di Giulio Chinappi
Il golpe militare in Niger e le successive dinamiche che si stanno evidenziando nei Paesi dell’Africa occidentale dimostrano come questa regione del mondo sia pronta ad uscire dall’epoca neocoloniale.
L’ultimatum della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, nota con l’acronimo francese di CEDEAO (Communauté économique des États de l’Afrique de l’ouest) o quello inglese di ECOWAS (Economic Community of West African States), nei confronti del nuovo governo militare del Niger è scaduto in queste ore, eppure nessun segno del paventato intervento militare sembra stagliarsi all’orizzonte. Le potenze neocoloniali occidentali hanno fatto pressione sui governi amici per intervenire in Niger, Paese cruciale per il controllo franco-statunitense della regione, ma le condizioni non sono più quelle dell’intervento francese in Mali: governi e popoli africani si stanno sollevando contro il retaggio neocoloniale, e vogliono scegliere il proprio percorso in maniera indipendente.
Come abbiamo sottolineato nel nostro precedente articolo, i governi militari di Mali, Burkina Faso e Guinea hanno già respinto l’eventualità di un intervento militare in Niger, con addirittura Bamako e Ouagadougou che si sono dette pronte ad intervenire in difesa del governo di Niamey. Le potenze occidentali si sono allora affidate ad un asse di governi storicamente amici, ovvero quelli di Nigeria, Senegal e Costa d’Avorio, sperando di convincere i restanti otto Paesi della CEDEAO ad intervenire militarmente, ma le cose non sono andate come i neocolonizzatori pensavano.
Bola Tinubu, il presidente della Nigeria, ha scritto una lettera al proprio Senato per chiedere supporto in vista di un possibile intervento militare contro il governo nigerino del generale Omar Tchiani. Volendo dimostrare la propria fedeltà all’Occidente, Tinubu, che occupa anche la presidenza della CEDEAO, è diventato uno dei massimi sostenitori dell’azione militare in Niger, ma la risposta della camera alta del suo parlamento non è stata certo quella che si aspettava. Il capo del Senato in Nigeria, Godswill Akpabio, ha infatti dichiarato che il Senato ha respinto la richiesta del presidente Tinubu. “Il Senato invita il presidente della Repubblica Federale della Nigeria in qualità di presidente della CEDEAO a incoraggiare ulteriormente gli altri leader della CEDEAO a rafforzare le opzioni politiche e diplomatiche e altri mezzi con cui risolvere la situazione politica nella Repubblica del Niger“, si legge nella dichiarazione ufficiale della camera alta, che ha invitato Tinubu ad occuparsi dei problemi interni del Paese.
Anche il Senegal non sta vivendo un momento politico particolarmente felice, con il presidente Macky Sall che sembra piuttosto occupato a reprimere le proteste antigovernative ed antioccidentali della popolazione, che hanno fatto seguito all’arresto del leader dell’opposizione, Ousmane Sonko, il cui partito è stato sciolto dal governo di Dakar. Tutto questo avviene sotto l’occhio compiaciuto dei sedicenti difensori della democrazia, che come d’abitudine rispolverano il mantra della libertà e dei diritti solo per attaccare governi che non si sottomettono al loro volere. Il prossimo anno, oltretutto, in Senegal avranno luogo le elezioni presidenziali per scegliere il successore di Sall, e ci sono forti possibilità che questo provochi un importante scossone dalle parti di Dakar, ammesso che l’opposizione possa partecipare ad elezioni regolari.
Bisogna poi prendere in considerazione anche un altro importante attore della regione, l’Algeria, che pur non essendo membro della CEDEAO condivide con il Niger un confine di oltre 950 chilometri. Il governo di Algeri ha fatto sapere di essere contrario a qualsiasi potenziale intervento militare nella Repubblica del Niger, secondo le dichiarazioni dello stesso presidente Abdelmadjid Tebboune, intervistato dalla televisione nazionale: “La minaccia di un intervento militare in Niger è una minaccia diretta per l’Algeria e la respingiamo completamente e assolutamente“, ha affermato il leader del Paese nordafricano. “I problemi dovrebbero essere risolti pacificamente“, ha aggiunto Tebboune.
