Zone Economiche Speciali nel contesto della BRI: una sinergia benefica

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La seguente analisi fa parte del focus Connecting Eurasia

Lanciata nel 2013 dal presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, la Belt and Road Initiative – una delle più grandi e innovative iniziative di sviluppo economico e infrastrutturale a lungo termine della storia moderna – rappresenta un punto di svolta nell’organizzazione e nella gestione della governance globale.

Parallelamente all’attuazione dei progetti infrastrutturali previsti, l’obiettivo di questo progetto noto al grande pubblico con il fortunato nome di Nuova Via della Seta afferisce alla liberalizzazione delle relazioni economiche tra la Cina e l’estero e alla facilitazione della circolazione di beni, servizi e capitali tra i Paesi coinvolti nel progetto; al centro di questa strategia si pongono le Zone Economiche Speciali (Zes), aree delimitate geograficamente appartenenti al territorio di uno Stato altro in cui le regole e le leggi su commercio e affari economici si applicano in maniera differente rispetto al resto del Paese che le ospita.

Considerata la natura eterogenea della BRI, sarebbe un progetto a dire poco irrealistico, se non impossibile da realizzare nel concreto la creazione di un accordo di libero scambio comune ed esteso a tutti negli stessi termini: la disponibilità per tale genere di cooperazione e l’interesse dei numerosi partecipanti alla BRI (138 Stati) sono, di fatto, troppo diversi, e a Pechino ne sono ben consapevoli; pertanto si è deciso di affidarsi alla realizzazione di una fitta rete di Zone Economiche Speciali, le quali forniscono condizioni favorevoli per il libero scambio permettendo, così, di ottenere lo stesso risultato desiderato ma con modalità differenti, rispettando le differenze esistenti tra i vari soggetti coinvolti nel progetto infrastrutturale.

Il concetto di Zone Economiche Speciali

Secondo la definizione della Banca Mondialeil concetto di base di una zona economica speciale comprende diverse caratteristiche specifiche: (a) è un’area geograficamente delimitata, solitamente protetta fisicamente; (b) ha un’unica direzione o amministrazione; (c) offre vantaggi basati sull’ubicazione fisica all’interno della zona; e (d) ha un’area doganale separata (benefici esenti da dazio) e procedure semplificate”.

Le ZES si distinguono, così, in diverse tipologie sulla base di diversi scopi economici. Tra queste ci sono: le Zone di libero scambio (FTZ), Porto franco (EPZ), Zone franche/Zone economiche libere (FZ/FEZ), Parchi industriali/proprietà industriali (IE), Porti liberi, Parchi logistici vincolati (BLP) e Zone di impresa urbana

La creazione di queste regioni amministrate attraverso speciali leggi e politiche economiche, generalmente più liberiste rispetto a quelle del resto del paese, è funzionale all’attrazione di investimenti esteri, alla promozione dell’industrializzazione e alla creazione di posti di lavoro.


Le ZES al centro della BRI

Il fenomeno delle Zone Economiche Speciali è associato all’era dello sviluppo economico della Repubblica Popolare Cinese negli anni a guida lungimirante di Deng Xiaoping. Attraverso queste zone a statuto speciale, – le più famose delle quali Shenzhen, Xiamen, Shantou, Zhuhai and Hainan Island – la Cina ha conosciuto, infatti, una crescita economica esponenziale.

Il Ministero del Commercio della Cina definisce una Zona Economica Speciale (经济特区 – jingjitequ) come una zona di cooperazione economica e commerciale extraterritoriale che è investita da un’entità legale indipendente registrata in uno stato sovrano diverso dalla Cina ed è controllata da un’entità legale indipendente registrata nel territorio della Cina.

La prima ZES costituita al di fuori dei confini dello Stato cinese su iniziativa di Pechino risale al 1999, quando, sulla base di un accordo con l’Egitto, venne istituita una zona industriale nell’area del Canale di Suez. Da quel momento in poi, la Cina ha impegnato miliardi di dollari nella creazione di tali zone speciali al di fuori dei propri confini. Con l’avvio della Belt and Road Initiative, lo sviluppo delle ZES su territorio estero ha ricevuto un nuovo impulso.

