di Martina Paiotta
Il cambiamento dello scenario geopolitico avvenuto nell’ultimo decennio ha modificato l’equilibrio internazionale, spostando l’attenzione dall’Occidente, rimasto a lungo il centro della geografia politica e delle relazioni internazionali, alle altre Regioni del Mondo.
L’Asia e l’Indopacifico sono, allo stato attuale, due delle tematiche emergenti sulla scena mondiale; in particolar modo, calda è la questione Taiwan: la Cina afferma di voler rivendicare l’isola di Taiwan come parte integrante del proprio territorio, rivendicando di conseguenza parte della propria sovranità. Sebbene si sia sviluppata quale entità politica autonoma, in realtà Taiwan risulterebbe geograficamente legata alla Cina, pertanto quest’ultima pone obiezione sulla legittimità effettiva dello Stato in questione.
Già nel 1949, la Cina aveva collocato il proprio baricentro politico a Taipei, capitale del Taiwan, dopo la sconfitta subita nella guerra civile cinese. Al termine del periodo di ostilità, fu riconosciuta la legittimità della Repubblica Popolare Cinese, pertanto il centro politico fu nuovamente spostato da Taipei a Pechino. Il fatto che la Cina voglia rivendicare Taiwan e che consideri l’isola parte integrante del proprio territorio, non è stato però accolto con entusiasmo dal Governo di Taiwan, situazione che ha generato un’escalation politico-diplomatica.
Di fronte alle dichiarazioni della Repubblica Popolare Cinese, Taiwan teme ora la propria sovranità, mantenendo pertanto un elevato numero di forze armate pronte ad intervenire laddove ce ne fosse la necessità, dotandosi in aggiunta di armi idonee a fronteggiare e contrastare missili balistici.
Gli Stati Uniti, che ai tempi della diplomazia Nixon-Kissinger avevano riconosciuto il principio di “una sola Cina”, pare che ora si sentano quasi in dovere di intervenire per contrastare Pechino. La paura del tramonto è, infatti, la principale preoccupazione che sembra affliggere gli USA e l’ascesa della Repubblica Popolare Cinese potrebbe rappresentare una sfida lanciata all’Occidente, in particolar modo agli stessi Stati Uniti. Se ci si ferma a riflettere, gli Stati Uniti non avrebbero in realtà interesse a tutelare il piccolo Stato insulare, se non per il mantenimento della propria posizione egemonica anche dall’altra parte dell’emisfero.
Non va omesso il fatto che la Speaker della Camera Nancy Pelosi ha effettuato la propria visita a Taiwan durante l’Agosto del 2022, ampiamente criticata dalla Repubblica Popolare Cinese ma anche da molti esponenti statunitensi; non è un caso che la Speaker della Camera non ottenne nemmeno l’esplicito supporto dell’Amministrazione Biden, fatto che andò a rimarcare la scarsa qualità della diplomazia tra Stati Uniti e Taiwan.
Con la propria visita, già la Speaker intendeva comunicare a Taiwan l’appoggio -seppur informale- degli Stati Uniti. In aggiunta, volle dimostrarsi fiduciosa nel fatto che la visita avrebbe rappresentato un tentativo di dissuadere la Cina dal suo intento, tentativo dimostratosi poi fallimentare poiché non ha avuto altri effetti se non quello di inasprire i rapporti Cina-Taiwan.
Ancora una volta, gli Stati Uniti si confermano un Paese che non riesce a mantenere le giuste distanze dalle questioni che in alcun modo andrebbero a sfiorare la sua sfera d’influenza. Con il pretesto della tutela della democrazia, gli Stati Uniti sono riusciti, nel corso degli anni, a collezionare una serie di interventi al di fuori della propria sfera d’influenza, e che hanno avuto un notevole impatto sull’evoluzione geopolitica globale: Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, sono soltanto alcuni degli scenari in cui si sono riportate in realtà conseguenze disastrose, tanto da mettere ampiamente in discussione il pretesto della carenza di democrazia.
Com’era prevedibile, le tensioni nell’Indopacifico hanno subito scatenato le reazioni della comunità internazionale, che non ha esitato ad esprimere le proprie preoccupazioni, attirando altresì l’attenzione delle Istituzioni Internazionali.
Più che dal punto di vista della pacifica convivenza internazionale, sembra che in realtà le preoccupazioni maggiori scaturiscano principalmente “dall’espandersi della Cina e del potere di Xi Jinping”, che, com’è noto, viene considerato uno dei principali competitors degli Stati Uniti, con una certa continuità nel corso del susseguirsi delle varie Amministrazioni (Trump, Biden…).
Ciò vuole dimostrare, ancora una volta, le preoccupazioni dell’Occidente nell’assistere all’indebolimento della propria posizione sullo scenario internazionale, un Occidente che ancora non riesce a fare i conti con l’ascesa delle altre potenze, e che probabilmente è consapevole dei propri limiti competitivi.
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