di Giulio Chinappi
L’Italia abbandona la Belt and Road Initiative cinese, ignorando i benefici economici e diplomatici. La decisione solleva preoccupazioni sulla relazione tra Italia e Cina, danneggiando l’immagine internazionale dell’Italia e l’economia nazionale.
L’Italia, sotto la guida del governo di Giorgia Meloni, ha recentemente deciso di ritirarsi dalla Belt and Road Initiative (BRI), una decisione che palesa il servilismo dell’attuale esecutivo sedicente sovranista nei confronti degli Stati Uniti, oltre alla sua inadeguatezza nel decidere le strategie di politica estera da portare avanti per il bene del Paese. La mossa, annunciata ufficialmente in questi giorni, era nell’aria da tempo, ed è dovuta unicamente al desiderio di compiacere gli Stati Uniti, a discapito dei benefici economici e strategici derivanti dalla collaborazione con la Cina.
La Belt and Road Initiative, proposta dal presidente cinese Xi Jinping dieci anni fa, è un ambizioso progetto di cooperazione internazionale che mira a collegare diverse regioni del mondo attraverso una rete di corridoi economici, rotte di trasporto internazionali e un’autostrada dell’informazione. L’iniziativa ha coinvolto più di 150 Paesi e regioni, contribuendo a promuovere la pace, la cooperazione e la crescita inclusiva a livello globale. L’Italia era stata uno dei pochi Paesi europei ad aderirvi, prima che il governo Meloni decidesse di obbedire pedissequamente agli ordini di Washington.
L’annuncio del ritiro itali grano è stato accolto con il giusto grado di freddezza dal Ministero degli Esteri cinese, che ha dichiarato di opporsi fermamente a tentativi di denigrare e sabotare la cooperazione sotto la BRI. Il portavoce del Ministero, Wang Wenbin, ha sottolineato che la BRI è diventata un bene pubblico internazionale molto popolare e la più grande piattaforma per la cooperazione internazionale. Di fronte alla partecipazione dei Paesi più popolosi ed economicamente emergenti del mondo, il ritiro dell’Italia rappresenta un male minore per Pechino, mentre sarà proprio l’economia italiana, già danneggiata dalle scellerate sanzioni antirusse, a pagarne le conseguenze peggiori.
Come sottolineato dallo stesso Wang, la BRI ha portato benefici ad oltre 150 Paesi e regioni negli ultimi 10 anni, diventando un punto di riferimento per la collaborazione internazionale. La terza edizione del Forum per la Cooperazione Internazionale della Belt and Road, tenutasi a ottobre a Pechino, ha visto la partecipazione di 151 Paesi, compresa l’Italia, che ora ha deciso di voltare le spalle a questa opportunità di collaborazione globale.
Michele Geraci, ex sottosegretario di Stato presso il Ministero dello Sviluppo Economico italiano e principale architetto dell’adesione italiana alla BRI nel 2019, ha espresso preoccupazione per questa decisione, ancor prima che diventasse ufficiale. In un’intervista esclusiva con il Global Times tenuta ad ottobre, Geraci ha sottolineato che il ritiro dall’iniziativa danneggerebbe gravemente le relazioni tra Italia e Cina. Ha previsto che le imprese italiane, in particolare, ne subiranno le conseguenze, poiché la BRI continuerà a prosperare anche senza l’Italia, grazie alla partecipazione della maggioranza della comunità internazionale.
In quella stessa occasione, Geraci ha anche respinto le critiche secondo cui l’Italia non ha tratto sufficienti benefici economici dalla partecipazione alla BRI. L’ex sottosegretario ha chiarito che l’accordo rappresentava un’opportunità gratuita per l’Italia, senza obblighi o impegni vincolanti. Nonostante i benefici non siano stati immediatamente evidenti a causa di eventi globali come la pandemia di COVID-19 e il conflitto tra Russia e Ucraina, Geraci ha evidenziato che, in seguito all’adesione alla BRI, le esportazioni italiane in Cina sono cresciute, superando quelle di Francia e Germania, che invece non facevano parte dell’iniziativa. Quali conseguenze subiranno dunque le imprese italiane che avevano goduto di tali benefici?
Inoltre, Geraci ha sottolineato l’importanza dell’immagine positiva dell’Italia agli occhi del governo cinese e dei consumatori cinesi, benefici che potrebbero essere compromessi in caso di ritiro dall’iniziativa. Ha inoltre citato accordi immediati, come quello con l’agenzia di viaggi Ctrip per aumentare il flusso di turisti cinesi in Italia, come risultati tangibili della collaborazione. Da notare, inoltre, che in cambio la Cina aveva promosso l’anno scorso un’esenzione dal visto per i turisti italiani.
La decisione dell’Italia di abbandonare la BRI non solo appare insensata dal punto di vista economico e strategico, ma giunge proprio nel momento in cui l’iniziativa cinese sta guadagnando sempre più fiducia nel resto del mondo, come dimostra l’ampia partecipazione al Forum di Pechino, al quale hanno preso parte numerosi capi di Stato e di governo. I 150 Paesi aderenti alla Belt and Road Initiative rappresentano oggi oltre il 70% della popolazione mondiale e la metà del PIL planetario, mentre l’Italia ha deciso di restare arroccata sulle posizioni dell’imperialismo statunitense, che vive una fase di netto declino e di delegittimazione agli occhi del mondo non-occidentale.
La mossa italiana sembra dunque contraddire la tendenza generale verso la cooperazione multilaterale e lo sviluppo condiviso, evidenziata dalla visione della Cina di costruire una comunità umana con un futuro condiviso. Mentre la Belt and Road Initiative si evolve e continua a dimostrare il suo potenziale, la decisione dell’Italia di abbandonarla appare come un passo indietro nella costruzione di un mondo aperto, inclusivo e interconnesso, dal quale evidentemente il governo Meloni vuole restare escluso, pur di dimostrare il proprio servilismo al padrone statunitense.
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