Dopo un periodo di grave silenzio internazionale, la questione israelo-palestinese è tornata al centro della scena internazionale e del dibattito pubblico, anche con mobilitazioni della società civile con numeri che non si registravano dal 20031. Cos’è successo il 07 ottobre 2023? E come l’Egitto s’inserisce nell’intricato quadro di mediazione per fermare gli scontri in atto nella Striscia di Gaza?
Per comprendere i fatti, è bene fare un passo indietro di 75 anni; anni in cui le dinamiche del dominio coloniale europeo, il diritto riconosciuto dalla comunità internazionale all’autodeterminazione dei popoli, nonché le influenze politiche regionali e le rivendicazioni secolari sioniste si intersecano a creare uno scenario caotico caratterizzato da tensioni, lotta armata e guerre più o meno dichiarate e combattute.
Le rivendicazioni dello Stato ebraico nacquero come controreazione all’antisemitismo germogliato in Europa Orientale e affondano le proprie radici nel pensiero di Theodor Herzl, il quale rilanciò l’idea di un progetto sionista per la creazione di uno stato che desse una patria a tutti gli ebrei durante i lavori del Congresso di Basilea del 1897, da lui stesso organizzato: il primo obiettivo da raggiungere fu la colonizzazione agricola della Palestina – mezzo con cui si sarebbero facilitate le future rivendicazioni israeliane sul territorio. Inoltre, in quegli anni, si mirava all’ottenimento di riconoscimenti internazionali che potessero tutelare l’immigrazione ebraica verso quei territori che venivano considerati la nuova patria degli ebrei2.
Il Programma, essenziale nei suoi principi, stabiliva che “lo scopo del sionismo è quello di creare una casa in Eretz Israel per gli ebrei sotto tutela della legge e riconosciuto a livello internazionale”. Quattro furono i punti programmatici:
1. La formazione con mezzi appropriati dell’insediamento in Eretz-Israel di agricoltori, artigiani e produttori ebrei.
2. L’organizzazione e l’unificazione di tutti gli ebrei per mezzo di istituzioni, sia locali che internazionali, in conformità con le leggi di ciascun paese.
3. Il rafforzamento e la promozione del sentimento nazionale e della coscienza nazionale ebraica.
4. Passi preparatori per ottenere il consenso dei governi, ove necessario, per raggiungere gli obiettivi del sionismo.
L’ultima richiesta programmatica elaborata nel corso del Congresso di Basilea venne attuata con la dichiarazione Balfour (1917)3: il governo britannico si impegnava a facilitare la creazione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico, delineando, così, lo starter point per una concreta e legittimata azione colonizzatrice sionista4.
La questione israelo-palestinese si complicò ulteriormente nel corso della Seconda guerra mondiale, quando la recrudescenza dell’Olocausto gettò le basi per una maggiore attenzione, una crescente sensibilità e impegno occidentale nel garantire agli ebrei un’entità statale propria e riconosciuta; cosa che avvenne con la fondazione dello stato israeliano (14 maggio 1948); gli eserciti di Egitto, Siria, Transgiordania, Iraq e Libano, rifiutando la risoluzione ONU 1815, ne invasero il territorio.
Il 29 novembre 1947, con la Risoluzione n.181, l’Onu approvò con votazione – 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astenuti – la divisione del territorio in due Stati : uno arabo e uno ebraico.
Risoluzione ONU n. 181
Piano di spartizione Onu della Palestina
L’Assemblea Generale, essendosi riunita in sessione speciale […] chiede che […]
# Il Consiglio di sicurezza consideri una minaccia alla pace, una violazione della pace o un atto di aggressione, conformemente all’articolo 39 dello Statuto, ogni tentativo di alterare con la forza la soluzione prevista dalla presente risoluzione.
# Il Consiglio di amministrazione fiduciaria sia informato delle responsabilità a esso assegnate in base a questo piano.
Chiede agli abitanti della Palestina di intraprendere i passi che possano rendersi necessari per dare effetto a questo piano.
Fa appello a tutti i Governi e ai popoli perché si astengano dal compiere atti che possano ostacolare e ritardare l’attuazione delle presenti raccomandazioni. […]
Costituzione futura e governo della Palestina
A) Cessazione del mandato, spartizione e indipendenza
# Il mandato per la Palestina cesserà il più presto possibile, ma in ogni caso non oltre il 1° agosto 1948.
# Le forze armate della Potenza mandataria [Gran Bretagna) saranno ritirate progressivamente dalla Palestina; il ritiro dovrà essere completato appena possibile ma in ogni caso non oltre il 1° agosto 1948.
# La Potenza mandataria informerà la Commissione, con il massimo anticipo possibile, delle sue intenzioni di porre fine al Mandato, e di evacuare ogni Area.La Potenza mandataria farà del suo meglio per assicurare che una zona situata nel territorio dello Stato ebraico, ivi incluso un porto e l’entroterra adeguato atto a fornire le strutture necessarie per una forte immigrazione, sia evacuata al più presto e non oltre il 1° febbraio 1948.
