Il servilismo di Pashinyan e la ripresa del conflitto in Nagorno-Karabakh

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di Giulio Chinappi

Le mosse del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, intento a passare sotto l’ala protettrice di Washington, non hanno fatto altro che favorire la ripresa delle ostilità in Nagorno-Karabakh.

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In carica dal maggio del 2018, l’attuale primo ministro armeno Nikol Pashinyan non ha certo vissuto anni facili alla guida del governo della repubblica caucasica. La sua leadership è stata messa spesso in discussione per via delle risposte inadeguate alla questione del Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena geograficamente situata all’interno del territorio dell’Azerbaigian, e de facto indipendente con il nome di Repubblica dell’Artsakh.

Le varie schermaglie che si sono verificate negli ultimi anni hanno dimostrato la chiara superiorità militare di Baku, che ha guadagnato progressivamente posizioni nei confronti dei territori della repubblica de facto indipendente, sostenuta militarmente dalla stessa Armenia. In pratica, in caso di guerra aperta tra Armenia e Azerbaigian non ci sono dubbi sul fatto che a uscirne vincitore sarebbe quest’ultimo, eventualità che fino ad ora è stata sempre evitata grazie al ruolo di mediatore svolto dalla Russia.

Mosca, che intrattiene rapporti sia con Erevan che con Baku, ha sempre cercato di favorire il mantenimento dello status quo, soprattutto in questo momento in cui l’esercito russo ha ben altre gatte da pelare sul confine occidentale. Di conseguenza, la mediazione russa ha permesso in diverse occasioni il cessate il fuoco, limitando per quanto possibile le perdite armene, che certamente sarebbero risultate ingenti in caso di assenza del contingente di pace inviato da Mosca.

Sebbene dal punto di vista storico ed etnico non vi sono dubbi sul fatto che il Nagorno-Karabakh sia una regione armena, Pashinyan sembrava intenzionato ad accettare una perdita parziale di quei territori, fatto che tuttavia gli ha attirato non poche critiche in patria. Di conseguenza, il primo ministro armeno, che già in precedenza aveva dimostrato di tentennare, ha deciso di voltare di fatto le spalle a Mosca, avvicinandosi sempre più a Washington, che invece in passato aveva sempre preferito il sostegno all’Azerbaigian, Paese strategico per la produzione e il trasporto di idrocarburi.

In pratica, la mossa di Pashinyan ha aperto le porte alla ripresa del conflitto con Baku che stiamo vivendo in questi giorni. Il primo ministro armeno spera inutilmente che gli Stati Uniti gli diano una mano per riconquistare i territori perduti in Nagorno-Karabakh, ma in realtà è Washington ad usarlo come un burattino per i propri fini, in particolare il provocare continui focolai di tensione ai confini russi. Potremmo gramscianamente dire che Pashinyan sta facendo la figura dell’utile idiota dell’imperialismo statunitense, che certo non esiterà a sacrificarlo quando non sarà più utile.

Da questo punto di vista non deve sorprendere il fatto che gli Stati Uniti si sono immediatamente schierati dalla parte di Erevan, condannando l’operazione militare condotta dall’esercito azerbaigiano in Nagorno-Karabakh, ufficialmente sotto la denominazione di operazione antiterrorismo. Al contrario, la Russia ha mantenuto una posizione più equilibrata, dimostrando la sua intenzione di far cessare le ostilità il prima possibile. “Siamo profondamente turbati dall’escalation delle tensioni nel Nagorno-Karabakh“, ha affermato Marija Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri russo. “La Russia esorta le parti in conflitto a smettere di spargere sangue e a porre immediatamente fine alle ostilità per ritornare sulla via della soluzione politica e diplomatica“, ha aggiunto. Mosca, in particolare, chiede che le parti rispettino gli accordi trilaterali firmati dai leader di Russia, Azerbaigian e Armenia nel periodo 2020-2022.

Con la sua mossa di rivolgersi agli Stati Uniti, Pashinyan ha dunque reso quasi automatica la risposta militare dell’Azerbaigian, poiché Baku non ha nessuna intenzione di aspettare che Washington organizzi il proprio sostegno nei confronti dell’Armenia, magari con la firma di qualche accordo bilaterale in materia di difesa. L’intenzione dell’Azerbaigian sembra essere quella di dimostrare ancora una volta la propria superiorità militare sul campo, al fine di costringere il governo armeno a firmare un accordo di pace alle condizioni poste da Baku.

Secondo quanto dichiarato dal ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan, il primo ministro Pashinyan dovrebbe incontrare il presidente del Paese confinante, Ilham Aliyev, nel mese di ottobre a Granada: Mirzoyan ha anche aggiunto che la parte armena ha ricevuto risposte alle sue proposte sull’accordo di pace da Baku, ma le loro posizioni sulle questioni essenziali sono ancora distanti: “In precedenza abbiamo consegnato il quinto pacchetto di emendamenti al testo dell’accordo di pace alla parte azerbaigiana, e proprio ieri abbiamo ricevuto nuove proposte da Baku. Sfortunatamente, ci sono alcune questioni essenziali su cui le posizioni delle parti sono ancora distanti“, ha precisato.

Quello che sembra certo, è che le politiche promosse dal primo ministro Pashinyan si sono fino ad ora rivelate fallimentari e inadeguate, e a pagarne le conseguenze sono soprattutto gli armeni del Nagorno-Karabakh.

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