L’idea alla base era – e rimane – quella di creare una rete interconnessa di ZES mirante a favorire lo sviluppo infrastrutturale, a connettere diverse regioni coinvolte nel progetto BRI e, insieme, a stimolare la circolazione di beni e servizi secondo la logica di reciproco vantaggio; la nascita delle Zone Economiche Speciali nel contesto della Belt and Road Initiative si fonda e si sviluppa sui dettami di tale concetto, secondo quella logica win-win che informa l’azione e la proiezione sullo scacchiere internazionale e diplomatico di Pechino: i paesi lungo la Nuova Via della Seta, infatti, cercano di conseguire la stessa prosperità economica sperimentata dalla Cina, mentre Pechino ambisce a ottenere benefici per la propria crescita domestica comparabili a quelli derivati dalle sue ZES, anche al di fuori dei propri confini.

In modo particolare, gli investimenti da parte Pechino in Zone Economiche Speciali estere sono funzionali al rafforzamento del controllo di hub centrali per la connettività globale al fine di operare per la stabilità politica ed economica internazionale.

La superpotenza cinese ha, così, investito consistenti capitali nella creazione di progetti di hub di connessione, come il Colombo Port City in Sri Lanka, la ZES nel porto di Gwadar in Pakistan, e la zona di libero scambio (ZLS) di Alyat (Azerbaigian) che si collegherà direttamente alla ferrovia Baku-Tbilisi-Kars, garantendo, così, il transito delle merci provenienti dalla Cina e dal Kazakistan verso la Turchia e quindi, da qui, potenzialmente verso l’Europa.

In questo contesto, assume una rilevanza particolare la creazione di una Zona di libero scambio nel piccolo ma influente stato africano di Gibuti; la costruzione della Djibouti International Free-trade Zone , inaugurata nel 2018, è stata resa possibile grazie a un finanziamento di 3,5 miliardi di dollari provenienti da tre aziende statali cinesi. Per comprendere l’importanza di tale iniziativa è necessario sottolineare che la posizione geografica del Paese – di fronte allo stretto di Bāb el-Mandeb, il quale congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden e, quindi, con l’Oceano Indiano – lo rende un crocevia di importanza strategica per il commercio globale e di conseguenza per il progetto di connettività della BRI. La creazione di questa zona e gli ingenti investimenti provenienti dalla Cina1 rendono, quindi, l’obiettivo di fare di Gibuti uno dei principali hub commerciali marittimi, sempre più realistica. In questa prospettiva Pechino è intenzionata ad assumere un significativo controllo e influenza su questo passaggio marittimo governato da quella che viene considerata una sorta di “Singapore africana”.

Pertanto, è chiaro come la spinta alla creazione di Zone Economiche Speciali da parte di Pechino risulti funzionale alla strategia della emergente cinese di consolidamento della propria proiezione internazionale. Inizio modulo

Secondo un report pubblicato nel 2018 dal Ministero del Commercio cinese, fino a quel momento la Repubblica Popolare Cinese era coinvolta in 82 ZES nell’ambito della BRI distribuite in 24 paesi lungo la via della Seta, con investimenti di circa 30 miliardi di dollari da parte delle imprese cinesi2.

Alcune delle Zone Economiche Speciali promosse dalla Repubblica Popolare Cinese


I vantaggi delle ZES: una “win–win game strategy”

Dalla prospettiva delle imprese investitrici, la creazione di queste zone di natura economica regolate da uno statuto speciale apporta una serie di benefici che ne aumentano la competitività sullo scenario economico globale. In primo luogo vi è la possibilità di fare utilizzo quasi esclusivo di manodopera locale, solitamente più economica, fattore che rende le merci e i servizi più competitivi e appetibili per i mercati cui sono destinati3.

