La nuova “sfida” alla Belt and Road cinese è una fantasia futile – RT World News

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di Timur Fomenko

L’Occidente ha tentato più volte di eclissare la grande rotta commerciale di Pechino, ma non riesce a trovare la volontà di farlo.

https://www.primanews.org/2023/09/the-new-challenge-to-chinas-belt-and-road-is-a-futile-fantasy-rt-world-news/
FONTE ARTICOLO

A margine del vertice del G20 del fine settimana, gli Stati Uniti e l’India hanno presentato proposte per quello che è stato definito il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC) con il sostegno di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Israele e Giordania, nonché dei funzionari dell’UE.

Il progetto, presentato come alternativa alla Belt and Road Initiative (BRI) cinese, mira a costruire una rotta commerciale che partando dall’India si muova verso l’Europa, passando attraverso la penisola arabica, Israele e, poi, il Mar Mediterraneo. 

Non sorprende che l’importanza del progetto sia stata gonfiata dalla stampa come “storica” e come una sfida “alla cieca” a Pechino che avrebbe condannato il progetto di mega-infrastrutture cinese.

Ma tali conclusioni sono per molte ragioni fuorvianti. 

In primo luogo, non tutti i partecipanti a questa nuova iniziativa sono apertamente contrari alla Cina e non vedono la sua realizzazione – come fanno gli Stati Uniti – come un gioco a somma zero. I paesi arabi, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania, non sono affatto anti-Pechino e, anzi, fanno parte essi stessi della BRI. Questi paesi, cercando di diversificare le loro economie dalla dipendenza dalle entrate petrolifere, stanno cercando nuove opzioni per consolidare la loro ricchezza e, quindi, corteggiare investimenti esteri su larga scala, anche dalla stessa Cina poiché intendono diventare il “crocevia” del mondo; per queste ragioni, non vedono un simile progetto attraverso la lente del contenimento della Cina o addirittura della rivalità geopolitica, ma piuttosto come la creazione di maggiori benefici per se stessi. Se l’Arabia Saudita riuscisse a far transitare merci cinesi e indiane attraverso il suo territorio, si tratterebbe di una doppia vittoria: non è mai stata una necessità che si trattasse di un accordo “o-o” per Riad.

In secondo luogo, parti di questa nuova rotta vengono cooptate dalla stessa Cina. Il porto di Haifa in Israele era, fino a poco tempo fa, in gran parte sotto il controllo della Cina (il gruppo indiano Adani ha acquisito il 70% della partecipazione a luglio), mentre il porto del Pireo ad Atene era controllato dalla compagnia di navigazione cinese Cosco.

Anche l’infrastruttura ferroviaria che collega la Grecia con l’Europa centrale fa parte della BRI. Sulla stessa rotta interessata dalla nuova iniziativa proposta, nell’Oceano Indiano esiste un altro porto commerciale di proprietà cinese: il porto di Gwadar in Pakistan, che fa parte del corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC).

Ciò significa che la Cina stessa può utilizzare più parti del percorso di trasporto proposto, e il progetto IMEC non indebolisce Pechino nella misura in cui viene rappresentato – e tutti i paesi cooptati ne sarebbero piuttosto felici.

In terzo luogo, questo progetto potrebbe finire nel crescente cimitero delle alternative alla BRI promesse e, poi, fallite, che arrivano al ritmo di circa una all’anno.

Non è passato molto tempo, infatti, da quando gli Stati Uniti e i loro alleati nel G7 lanciavano Build Back Better W (B3W), o Global Partnership for Infrastructure Investment, o Blue Dot Network. Nessuno di questi progetti ha quella sovrastruttura gerarchica coordinata dello Stato cinese che consente la cooperazione e l’implementazione dei progetti a un ritmo vertiginoso, né hanno le risorse finanziarie facilmente accessibili per decollare.

Se la Cina cercasse di costruire, ad esempio, una ferrovia ad alta velocità, il Partito Comunista potrebbe coordinare una banca per finanziarla, una compagnia ferroviaria per costruirla e una catena di approvvigionamento per rifornirla, il tutto in un unico movimento organizzato. Gli Stati Uniti non hanno il potere per farlo, a meno che, ovviamente, non si riduca alle spese militari e per la difesa, come il pozzo senza fondo degli aiuti all’Ucraina, e, quindi, non sono in grado di competere.

A Washington, tutte le altre spese fanno parte della battaglia politica senza fine del Congresso, dove ogni singolo centesimo non militare deve essere conquistato, con le unghie e con i denti, in un processo politico serio.

È per questo che le infrastrutture nazionali sono sempre più scadenti e, per usare l’esempio di cui sopra come confronto, le ferrovie americane ad alta velocità rimangono sottosviluppate – per definizione generosa – e inesistenti rispetto a quelle della Cina.

Infine, l’IMEC è progetto minuscolo rispetto a ciò che la BRI mira a raggiungere. Mentre l’IMEC vuole collegare il Medio Oriente al subcontinente indiano (il che avvantaggia anche la Cina), la BRI ha lavorato non solo su uno, ma su molteplici corridoi economici in tutto il pianeta. Ciò include il collegamento completo del continente eurasiatico attraverso enormi ferrovie che attraversano Russia, Asia centrale e Mongolia, rendendo possibile l’arrivo di un treno da Shanghai a Londra; ma anche la creazione di una nuova rotta verso il mare attraverso il Pakistan (CPEC), che collega il Sud-est asiatico via terra attraverso nuove ferrovie che attraversano il Laos e la Thailandia; nonché una rotta che attraversa l’Asia occidentale attraverso la Turchia e un’altra incursione nel subcontinente indiano con il corridoio Cina-Myanmar.

In conclusione, gli Stati Uniti hanno cercato disperatamente di rivaleggiare con la Belt and Road Initiative, ma non sono mai stati in grado di produrre nulla della stessa portata o visione, ignorando ripetutamente la realtà che le rotte infrastrutturali transcontinentali non sono “giochi a somma zero”, perché i loro risultati alla fine vanno a vantaggio di tutti, cosa che nella prospettiva della Cina è sempre stata al centro della stessa BRI, concepita come iniziativa “win-win”.

Nonostante ciò, ogni nuova “alternativa” di marca porta con sé lo stesso clamore, quello che vuole che “questa volta” il progetto cinese abbia incontrato il suo rivale di pari livello. No, in realtà non è così, ma grazie per aver creato una nuova rotta che nel frattempo le merci cinesi possono utilizzare.

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