di Federico Giusti
Con un decreto, il governo ha prorogato fino al 31 dicembre 2024 l’autorizzazione all’invio di armi all’Ucraina senza passaggi parlamentari. In un contesto di crescente militarizzazione, la democrazia e la trasparenza sono sacrificate per interessi economici e strategici, mentre la popolazione rimane in larga parte ignara di questa deriva neo-autoritaria.
Partiamo dalla Gazzetta ufficiale del 21 dicembre 2023 ove è pubblicato il decreto-legge n. 200 del 2023 (A.S. 974) che proroga al 31 dicembre 2024, l’autorizzazione all’invio di armi all’Ucraina:
«È prorogata, fino al 31 dicembre 2024, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina».
Una sorta di proroga automatica senza alcun passaggio Parlamentare, del resto oggi un deputato o un senatore della Repubblica non può accedere alle basi militari per accertarsi della eventuale presenza di armi nucleari al suo interno, siamo davanti a luoghi sui quali anche la cosiddetta sovranità nazionale è di fatto sospesa.
Dopo anni di mancate discussioni e di proroghe automatiche siamo arrivati al punto che numerose decisioni in materia militare sono ormai sottratte al dibattito parlamentare bypassando anche gli enti locali nel caso in cui si parli di basi militari e di utilizzo del territorio per il trasporto di sistemi d’arma.
Del resto molti capitoli di bilancio concorrono alla spesa militare complessiva e non sono afferenti al solo Ministero della Difesa, quando viene calcolata la spesa bellica si continua a sostenere che l’obiettivo da raggiungere è il 2% del PIL come la Nato invoca dal 2014. Ma guardando a tutti i capitoli di bilancio si capisce che la spesa militare reale è assai superiore a quella dichiarata e vale non solo per l’Italia ma per altri paesi ad esempio gli Usa come si apprende da un articolo, disponibile anche in lingua italiana, pubblicato su una importante rivista della sinistra statunitense.
Il rinnovo automatico del rifornimento di armi è ormai una prassi consolidata come del resto la conferma annuale delle missioni militari all’estero (per le quali la spesa è stabile o in lieve incremento), quando poi ci si imbatte in un dibattito parlamentare non sono mai presi in esame i mutevoli scenari politici ed internazionali, la presenza nelle aree interessate di conflitti armati non solo dalla vendita di armi ma anche dalla volontà delle multinazionali di accaparrarsi il controllo dei prodotti energetici e del sottosuolo, specie quelli vitali per la riconversione green.
A guidare l’operato dei vari Governi occidentali restano accordi commerciali e interessi economici e militari con il settore bellico divenuto strategico proprio l’alta reddittività e le tecnologie dual use.
Il rapporto tra approvigionamento energetico e ricorso alla guerra è divenuto dirimente e lo sarà in misura crescente nei prossimi mesi o anni.
La Commissione europea si prefigge l’ambizioso obiettivo di coordinare e potenziare la filiera della produzione energetica comunitaria sotto una unica regia per sviluppare il potenziale economico latente. A questo discorso però va ricollegata anche l’idea di avere un esercito europeo (da qui nasceva il documento strategico denominato la Bussola Europea) per intervenire ovunque siano minacciati gli interessi economici delle multinazionali occidentali, nazionali e comunitarie: un interventismo bellico indispensabile per depredare terre e popoli delle loro risorse del sottosuolo e per attenuare eventuali rischi e pericoli per le catene di approvvigionamento (energetiche e commerciali).
Non è un caso se, tra gli investimenti che garantiscono un ritorno maggiore, oltre a quelli nei settori a più alto tasso tecnologico in generale vi siano quelli nelle tecnologie dual use ( prodotti a uso civile che possano essere utilizzati anche in ambito militare.) e nel settore militare. L’intervento del Governo italiano per semplificare le procedure (o meglio ridurre i controlli ) di importazione, esportazione e transito sul territorio nazionale di armi non è stato un fulmine a ciel sereno, parliamo della modifica della L. 185/1990:che consentirà all’Italia la vendita di armi anche a paesi in guerra e colpevoli di violare i diritti umani come in buona parte accade già da tempo. Ma la novità dirimente arriva dal ridimensionamento dell’ Uama ossia l’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento se i sistemi di arma saranno in parte o in toto finanziati con fondi europei.
Proprio in questi giorni il ministro della Difesa Crosetto ha chiesto alle commissioni Difesa del Parlamento alcuni programmi di riamo per l’acquisto di droni armati di produzione italiana e di batterie lanciamissili ATACMS di produzione americana invocando la difesa del territorio nazionale.
Il sistematico ricorso alla guerra e alla militarizzazione avviene in una fase storica nella quale l’opinione pubblica risulta sempre più contraria all’invio delle armi, stando ai sondaggi meno del 30% dei cittadini italiani si dichiara favorevole al sostegno dell’Ucraina e ancora meno sono schierati a favore di Israele.
Poco prima di Natale è arrivato l’“Ottavo pacchetto” di invio di materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina senza alcun dibattito in Parlamento ma solo con una semplice comunicazione del ministro Crosetto alle Camere.
Sulle armi all’Ucraina ci sono numerosi dubbi provenienti anche da settori politici non certo vicini a noi, ad esempio il portale Analisi Difesa in un articolo di cui riportiamo il seguente passaggio:
Secondo il rapporto dell’Ufficio dell’ispettore generale del dipartimento della Difesa, è stato perso il controllo del 59% degli 1,7 miliardi di dollari in equipaggiamenti militari di cui gli Stati Uniti dovevano monitorare la consegna e l’impiego. Sono mancate “misure appropriate per monitorare la consegna delle forniture”, che includono missili, droni e visori notturni per le armi in dotazione ai militari ucraini.
La prassi del Governo Meloni non è nuova nel panorama politico italiano tanto che i governi precedenti si sono mossi in maniera analoga accampando motivazioni di interesse nazionale ed internazionale.
La sospensione della democrazia, della partecipazione attiva dei cittadini e dei loro rappresentanti alle decisioni più importanti è ormai una prassi consolidata destinata a diventare regola e non eccezione. Ecco spiegata la ragione per la quale ogni decisione in materia militare deve diventare un interesse strategico da salvaguardare ad ogni costo anche a discapito del mero diritto alla informazione, alla critica e al controllo democratico.
Per favorire questi processi neo autoritari la militarizzazione delle scuole e dell’università diventa dirimente e non solo per ragioni economiche ma per costruire un modello sociale nel quale il ricorso alla guerra e alla militarizzazione sia costante, condiviso e ovviamente avvolto nel silenzio con una cittadinanza passiva, disattenta e sostanzialmente ignara dei fatti reali, ovviamente in linea con il fatidico, si fa per dire, motto Mussoliniano: credere, obbedire e combattere.
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