Inoltre, le imprese presenti nelle ZES godono di importanti agevolazioni fiscali, come la possibilità di beneficiare di un periodo preferenziale per il pagamento delle imposte o l’esenzione stessa dal loro versamento. Parallelamente, la mancata applicazione di dazi all’importazione e all’esportazione favorisce l’accesso ai mercati interni del paese in cui la ZES è ubicata, consentendo, così, un’apertura più agevole alla penetrazione in tali mercati.

Per quanto riguarda i paesi ospitanti, invece, le ZES creano vantaggi significativi sotto il punto di vista di sviluppo economico, infrastrutturale e, non ultimo, sociale. Innanzitutto, la creazione di infrastrutture e l’insediamento di industrie stimolano l’economia locale, generando crescita economica e creando posti di lavoro4.

In secondo luogo, le ZES stimolano e attraggono investimenti stranieri, l’importazione di tecnologia e di competenze, che generano a loro volta risorse umane qualificate e meglio formate.

In terzo luogo, le ZEE incoraggiano la diversificazione economica riducendo, di fatto, la dipendenza da un unico settore per quel che concerne la crescita economica nazionale. Infine, la collaborazione nella gestione delle ZEE incoraggia la cooperazione tra i paesi partecipanti, facilitando la risoluzione di questioni comuni e rafforzando i legami diplomatici.


Ostacoli e passi futuri

Se realizzate in modo adeguato, le Zes dislocate lungo la Belt and Road Initiative potrebbero avere un impatto enorme sui partner della Cina disseminate lungo questo ambizioso progetto. Tuttavia, finora, le prestazioni di queste zone hanno registrato risultati contrastanti e non sempre si sono sviluppate nella maniera desiderata dagli investitori e promotori.

Da una parte, molti di queste zone, tra cui il parco uzbeco-cinese Pengsheng, la nuova città industriale di Karawang (Indonesia), il progetto Hualing Free Industrial Zone in Georgia, o il Great Stone Industrial Park in Bielorussia, hanno ottenuto ottimi risultati, creato migliaia di posti di lavoro e generato un considerevole sviluppo economico della regione in cui sono ubicati.

Dall’altra, come è naturale che sia, altri progetti non hanno avuto lo stesso successo. La mancanza di un ambiente macroeconomico stabile, di una pianificazione adeguata e, soprattutto, di un concreto e profondo impegno da parte dei Governi ospitanti costituiscono tuttora i principali fattori alla base dell’insuccesso di tali progetti. A ciò si aggiungono infrastrutture di connettività scadenti, economie instabili e la mancanza di capitale umano competente e formato nelle mansioni richieste dalle aziende, fattori che spesso si combinano generando una situazione estremamente complicata, in cui il successo di una ZES non è affatto garantito.

La Zona di cooperazione economica Mohan-Boten al confine tra Cina e Laos soffre, ad esempio, di un’adeguata gestione della zona e di carenza di capitale umano qualificato, questo dovuto almeno in parte al contesto macroeconomico povero della Repubblica Democratica del Laos.

Per garantire il successo in queste zone sarà, quindi, necessario adottare ulteriori misure volte a garantire sia un ambiente economico stabile sia un miglioramento dell’istruzione e delle competenze delle risorse umane. Senza questi requisiti, i risultati ottenuti non saranno, certo, quelli sperati.


Le Zone Economiche Speciali come nuovo approccio nella governance economica globale

All’origine dell’approccio cinese agli investimenti esteri e alla promozione dello sviluppo nei paesi coinvolti nella Nuova Via della Seta, è radicato il “principio di non interferenza“, uno dei “Cinque principi di coesistenza pacifica”, pilastri fondamentali della politica estera di Pechino a partire dalla Conferenza di Bandung dell’aprile del 1955. In accordo con tale principio, ogni paese possiede il diritto sovrano di gestire in autonomia le proprie questioni interne, immune da interferenze provenienti dall’esterno. Concretamente, questo significa che la Cina si astiene volontariamente dall’influenzare o dall’intromettersi negli affari interni dei paesi in cui ha forti interessi a farlo, come nel contesto della BRI.