# Lo Stato arabo ed ebraico indipendenti e il Regime internazionale speciale per la Città di Gerusalemme, cominceranno a esistere due mesi dopo che l’evacuazione delle forze armate della Potenza mandataria è stata completata ma in ogni caso non oltre il l° ottobre 1948. I confini dello Stato arabo, dello Stato ebraico e della Città di Gerusalemme saranno descritti nelle parti II e III che seguono. […]
B) Stadi preparatori verso l’indipendenza
#Fatte salve disposizioni di queste Raccomandazioni, durante il periodo transitorio, i Consigli provvisori di governo, agendo sotto la guida della Commissione, avranno piena autorità nelle zone soggette al loro controllo, ivi inclusa l’autorità per quanto riguarda l’immigrazione e il regolamento del territorio. […]
# Il Consiglio provvisorio di ciascuno Stato, non più tardi di due mesi dopo il ritiro delle forze armate della Potenza mandataria, indirà elezioni per l’Assemblea costituente che si svolgeranno su basi democratiche.
Le criticità della risoluzione 181 risiedevano nella sua stessa natura: l’ONU abbracciò la proposta di dividere la Palestina in due Stati, uno ebraico ed uno arabo, ponendo Gerusalemme sotto amministrazione internazionale.
Inoltre, gli Stati avrebbero dovuto aderire ad un’Unione economica palestinese, con il compito di gestire in un clima di parità ed amicizia la moneta unica, le risorse del territorio e le infrastrutture.
Il 1948 oltre che per la fondazione dello Stato ebraico verrà ricordato anche per la “Nakba6”: nel corso della prima guerra arabo israeliana, i villaggi palestinesi vennero distrutti con la conseguenza che in centinaia di migliaia abbandonarono le proprie case, divenendo profughi.
L’esodo forzato palestinese portò alla creazione di un’apposita agenzia Onu nel 1949, l’United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA) – tutt’oggi esistente ed attaccata da Israele nei raid aerei.
Sebbene circa 150.000 palestinesi continuarono a vivere nel neonato Stato di Israele, la memoria della Palestina fu sistematicamente cancellata tramite la distruzione dei villaggi e la continua espulsione dei suoi abitanti, con l’obiettivo di favorirne la sostituzione con l’immigrazione ebraica7. Il popolo palestinese si trova così a rivendicare da allora il proprio diritto al ritorno, non soltanto nei territori della Palestina, ma soprattutto nelle proprie abitazioni – esemplificato dalla custodia delle chiavi8.
Nonostante ciò, un anno dopo la sua fondazione, nel 1949, Israele contava una porzione territoriale del 78% in più di quanto concepito dalla risoluzione 181; in seguito all’armistizio israelo-egiziano del medesimo anno, l’Egitto occupò la Striscia di Gaza: secondo lo storico israeliano Ilan Pappé (La prigione più grande del mondo. Storia dei Territori Occupati, Fazi Editore), dal 1948 al 1956 a scoraggiare l’occupazione israeliana della Striscia fu la fermezza egiziana e la conseguente presenza militare sul territorio. Il Cairo assicurò alla Lega Araba ed al popolo palestinese che l’occupazione di Gaza sarebbe terminata una volta che la Palestina fosse stata completamente liberata.
Tuttavia, i leader israeliani consideravano la Striscia parte integrante dell’antico Stato di Israele, facendo emergere la necessità di portare a termine il progetto coloniale sionista con l’annessione anche di questa esigua striscia di terra affacciata sul mare.
Ben presto, il panorama mediorientale si dimostrò nuovamente camaleontico e gli equilibri cambiarono rapidamente: nel 1954 salì al vertice del potere l’egiziano Gamal Abd al-Nasser; fiero sostenitore dell’anticolonialismo e del panarabismo, Nasser aveva chiara la percezione che l’origine delle rivendicazioni di Israele e dei palestinesi era da ricondurre all’ambiguità dell’azione diplomatica inglese9: nel corso della Prima Guerra Mondiale, il sionismo trovò appoggio concreto in Inghilterra; mentre gli stessi palestinesi combatterono al fianco degli Alleati nella speranza di riconquistare la libertà e l’indipendenza che Londra si era impegnata pubblicamente a concedergli, quest’ultima attraverso la Dichiarazione Balfour, fece un giro su sé stessa e cominciò ad appoggiare l’aspirazione sionista di una casa nazionale per gli ebrei in Palestina.
Successivamente, l’Inghilterra riuscì a farsi assegnare il mandato sulla Palestina dalla Società delle Nazioni – sfruttato allo scopo di consentire al sionismo di dominare la Palestina10; nel 1955, poi, le posizioni inizialmente moderate di Nasser s’irrigidirono dopo gli attacchi israeliani a Gaza.
Nasser, intanto, si muoveva con abilità sullo scacchiere internazionale, districandosi nel contesto del bipolarismo Usa – URSS: con l’ampliamento della diga di Assuan, nonostante la proposta americana di un prestito al paese, l’Egitto – internazionalmente non allineato – si rivolse anche all’URSS, cercando di ottenere benefici da entrambe le parti; nel 1956, Nasser nazionalizzò il Canale di Suez (1956), con l’obiettivo di incamerare i fondi necessari per la costruzione della diga di Assuan poiché, infine, i finanziamenti statunitensi gli vennero negati a causa dell’avvicinamento del rais a Mosca. Questa mossa andò in rotta di collisione con gli interessi commerciali britannici, a cui si aggiungevano le antipatie francesi verso Il Cairo a causa dell’appoggio egiziano al movimento di liberazione algerino in aperta lotta con Parigi per la conquista dell’indipendenza.
