L’UE e l’Africa: Nuove Frontiere per una Cooperazione Energetica Sostenibile

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di Alberto Scopetta

Questo articolo fa parte del focus “L’Unione europea e le risorse africane: competizione globale e prospettive regionali” di Alberto Scopetta.

Da ormai diversi anni il tema della sicurezza energetica è diventato argomento di rilievo dell’agenda europea. Nel 2021 i Paesi dell’Unione Europea hanno registrato complessivamente un consumo energetico pari a 39.351 petajoule, cifra che difficilmente potrà diminuire nei prossimi anni.

UE: Unione Energetica

Da ormai diversi anni il tema della sicurezza energetica è diventato argomento di rilievo dell’agenda europea. Nel 2021 i Paesi dell’Unione Europea hanno registrato complessivamente un consumo energetico pari a 39.351 petajoule, cifra che difficilmente potrà diminuire nei prossimi anni.

Al fine di poter garantire una capacità energetica ottimale e sostenibile all’interno del continente, nel 2015, a livello comunitario è stata concordata la Energy Union, un ambizioso piano strategico che si proiettava nei seguenti cinque punti, divenuti i cardini delle politiche europee in materia di sicurezza energetica e sostenibilità delle fonti energetiche:

• Diversificare le fonti di energia in Europa, garantendo la sicurezza energetica attraverso la solidarietà e la cooperazione tra i paesi dell’UE;

• Assicurare il funzionamento di un mercato energetico interno completamente integrato, consentendo la libera circolazione dell’energia nell’UE tramite infrastrutture adeguate e senza ostacoli tecnici o regolamentari;

Migliorare l’efficienza energetica e ridurre la dipendenza dalle importazioni energetiche, riducendo le emissioni e promuovendo la creazione di posti di lavoro e la crescita economica;

• Decarbonizzare l’economia e avanzare verso un’economia a basse emissioni di carbonio in linea con l’Accordo di Parigi;

• Promuovere la ricerca sulle tecnologie a basse emissioni di carbonio e pulite e dare priorità alla ricerca e all’innovazione per guidare la transizione energetica e migliorare la competitività.

Tuttavia, l’art. 194 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea stabilisce che la giurisdizione europea “non deve influire sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni per lo sfruttamento delle sue risorse energetiche, la sua scelta tra diverse fonti di energia e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico”. Questa libertà di spazio concessa ai Paesi membri ha di fatto reso estremamente complesso il progetto di unione dell’energia, che, a distanza di otto anni, trova ancora troppe complicazioni nel suo dispiegamento per poter essere effettivamente vincolante per tutti i Paesi ed efficace per l’intera Unione.

Il conflitto russo-ucraino e le ricadute sulla dipendenza energetica

I dati di Eurostat del 2021 ci propongono un quadro completo della dipendenza energetica dei Paesi europei: il 91.7% del petrolio e dei prodotti petroliferi e l’83.4% del gas naturale consumati è stato coperto da importazioni.

Cifre significativamente minori riguardano l’importazione dei combustibili fossili (37.5%), a seguito di un calo nella produzione e consumo all’interno dell’UE negli ultimi due decenni. Complessivamente, la percentuale di combustibili importati rispetto al totale consumato ha raggiunto il 55.5% (un aumento del +5.5% rispetto al 1990).

Questi dati ci aiutano a evidenziare le criticità della dipendenza energetica europea, in particolare di come eventuali conflitti regionali in cui sono coinvolti possibili partner energetici dell’UE possano seriamente minacciare la sicurezza energetica; la crisi russo-ucraina sfociata in conflitto aperto ha chiaramente dimostrato quanto questo pericolo possa essere tangibile e quanto, di conseguenza, possa minacciare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici del consesso comunitario.

Sanzionando pesantemente le importazioni di gas dalla Russia a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina, l’Unione Europea ha dovuto riconsiderare le proprie forniture energetiche. Il “divorzio” forzato da Mosca ha creato spazio sia per nuovi accordi con altri Paesi sia per nuovi sodalizi con partner già consolidati.

Sempre secondo i dati Eurostat, facendo un paragone tra il secondo trimestre del 2022 e del 2023, l’importazione dalla Russia di oli petroliferi (primo partner europeo) è calato dal 15.9% al 2.7% e per il gas naturale in stato gassoso (secondo partner dopo la Norvegia) dal 28.3% al 14.5%.

