto una prospettiva geopolitica, focalizzata sulla presunta strategia di espansione dell’influenza cinese. Questo sguardo, predominante soprattutto tra gli accademici statunitensi ed europei, ha trascurato talvolta gli impatti positivi che la BRI ha avuto nei Paesi coinvolti, privilegiando la dimensione geopolitica a discapito degli sviluppi economici e infrastrutturali.
“Quando il vento del cambiamento soffia, alcuni costruiscono muri, altri costruiscono mulini a vento.”
(Proverbio cinese)
La Belt and Road Initiative sotto la lente occidentale
L’interpretazione occidentale alla Belt and Road Initiative ha spesso riflettuto una prospettiva geopolitica, focalizzata sulla presunta strategia di espansione dell’influenza cinese. Questo sguardo, predominante soprattutto tra gli accademici statunitensi ed europei, ha trascurato talvolta gli impatti positivi che la BRI ha avuto nei Paesi coinvolti, privilegiando la dimensione geopolitica a discapito degli sviluppi economici e infrastrutturali.
Al contrario, una visione più ampia sottolinea la BRI come un’opportunità di cooperazione transnazionale, affrontando le sfide globali attraverso obiettivi condivisi di sviluppo e superando barriere politiche, culturali e ideologiche. Questa prospettiva unica è un elemento distintivo dell’iniziativa, che si distingue per il rispetto della sovranità e della dignità dei Paesi partecipanti, contribuendo in tal modo al panorama delle relazioni internazionali e della governance globale.
La Belt and Road Initiative, giunta al suo decennale nel 2023, si configura come una piattaforma trasformativa nella cooperazione internazionale e dunque, mentre l’attenzione occidentale si è spesso concentrata sulla sua presunta espansione geopolitica, è essenziale invece riconoscerne il ruolo determinante nello sviluppo economico e nell’espansione infrastrutturale. Un esempio tangibile è rappresentato dal Corridoio Economico Cina-Pakistan[1], che evidenzia come l’iniziativa non solo approfondisca la cooperazione economica ma rafforzi anche legami culturali e migliori settori chiave come l’energia e i trasporti.
La prospettiva cinese relativa al concetto di “prosperità comune[2]” si discosta dal prevalente paradigma di giochi a somma zero adottato da alcune potenze occidentali. La BRI, infatti, si caratterizza per un approccio orientato al lungo termine nel perseguire gli obiettivi di sviluppo, mediante il sostegno finanziario e la promozione di progetti incentrati sulla realizzazione di infrastrutture su vasta scala, anziché attraverso la semplice erogazione di “aiuti” temporanei. Tale strategia si propone di affrontare in maniera sistematica la questione della povertà, contribuendo al contempo a stimolare la crescita economica.
La rilevanza della Belt and Road Initiative nell’ambito della cooperazione internazionale emerge chiaramente dall’accento posto su connettività, sinergia e opportunità. La sua influenza positiva si concretizza attraverso il successo di diversi progetti infrastrutturali attuati in Europa centrale ed orientale, evidenziando in modo tangibile come gli investimenti cinesi abbiano contribuito in maniera sostanziale a colmare il divario infrastrutturale preesistente, oltre a fungere da motore propulsivo per la crescita economica a lungo termine in tali regioni. La BRI, inoltre, non si limita soltanto a rispondere alle esigenze di finanziamento e infrastruttura dei Paesi coinvolti, ma si impegna anche per consentire loro di sfruttarne appieno le potenzialità. In un contesto di crescita accelerata della Cina e turbolenze globali, la BRI si configura come una forza propulsiva per lo sviluppo economico globale ed offre una lente appropriata per comprendere l’approccio cinese allo sviluppo globale e ai suoi sforzi per costruire una comunità globale con un futuro condiviso[3]. La percezione occidentale della Belt and Road Initiative (BRI) risente dell’incidenza di un paradigma geopolitico radicato, il quale contribuisce a una visione distorta della medesima[4]. La concezione tradizionale dell’Occidente nei confronti dei Paesi coinvolti nella BRI si manifesta mediante l’assunto che tali nazioni siano attratte esclusivamente dalle risorse finanziarie cinesi. Tuttavia, il fondamento autentico di tale dinamica risiede nell’inquietudine dell’Occidente nei confronti degli intensificati legami tra Pechino e questi Paesi.