L’interesse israeliano nella crisi di Suez, invece, fu motivato dal blocco degli stretti11, nonché dagli attacchi dei fedayyin palestinesi12, che dall’Egitto lanciavano frequenti incursioni nel territorio del giovane Stato ebraico13.
Nonostante il parere contrario degli Stati Uniti – secondo Washington l’uso della forza avrebbe fatto esplodere ulteriori tensioni nell’area mediorientale – Francia, Gran Bretagna ed Israele iniziano a pianificare l’attacco militare contro l’Egitto. Fu soprattutto la posizione presa dallo Stato ebraico a metter in grave imbarazzo diplomatico gli Stati Uniti, specialmente nei confronti di Mosca e dei Paesi di recente indipendenza: il Presidente Eisenhower minacciò Francia e Gran Bretagna di pesanti ritorsioni economiche per quello che considerava un terribile errore.
Come è noto, la crisi si risolse quando l’Unione Sovietica e Stati Uniti minacciarono di intervenire congiuntamente al fianco dell’Egitto. A quel punto britannici, francesi e israeliani, temendo l’allargamento del conflitto, si decisero al ritiro.
Quello per Suez, fu un conflitto ricordato dagli storici per varie particolarità: per la prima volta Stati Uniti e Unione Sovietica si accordarono per garantire la pace; per la prima volta il Canada si espresse in modo difforme e agì in contrasto verso il Regno Unito; fu l’ultima invasione militare da parte del Regno Unito senza l’avallo politico degli Stati Uniti, il che segnò, secondo molti, la fine dell’Impero britannico.
Allo stesso modo, fu l’ultima invasione militare da parte della Francia e quindi l’ultimo atto dell’impero coloniale francese. Dopo Suez, Israele ed Egitto rimasero in aperto conflitto, una situazione tesa che permise a Nasser di rivolgersi alla Lega Araba per ottenere l’appoggio per la creazione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP)14 – entità politica de facto controllata dall’Egitto che mirava a farsi leader nella gestione interaraba della questione palestinese.
La situazione precipitò, nuovamente, durante la guerra dei Sei Giorni che coincise con l’occupazione dei territori palestinesi15da parte dello Stato ebraico. Il lascito del 1967 risiede nell’impatto trasformativo16 del conflitto: non era più possibile parlare di un conflitto arabo-israeliano, bensì di israelo-palestinese.
Questo cambiamento si rese lampante con la riconsiderazione dei Paesi arabi sconfitti della propria posizione fra le due parti, realizzando l’esigenza di una solidarietà interaraba che includesse i paesi della penisola, insieme all’intervento della diplomazia internazionale e l’appoggio delle superpotenze della Guerra Fredda.
In concomitanza con il riposizionamento egiziano al fianco di Washington ed il disimpegno nella lotta contro Israele, il recupero del Sinai si rivelò arma negoziale per lo status paritario con lo stato ebraico17.
Nel 1970 era divenuto presidente dell’Egitto Anwar al-Sadat un militare di carriera. Durante la sua presidenza egli si discostò sempre di più dall’Unione Sovietica, per avvicinarsi invece agli Stati Uniti.
La volontà di Sadat era di riottenere la penisola del Sinai. Questa fu uno dei motivi all’origine della guerra del Kippur; questo territorio, a cavallo tra Asia e Africa, era stato occupato temporaneamente da Israele già durante la prima e la seconda guerra arabo-israeliana mentre con la terza guerra arabo-israeliana del 1967, la guerra dei Sei Giorni, Israele aveva invece dato inizio a una occupazione stabile del territorio.
La Guerra dello Yom Kippur (1973) comportò inizialmente una parità politica-militare che si riflesse nel testo della Risoluzione ONU 33817 – che invitava al cessate il fuoco entro le 12 ore dall’adozione della risoluzione, ad attuare la risoluzione 242 nonché i negoziati si sarebbero svolti sotto gli adeguati auspici delle superpotenze internazionali e di quanto deciso la Conferenza di Ginevra.18
Risoluzione ONU n. 242
The Security Council,
Expressing its continuing concern with the gravesituation in the Middle East,
Emphasizing the inadmissibility of the acquisition of territory by war and the need to work for a just and lasting peace in which every State in the area can live in security,
Emphasizing farther that all Member States in their acceptance of the Charter of the United Nations have undertaken a commitment to act in accordance with Article 2 of the Charter,
1. Affirms that the fulfilment of Charter principles requires the establishment of a just and lasting peace in the Middle East which should include the application of both the following principles:
(i) Withdrawal of Israel armed forces from territories occupied in the recent conflict;
(ii) Termination of all claims or states of belligerency and respect for and acknowledgement of the sovereignty, territorial integrity and political independence of every State in the area and their right to live in peace within secure and recognized boundaries free from threats or acts of force;
2. Affirms further the necessity
(a) For guaranteeing freedom of navigation through international waterways in the area;
(b) For achieving a just settlement of the refugee problem;
(c) For guaranteeing the territorial inviolability and political independence of every State in the area, through measures including the establishment of demilitarized zones;
3. Requests the Secretary-General to designate a Special Representative to proceed to the Middle East to establish and maintain contacts with the States concerned in order to promote agreement and assist efforts to achieve a peaceful and accepted settlement in accordance with the provisions and principles in this resolution;
4. Requests the Secretary-General to report to the Security Council on the progress of the efforts of the Special Representative as soon as possible.
ll 21 dicembre 1973 si aprirono a Ginevra i lavori della conferenza convocata con l’obiettivo di discutere la situazione in Medio Oriente. Tale iniziativa fu presieduta dai ministri degli Esteri di Stati Uniti e Unione Sovietica; il 18 gennaio 1974 venne firmato un primo trattato tra Israele ed Egitto con cui si prospettava un disimpegno delle truppe dei due Paesi dalla penisola del Sinai mentre nella primavera del 1974 vennero avviate trattative tra Israele e Siria che portarono, nell’ambito della Conferenza di Ginevra ancora in corso, a un accordo sulla smobilitazione delle truppe israeliane e siriane dalle alture del Golan.