Argomento a parte le importazioni di GNL (gas naturale liquefatto) russo che, sebbene non abbiano subito sanzioni, sono calate del 2.8%. Tuttavia, secondo l’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis) i dati europei “nascondono” le statistiche nazionali di Spagna e Belgio, i quali hanno aumentato le loro importazioni di GNL dalla Russia del 50% nel 2023 rispetto all’anno precedente.

L’Unione Europea è riuscita in qualche modo nel breve tempo a diversificare fin quanto possibile l’import di risorse energetiche, grazie anche a nuovi accordi con diversi Paesi africani, principalmente Algeria, Nigeria, Egitto e Sudafrica. Il continente africano è, così, diventato uno spazio geopolitico alternativo alle risorse energetiche provenienti dalla grande Eurasia e dal Medio Oriente e da dove poter acquisire ciò che è necessario per supportare le esigenze e soddisfare il fabbisogno energetico europeo.

Questa partnership tra UE e Africa in realtà è riconducibile ad un più vasto progetto politico europeo.

Nel 2021, infatti, la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante dell’UE hanno lanciato congiuntamente l’ambizioso progetto Global Gateway, un piano strategico comprendente un cospicuo investimento di 300 miliardi di euro, destinato a promuovere iniziative sostenibili in tutto il mondo nel periodo 2021-2027.

La metà di questo significativo finanziamento è stata specificamente allocata per investimenti nel continente africano: il Global Gateway Africa – Europe Investment Package è un piano di investimenti da 150 miliardi di euro mirato a finanziare settori chiave dell’economia africana (sviluppo di servizi e infrastrutture energetiche, potenziamento dei servizi sanitari, oltre alla transizione digitale green). Queste iniziative sono state progettate per allinearsi agli obiettivi generali dell’Africa Agenda 2063 (l’equivalente africano del Green Deal europeo).

Risulta abbastanza chiaro l’intento di investire in Africa in funzione di una transizione green collettiva e collaborativa, ma con un risvolto geopolitico implicitamente significativo: la missione di riconquistare la fiducia dei Paesi del Sud del mondo, attraverso enormi finanziamenti, finalizzata a scongiurare qualsiasi futura crisi energetica all’interno del continente europeo nel lungo periodo. La vera sfida per l’Unione Europea sarà, però, quella di affrontare il contenzioso energetico africano e ritagliarsi (e probabilmente scontrarsi) uno spazio tra le sfere d’influenza delle grandi potenze mondiali emergenti, Cina, Russia e Turchia, presenti saldamente sul continente.

Tornando alle questioni energetiche, come si stanno muovendo i principali Paesi europei nel continente africano?

• La diversificazione energetica tedesca: il (possibile) ruolo chiave dell’Africa

La Germania è stata uno dei Paesi europei che più ha subito gli effetti collaterali delle sanzioni al gas russo. Nel 2021, l’import di gas naturale si attestava al 95% sul totale consumato, nel quale spiccava la Russia come partner primario (55% sul totale importato); contestualmente, il 59% di tutte le importazioni dalla Russia provenivano da greggio e gas naturale, per un valore pari a 19.4 miliardi di euro.

Di fronte al conflitto in Ucraina, la Germania ha cercato di accelerare il processo di diversificazione dei partner energetici. Parte del lavoro è stato commissionato alla Deutsche Gesellschaft für internationale Zusammenarbeit (Società tedesca per la cooperazione internazionale (GIZ)), su decisione del Ministero Federale dell’Economia e dell’Azione per il Clima della Germania (BMWK).

La GIZ ha supportato il Ministero nel consolidamento di partnership bilaterali con undici Paesi al fine di istituire dialoghi politici per la trasformazione sostenibile dei sistemi energetici, le relative questioni in materia di politica energetica e il coinvolgimento del settore privato per la progettazione e consulenza tecnica. Di questi undici Paesi, ben cinque sono africani: Algeria, Etiopia, Marocco, Sudafrica e Tunisia. I principali risultati sono stati ottenuti in Marocco, dove è stato ultimato il piano di sviluppo elettrico annunciato nel 2018 dal re Mohammed VI e finalizzato all’implemento delle fonti rinnovabili.

Inoltre, è stata supportata l’installazione di impianti solari e lo sviluppo della tecnologia “Power-to-x” (PtX), un processo che consente di immagazzinare l’elettricità in eccesso mediante diverse tecnologie. Nel resto dei Paesi africani, le discussioni tecniche legate al quadro economico e legale del mercato dell’energia non hanno condotto finora a risultati proficui.

