di Dmitri Trenin
La scelta di fare ospitare alla città di San Pietroburgo il vertice Russia-Africa non è stata casuale ma è stata, piuttosto, una mossa simbolica.
Il Vertice Russia-Africa – a tenutosi appunto a San Pietroburgo a fine luglio – è stato un evento di riferimento nel declinare il concetto e la pratica della politica estera di Mosca. Non tanto perché ha portato nel Paese decine di leader africani e alti funzionari (il primo vertice, quattro anni fa a Sochi, ha visto la partecipazione di un numero ancora maggiore di capi di stato africani) e non è solo perché la sua agenda si è estesa oltre l’economia e ha incluso una dimensione umanitaria: questo è importante, ma non è tutto.
In sostanza, con la preparazione burocratica e l’ampia copertura pubblica che ha ricevuto in Russia, l’incontro, ha testimoniato un cambiamento radicale nella visione del mondo di Mosca e il suo posizionamento internazionale vicino a quella crescente maggioranza dei Paesi non appartenenti alla sfera occidentale del mondo, come stabilito nel concetto di politica estera recentemente adottato.
San Pietroburgo è stata fondata da Pietro il Grande all’inizio del XVIII secolo per essere la “finestra sull’Europa” e durante il vertice ha avuto lo stesso scopo per l’Africa. L’eurocentrismo, ovviamente, è ancora profondamente radicato nel pensiero e nelle aspirazioni dell’élite russa. Tuttavia, il fallimento dei lunghi travagli di integrazione occidentale della Russia seguiti alla fine dell’Unione Sovietica è ora esploso nella guerra per procura degli Stati Uniti e la NATO in Ucraina.
Ciò ha prodotto un cambiamento storico nelle politiche di Mosca, nel suo significato paragonabile a quello registrato al tempo di Pietro il Grande, sebbene in una direzione completamente diversa. Per il prossimo futuro, l’universo della politica estera russa rimarrà diviso in due grandi parti: la casa dei nemici, tra cui Europa, Nord America e il resto dell’Anglosfera, e, altrove, la casa degli amici.
La linea di demarcazione tra le due parti sarà la posizione tenuta da un determinato Paese in relazione al regime di sanzioni contro la Russia.
L’Africa, a questo proposito, è in gran parte dalla parte “giusta” di questa divisione. A San Pietroburgo erano rappresentate 49 nazioni sulle 54 del continente. È vero, solo 17 di loro hanno partecipato al vertice ai massimi livelli.
Non più osservatore curioso e scettico, come, invece, era stato durante il vertice di Sochi di quattro anni fa, l’Occidente questa volta ha fatto uno sforzo deciso, consigliando, lusingando o minacciando i leader africani di non andare in Russia e trattare direttamente con il presidente Putin.
In effetti, la pressione occidentale ha segnato alcuni punti (il numero dei massimi leader a San Pietroburgo era circa la metà di quello che era presente a Sochi), ma non è riuscita a minare le basi dell’evento. Ciò che è stato perso nello stato della rappresentanza è stato compensato dall’intensità dell’interazione; la quantità di tempo che Vladimir Putin ha investito personalmente nell’evento – che in realtà è durato tre giorni anziché due – è stata impressionante e notevole.
La necessità da parte russa di contrastare le accuse occidentali di responsabilità per l’impennata dei prezzi alimentari a seguito del ritiro di Mosca dall’accordo sui cereali (pur opportunamente ignorando il fatto che le promesse fatte a Mosca di porre fine al blocco occidentale delle esportazioni agricole della Russia non sono mai state mantenute) ha fatto sì che il Cremlino andasse oltre la solita confutazione verbale. Al vertice, Putin non solo ha promesso di consegnare grano gratuitamente a cinque delle nazioni più povere dell’Africa, ma ha annunciato piani per espandere le spedizioni commerciali e costruire, inoltre, una logistica via mare e via aerea che colleghi la Russia all’Africa, di creare nel continente un hub per il commercio, ed espandere la quota delle importazioni russe di prodotti alimentari africani.