Parallelamente, l’Occidente accusa la potenza asiatica, sovente, di perseguire politiche in disaccordo con gli standard occidentali, quali il concetto di democrazia. Va notato che la nozione stessa di democrazia può assumere significati e prospettive divergenti in virtù di molteplici variabili, tra cui storia e tradizioni. Tuttavia, la prospettiva geopolitica occidentale, orientata su certi parametri concettuali, esercita un’influenza profonda sulla comprensione occidentale di attori quali la Cina e, di conseguenza, dei progetti ad essa attribuiti, come appunto la Belt and Road Initiative. Sarebbe importante che l’Occidente superasse la sua apprensione relativa a una presunta dipendenza finanziaria, focalizzandosi piuttosto sulla necessità imperativa di promuovere lo sviluppo infrastrutturale e la collaborazione internazionale. Nonostante le critiche rivoltele, la BRI continua a guidare lo sviluppo globale, intervenendo in modo efficace nella riduzione dei divari infrastrutturali e nel potenziamento delle reti di connessione e degli scambi commerciali.
La principale ragione che spinge i Paesi lungo la Belt and Road Initiative a rivolgersi alla Cina è la loro innegabile necessità di supporto per il proprio sviluppo, e la Cina, a sua volta, accoglie con soddisfazione l’opportunità di condividere i frutti del progresso con i suoi partner[5]. Le imprese cinesi, intrinsecamente, mirano anche a individuare nuovi mercati attraverso l’espansione globale. Questo approccio si discosta fondamentalmente dalle pratiche dei colonizzatori occidentali del passato. Infatti, mentre la storia ha testimoniato l’influenza degli imperialisti occidentali che cercavano di espandere il proprio dominio attraverso l’assoggettamento di territori con il loro approccio egemonico e l’exploit delle risorse, la BRI si presenta come un’alternativa che enfatizza la cooperazione e la reciprocità. La cooperazione della Cina con i Paesi lungo la BRI, la cui partecipazione è su base consensuale, è solidamente fondata sul principio di reciprocità e orientata al mercato, con un’attenzione particolare alla reciproca convenienza economica.
Un approccio centrato sullo sviluppo facilita la comprensione dell’importanza del sostegno fornito dalla Cina per la crescita delle infrastrutture nei Paesi partecipanti alla BRI. Il progresso di qualsiasi nazione, comprese quelle occidentali, è contingentato dalla creazione di solide fondamenta costituite da reti stradali efficienti, centrali elettriche funzionali e opere idrauliche adeguate. L’assenza di tali infrastrutture di base compromette irrimediabilmente qualsiasi tentativo di sviluppo. La rilevanza di tale dinamica non si limita esclusivamente all’entità finanziaria necessaria per l’implementazione di tali progetti; essa abbraccia altresì la metodologia di realizzazione, la tempistica coinvolta e la tempestività con cui tali iniziative possono apportare benefici tangibili alle comunità coinvolte.
La vera questione non risiede tanto nell’analisi della BRI quale parte di una strategia geopolitica cinese, quanto piuttosto nella valutazione dell’effettiva capacità dell’iniziativa di stimolare e sostenere lo sviluppo dei Paesi coinvolti. In un contesto di globalizzazione, la crescita economica di una nazione richiede ineluttabilmente collaborazioni e cooperazioni internazionali, oltre a significativi investimenti infrastrutturali. Tuttavia, è fondamentale considerare che dove la BRI fa sentire la propria presenza, spesso vi sono situazioni instabili e problematiche, e questo può influire sul risultato complessivo.
Dunque, è importante andare oltre il timore ricorrente nell’opinione pubblica occidentale che i Paesi partecipanti alla BRI si uniscano al progetto unicamente per accaparrarsi fondi dalla Cina. In realtà, le motivazioni vanno ricercate nel crescente disagio dell’Occidente di fronte al consolidamento dei legami tra Pechino e i Paesi partner. Spesso, le politiche adottate da questi ultimi che non rispecchiano gli standard occidentali, vengono erroneamente attribuite all’influenza cinese. Pertanto, un’analisi equilibrata della situazione deve tener conto sia delle dinamiche economiche che delle complessità geopolitiche, oltre a considerare gli impatti sociali e politici nei Paesi coinvolti.
Due strategie al confronto: la cooperazione win-win vs il gioco a somma zero
Nell’ambito delle dinamiche globali, emergono chiaramente due approcci divergenti nell’arena della cooperazione internazionale: da un lato, la filosofia della win-win cooperation contrapposta al cosiddetto “gioco a somma zero”. Questo paragone rivela non solo differenze di metodo, ma anche divergenze sostanziali nella visione e nell’approccio a lungo termine verso la cooperazione internazionale e lo sviluppo economico.