Tuttavia, lo scorso ottobre il Cancelliere Olaf Scholz, nel corso della sua visita in Nigeria (secondo più grande partner commerciale della Germania nell’Africa subsahariana), ha dichiarato che “la Nigeria possiede la più grande fornitura di gas in Africa” e che “le aziende tedesche sono interessate alle forniture di gas della Nigeria e sono ansiose di collaborare con le aziende del gas nigeriane”.

Complessivamente, la Germania ha mosso piccoli passi all’interno dello scacchiere africano, territorio dove la competizione è molto alta, ma la propria sicurezza energetica potrebbe trovare riparo proprio nel continente del futuro.

• Il declino dell’influenza francese in Africa e l’energia come strumento di riconciliazione

Sebbene la Francia copra gran parte del consumo elettrico totale con la propria energia nucleare, il gas naturale svolge un ruolo chiave nel mix energetico nazionale.

Al 2021, la Norvegia rimane il principale fornitore della Francia (32% delle importazioni totali), seguita da Russia (22%), Algeria (8%) e Nigeria (7%). Anche qui, i Paesi africani confermano la loro rilevanza nel mercato del gas europeo, ma la situazione francese è ben diversa da quella tedesca.

Con il colpo di stato in Niger dello scorso luglio, è stata (ri)messa in forte discussione la visione di una Françafrique legata a doppio filo con l’Eliseo. La sfera d’influenza francese nell’Africa subsahariana e nordafricana, che nel corso degli ultimi due secoli ha determinato la struttura sociale, politica ed economica di diversi Paesi, è progressivamente sbiadita a partire dall’inizio del nuovo millennio, in un rinnovato scenario geopolitico totalmente trasformato dal potere economico cinese, dalla capacità militare russa e dalla influenza culturale turca, il tutto facilitato da un crescente sentimento antifrancese instillato nelle società africane.

Nonostante ciò, la Francia sta cercando di ristabilizzare le relazioni con le proprie ex-colonie, in particolare con il supporto della Agence Française de Développement (AFD). L’obiettivo è quello di supportare lo sviluppo di energie rinnovabili e reti elettriche, finanziando progetti in tutto il continente per un totale di quasi un miliardo di euro.

Nel report annuale del 2022, l’AFD presenta alcuni dei progetti più ambiziosi: in Senegal, il “Programma di Accesso Universale all’Elettrificazione” nelle regioni Matam e Ziguinchor assicurerà elettricità nelle case e nelle industrie, grazie ad una fitta rete di distribuzione di 267 mila connessioni; in Sudafrica, è stato finanziato per 300 milioni di euro la politica di transizione energetica del Paese; nel Benin, con il supporto dell’Unione Europa, è stata progettata una centrale solare da 25 MW, con lo scopo di ridurre sia la bolletta energetica sia la dipendenza dai combustibili fossili del Paese; in Guinea, il “Progetto di Riabilitazione ed Estensione della Rete Elettrica di Conakry (PRERTDC)” estenderà la ramificazione della rete elettrica nelle zone periferiche.

La Francia, similmente alla Germania, sostiene diversi progetti di sviluppo nel continente africano, ma il crescente sentimento antifrancese sta destabilizzando i rapporti con l’Africa, probabilmente ancora ferita e delusa dalla controversa politica estera francese post-coloniale.

• La geopolitica dell’energia: l’Italia come attore chiave nel Mediterraneo

Nel 2021, il 74.9% della disponibilità energetica italiana è stata importata, rendendo il Paese molto suscettibile alle variazioni di prezzo del mercato energetico.

Infatti, l’Italia, proprio come la Germania, ha particolarmente risentito dei tagli delle forniture di gas russo, partner principale che deteneva il 40% delle importazioni di gas nel 2021. Nello stesso anno però, il 30.8% della fornitura di gas proveniva dall’Algeria (seconda dopo la Russia), una quota talmente significativa che si è rivelata essere di estremo aiuto nel periodo di crisi energetica.

L’importanza di questa partnership strategica non solo è stata confermata, ma anche implementata nel 2022 durante il vertice intergovernativo di Algeri: l’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi dichiarò che l’Algeria era “diventato il primo fornitore di gas nel nostro Paese”, confermando “il nostro partenariato privilegiato nel settore energetico”, incentrato “nello sviluppo di fonti rinnovabili, in particolare dell’idrogeno verde e dell’energia solare, eolica e geotermica”.

