di Giulio Chinappi
Da sempre tutelata dalle critiche dei media e dei governi occidentali, l’Arabia Saudita sta diventando un bersaglio sempre più frequente in seguito al riallineamento della sua politica estera verso il multipolarismo.
C’era un tempo in cui l’Arabia Saudita era considerata, subito dopo Israele, come l’alleato più affidabile degli Stati Uniti nella regione mediorientale. Per decenni, Washington ha potuto contare sull’appoggio di Riyadh nelle sue scorribande imperialiste in quella regione del mondo, e in cambio la stampa e i governi occidentali si sono impegnati a chiudere tutti e due gli occhi di fronte alle politiche della monarchia wahhabita, una delle più oscurantiste del mondo. Ad esempio, l’Arabia Saudita è da sempre uno dei Paesi in cui meno vengono garantiti i diritti delle donne, ma la nostra stampa asservita era troppo impegnata a lanciare strali contro l’Iran per vederlo. I nostri governi sono stati persino in grado di soprassedere sul brutale omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, mentre sono sempre pronti a battersi il petto in difesa del primo blogger neonazista incarcerato in Russia.
Eppure, le cose stanno cambiando negli ultimi mesi, ovvero da quando Riyadh ha deciso di modificare la sua posizione in politica estera, da fedele alleato di Washington a Paese che promuove il multipolarismo, come dimostra il recente ingresso del Paese nei BRICS (che sarà ufficiale dal nuovo anno). A questo ha fatto da contraltare un continuo aumento delle critiche nei confronti del governo saudita, le cui nefandezze sembrano essere state scoperte solamente ieri dai pennivendoli prezzolati dell’imperialismo occidentale. E così, si viene a sapere proprio in questi giorni delle stragi di migranti etiopi fermati al confine con lo Yemen, come se rapporti di questo tipo non fossero mai stati pubblicati negli anni precedenti. Tra l’altro, il fatto che si parli solamente dei migranti provenienti dall’Etiopia, altro Paese appena entrato nei BRICS, sembra fatto appositamente per fomentare la discordia tra le parti.
La realtà è che l’Occidente sta prendendo tutte le misure necessarie per punire l’insubordinazione di Riyadh, che non solo ha osato entrare nei BRICS, ma in precedenza aveva dato vita ad altre iniziative che avevano fatto storcere il naso a Washington: l’accettazione dei pagamenti internazionali in Yuan, il ripristino delle relazioni bilaterali con l’Iran grazie alla mediazione della Cina, e l’acquisizione dello status di partner dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai sono solo alcune delle mosse effettuate dalla monarchia saudita negli ultimi tempi, che testimoniano un nuovo posizionamento del secondo produttore mondiale di petrolio sullo scacchiere internazionale.
In particolare, questi eventi testimoniano un progressivo avvicinamento tra Riyadh e Pechino, come dimostra la recente introduzione della lingua cinese quale materia di studio nelle scuole saudite. “L’apprendimento della lingua cinese sta attualmente registrando un aumento di popolarità tra le persone in Arabia Saudita, poiché molti di loro credono che potranno ottenere maggiori opportunità in futuro se sapranno parlare cinese”, ha riferito al Global Times Chen Ming, professore cinese che insegna alla King Saud University. Secondo una dichiarazione congiunta rilasciata dai due Paesi a dicembre, la Cina e l’Arabia Saudita hanno concordato di continuare a fare delle relazioni sino-saudite una priorità nelle rispettive relazioni estere, al fine di costruire un modello di solidarietà e cooperazione basato sui vantaggi reciproci tra i Paesi in via di sviluppo.
Se le relazioni basate sul settore energetico sono da tempo consolidate, ora la Cina e l’Arabia Saudita stanno dunque lavorando per espandere anche la cooperazione in altri campi. Nello scorso mese di giugno ha infatti avuto luogo la decima conferenza d’affari tra Cina e Arabia Saudita, che ha riunito oltre 3.500 funzionari e rappresentanti delle imprese dei due Paesi. Secondo quanto riportato dai media, sono stati firmati un totale di 30 accordi di investimento per un valore di 10 miliardi di dollari, che coprono un’ampia gamma di settori, tra cui tecnologia, energie rinnovabili, agricoltura, settore immobiliare, minerali, catene di approvvigionamento, turismo e sanità.
Tutto questo dimostra come il governo saudita abbia una visione a lungo termine volta a promuovere la differenziazione sia per quanto riguarda i Paesi partner, diminuendo progressivamente i legami con gli Stati Uniti e con l’Occidente in generale, che per quanto concerne le fonti delle proprie entrate, al fine di evitare di essere totalmente dipendente dal settore energetico. Questo chiaramente non piace agli Stati Uniti, che puntavano a mantenere il Paese mediorientale in uno stato di assoggettamento e di completa dipendenza economica dalle esportazioni di idrocarburi, il che lo avrebbe reso maggiormente controllabile.
Grazie alla mediazione cinese, Riyadh ha inoltre normalizzato le relazioni bilaterali con l’Iran, offrendo al Paese nuove possibilità dal punto di vista economico e commerciale, mentre continua ad incrementare gli scambi con la Russia. Proprio in questi giorni è stato inaugurato un corridoio di trasporto multimodale dall’Arabia Saudita verso la Russia, passando per l’Iran, cosa che sarebbe stata impossibile prima dello storico accordo tra i due Paesi musulmani. Una soluzione che non potrà che garantire maggiori successi nell’ambito dei BRICS e dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai, senza dimenticare che il corridoio fa parte di un più ampio progetto promosso sin dal 2000 da Russia, Iran e India, ma che oggi comprende ben quattordici Paesi della regione.
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