La Belt and Road Initiative cinese rappresenta una pietra miliare nella cooperazione internazionale basata sul concetto di cooperazione win-win. Questa filosofia implica che il successo di un partner non sia a scapito del fallimento dell’altro, ma piuttosto che entrambi possano trarre benefici reciproci dalla collaborazione. La BRI si fonda infatti su principi di rispetto reciproco, uguaglianza e beneficio condiviso, contrastando nettamente con il tradizionale approccio a somma zero, il quale prevede una competizione continua con l’inevitabile risultato di un vincitore e un vinto.
Come ha dichiarato Giancarlo Elia Valori, esperto italiano di affari internazionali e professore onorario all’Università di Pechino, al “Global Times”: “Il fatto che alcuni definiscono la Belt and Road Initiative un gioco a somma zero è un puro esercizio di ipocrisia e malafede. Nessuno può permettersi il gioco a somma zero, che è un gioco tipicamente liberal-capitalista in cui si vince-si perde, in contrapposizione a quello vantaggioso per tutti sostenuto dalla Cina. È quindi necessario garantire che la concorrenza tra i Paesi rimanga sulla strada giusta. La concorrenza deve essere solo leale e basata su regole e leggi. Questa via è la regola fondamentale delle relazioni internazionali, secondo la Carta delle Nazioni Unite come punto di riferimento[6]”.
Utilizzare un approccio win-win significa anche abbracciare un orizzonte temporale più ampio, mirando ad una crescita sostenibile e duratura anziché incentrarsi su interessi di breve termine al fine di ottenere vantaggi competitivi. Quest’ultimo modello porterebbe soltanto a risultati limitati e, in alcuni casi, ad accentuare le disparità globali invece di ridurle e, al tempo stesso, ostacolando la condivisione di conoscenze, risorse e benefici, creando tensioni tra gli attori coinvolti e bloccando lo sviluppo armonico. In tal senso, la Cina sostiene che solo attraverso la cooperazione e la condivisione delle opportunità, anziché la competizione diretta, si possa costruire una comunità globale più armoniosa. Optare per una cooperazione vantaggiosa per tutti significa abbandonare la mentalità del “vincitore prende tutto” e condividere i risultati ottenuti in termini di sviluppo. “Anche se dovessimo allargare la torta dell’economia globale, è ancora più importante dividerla bene, in modo che i risultati ottenuti in termini di sviluppo possano andare a beneficio delle persone di tutti i Paesi in modo più equo e portare ad una vera cooperazione e a risultati vantaggiosi per tutti[7]”.
In questo scenario, emergono notevoli punti di convergenza tra l’approccio della Cina nell’ambito della Belt and Road Initiative e la Nuova Economia Strutturale di Lin Yifu[8], un rinomato economista cinese specializzato nello sviluppo economico. La prospettiva di Lin fornisce una lente analitica illuminante per comprendere l’approccio cinese alla BRI. La Nuova Economia Strutturale propone una visione unica sulla via dello sviluppo economico, ponendo l’accento sul ruolo cruciale della struttura economica di una nazione nel plasmare la sua traiettoria di crescita. Al nucleo di questa teoria è l’idea di identificare e sfruttare il vantaggio comparativo di un Paese, orientando così i decisori politici verso un approccio strategico all’industrializzazione focalizzato sull’esportazione. Un’analisi critica della BRI alla luce della Nuova Economia Strutturale di Lin rivela profonde connessioni. Lin promuove l’adozione di strategie cooperative e la creazione di sinergie, sostenendo che per promuovere uno sviluppo sostenibile sia essenziale superare il tradizionale modello di crescita economica basato su vantaggi competitivi a breve termine. Egli enfatizza che l’accento sulla cooperazione è fondamentale per garantire uno sviluppo sostenibile al di là delle restrizioni del semplice confronto competitivo. Nel contesto della BRI, gli assunti fondamentali di questa nuova teoria economica di Lin sembrano riflettersi nella visione cinese di promuovere uno sviluppo che trascenda le barriere della competizione classica. La BRI, con la sua enfasi sulla cooperazione internazionale e sulla realizzazione di infrastrutture su vasta scala, sembra abbracciare l’approccio di Lin, cercando attivamente di favorire sinergie che conducano a una crescita economica e ad una stabilità a lungo termine. La cooperazione internazionale intrinseca alla BRI si allinea con la prospettiva di Lin, che sostiene che l’interdipendenza e la collaborazione sono fondamentali per un progresso economico duraturo. L’approccio win-win della Cina nel contesto della BRI, mirante a benefici reciprocamente vantaggiosi per tutte le parti coinvolte, rispecchia un superamento delle logiche di gioco a somma zero in favore di una cooperazione sinergica orientata al lungo termine, punto chiave della filosofia della teoria di Yifu.