Il vertice si concluse con la sottoscrizione di 15 accordi che garantiscono il sostegno italiano nel futuro sviluppo economico e sociale del Paese. Questo sodalizio con l’Algeria potrebbe essere uno dei pilastri del “Piano Mattei”, annunciato dall’attuale Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e in fase di pubblicazione.

Il progetto prende il nome dal visionario fondatore dell’ENI, Enrico Mattei, il quale riconobbe l’importanza di ricercare petrolio e gas al di fuori dei confini nazionali, affrontando a viso aperto il monopolio delle “sette sorelle” (così da lui soprannominato il cartello petrolifero gestito da sette compagnie britanniche, olandesi e americane). Fu capace di chiudere accordi in Nord Africa e Medio Oriente, raggiunse perfino lo Scià di Persia: in base all’intesa, Italia e Iran avrebbero costituito una società al 50%, con il 50% delle royalties destinato allo Stato iraniano e il restante 50% equamente diviso tra Eni e la National Iranian Oil Company (NIOC). Essendo la NIOC una società di Stato, l’Iran beneficiava del 75% dell’accordo, una situazione rivoluzionaria che venne vista come una sfida al ruolo egemone delle sette sorelle sul mercato. Mattei inventò le strategie di un win-win game che ancora oggi vediamo applicare dalle grandi potenze mondiali nei confronti di partner in via di sviluppo, specialmente negli accordi tra Cina e Paesi africani. Gli ottimi risultati conseguiti in breve tempo si vanificarono a seguito della morte in un incidente aereo, probabilmente architettato da coloro che si sentivano minacciati dal forte successo riscosso da Mattei.

Ma ritornando al piano d’azione odierno, è stata data qualche anticipazione in merito alla sua struttura nel corso del comunicato stampa del Consiglio dei Ministri dello scorso tre novembre:

Il “Piano Mattei”, di durata quadriennale, avrà l’obiettivo di potenziare le iniziative di collaborazione tra Italia e Stati del Continente africano, promuovere uno sviluppo economico e sociale sostenibile e duraturo di questi ultimi e prevenire le cause profonde delle migrazioni irregolari. Inoltre, rafforzerà il coordinamento delle iniziative pubbliche e private, anche finanziate o garantite dallo Stato italiano, rivolte a Stati del Continente africano.

In realtà, quanto dichiarato nel corso del comunicato stampa non aggiunge niente di nuovo rispetto a quanto compiuto fino ad oggi: l’ultimo rapporto dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) conferma la presenza italiana sul suolo nordafricano, con un finanziamento per il solo 2022 di circa 670 milioni di euro (di cui 107.2 europei) a favore dei territori della Tunisia, Libia, Marocco e Algeria.

Il primo dato sorprendente è che ben 540 milioni di euro (pari a circa l’80% dei fondi totali) sono stati stanziati per progetti in Tunisia, e solamente 12 milioni euro sono stati destinati all’Algeria (Paese che ricordiamo essere partner insostituibile nella fornitura di gas).

Il secondo dato di rilievo è che questi finanziamenti sono in larga parte incentrati sulla lotta alla disoccupazione giovanile, l’inflazione, l’instabilità politico-economica e lo sviluppo agroalimentare.

Solo l’1% degli investimenti in Tunisia e il 9% in Libia riguardano il settore energetico.

In Libia sono stati approvati due progetti di lavoro – “Sostenibilità Energetica per una Sanità Accessibile alla popolazione del Sud della Libia (SESA)” e “Energia pulita per un accesso ai servizi di base sostenibile”) i quali non hanno ancora avuto modo di concretizzarsi.

L’Italia vuole dunque rilanciare la propria politica estera in una zona d’Africa molto delicata, sensibile ai conflitti sia interni sia tra Paesi vicini. La stessa zona d’Africa dove l’Italia storicamente non ha mai avuto modo di relazionarsi serenamente, partendo dalle impietose campagne colonialiste della prima meta del XX secolo, fino alla più recente partecipazione all’intervento militare internazionale in Libia nel 2011. Per non dimenticare quanto accaduto nel 2016, con la grave crisi nelle relazioni tra Italia ed Egitto a seguito della morte del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni.