Nel giugno del 1975, invece, venne riaperto il Canale di Suez, chiuso dai tempi della Guerra dei Sei Giorni, e nel settembre dello stesso anno si giunse a un ulteriore accordo di disimpegno del Sinai da parte dell’Egitto e di Israele.
Tra gli eventi che ebbero il maggiore impatto, anche sull’opinione pubblica, fu la visita che Sadat fece a Gerusalemme nel novembre 1977. Il gesto fu fortemente simbolico perché esplicitava l’intenzione del presidente dell’Egitto di giungere a una politica pacifica con Israele e di far prevalere la via diplomatica su quella militare.
A Camp David, Stati Uniti, nel 1978, Egitto ed Israele sottoscrissero anche un piano di pace in Medio Oriente, che avrebbe previsto un’autonomia limitata per i palestinesi nei territori palestinasi occupati (da qui, OPT).
L’avvio del processo di pace, nello spirito dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, evidenziava la necessità di futuri negoziati tra Israele e qualsiasi vicino disposto a ripristinare la pace e la sicurezza con l’obiettivo di attuare tutte le disposizioni ed i principi delle risoluzioni 242 e 338.
Risoluzione 338
«Il Consiglio di Sicurezza,
1. Richiama le parti al presente combattimento per cessare il fuoco e terminare immediatamente tutte le attività militari, non più tardi di dodici ore dall’adozione di tale risoluzione, nelle posizioni che occupano ora.
2. Richiama le parti in causa affinché immediatamente dopo il cessate il fuoco inizino l’applicazione della risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza, in tutti i suoi punti.
3. Decide che, immediatamente ed in concomitanza con il cessate il fuoco, inizieranno negoziati tra le parti in causa sotto i migliori auspici volti a garantire una immediata e duratura pace al Medio Oriente.»
Inoltre, la pace siglata a Camp David richiedeva il rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni Stato dell’area e il loro diritto a vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti, liberi da minacce o atti imposti.
Insomma, per una pace duratura e un medio Oriente stabile c’era la forca caudina del riconoscimento dello Stato di Israele.
L’interpretazione egiziana dell’autonomia venne, però, rifiutata sia dall’OLP che dal Governo israeliano guidato da Begin – che prediligeva – ovviamente – un’autonomia sottoposta al controllo sionista.
Le conseguenze per l’Egitto degli accordi di Camp David furono l’espulsione dalla Lega Araba, nonché il sostanziale l’arenamento del processo di pace.
Se, infatti, il riavvicinamento a Tel Aviv, da un lato, valse all’Egitto la concessione di aiuti economici e militari statunitensi per 1,3 miliardi di dollari all’anno, portò anche alla rottura delle relazioni diplomatiche con gli stati arabi e all’espulsione dalla Lega Araba fino al 1989, poiché l’assemblea degli Stati arabi riteneva Il Cairo “colpevole” di aver riconosciuto Israele, un Paese nemico della regione.
Dopo il 1982, con l’operazione pace in Galilea, la Guerra nel Libano e l’assedio di Beirut, le aperture diplomatiche dell’OLP si dimostrarono infruttuose a causa della posizione israeliana sul ritiro dai territori occupati ed al rifiuto, contemporaneo, ad intavolare qualsiasi trattativa, fatto che sarebbe equivalso al riconoscimento di uno Stato indipendente palestinese e a quello dell’OLP come suo legittimo rappresentante.
Fu così che nel 1987 i palestinesi diedero vita all’intifada19, che ebbe successo a causa dell’intensificarsi della brutalità coloniale israeliana in concomitanza con la crisi petrolifera ed una nuova generazione di palestinesi meno timorosi nel rivendicare la propria terra rispetto alle generazioni precedenti, poiché cresciuti sotto la violenza israeliana.
L’intifada segnò una rinascita per la resistenza palestinese, mentre – sul piano diplomatico internazionale – il presidente egiziano Mubarak garantì la stabilità, in conformità con gli interessi americani, svolgendo un ruolo da mediatore tra Israele, i palestinesi e gli stati arabi20.
In seguito alla prima Intifada, il leitmotiv dei negoziati fra i belligeranti fu quello di una soluzione che prevedesse “due popoli, due stati”: da un lato si riconosceva il diritto d’esistenza di uno stato indipendente palestinese, ma dall’altro si doveva rinunciare ai territori della Palestina occupati nel 1948.
Nel 1993, gli accordi di Oslo permisero l’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese e riconobbero l’OLP come interlocutore di Israele nei negoziati. Questi portarono alla firma – nel 1995 – dei cosiddetti accordi di Oslo 2, che ampliavano l’autogoverno ad altre parti della Cisgiordania. Malgrado le grandi speranze suscitate dagli accordi e dalle successive intese, che s’impegnavano alla normalizzazione delle relazioni d’Israele col mondo arabo, il conflitto non è si risolse. Le questioni più importanti e ancora irrisolte riguardavano i confini di Israele e Palestina, gli insediamenti israeliani, la presenza militare di Israele nei territori palestinesi.