Come ha spiegato il Professor Valori, in un mondo interconnesso qual è quello di oggi, la Cina crede che perseguire un “gioco a somma zero” non sia nell’interesse della comunità internazionale. Pechino è da sempre impegnato in modo deciso nell’apertura e nella cooperazione, e la Belt and Road Initiative ne costituisce la chiave che apre un cammino equo per beneficiare tutte le parti coinvolte. Il sistema win-win non è solo una risposta alla strategia della competizione, ma intende fornire un modello per il futuro su come dovrebbero procedere insieme le superpotenze economiche e finanziarie[9].
Le alternative occidentali alla Belt and Road Initiative cinese
Negli ultimi anni si è assistito ad una trasformazione delle relazioni geopolitiche tra Cina e Occidente, con una crescente percezione di competizione sistemica emersa in particolare a livello europeo. Già nel 2019 la Commissione Europea aveva indicato come la Cina fosse non solo un partner economico ma anche un potenziale rivale sistemico[10], in virtù del suo ruolo di seconda economia mondiale. Questo cambio di prospettiva ha segnato l’inizio di una fase di riesame critico dei rapporti bilaterali sino-occidentali. L’Occidente ha iniziato a valutare con maggiore cautela iniziative cinesi come la BRI, alla luce anche di preoccupazioni legate alla sicurezza strategica e alla diversificazione dei partner commerciali e infrastrutturali. In questo contesto mutevole, Stati Uniti ed Unione Europea hanno avviato proprie proposte volte ad offrire nuove alternative alla BRI, come ad esempio il Build Back Better World statunitense e il Global Gateway europeo. Queste iniziative mirano a promuovere modelli di cooperazione infrastrutturale più sostenibili e trasparenti, in grado di rispondere alle esigenze specifiche dei vari Paesi coinvolti. Il fatto che l’Occidente stia spingendo per trovare alternative alla BRI denota l’importanza crescente di quest’ultima che rappresenta sempre più una sfida agli occhi dell’Occidente.
Tuttavia, sebbene gli sforzi compiuti rappresentino un tentativo concreto di bilanciare il crescente ruolo cinese, le proposte occidentali finora non hanno raggiunto lo stesso grado di successo della BRI. Permangono infatti criticità legate alla limitata capacità di mobilitare risorse finanziarie comparabili, nonché ad una visione più regionale che globale.
In questa delicata fase di transizione, un approccio equilibrato appare necessario per trasformare le dinamiche competitive in opportunità di dialogo costruttivo. La cooperazione internazionale risulta infatti imprescindibile per affrontare sfide globali comuni quali la transizione energetica. Una profonda riflessione congiunta sul futuro del multilateralismo potrebbe guidare i diversi attori verso una maggiore integrazione dei reciproci interessi strategici.
Nell’attuale contesto caratterizzato da un crescente scetticismo nei confronti della BRI, e la conseguente riflessione approfondita nell’Occidente sulla necessità di sviluppare alternative, il progetto Build Back Better (B3B)[11] è inizialmente emerso come una risposta occidentale ambiziosa alla Belt and Road Initiative. Tale iniziativa, lanciata il 12 giugno 2021 al G7 tenutosi a Carbis Bay, è stata presentata come un progetto mirante allo sviluppo delle infrastrutture dei Paesi a basso e medio reddito. Sebbene si tratti di un progetto lanciato dai Paesi del G7, in realtà, tale iniziativa è perlopiù di stampo americano, attraverso il quale l’Amministrazione Biden cerca di riacquistare un ruolo centrale nei progetti infrastrutturali e di tener testa alla controparte cinese. Per poter far ciò, Biden, sin da subito, ha cercato di lavorare su ciò che considera i punti deboli di Pechino per tentare una mossa vincente in questo scacchiere internazionale. Come prima cosa, infatti, l’Amministrazione nordamericana ha sottolineato l’enfasi che tale progetto intende avere sulla transizione energetica. Se infatti, una delle critiche occidentali alla BRI sta nel suo impatto sull’ambiente, la Build Back Better si configura come un piano multilaterale volto a promuovere la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale e la resilienza economica. Attraverso investimenti in infrastrutture, innovazione tecnologica e lotta ai cambiamenti climatici, l’obiettivo è quello di delineare una nuova era di cooperazione internazionale, basata su “sostenibilità, valori e trasparenza[12]”.
