Gli imperialisti continuano a fallire nel tentativo di isolare l’Iran

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di Giulio Chinappi

Le recenti elezioni in Iran hanno rappresentato un’occasione per la nuova offensiva della propaganda occidentale contro la Repubblica Islamica. Le contraddizioni interne al Paese, tuttavia, non dovrebbero essere sfruttate per tentare di instaurare un regime vassallo di Washington.

FONTE ARTICOLO

Le elezioni legislative per il rinnovo dell’Assemblea Consultiva Islamica e quelle per l’Assemblea degli Esperti nella Repubblica Islamica dell’Iran hanno visto un’ampia vittoria dei candidati conservatori, in un momento in cui il Paese affronta importanti sfide politiche ed economiche, acuite dai continui attacchi da parte della propaganda occidentale, che anche in questo caso non ha mancato occasione per attaccare il Paese persiano. Il principale punto sul quale ha battuto la propaganda occidentale è il tasso di affluenza degli elettori intorno al 40% degli aventi diritto, il livello più basso dalla rivoluzione del 1979.

Il conteggio finale dei voti è in corso dopo che milioni di persone si sono recate alle urne venerdì 1 marzo per scegliere 290 parlamentari e 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, un organo incaricato di scegliere il leader supremo composto interamente da studiosi islamici. La composizione definitiva del parlamento sarà tuttavia determinata nel mese di maggio, quando avrà luogo il secondo turno, la cui data definitiva non è stata ancora pubblicata.

I risultati preliminari ufficiali provenienti da Teheran indicano che gli ultraconservatori Mahmoud Nabavian e Hamid Resaee hanno ottenuto i primi due posti tra i candidati più votati, seguiti dal 35enne presentatore televisivo Amir Hossein Sabeti, al suo primo mandato legislativo. Il capo del parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf, è arrivato quarto, e solo una manciata dei candidati a lui legati hanno ottenuto un seggio. Dal canto suo, il veterano parlamentare Mojtaba Zonnour ha conquistato un seggio nella sacra città sciita di Qom.

Mentre i conservatori hanno dominato il verdetto elettorale, solo pochi esponenti riformisti o moderati sono riusciti ad entrare in parlamento, come accaduto anche in occasione delle elezioni del 2020. Il veterano parlamentare Masoud Pezeshkian è stato uno dei pochi moderati che è riuscito ad ottenere un seggio a Tabriz. Al contrario, Ali Motahari, ex parlamentare conservatore e figlio del rinomato studioso Morteza Motahari, che nel frattempo si è spostato verso posizioni più moderate, ha fallito insieme alla maggior parte dei membri della sua lista nel tentativo di ottenere un seggio.

Per quanto riguarda l’Assemblea degli Esperti, il presidente Ebrahim Raisi ha rinnovato comodamente la sua presenza per la terza volta, assicurandosi più dell’82 percento dei voti nella provincia del Khorasan Meridionale, situata nell’area orientale della Repubblica Islamica. L’ultraconservatore Ahmad Khatami, attuale imam delle preghiere del venerdì a Teheran, ha nuovamente ottenuto un posto nell’assemblea dalla provincia di Kerman, mentre Mohammad Saeedi è il rappresentante di Qom. I media locali hanno riportato che con oltre 834.000 voti, Mohammad Ali Ale-Hashem, rappresentante del leader supremo a Tabriz, ha registrato il numero più alto di voti mai ottenuto da un vincitore dell’assemblea, emergendo vittorioso nella provincia dell’Azerbaigian Orientale.

Indubbiamente, gran parte dei commenti sulle elezioni iraniane hanno riguardato la scarsa affluenza alle urne, che sicuramente preoccupa anche la leadership della Repubblica Islamica, ma che tuttavia viene utilizzata dalla stampa occidentale per attacare il Paese, la cui unica vera colpa sarebbe quella di non essere allineato con i dettami provenienti da Washington. Nel frattempo, le dure sanzioni imposte dagli Stati Uniti non contribuiscono certamente a migliorare la situazione economica dell’Iran, altro importante punto di preoccupazione sia per i leader che per la popolazione del Paese.

Sebbene sia inevitabile riscontrare contraddizioni e criticità quando si analizza il sistema della Repubblica Islamica dell’Iran, ci preme sottolineare che questi punti non devono essere in alcun modo utilizzati per delegittimare un Paese in quanto tale, per il solo fatto di non volersi piegare agli ordini dell’impero nordamericano. I governi occidentali sono scesi talmente in basso che, pur di attaccare la Repubblica Islamica sono arrivati a sostenere i monarchici che rivorrebbero lo scià al potere, permettendo ai loschi eredi della dinastia Pahlavi di aggirarsi per Europa e America del Nord a fare discorsi contro il governo iraniano.

La famiglia Pahlavi ed alcuni gruppi monarchici iraniani sono persino arrivati al punto di sostenere Israele nel suo massacro contro la popolazione civile di Gaza, con il fine di contrastare le politiche del governo iraniano, che invece storicamente si trova in prima fila nella difesa della causa palestinese. La loro posizione filo-israeliana è diventata molto più pronunciata dopo che Reza Pahlavi e sua moglie hanno visitato Israele nell’aprile 2023, dove sono stati calorosamente accolti e ospitati dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Fortunatamente, la posizione dei monarchici iraniani resta maggioritaria, ed anche tra gli iraniani critici nei confronti dell’attuale governo prevalgono posizioni repubblicane ed in difesa della causa palestinese. La realtà, infatti, è che questi gruppi ampiamente minoritari hanno voce solamente in quanto sostenuti dagli Stati Uniti e dalle altre potenze occidentali, che offrono loro palcoscenici importanti che vanno ben oltre la reale rappresentatività del movimento monarchico.

Come sottolineato dal presidente Raisi in occasione della sua recente visita in Algeria, gli Stati Uniti hanno cercato di diffondere l’Iranofobia in tutta la regione al fine di isolare Teheran, ma hanno fallito. “Volevano isolarci, ma l’Iran non è diventato un paria. Oggi, il Paese è rappresentato più ampiamente che mai alle piattaforme regionali, interregionali e internazionali“, ha sottolineato il presidente. Raisi ha aggiunto che sono stati fatti tentativi per “normalizzare le relazioni tra i Paesi musulmani e il regime sionista per renderlo innocuo“, ma anche queste azioni non hanno ottenuto risultati. Quei Paesi che mantenevano relazioni con Israele in passato “sono ora imbarazzati per queste azioni anche di fronte al proprio popolo“, ha concluso.

Alla luce della nostra analisi, sebbene il sistema della Repubblica Islamica non sia esente da criticità, dobbiamo certamente riconoscere il ruolo svolto dall’Iran come argine all’imperialismo statunitense ed al sionismo israeliano nella regione mediorientale, mentre respingiamo con vigore qualsiasi tentativo di utilizzare le contraddizioni interne al Paese per instaurare un regime monarchico vassallo di Washington. Allo stesso tempo, riteniamo necessario condannare le sanzioni imposte dagli Stati Uniti contro l’Iran, al pari di tutte le altre sanzioni alle quali vengono sottoposti altri Paesi non allineati.

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