L’attrattività di queste aree a carattere speciale sta proprio ribaltamento del metodo tradizionale di investimenti tipico dei paesi occidentali: se tradizionalmente l’istituzione di regole e di standard istituzionali sono funzionali all’istaurazione di rapporti commerciali, il principio di non interferenza impone alla Cina di non interferire nelle questioni interne degli stati e di non imporre nessun tipo di cambiamento alle strutture istituzionali per concludere affari. Questo è ovviamente vantaggioso per i paesi della BRI, molti dei quali non sono conformi ai tradizionali standard di investimento richiesti, invece, dai paesi occidentali.

In definitiva l’obiettivo di Pechino è quello di formare una rete di aree commerciali preferenziali e integrare le regole e gli standard internazionali con la prassi economica e di investimento con caratteristiche cinesi. Questo significa che la proliferazione di Zone Economiche Speciali lungo l’intera Via della Seta contribuirà ad un significativo cambiamento delle regole dell’economia e della politica internazionale per la governance globale. Tale approccio si inquadra nella più ampia strategia della “China Standard 2035”, realizzando la quale Pechino mira a diventare la principale potenza nella standardizzazione globale entro, appunto, il 2035.

Utile a questo punto una piccola digressione su quanto prevede la strategia China Standard 2035 (nota anche come Vision 2035), lanciata nel 2018 e considerata da molti analisti come il naturale proseguimento del piano Made in China 2025 – quest’ultimo aveva l’obiettivo di modificare la percezione di basso costo e bassa qualità del “Made in China” rendendolo invece sinonimo di alta qualità e ad alto valore aggiunto; mentre, quindi, la strategia “Made in China 2025” si concentrava prevalentemente sulla sfera domestica e sulla percezione del prodotto cinese, il China Standard 2035 ha tutt’altro obiettivo, ossia punta alla promozione dell’autosufficienza economica attraverso la promozione di standard globali nell’industria tecnologica, sia a espandere la propria influenza nel mondo per mezzo di investimenti – soprattutto nel campo tecnologico (per obiettivi, vedere box in calce).

Entro il 2035, la visione è quella di avere:

– Un sistema di standardizzazione più solido con standard ottimizzati, avanzati, ragionevoli e compatibili a livello internazionale.

– Un sistema di gestione della standardizzazione completo con caratteristiche cinesi.

– Un approccio di lavoro in cui le imprese giocano un ruolo centrale, la società partecipa attivamente e il governo guida l’approccio guidato dal mercato.

Negli ultimi tempi, la Cina ha aumentato il numero di proposte ISO (Organizzazione internazionale per la standardizzazione) e IEC (Commissione elettrotecnica internazionale), raggiungendo un tasso di crescita annuale del 20%. Questa tendenza sottolinea la determinazione della Cina ad esercitare la sua influenza sulla scena globale attraverso sforzi di standardizzazione.

La formulazione degli standard, tipicamente basata sulle soluzioni tecniche più avanzate, riflette lo sviluppo avanzato di una nazione. Pertanto, la capacità di influenzare gli standard garantisce a un paese un maggiore controllo sulla progettazione del sistema e sulla definizione delle regole, oltre a garantirgli un ruolo centrale nel mercato globale, in quanto first-mover in settori chiave.

Al centro di questa strategia si trova l’innovazione tecnologica. L’innovazione riveste un’importanza fondamentale, poiché aprire la strada a un nuovo campo offre l’opportunità di guidare nella definizione degli standard del settore.

Tornando al tema di questa analisi, le Zone Economiche Speciali, è d’obbligo sottolineare come questo nuovo tipo di governance si concentra meno sulla forma istituzionale di uno Stato e più sugli effettivi vantaggi economici. Ovviamente, i paesi tradizionalmente vicini a un modello incentrato sui “valori”, criticano l’approccio cinese per la “deresponsabilizzazione” dei governi locali.