Secondo quanto previsto durante il lancio di questa iniziativa, il progetto dovrebbe finanziare progetti infrastrutturali nei Paesi a basso e medio reddito per un valore di 40mila miliardi di dollari entro il 2035[13]. E’ al momento forse prematuro fare pronostici sul futuro di tale progetto ma c’è chi dubita del successo di questo tentativo. Secondo alcuni autori, già dai primi anni, la B3B ha dovuto affrontare delle difficoltà, come ad esempio il conflitto in Ucraina che ha tenuto impegnato l’Occidente aggravando soprattutto la sua economia[14]. Altri dubbi che lecitamente emergono riguardano, ad esempio, il diverso sistema su cui le due iniziative si fondano: se da un lato, il Partito Comunista Cinese può gestire e coordinare le risorse direttamente, l’Amministrazione statunitense deve negoziare con il Congresso e le aziende private. Inoltre, questo progetto è stato lanciato, come già detto, dall’Amministrazione guidata da Joe Biden. Cosa succederebbe se le prossime elezioni venissero vinte da Donald Trump? Infine, possono tutti i Paesi in via di sviluppo beneficiare di questi aiuti e quindi anche i Paesi non democratici e quelli più vicini a Pechino?[15]
In ogni caso, il B3B non è il primo tentativo statunitense di contenere la potenza asiatica nel settore delle infrastrutture. Secondo uno studio[16], la B3W si origina da due precedenti iniziative del Governo nordamericano, il cosiddetto United States Innovation and Competition Act (USICA)[17] del 2021 e l’iniziativa Blue Dot Network (BDN)[18], del 2019. L’USICA aveva l’intento di contrapporsi all’influenza cinese attraverso un’espansione del ruolo del Governo federale, con l’allocazione di fondi pubblici per sostenere la tecnologia statunitense, potenziare gli investimenti pubblici, facilitare gli scambi commerciali e i prestiti all’estero, concentrandosi in particolare su America Latina, Caraibi, Taiwan, Africa e Asia sud-orientale, e limitare la presenza di beni e servizi cinesi. Dall’altra parte, il Blue Dot Network, un’iniziativa di collaborazione guidata dalla International Development Finance Corporation (DFC) degli Stati Uniti, dalla Banca giapponese per la cooperazione internazionale e dal Dipartimento australiano degli affari esteri e del commercio. La sua finalità principale consiste nell’effettuare valutazioni e convalidare “l’integrità finanziaria, la sostenibilità ambientale e l’impatto economico dei progetti di sviluppo infrastrutturale, con l’obiettivo di stimolare gli investimenti di capitale privato in Paesi stranieri”. Nonostante tale prospettiva, è possibile però interpretare il Blue Dot Network come un tentativo da parte dell’Amministrazione Biden di minare il progresso tecnologico e l’influenza internazionale della Cina. Va inoltre notato che il BDN è stato successivamente integrato all’interno della più ampia iniziativa B3W.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, Bruxelles ha anch’esso lanciato un suo progetto: il Global Gateway, presentato, all’interno del quadro finanziario pluriennale dell’UE 2021-2027[19], come parte di una nuova strategia europea il cui obiettivo è di “promuovere connessioni intelligenti, pulite e sicure nei settori digitale, energetico e dei trasporti e per rafforzare i sistemi sanitari, di istruzione e di ricerca in tutto il mondo[20]”. Tale strategia prevede lo stanziamento, entro il 2027, di 300 miliardi di euro, per investimenti in progetti in linea con l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e con il Protocollo di Parigi. A differenza degli Stati Uniti, l’approccio di Bruxelles sembrerebbe più conciliante nei confronti del partner asiatico in quanto non intende sostituirsi del tutto alla BRI, bensì creare un’alternativa per i Paesi del Sud, collaborando magari anche con Pechino per il raggiungimento di un fine comune, sebbene non tutti nei circoli di Bruxelles sarebbero a favore di questo approccio[21].