Gli accordi di Oslo non portarono la conseguenza che in molti si auspicavano – il riconoscimento dello Stato di Palestina – ma, piuttosto, all’emergere di un nuovo attore non vennero accettati da un nuovo attore politico predente nell’area dal 1987: Hamas; durante la prima intifada, Sheikh Ahmed Yassin, religioso sunnita e membro dei Fratelli Mussulmani, fondò questo movimento politico islamico sunnita, che non riconosce(va) la legittimità del “nemico sionista”. Nel 1991, poi, vennero fondate le Brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas; entità politico-militare fondata in seno ai Fratelli Mussulmani, Hamas aveva costituito nei TPO – e specialmente a Gaza – svariate associazioni islamiche che avevano un obiettivo assistenzialista socioeconomico per la vessata popolazione palestinese21.
L’organizzazione mirava alla lotta armata contro lo stato israeliano e fu durante la prima intifada che si pose come alternativa alla dirigenza laica dell’OLP: la liberazione palestinese, per Hamas, diventava un obbligo religioso, fatto che impediva qualsiasi accordo diplomatico22. Non deve, dunque, sorprendere se il primo protagonista degli eventi del 7 ottobre 2023 sia emerso violentemente dopo aver vissuto anni di oppressione e violenza sistemica e sistematica da parte dello Stato israeliano: cinquanta anni dopo lo Yom Kippur, le Brigate al-Qassam hanno approfittato della divisione politica interna israeliana, nonché delle falle del servizio di informazione Shin Bet per sferrare l’operazione Al-Aqsa Flood. Quest’ultima, attuata dalla Striscia di Gaza, ha scagliato migliaia di razzi verso le regioni del centro e del sud di Israele; contemporaneamente, i miliziani oltrepassavano il confine israeliano dalla Striscia per prendere il controllo di alcune località nel sud del paese23, facendo circa 200 ostaggi israeliani.
Quest’aggressione deve, però, essere contestualizzata: secondo quanto emerso dai vertici di Hamas, l’operazione sarebbe in risposta alle costanti violazioni dei luoghi sacri a Gerusalemme e agli attacchi dei coloni contro i civili palestinesi nella West Bank24.
Inoltre, è emblematico come, successivamente alla Tempesta, i gazawi abbiano oltrepassato il filo spinato che separava la prigione a cielo aperto25 dalla normalità israeliana: dal 1967 fino al 2005, infatti, la Striscia è stata occupata militarmente da Israele e soltanto nel 2006, in seguito alle elezioni ed alla definitiva rottura con Fattah26, Hamas ne ha preso il controllo.
Da allora, Israele continua a operare la chiusura quasi totale degli accessi via mare e aerei, nonché dei valichi di frontiera, fra cui quello egiziano di Rafah, aperto soltanto dietro placet israeliano; il blocco coinvolge anche viveri di prima necessità, medicine, acqua e carburante.
In questo contesto, si è mostrata la brutalità della risposta israeliana: benché in sede ONU sia stato ribadito sulla base dell’art.51 della Carta come Israele abbia diritto a difendersi, lo stato si mostra sprezzante dei limiti a cui questo stesso diritto è sottoposto.
Ciò è ulteriormente dimostrato dai target che Israele predilige nelle sue operazioni militari: sebbene venga dichiarato che gli obiettivi si circoscrivano ai miliziani, l’operazione Spade di Ferro sembra molto più ambiziosa di qualsiasi altro scontro con Hamas.
Esempi ne sono il bombardamento dell’ospedale Al-Shifa27, l’uso del fosforo bianco28 – arma incendiaria e dunque, vietata dal diritto internazionale29, fino a colpire la famiglia del giornalista di Al-Jazeera, Wael El Dahdouh30.
Dinnanzi ad una violenza sistemica che confina i palestinesi in un lembo di terra, quale la Striscia di Gaza e li sottopone a continue espropriazioni nella West Bank, la questione relativa al valico di Rafah, degli aiuti umanitari e del ruolo egiziano diventa una chiave di volta.
In aperto contrasto con la posizione israeliana – inizialmente contraria alle aperture del valico, come dimostrano anche i continui bombardamenti dell’area31– il viaggio del presidente americano Joe Biden in Israele ha rimescolato le carte. L’apertura di Rafah è stata favorita dall’emergenza umanitaria, dalla mediazione statunitense32 che ha spinto per far passare i civili internazionali e soprattutto dalla diplomazia egiziana. Di fatti, anche se le dichiarazioni israeliane rassicuravano Il Cairo che le operazioni di assistenza umanitaria fornite dall’Egitto non avrebbe subito disagi e interruzioni fintanto si fosse trattato di viveri, acqua e medicine per la popolazione civile del Sud33questo non è accaduto e, anzi, ci sono stati dei ritardi dovuti anche a causa delle ispezioni condotte dallo stato israeliano34.
