di Matteo Marchioni
Si è concluso il 24 febbraio a Kiev, in occasione del secondo anniversario dell’azione militare russa contro l’Ucraina, il vertice dei G7. Si tratta della prima riunione dei Capi di Stato e di governo del forum, che quest’anno si radunerà in una serie di altri appuntamenti sotto la presidenza italiana. Il consesso di Kiev è terminato con una dichiarazione congiunta sull’impegno occidentale ad impedire che la Russia vinca la guerra. Inebriati dalla tracotante pretesa di rappresentare la totalità della comunità internazionale sul delicato tema del conflitto russo-ucraino, gli Stati G7 proclamano di voler affilare le spade, mentre Mosca ottiene successi strategici sul campo di battaglia e si organizza per un eventuale conflitto esteso con la NATO.
Questa volta è l’Italia a fare gli onori di casa e a presiedere la prima adunata dei Capi di Stato e di governo dei 7 grandi Paesi dell’Occidente: da Kiev, la Presidente Meloni si è collegata con gli altri leader insieme al premier canadese, Trudeau, alla Presidente della Commissione Europea, von der Leyen, e al Presidente ucraino Zelensky. Il Primo ministro italiano ha voluto mandare un chiaro segnale a Mosca nel senso della coesione dell’Occidente, dipinto come fiacco e stanco della guerra dalla propaganda russa.
Meloni ha anche affermato che l’Italia è disposta a fare la sua parte per difendere l’Ucraina, “casa nostra”, dall’aggressione della Russia, ribadendo l’impegno per fornire tutto l’aiuto necessario a Kiev e concludendo un accordo sulla sicurezza e la cooperazione militare tra Italia e Ucraina – è interessante notare come nel testo del trattato (art. 11) si faccia riferimento all’ipotesi di “un futuro attacco armato da parte della Russia all’Ucraina”, quasi a voler gettare le basi per un sistema di protezione dell’Ucraina proiettato nel futuro, non riguardante la guerra iniziata nel 2022 e che non implichi un impegno diretto dell’Italia nel conflitto in corso. Sull’onda di quanto esposto da Meloni, i rappresentanti dei G7 hanno poi concluso la giornata con un documento programmatico dai toni estremamente accesi e che non lascia presagire alcuna propensione al dialogo.
I punti chiave della dichiarazione congiunta sono: 1) il fallimento della campagna militare di Putin; 2) l’accusa – già divenuta sentenza – al governo russo circa la misteriosa morte di Navalny; 3) l’impegno indefettibile a sostenere Kiev fino alla non-vittoria di Mosca – poiché parlare di vittoria ucraina avrebbe potuto sollevare eccessive perplessità, il termine non-vittoria riferito a Mosca è stato scelto per indicare un concetto assai ampio, che include tanto la convinzione occidentale in uno smembramento interno della Russia (si veda quanto avvenuto l’anno scorso con l’affaire Prigozhin), o un collasso della sua economia, atteso sin dal marzo 2022, o ancora la speranza in una tregua negoziata, in cui la Russia non abbia raggiunto tutti i suoi obiettivi militari ma sia stata sufficientemente dissanguata per intraprendere nuove campagne militari.
La nuova ondata di entusiasmo dei G7 a sostegno della tenace resistenza ucraina è stata seguita da importanti dichiarazioni da parte di alcuni Paesi NATO, al vertice di Parigi del 26 febbraio. Il Presidente francese, Macron, ha provocato un certo sgomento dichiarando che “non è esclusa la possibilità di inviare truppe occidentali sul campo”: l’affondo francese non è comunque stato apprezzato dal cancelliere tedesco, Scholz, il quale ha precisato di voler rimanere fuori da operazioni militari dirette, coinvolgenti soldati NATO in Ucraina, né da Polonia e Repubblica Ceca, i cui leader hanno reso noto come la cooperazione con Kiev non potrà implicare un dispiego di uomini. Al di là delle esternazioni di Macron, i partecipanti alla riunione di Parigi si sono trovati d’accordo sulla fornitura di munizioni, acquistate da terzi, per Kiev. Inoltre, facendo il paio con il vertice dei G7 del 24 febbraio, il summit parigino di sostegno all’Ucraina ha riconfermato come “la sconfitta della Russia sia indispensabile per la sicurezza e la stabilità dell’Europa”, mettendo nuovamente a nudo – per quanti ancora nutrissero dei dubbi – la perfetta coincidenza tra gli obiettivi dell’Unione Europea, ormai inglobata nella NATO, e dei G7 (in sostanza, il cosiddetto “Occidente allargato”), da una parte, e quelli statunitensi e della NATO: l’esasperazione della guerra in Ucraina nella speranza di indebolire la Russia e di dividerla dall’Europa occidentale mediante una nuova cortina di ferro.
Purtuttavia, minacciosi venti di guerra non soffiano solo da Ovest. Per tema di un’escalation con la NATO nel continente europeo, la Russia ha appena avviato una riconfigurazione dei propri distretti militari occidentali. Così, proprio mentre a Parigi gli esponenti di 20 Stati – inclusi 15 Paesi membri dell’UE, discutevano di nuovi preparativi bellici contro la Russia, lo stesso 26 febbraio Mosca decideva di smantellare il vecchio “distretto militare occidentale”, creato nel 2010 dal Ministero della difesa russo, per riportare in vita i due distretti di Mosca e Leningrado. La decisione di dotarsi nuovamente di questi ambiti militari deriva dalle apprensioni di Mosca circa l’ingresso della Finlandia nella NATO, avvenuto nel 2023, nonché dalla necessità di posizionarsi meglio al confine occidentale e di assicurare così un migliore supporto logistico alle operazioni militari in Ucraina.
Queste manovre del Cremlino, nel momento in cui è riottenuta l’iniziativa offensiva sul campo di battaglia, denotano la volontà di adattare i propri confini in vista di un potenziale urto con la NATO. Al contempo, si assiste alla perdurante assenza di qualsiasi iniziativa negoziale da parte di un Occidente che, riunitosi nel formato G7 pochi giorni fa, si ostina a voler assurgere a poliziotto della comunità internazionale – quando sono i dati stessi ad accendere i riflettori sul crescente declino economico occidentale rispetto ad altri blocchi internazionali in corso di sviluppo, come i BRICS.
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