Più recentemente, il G7 e gli Stati Uniti si sono riuniti per rivalutare e confermare il loro impegno in questa corsa alla competizione nel settore delle infrastrutture. Ad un anno dalla presentazione della B3B, infatti, al 48° vertice del G7 tenutosi dal 26 al 28 giugno 2022 nelle Alpi Bavaresi in Germania, le ricche democrazie del G7 hanno riaffermato la necessità di tale progetto lanciando però un nuovo programma di investimenti: un piano per mobilitare 600 miliardi di dollari (di cui 200 miliardi da parte degli Stati Uniti) di investimenti pubblici e privati in infrastrutture nei Paesi a basso e medio reddito da stanziare nei prossimi cinque anni[22]. La nuova collaborazione, meglio nota come Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), rappresenta un punto chiave in tale contesto, sebbene non manchino dei dubbi. Nonostante la mancanza di chiarezza sulla governance di questa partnership, sembra che l’attuazione pratica coinvolga l’intero Governo degli Stati Uniti. Questo coinvolgimento è reso possibile attraverso un complesso meccanismo di coordinamento che abbraccia grandi agenzie governative, istituzioni finanziarie indipendenti e un monitoraggio costante dei progressi compiuti. Le aree di interesse comprendono il cambiamento climatico, l’energia, la resilienza della catena di approvvigionamento, le infrastrutture digitali, i sistemi sanitari sostenibili e l’uguaglianza di genere. Il G7, insieme ai suoi alleati con posizioni affini, si impegna a fornire infrastrutture di alta qualità che rispettino gli standard e i principi internazionali riguardanti la trasparenza, il buon governo, le misure anticorruzione, il lavoro, l’ambiente e il clima. Nella sottolineatura dell’importanza di attuare tali standard e principi, il G7 si dedica a sostenere i Paesi partner nello sviluppo delle capacità, nel monitoraggio e nell’assicurare l’osservanza degli stessi.[23].
Durante il vertice del G7 a Hiroshima nel 2023, il Primo Ministro del Giappone, insieme al Presidente degli Stati Uniti d’America e alla Presidente della Commissione Europea, ha presieduto un evento parallelo dedicato alla PGII. Tale iniziativa ha visto la partecipazione dei leader del G7 (Canada, Germania, Italia), dei rappresentanti dei Paesi invitati al summit del G7 (Indonesia, Comore, Isole Cook, Vietnam, Repubblica di Corea, India e Australia), nonché di esponenti del settore privato e del Presidente della Banca Mondiale[24]. Questo incontro ha fornito un contesto per mobilitare il capitale privato nei Paesi partner e ha sottolineato l’impegno del G7 a lavorare in sinergia con i governi delle nazioni coinvolte. L’utilizzo delle funzioni delle banche multilaterali di sviluppo (MDB) e delle istituzioni finanziarie per lo sviluppo (DFI) è stato enfatizzato come strategia per mitigare i rischi e creare un ambiente favorevole agli investimenti privati. Per concretizzare la PGII, il G7 ha annunciato l’intenzione di coordinare le proprie azioni attraverso gruppi di lavoro dedicati, concentrandosi su partenariati guidati dai Paesi, investimenti in infrastrutture sostenibili e collaborazioni con il settore privato, organizzazioni internazionali e Paesi partner. Inoltre, il G7 ha dichiarato l’impegno a fornire una guida strategica per gli investimenti, coinvolgendo alti funzionari governativi e, ove opportuno, investitori privati. Questo approccio olistico evidenzia il forte impegno del G7 a promuovere investimenti pubblici e privati in infrastrutture sostenibili, inclusive, resilienti e di alta qualità su scala globale[25].
La più recente alternativa alla BRI, e forse la più ambiziosa, arriva però dall’Asia, mostrando ancora una volta il potenziale del continente asiatico a trasformare il commercio internazionale. Il progetto in questione arriva dall’India ed è stato annunciato dal Presidente Modi al recente G20 tenutosi a settembre a New Delhi. L’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC)[26] è un progetto che mira a sviluppare collegamenti infrastrutturali integrati, in particolare ferroviari, tra l’India, il Medio Oriente e l’Europa attraverso la Penisola Arabica. Un progetto che potrebbe diversificare le rotte commerciali tra Asia ed Europa bypassando il Canale di Suez.