Per quanto riguarda la propaganda occidentale, Mosca prevede una grande espansione della presenza mediatica russa nel continente. L’idea è che russi e africani debbano avere i mezzi per conoscersi l’un l’altro direttamente, piuttosto che attraverso intermediari non neutrali operanti a Londra, Parigi o New York.
La Russia ha sicuramente il suo bel da fare. Dopo aver abbandonato la ricca eredità dell’Unione Sovietica in Africa all’inizio degli anni ’90, Mosca deve affrontare una forte concorrenza nel continente: rispetto al commercio africano della Cina (280 miliardi di dollari) o dell’America (60 miliardi di dollari), quello della Russia è di appena 18 miliardi di dollari. Tuttavia, Mosca può fare molto meglio.
Il vertice di San Pietroburgo si è concentrato su una serie di aree, dalla sicurezza alimentare all’assistenza sanitaria e farmaceutica all’energia nucleare e all’assistenza alla sicurezza. Di particolare importanza è stata la discussione riguardante l’istruzione e il settore informatico. Dall’inizio degli anni ’60, l’Università Lumumba di Mosca è stata un fiore all’occhiello per la formazione di professionisti africani in Russia. Dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, la scuola perse gran parte del suo splendore. Ma ora questo sta cambiando e il numero di borse di studio riservate agli africani per studiare in Russia è triplicato e molte università russe sono incoraggiate a cercare partner di cooperazione in Africa.
Di recente, la Russia ha compiuto enormi progressi in termini di disponibilità di Internet in tutto il suo vasto territorio e ha trasformato Mosca in una delle aree metropolitane più avanzate al mondo in termini di accesso Wi-Fi pubblico. Questa esperienza è certamente qualcosa da condividere.
Il rinnovato interesse della Russia per l’Africa è strategico piuttosto che tattico. Va ben oltre le questioni importanti ma banali della cooperazione economica, della sicurezza e tecnologica. Va anche oltre la guerra in Ucraina – che inevitabilmente è stata discussa anche a San Pietroburgo, permettendo a Putin di spiegare le sue ragioni per agire come ha fatto e di esporre le sue opinioni sulle modalità della pace.
In termini più strategici, i politici russi vedono sempre più l’Africa – insieme all’Asia e all’America Latina – come parte dell’onda crescente che aiuterà a sostituire l’attuale ordine mondiale dominato dall’Occidente con un costrutto più diversificato costruito attorno a una serie di civiltà.
Alcuni russi affermano di avere un continente di amici in Africa. Questo è in gran parte vero per quanto riguarda i sentimenti popolari. In effetti, la Russia – a differenza dei paesi occidentali – non è macchiata dallo sfruttamento coloniale e neocoloniale del continente.
Nel corso del XX secolo, Mosca ha effettivamente fornito assistenza militare a numerosi movimenti di liberazione nazionale e ha sostenuto economicamente molti dei nuovi Stati indipendenti dell’Africa attraverso progetti infrastrutturali; ha formato, inoltre, migliaia di medici, ingegneri e insegnanti, eppure la realtà politica è più complessa di così. Gli Stati Uniti e le ex potenze coloniali Francia, Gran Bretagna e altri – per non dimenticare la Germania – vedono il continente essenzialmente come il loro mercato e la loro base di risorse, e cercheranno di proteggere il loro dominio economico e la loro influenza politica e renderanno, così, il progresso della Russia in Africa il più difficile possibile.
Di fronte a tale opposizione, Mosca dovrebbe evitare di cadere nella tentazione di competere con potenze esterne per le sfere di influenza. La sua azione deve, invece, essere guidata dal suo interesse nazionale che consiste nell’espandere la cooperazione a tutto campo con i partner africani, nonché dalla sua aspirazione a un nuovo ordine mondiale più equo e non dominato dall’Occidente.
Il secondo vertice Russia-Africa, per tutte le complessità e le complicazioni che ha incontrato sulla strada per San Pietroburgo, è stato un successo. Tuttavia, ciò che è più importante è il cambio di paradigma nel pensiero e nelle azioni russe nei confronti dell’Africa, che sta trasformando stati precedentemente “esotici” in partner normali e preziosi.
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