Una situazione di questo tipo, probabilmente inattesa nei Paesi occidentali che per secoli sono stati abituati a dettare la linea in quasi tutto il continente africano, ha costretto la stessa CEDEAO a fare marcia indietro, e a rinunciare all’intervento militare che aveva minacciato in precedenza per volere di Bola Tinubu. Quest’oggi, il Wall Street Journal ha riportato le parole di un comandante di alto rango di uno degli Stati membri della Comunità, secondo il quale la CEDEAO non è ancora sufficientemente pronta per usare la forza militare contro i ribelli in Niger: “Per il momento, dobbiamo rafforzare la forza delle nostre unità prima di prendere parte a una tale azione militare“, ha detto il comandante, citato dal quotidiano. “Il successo di qualsiasi azione militare dipende da una buona preparazione“, ha aggiunto. Un modo per temporeggiare di fronte ad una situazione senza precedenti nel continente africano, dove Stati Uniti, Francia ed altri Paesi occidentali hanno dato vita a numerosi interventi militari in passato, il tutto senza chiedere il permesso a nessuno.
La volontà del nuovo governo nigerino di liberarsi dei retaggi coloniali e neocoloniali si evince anche dalle prime misure prese dai militari dopo la deposizione del presidente Mohamed Bazoum. Dopo aver già interrotto le forniture di uranio e oro verso la Francia, la giunta guidata dal generale Tchiani ha denunciato gli accordi militari con la Francia, relativi al dispiegamento di unità militari francesi nel Paese. “Dopo aver affrontato l’atteggiamento negligente e la reazione della Francia alla situazione, il Consiglio nazionale per la salvezza della Patria ha deciso di denunciare gli accordi di cooperazione in materia di sicurezza e difesa con questo Paese“, si legge sul comunicato pubblicato dall’agenzia AFP. Inoltre, il governo de facto ha sollevato dall’incarico i propri ambasciatori in Francia, Stati Uniti, Nigeria e Togo.
Tutte queste dinamiche dimostrano come i Paesi dell’Africa occidentale si stiano gradualmente allontanando dalla Francia, ex potenza coloniale, e dagli altri Paesi occidentali. Secondo gli osservatori internazionali, questa tendenza si rafforzerà man mano che tali Paesi affermeranno il loro status di attori internazionali a pieno titolo. “Alcuni Paesi – Guinea, Mali, Burkina Faso – stanno effettivamente prendendo le distanze dalla Francia, alla ricerca di centri di potere alternativi e allo sviluppo di relazioni a est con Russia, Cina e Turchia, che negli ultimi anni è diventata a sua volta un attore piuttosto influente nell’Africa occidentale”, ha commentato Vsevolod Sviridov, esperto russo di studi africani.
Come affermato da Svirivod, in futuro questi Paesi “affermeranno sempre più il loro status di attori sovrani. […] Determineranno le proprie politiche estere e interne e aumenteranno la loro sovranità economica e digitale. Gli attori non regionali, inclusa la Russia, possono fornire loro assistenza in questo senso“. Naturalmente, l’influenza della Francia e dell’Occidente in generale sull’Africa occidentale non terminerà da un giorno all’altro: “Le imprese francesi mantengono un punto d’appoggio molto forte. Mi riferisco non tanto all’establishment ufficiale quanto ai legami privati: economici, educativi, culturali. Questa è un’enorme infrastruttura di influenza, che un golpe non può minare dall’oggi al domani“. Inoltre, la Francia può ancora contare su relazioni molto forti con i governi di Paesi come Costa d’Avorio, Senegal e Camerun, che restano fedeli all’ex potenza coloniale, almeno per ora.
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