L’IMEC vede la partecipazione di partner chiave come UE, Francia, Germania, India, Italia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, i quali hanno firmato un Memorandum of Understanding durante il G20[27]. L’obiettivo è di sviluppare due corridoi principali: un primo che colleghi l’Europa al Golfo Persico, un secondo che congiunga quest’ultimo all’India. Sono inoltre previsti anche dei collegamenti ferroviari, cavi elettrici e digitali, oltre a gasdotti per l’idrogeno. Interessante notare che Israele e Giordania, pur essendo toccati dai corridoi, non hanno firmato l’accordo IMEC, segnalando potenziali complicazioni politiche e tensioni regionali, soprattutto in considerazione dell’attuale situazione a Gaza.
L’IMEC, al di là delle ambiziose prospettive, solleva alcune incertezze riguardo alla sua implementazione. In primo luogo, molti dei collegamenti infrastrutturali promossi dall’IMEC sono di fatto progetti già esistenti ma in forte ritardo (tra cui l’annunciato Tracks for Regional Peace in Israele nel 2017 e il Gulf Cooperation Council (GCC) Railway del 2009). In secondo luogo, non è ancora chiaro come verranno finanziati gli investimenti necessari a tali infrastrutture. Le nazioni coinvolte non lo hanno ancora delineato in modo dettagliato, sollevando dubbi sulla sostenibilità economica del progetto. Inoltre, l’esclusione di alcuni Paesi geograficamente rilevanti, come Iraq, Oman e la Turchia, suscita interrogativi sulle dinamiche diplomatiche e le considerazioni strategiche che hanno guidato la formazione di questa partnership. Ad esempio, l’Oman avrebbe potuto fungere da punto di transito strategico per collegare l’IMEC all’Arabia Saudita, oltre che agli Emirati Arabi Uniti. Infine, l’India ha dimostrato in passato difficoltà nel portare a termine altri progetti di connettività regionale.
Ciò solleva domande fondamentali sulla capacità di Nuova Delhi di integrarsi in modo significativo nei framework di connettività e di fornire alternative credibili nei confronti dei suoi vicini dell’Asia meridionale, sei dei quali hanno aderito alla Belt and Road Initiative cinese[28].
Nonostante le sfide, l’IMEC rappresenta un primo importante passo dell’India per presentare un’alternativa infrastrutturale ed economica credibile alla Nuova Via della Seta cinese. Un’iniziativa che, se concretamente supportata, potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici in una delle aree più dinamiche del pianeta.
Dall’analisi sin qui condotta emerge chiaramente come il successo globale della BRI sia dovuto principalmente alla visione strategica a lungo termine della Cina e alla capacità di Pechino di mobilitare ingenti risorse finanziarie per realizzare collegamenti infrastrutturali di grande respiro. Al contrario, le proposte avanzate dall’Occidente appaiono ancora troppo generiche e carenti sul piano delle effettive disponibilità economiche. Sarà quindi fondamentale trovare innanzitutto nuove sinergie di finanziamento tra i vari partner e definire con chiarezza obiettivi, tempistiche e responsabilità per ciascun progetto.
In ogni circostanza, la sfida geo-economica tra modelli cooperativi rivali potrebbe generare una dinamica di arricchimento reciproco, agevolando la formazione di nuove partnership win-win fondate sul rispetto della sovranità nazionale. Solo mediante un dialogo costruttivo tra le principali potenze mondiali sarà possibile gestire le trasformazioni in atto a livello infrastrutturale e promuovere uno sviluppo autenticamente sostenibile e inclusivo.
NOTE AL TESTO
[1] Per maggiori informazioni: https://cpec.gov.pk/.
[2] Alexander Chipman Koty, How to Understand China’s Common Prosperity Policy, China Briefing, (2022), https://www.china-briefing.com/news/china-common-prosperity-what-does-it-mean-for-foreign-investors/ (ultimo accesso: 20/12/2023).
[3] https://www.cese-m.eu/cesem/2023/10/la-belt-and-road-initiative-un-pilastro-fondamentale-della-comunita-globale-dal-futuro-condiviso/ (ultimo accesso: 30/11/2023).
[4] Ding Gang, Old mind-set distorts West’s view of BRI, Global Times, (2020), https://www.globaltimes.cn/page/202001/1176140.shtml (ultimo accesso: 30/11/2023).
[5] ibidem
[6] Global Times, Western bad faith revealed viewing BRI through a zero-sum perspective: Italian scholar, Global Times, (2023), https://www.globaltimes.cn/page/202307/1294620.shtml (ultimo accesso: 04/12/2023).
