Dispaccio Geopolitico #2 – 14.02.2024 | L’economia russa cresce guardando al multipolarismo

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di Matteo Marchioni

Nel momento in cui la situazione al fronte si fa sempre più critica per Kiev – mentre scriviamo, i russi stanno sfiancando i soldati ucraini ad Avdeevka, avanzano a nord-est di Bakhmut e ottengono successi lungo tutto il confine dell’oblast di Donetsk – Rosstat, il servizio statistico federale russo, fa impallidire le previsioni degli analisti europei e americani sul tasso di crescita del PIL di Mosca, stimato al 3,6% per il 2023. Lo riportano allarmati gli stessi media occidentali, non capacitandosi di come l’economia russa non sia crollata sotto il peso delle sanzioni in questi due anni e affermando che la ragione di tale crescita sia in realtà un’artificiosa combinazione di più fattori: cioè l’elevata spesa pubblica per gli armamenti e l’aumento della spesa sociale legata agli eventi bellici, il tutto facilitato dai più alti livelli di prezzo per le materie prime russe. Ma è veramente così?

Come spesso accade, la verità sta nel mezzo. Se non si può affermare che le cifre del PIL russo siano indice di una crescita stabile e sostenibile nel lungo periodo, è comunque segno di incapacità critica l’ostinarsi a ribadire che le sanzioni abbiano funzionato, che Mosca sia stata messa in quarantena dal resto della comunità internazionale e che, come nel 2022 qualcuno si sforzava di ripetere, essa sia un gigante dai piedi di argilla sul punto di cadere. In questo senso, solamente un’attenta e imparziale osservazione dei dati può consentirci di avere un quadro coerente della situazione, sfatando i miti della propaganda occidentale di questi ultimi due anni.

Anzitutto, va detto che il PIL russo ha registrato il suo più alto tasso di crescita dal 2022. Alla maggior parte del prodotto interno lordo contribuiscono il settore industriale e dei servizi, che ne costituiscono circa il 93%. I dati sul PIL devono essere poi interpretati sulla base dell’inflazione corrente, pari a circa il 7% alla fine del 2023: un dato notevole e con serie ripercussioni sui consumi interni, dal momento che le principali categorie rappresentate nell’indice dei prezzi al consumo sono i generi alimentari (30%), i trasporti (14%) e l’abbigliamento (11%). Tuttavia, il tasso di inflazione era appena inferiore all’inizio del 2021 (6%), quando l’economia russa iniziò a riprendersi dallo shock causato dalla pandemia, e rimane comunque più contenuto rispetto alla prima metà del 2022 (17%), mentre Mosca risentiva dell’impatto delle sanzioni.

L’inflazione, quindi, sta gonfiando il PIL ma questo non ne esaurisce la corretta interpretazione.

Un altro fattore da considerare – e che effettivamente suffraga le ricostruzioni degli analisti occidentali – è l’elevato grado della spesa pubblica, il più alto in 10 anni e concentrato nel settore militare. Con una spesa per armamenti sempre maggiore è logico che anche l’inflazione ne risenta, esercitando un rigonfiamento del PIL, e che il governo russo fatichi a limitare il disavanzo di bilancio, pari all’1,9% del PIL nel 2023. Inoltre, il tasso di disoccupazione, attestato alla fine dell’anno scorso al 3%, rappresenta un dato che, per quanto apparentemente positivo, cela in realtà una forte diminuzione della produttività.

Alla luce di quanto esposto, non si può certo ritenere che l’economia russa sia sostenibile nel lungo termine: l’intervento del governo nel settore degli armamenti ha provocato un rialzo dell’inflazione, con ricadute negative su prezzi e produttività. In sostanza, ci troviamo di fronte ad un’economia surriscaldata tipica delle nazioni in guerra, con problemi di bilancio e forti incrementi della spesa fiscale, ma con una certa solidità di base.

È, infatti, innegabile che la Russia sia riuscita a tenere testa alle sanzioni dell’Occidente grazie ad una serie di misure – dalla difesa del rublo da parte della Banca centrale russa, che ha praticato un tasso di sconto del 20%, tentando così di mitigare la spirale inflazionistica, all’imposizione per gli importatori europei di gas di aprire presso Gazprom un conto in rubli con cui pagare (in euro) l’acquisto del gas – e a far crescere la propria economia, nonostante tutte le storture causate dalla forte spesa pubblica e dall’inflazione.

La Russia ha reagito all’offensiva economica euro-americana con capacità di iniziativa e di inventiva, che nessuno avrebbe potuto immaginare nel 2022. Grazie agli interventi effettuati dalla banca centrale e dal governo, la fiducia delle imprese è aumentata a livelli che non si osservavano da anni e la bilancia commerciale registra un attivo che, sebbene trainato dalle esportazioni di greggio e gas naturale e non da prodotti ad alto valore aggiunto, ha consentito il finanziamento di numerosi interventi di spesa. Qualche problema è rappresentato dai flussi netti di investimenti diretti provenienti dall’estero, in negativo ormai dal luglio del 2022 a causa delle sanzioni e della scarsa competitività dell’industria.

Ad ogni modo, Mosca non è implosa come molti credevano (e speravano). Al contrario, essa ha saputo abilmente deviare il proprio surplus commerciale e i propri traffici economici verso i Paesi asiatici e africani sui binari del multipolarismo: la maggiore quota dell’export russo è diretta in Cina, Olanda, Germania e Turchia, con un aumento anche verso i Paesi africani e un drastico calo verso USA e America Latina.

Difatti, la guerra in Ucraina e la controffensiva politico-economica dell’Occidente hanno agito come un acceleratore di mutamenti geopolitici già in atto, non solo per la Russia ma anche per altre potenze emergenti, quali India, Iran, Arabia Saudita e, ovviamente, la Cina.

Ne forniscono la prova le iniziative di Mosca per intessere una partnership commerciale e politica sempre più stretta con Pechino, l’instaurazione di circuiti per i pagamenti con gli Stati asiatici alternativi allo SWIFT, nonché l’aggiramento del dollaro, quale valuta di riferimento per gli scambi internazionali, attraverso l’uso dello Yuan cinese per la vendita di greggio all’India, uno dei nuovi e più importanti partner di Mosca.

Infine, sul piano puramente politico, la Russia si sta prodigando per estendere la propria influenza in vari Stati africani – si ricordino i casi di Mali, Burkina Faso e Niger, nonché l’impiego del gruppo Wagner in altre nazioni del continente – con il chiaro intento di sfruttare il sentimento anti-occidentale e anti-coloniale presente in quei Paesi per ottenere vantaggi economici e politici nel prossimo futuro.

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