Il timore di molti è che questa crescente determinazione di Pechino di ridefinire le regole della governance globale possa portare a pratiche in conflitto con gli standard tanto amati da chi ha fatto le regole del gioco fino a questo momento.

Tuttavia, è importante evitare di rimanere bloccati in una narrativa che presenta la Cina come una superpotenza che vuole imporre la propria volontà e le proprie pratiche ad altri paesi. La cooperazione all’interno della BRI non è solo una strada a senso unico i cui dettami sono imposti dall’alto. Questa cooperazione espone la Cina agli standard internazionali già esistenti e potenzialmente potrebbe adattarsi ai paesi con i quali coopera. La Cina ha spesso risposto alle resistenze ai suoi progetti adeguando le proprie regole e pratiche a quelle accettate a livello internazionale.


China Standards 2035

  • Sviluppo Globale della Standardizzazione
  • Elevazione dei Livelli di Standardizzazione
  • Potenziamento della Cooperazione Internazionale nella Standardizzazione
  • Rafforzamento delle Fondamenta per la Standardizzazione:

– Mirato a stabilire la standardizzazione in vari settori, inclusi agricoltura, industria, servizi e attività sociali.

– Particolare attenzione alla standardizzazione delle industrie emergenti.

– Priorità agli standard di salute, sicurezza e ambiente.

– Obiettivo di diffondere la produzione agricola standardizzata.

– Intenzione di completare il sistema di standard per promuovere lo sviluppo ad alta qualità.

– Obiettivo di includere oltre il 50% di ricerca sulla standardizzazione nelle tecnologie chiave e nei programmi di scienza e tecnologia.

– Scopo di accelerare la formulazione di standard nazionali entro 18 mesi.

– Enfatizza la digitalizzazione degli standard per maggiori vantaggi in economia, società, qualità ed ecologia.

– Cerca di espandere la collaborazione globale in materia di standardizzazione.

– Si impegna a rafforzare i partenariati internazionali con benefici condivisi.

– Obiettivo di intensificare lo scambio di personale e la cooperazione tecnica.

– Mirato a migliorare la trasparenza nella formulazione degli standard cinesi e l’ambiente di internazionalizzazione.

– Puntare a una maggiore coerenza tra le norme nazionali e gli indicatori tecnici chiave delle norme internazionali, con un tasso di conversione delle norme internazionali superiore all’85%.

– Pianificazione per l’istituzione di istituti di ricerca sulla standardizzazione di livello mondiale.

– Obiettivo di creare laboratori nazionali per gli standard di qualità e basi di innovazione degli standard tecnologici nazionali. – Creazione di un sistema nazionale di infrastrutture di qualità che integri standard, metrologia, certificazione, ecc., rispondendo alle esigenze dell’industria dei servizi standardizzati.



NOTA AL TESTO

1Tra il 2012 e il 2020 la Cina ha effettuato prestiti nel Gibuti per un totale 14 miliardi di dollari

2 Ad oggi, risulta difficile stabilire un numero preciso di Zone Economiche Speciali con partecipazione cinese. La complessità risiede nel distinguere tra ZES promosse o create direttamente su iniziativa di imprese cinesi, tra ZES create direttamente dagli Stati interessati a tale tipo di investimento e in cui, successivamente, quest’ultime hanno partecipato.

Nonostante ciò, sebbene gli investimenti cinesi a confluire nelle ZES non siano gli unici, le imprese cinese rimangono comunque i principali investitori.

3Ad esempio nei paesi dell’Asia Centrale il salario medio mensile di base nella maggior parte è di 350-400 dollari, un valore molte volte inferiore a quello della Cina, in continuo aumento nell’ultimo decennio.

4Secondo il rapporto del 2018 del Ministero del commercio cinese, le ZES avevano generato oltre 1 miliardo di dollari di entrate fiscali per i paesi ospitanti e circa 177.000 posti di lavoro locali

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