[7] The State Council Information Office of the People’s Republic of China, A Global Community of Shared Future: China’s Proposals and Actions, Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Pechino, (2023), https://www.mfa.gov.cn/eng/zxxx_662805/202309/t20230926_11150122.html (ultimo accesso: 04/12/2023).
[8] Lin, Justin Yifu, New Structural Economics: A Framework for Rethinking Development, Policy Research Working Paper, No. 5197, Banca Mondiale, Washington DC, (2010), http://hdl.handle.net/10986/19919.
[9] Global Times, Western bad faith revealed viewing BRI through a zero-sum perspective: Italian scholar, Global Times, (2023), https://www.globaltimes.cn/page/202307/1294620.shtml (ultimo accesso: 04/12/2023).
[10] Commissione Europea, EU-China – A strategic outlook, Strasburgo, (2019), https://commission.europa.eu/system/files/2019-03/communication-eu-china-a-strategic-outlook.pdf
[11] White House, FACT SHEET: President Biden and G7 Leaders Launch Build Back Better World (B3W) Partnership, (2021), https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2021/06/12/fact-sheet-president-biden-and-g7-leaders-launch-build-back-better-world-b3w-partnership/ (ultimo accesso: 04/12/2023).
[12] https://new.thecradle.co/articles-id/1525 (ultimo accesso: 04/12/2023).
[13] https://www.kcl.ac.uk/events/build-back-better-world-b3w-and-the-belt-and-road-initiative-bri-prospects-and-limitations (ultimo accesso: 04/12/2023).
[14] https://new.thecradle.co/articles-id/1525.
[15] Pierfrancesco Mattiolo, Le alternative alla Belt and Road, China Files, num. 6, vol. 3, p. 26, (2023).
[16] Hina Aslam, Syed Shujaat Ahmed, Duaa-e-Zahra Shah, BRI vs B3W: Where does Pakistan Stand?, Sustainable Development Policy Institute, (2022), p. 4, https://sdpi.org/bri-vs-b3w-where-does-pakistan-stand-/publication_detail.
[17] US Congress, United States Innovation and Competition Act of 2021, (2022), https://www.congress.gov/bill/117th-congress/house-bill/4521 (ultimo accesso: 04/12/2023).
[18] Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, OECD and the Blue Dot Network, https://www.oecd.org/finance/oecd-and-the-blue-dot-network.htm (ultimo accesso: 04/12/2023).
[19] Commissione Europea, Strategia Global Gateway, https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/stronger-europe-world/global-gateway_it (ultimo accesso: 04/12/2023).
[20] Ibidem.
[21] Pierfrancesco Mattiolo, Le alternative alla Belt and Road, China Files, num. 6, vol. 3, p. 26, (2023).
[22] https://new.thecradle.co/articles-id/1525 (ultimo accesso: 04/12/2023).
[23] https://www.mofa.go.jp/files/100506918.pdf (ultimo accesso: 04/12/2023).
[24] Ministero degli Affari Esteri Giapponese, Side-event on the Partnership for Global Infrastructure and Investment at G7 Hiroshima Summit, (2023), https://www.mofa.go.jp/ic/dapc/page4e_001415.html (ultimo accesso: 04/12/2023).
[25] White House, FACT SHEET: Partnership for Global Infrastructure and Investment at the G7 Summit, (2023), https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2023/05/20/fact-sheet-partnership-for-global-infrastructure-and-investment-at-the-g7-summit/ (ultimo accesso: 04/12/2023).
[26] SD Pradhan, India-Middle East-Europe economic corridor: Comparison with the BRI, The Times of India, (2023), https://timesofindia.indiatimes.com/blogs/ChanakyaCode/india-middle-east-europe-economic-corridor-comparison-with-the-bri/ (ultimo accesso: 04/12/2023).
[27] White House, Memorandum of Understanding on the Principles of an India – Middle East – Europe Economic Corridor, (2023), https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2023/09/09/memorandum-of-understanding-on-the-principles-of-an-india-middle-east-europe-economic-corridor/ (ultimo accesso: 04/12/2023).
[28] Hasan Alhasan, Viraj Solanki, Obstacles to the India–Middle East–Europe Economic Corridor, International Institute for Strategic Studies, (2023), https://www.iiss.org/online-analysis/online-analysis/2023/11/obstacles-to-the-india-middle-east-europe-economic-corridor/ (ultimo accesso: 04/12/2023).
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