Il valico di Rafah è l’unico collegamento di Gaza con l’Egitto, nonché l’unica via reale attraverso cui gli aiuti possano entrare dall’esterno di Israele: l’intensificarsi del conflitto non solo ha portato a proteste dal lato egiziano del valico, ma anche il Segretario ONU Antonio Guterres s’è recato sul posto per facilitare – in collaborazione col governo egiziano – il passaggio dei primi aiuti della Croce Rossa Egiziana destinati a Gaza per il 21 ottobre35. Inoltre, Rafah è diventata focale nel conflitto tra Israele ed Hamas, specialmente in seguito al lancio dall’esercito israeliano di alcuni volantini a sud della Striscia, invitando i residenti a spostarsi verso il valico36.
Nonostante oggi questo passaggio a sud debba essere necessariamente tenuto aperto a causa dell’emergenza, non è sempre stato così: l’Egitto, infatti, ha sempre avuto un rapporto difficile con questa frontiera, limitando spesso il flusso di persone e merci. La fermezza della decisione del Governo egiziano segnala un cambio di rotta che deve essere compreso alla luce delle motivazioni politiche, geopolitiche e di sicurezza interna del Paese stesso.
L’Egitto si trova in mezzo ad un focolaio di tensioni: le difficoltà legate alla sicurezza interna sono, infatti, connesse alle diverse frontiere da controllare; in primis, quella con la Libia che rappresenta un rischio di entrata per i gruppi terroristici e di armi mentre negli ultimi mesi, si è aperto anche quello col Sudan da cui passano tantissimi profughi che diventano per l’Egitto un peso insostenibile, data la situazione economica difficile che il Paese deve fronteggiare.
Un altro elemento che preoccupa il Cairo è il passaggio verso il nord del Sinai – unico luogo in cui gli abitanti di Gaza possono eventualmente fuggire, dato che è vietato qualsiasi altro accesso. Ciò per Al-Sisi rappresenta una soluzione impraticabile: lo spostamento di palestinesi andrebbe a riversarsi in possibili campi profughi nella penisola del Sinai – territorio che il Cairo non controlla totalmente e che è continuo luogo di rifugio di cellule legate all’ISIS, come il Wilayat Sinai. Quindi, il primo timore è lo spillover di gruppi terroristici che possano alimentare cellule già presenti nella regione.
Sebbene l’Egitto potrebbe essere considerato come il candidato perfetto a gestire i possibili profughi palestinesi, è un ruolo totalmente rifiutato dal Cairo37. Questa riluttanza è data dalla volontà che la questione palestinese venga gestita in territorio israeliano e non altrove.
Bisogna anche considerare il problema ideologico che emergerebbe con l’accoglienza: la resistenza si sposterebbe in un’altra zona ed il territorio simbolico – la Striscia di Gaza – rimarrebbe senza palestinesi. Per di più, il problema dei profughi si pone soprattutto perché molti palestinesi, insediandosi, hanno creato instabilità nei paesi di arrivo, come nel Settembre Nero38, che favorì la conflittualità fra Giordania ed Israele, cosa che l’Egitto teme.
In seguito all’uccisione del numero 2 di Hamas, Saleh Al-Arouri39, Il Cairo aveva ufficialmente informato Israele di aver congelato il suo ruolo di mediatore tra lo Stato ebraico e le fazioni palestinesi nei negoziati sugli ostaggi mentre ha preso parte al tavolo di mediazione per una nuova bozza di accordo che è stata discussa a Parigi dai negoziatori di Qatar, Egitto, Israele e Stati Uniti; una bozza di accordo tra Hamas e Israele per una nuova tregua della guerra dopo quella di novembre: i negoziati avrebbero definito pause in cambio della liberazione degli ostaggi rapiti il 7 ottobre scorso40.
Quindi, che ruolo potrebbe giocare l’Egitto nella risoluzione della crisi? Oltre a spendersi dal punto di vista umanitario, un primo passo che ha dimostrato il peso strategico egiziano è stato la mediazione congiunta col Qatar che ha portato prima alla liberazione da parte di Hamas di due ostaggi per motivi umanitari e medici41, e poi alla pausa umanitaria – iniziata lo scorso 22 novembre e perdurata fino al 01 dicembre, che ha coinciso con la liberazione di 100 ostaggi israeliani.
In aggiunta, bisogna tenere in considerazione il ruolo pivotale che l’Egitto può assumere sia con parte israeliana che con Hamas: col primo, è merito di Camp David42, di fatto, l’Egitto è stato il primo paese del mondo arabo a stabilire relazioni diplomatiche con Israele, portando a compimento la normalizzazione fra due paesi caratterizzati da rapporti conflittuali dal 1948. Dunque, gli accordi di Camp David hanno avuto conseguenze proficue per i belligeranti, favorendone la cooperazione in diversi campi: ad esempio, sul Sinai l’Egitto s’è avvalso anche della controparte israeliana per poter tenere la regione sotto controllo.
La possibilità di controllare i passaggi di gruppi terroristici sul Sinai ed i rapporti economici ed energetici fra i due partners fanno sì che l’Egitto sia stato in grado di mediare tra Israele e Hamas più volte.
Quest’ultimo, essendo geminato dalla Fratellanza Musulmana, si rivela come maggiore nemesi di al-Sisi e dell’Egitto. Ciononostante, l’Egitto è riuscito a creare un disgelo nei confronti del movimento islamico: nel 2015, il paese ha annullato la precedente decisione di considerare Hamas un’organizzazione terroristica.