La volontà di ergersi ad attore geopolitico è motivata principalmente dalla ricerca di forniture energetiche alternative che possano elevare il Paese in una posizione eminente nello scenario europeo, da qui nasce l’intenzione di diventare “hub europeo per l’approvvigionamento energetico”.

Ma su quali “strumenti” l’Italia può affidarsi effettivamente? Siamo sicuri di avere le capacità infrastrutturali per poter sostenere il carico di energia europeo? I nostri porti, le nostre reti di trasporto di gas e petrolio sono sufficienti per poter stabilire un vero e proprio hub energetico? La nostra diplomazia è capace di poter creare una sfera d’influenza nel Maghreb? Un buon punto di partenza sarebbe confermare l’efficienza delle nostre infrastrutture in funzione di quelle estere e consolidare i rapporti diplomatici in meccanismi simili a quelli delle recenti relazioni italo-algerine (una collaborazione che non deve assumere dinamiche clientelari, ma si proietti verso un supporto reciproco, interdipendente e trasversale, con particolare attenzione alle dinamiche sociali oltre che quelle economico-finanziarie).

• Verso una nuova partnership energetica: L’UE e l’Africa nel contesto globale

L’Unione Europea vuole essere la protagonista nella trasformazione green del continente africano, ma allo stesso modo vuole assicurarsi una fetta delle risorse energetiche presenti. Ciò è stato ribadito in un documento pubblicato dal Parlamento Europeo, il quale spiega che le nuove relazioni UE-Africa devono essere volte al multilateralismo, all’insegna di una cooperativa trasformazione digitale, economica e sociale, al reciproco sostegno della pace e governance.

Tuttavia, viene riconosciuta l’alta “concorrenza geopolitica”: Cina, Russia, Turchia, India e Regno Unito sono considerati i principali competitor nel continente.

Secondo uno studio di Marco Giuli & Sebastian Oberthür (Assessing the EU’s Evolving Position in Energy Geopolitics under Decarbonisation, The International Spectator, 2023), l’UE manca di una di una politica industriale capace di fare la differenza, in confronto alle grandi potenze mondiali del calibro di Cina e Stati Uniti. Inoltre, il rinnovamento delle proprie partnership energetiche dev’essere affermato con Paesi democratici che non possano strumentalizzare politicamente la dipendenza energetica dell’Unione, garantendo una robusta sicurezza energetica:

“La questione se la dipendenza esterna e la sua concentrazione siano politicamente problematiche dipende inoltre dalla qualità del partenariato (Månsson et al., 2014). La qualità della relazione più ampia con l’UE è probabile che influenzi la volontà e la capacità dei fornitori importanti di sfruttare e strumentalizzare l’interdipendenza asimmetrica. Suggeriamo che tre aspetti meritino particolare attenzione in questo contesto. In primo luogo, il livello di istituzionalizzazione della relazione generale dell’UE con i principali fornitori dovrebbe plasmare il rischio geopolitico insito nella dipendenza energetica: un’istituzionalizzazione densa o addirittura gerarchica della relazione potrebbe limitare la capacità del fornitore di strumentalizzare politicamente la dipendenza energetica esterna. In secondo luogo, la natura dei sistemi politici dei principali paesi fornitori è probabile che abbia importanza. Pertanto, i paesi autoritari potrebbero essere più inclini dei sistemi democratici a strumentalizzare politicamente la dipendenza energetica dell’UE, poiché hanno un maggiore controllo politico della loro economia (Charokopos e Dagoumas, 2018) e sono più inclini a avere una relazione politica tesa con l’UE, un sistema democratico che valorizza lo stato di diritto. In terzo luogo, ci si può aspettare che la capacità dei grandi fornitori di strumentalizzare l’interdipendenza energetica varii con la distribuzione più generale delle risorse economiche indicate dalle dimensioni del mercato. In particolare, l’UE potrebbe sfruttare le sue dimensioni di mercato per bilanciare qualsiasi interdipendenza asimmetrica nel settore energetico (Damro, 2012).”

L’idea di una seconda “interdipendenza asimmetrica”, dopo quella russa, non deve assolutamente prevalere nel futuro mix energetico europeo. Sarà dunque necessario, oltre che finanziare progetti infrastrutturali, concordare prezzi sull’energia stabili e politiche energetiche che possano garantire una lineare transizione energetica. E chissà, magari raggiungere quell’idilliaco Net Zero (il completo annullamento delle emissioni di diossido di carbonio legate all’energia entro il 2050).

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