Dinnanzi alla ripresa delle ostilità fra i belligeranti è bene evidenziare la tragedia palestinese: dalle immagini dei civili spogliati e deportati dal nord di Gaza dall’IDF43, fino al bilancio di oltre 18.000 vittime. Il tutto si consuma dinnanzi agli occhi del mondo, che in sede di Consiglio di Sicurezza vede gli USA sprezzanti e ciechi dinnanzi alle sofferenze ormai lapalissiane dei gazawi. Al comportamento americano, si contrappone nuovamente l’azione diplomatica egiziana44che il 15 dicembre ha presentato in Assemblea Generale la risoluzione, poi approvata con ben 153 paesi favorevoli45, per il cessate il fuoco umanitario immediato ed il rilascio degli ostaggi israeliani.
Quindi, l’Egitto si trova ad avere differenti difficoltà interne e le elezioni presidenziali alle porte non permettono ad Al-Sisi di fare mosse non calcolate: nonostante i successi della tregua umanitaria, al-Sisi rischia di pagare il prezzo del conflitto a causa di un eventuale afflusso di profughi palestinesi, la crisi economica in corso ed alla gestione mediatica di un rifiuto all’accoglienza. Permane, infine, anche il rischio sulla stabilità dei flussi energetici, nonostante le importazioni di gas israeliano siano recentemente ripartite46.
Tuttavia, i fattori qui analizzati rivelano come l’Egitto possa continuare ad essere un forte mediatore fra i belligeranti47.
NOTE AL TESTO
1 Francesco Betrò, Una marea umana a Londra per il popolo palestinese, ANSA https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/11/11/una-marea-umana-a-londra-per-il-popolo-palestinese_b31b800f-d01f-4daa-86d4-525e5c5244d2.html
2 World Zionist Organization https://www.wzo.org.il
3 Zena Al Tahhan, More than a century on: The Balfour Declaration explained, Aljazeera https://www.aljazeera.com/features/2018/11/2/more-than-a-century-on-the-balfour-declaration-explained
4 Fenomeno conosciuto come “Aliyah Bet”: “aliyah” (“ascesa”) si riferisce all’immigrazione in Israele, mentre “bet” implica qualcosa di non ufficiale o segreto, https://encyclopedia.ushmm.org/content/en/article/aliyah-bet .
5 Approvata il 29 novembre 1947, prevedeva la fine del Mandato sulla Palestina, l’evacuazione delle forze armate della Potenza mandataria entro il 1° agosto 1948, la costituzione di due Stati indipendenti, uno arabo e uno ebraico, e di un regime internazionale speciale per Gerusalemme. Israele accettò solo un punto della risoluzione (la costituzione dello stato ebraico), sebbene ancora oggi molti sionisti sostengano la narrazione secondo cui gli ebrei fossero favorevoli a tutti i punti e che la mancata attuazione della Ris. vada ricercata nella contestazione araba, https://digitallibrary.un.org/record/210008?ln=en .
6 In arabo, “catastrofe”.
7 L. Guazzone, Storia contemporanea del mondo arabo, i paesi arabi dall’impero ottomano ad oggi, Mondadori, 2016.
8 Michele Giorgio, La verità sulla Nabka, Il Manifesto https://ilmanifesto.it/la-verita-sulla-nakba .
9 G.A. Nasser, Congres international des parlementaires, Le Caire.
10 C. Brillanti, Nasser e il conflitto arabo-israeliano in “Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente”, Anno 64, No. 1/2 (Marzo-Giugno 2009), pp. 70-103.
11 Stretto di Tiran e il golfo di ‛Aqab.
12 Israele adottò diverse contromisure, dai nuovi insediamenti alle espulsioni dei presunti clandestini, ma la risposta fu principalmente militare e assunse la connotazione della rappresaglia oltre confine, che dopo l’opera zione del 14 ottobre 1953 nel villaggio di Qibya arrivò ad estendersi dagli obiettivi civili a quelli militari. Cfr, C. Brillanti, op. cit.
13 F. Cammarano, G. Guazzaloca e M. S. Piretti, Storia contemporanea, dal XIX al XXI secolo, Mondadori, 2015.
14 OLP – in arabo منظمة التحرير الفلسطينية, venne fondata a Gerusalemme con l’obiettivo di «liberare la Palestina» attraverso la lotta armata. Si dotò di una struttura politica e nel 1964 l’OLP si dotò di uno statuto e di una Carta Nazionale. Nel 1993, il presidente dell’OLP Yasser Arafat ha politicamente riconosciuto lo Stato di Israele in una lettera ufficiale al suo primo ministro Yitzhak Rabin, come conseguenza degli accordi di Oslo, che portarono alla nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese.
15 Gaza, fra cui la striscia, Cisgiordania e Gerusalemme Est.
16 L. Guazzone, Storia Contemporanea del mondo arabo, I paesi arabi dall’impero ottomano ad oggi, Mondadori, 2016.
17 La risoluzione 338 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite venne approvata per auspicare un cessate il fuoco durante la guerra dello Yom Kippur, a seguito di una proposta congiunta di Stati Uniti d’America ed Unione Sovietica, https://peacemaker.un.org/sites/peacemaker.un.org/files/SCR338%281973%29.pdf
18 Nel 1977 la riapertura della Conf. Di G. fallì poiché l’Egitto aveva deciso di procedere con una trattativa separata con Israele, concretamente realizzatosi con gli accordi di Camp David.
19 Dall’arabo “scrollarsi di dosso”. In questo contesto, s’intende l’occupazione. Grandissima mobilitazione pacifica dal basso contro l’occupante israeliano.
20 Hossam el-Hamalawy, Egypt and the war in Palestine, https://africasacountry.com/2023/10/egypt-and-the-war-in-palestine
21 What is Hamas and why is it fighting with Israel in Gaza, BBC, https://www.bbc.com/news/world-middle-east-67039975 .
22 Articolo rivisto all’interno dello statuto, https://www.cesnur.org/2004/statuto_hamas.htm
23 Escalation Israele-Palestina: 12 grafici per capire come siamo arrivati fin qui, ISPI https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/escalation-israele-palestina-12-grafici-per-capire-come-siamo-arrivati-fin-qui-126406
24 Analysis: Why did Hamas attack now and what is next?, Aljazeera https://www.aljazeera.com/features/2023/10/11/analysis-why-did-hamas-attack-now-and-what-is-next
25 Francesca Albanese, Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967, Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967 | OHCHR
26 https://www.orizzontipolitici.it/il-conflitto-israelo-palestinese/
27 Bombe sull’ospedale al-Shifa di Gaza. Il direttore: “Hamas non è qui”, Euronews https://it.euronews.com/2023/11/10/bombe-sullospedale-al-shifa-di-gaza-il-direttore-hamas-non-e-qui
28 Five Questions and Answers on Israel’s Use of White Phosphorus in Gaza and Lebanon, Human Rights Watch.
29 https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Documents/Precorso_Diritto_Umanitario.pdf
30 To kill a family: The loss of Wael Dahdouh’s family to an Israeli bomb, Aljazeera https://www.aljazeera.com/news/2023/11/1/to-kill-a-family-the-loss-of-wael-dahdouhs-family-to-israeli-bombs
31 Alarm as Israel again hits Rafah border crossing between Gaza and Egypt, Aljazeera.
32 US in talks to open Rafah border crossing to foreigners: US official, Barrons https://www.barrons.com/news/us-in-talks-to-open-gaza-s-rafah-border-crossing-to-foreigners-us-official-5d1d2472#:~:text=sct%2Fth%2Fhmn-,US%20In%20Talks%20To%20Open%20Gaza%27s%20Rafah%20Border%20Crossing%20To,readies%20an%20expected%20major%20offensive.
33 Israel Allows Water Into Gaza Strip via the Rafah Crossing, but No Fuel nor Food, Haaretz https://www.haaretz.com/israel-news/2023-10-16/ty-article/.premium/israel-allows-water-into-gaza-strip-via-the-rafah-crossing-but-no-fuel-nor-food/0000018b-3809-dd09-a1bf-3aa96cd70000
34 Randa Ghazy for TPI, https://www.instagram.com/reel/Cy6PBW-tozm/?utm_source=ig_web_copy_link&igshid=ZTcxMWMzOWQ1OA==
35First Convoy of Aid Enters Gaza Through Rafah Crossing, https://www.nytimes.com/video/world/middleeast/100000009143835/aid-gaza-rafah-crossing-egypt.html
36 La tregua è finita. “Hamas ha violato i patti”. Volantini israeliani a Gaza: “Spostatevi verso Rafah”, https://www.huffingtonpost.it/esteri/2023/12/01/news/guerra_gaza_israele_hamas_fine_tregua-14374299/
37 Al-Sisi, garante di Israele, teme la miccia palestinese, Il manifesto https://ilmanifesto.it/al-sisi-garante-di-israele-teme-la-miccia-palestinese
38 La monarchia Giordana, terrorizzata da un possibile colpo di Stato ed instabilità, diede vita all’aggressione nei campi profughi ad Amman, portando all’uccisione di tantissimi palestinesi. Dopodiché, l’organizzazione per la liberazione della Palestina ha lasciato il territorio per confluire in Libano – questo perché l’OLP guidava degli attacchi direttamente dal territorio giordano.
39ilsole24ore.com/art/chi-era-saleh-al-arouri-capo-hamas-ucciso-beirut-AFuhykDC
40 https://www.fanpage.it/esteri/cosa-prevede-la-bozza-di-accordo-tra-hamas-e-israele-per-una-nuova-tregua-della-guerra/
41 Hamas releases two women held hostage after Egyptian-Qatari diplomacy, Aljazeera https://www.aljazeera.com/news/2023/10/23/hamas-releases-two-women-held-hostage-after-egyptian-qatari-diplomacy
42 Il ruolo dell’Egitto, ISPI https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/escalation-israele-hamas-commenti-dagli-esperti-154458
43 Giovani Palestinesi d’Italia, https://www.instagram.com/reel/C0qpeMusutW/?utm_source=ig_web_copy_link&igshid=ZTcxMWMzOWQ1OA==
44 Gaza: approvata risoluzione per cessate il fuoco all’Assemblea Generale Onu, VNY https://lavocedinewyork.com/onu/2023/12/12/risoluzione-per-gaza-la-commedia-si-replica-allassemblea-generale-onu/
45 UN General Assembly votes overwhelmingly in favour of Gaza ceasefire, Aljazeera https://www.aljazeera.com/news/2023/12/12/un-general-assembly-votes-overwhelmingly-in-favour-of-gaza-ceasefire
46 L’ombra di Gaza sul terzo mandato di al-Sisi, ISPI https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/escalation-israele-hamas-commenti-dagli-esperti-154458
47Il ruolo dell’Egitto nella crisi di Gaza – Sarah Daoud (orientxxi.info)
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