di Antonio Ratti
Un lembo della Siria nordoccidentale, tra il confine turco e la città di Aleppo, è in mano alle milizie di Al-Qaida. Ha un proprio governo e appoggi insospettabili. Una situazione paradossale su cui è caduto un silenzio “assordante”.
Un viaggio per capire cosa è rimasto dell’inestimabile patrimonio storico e archeologico. Questo è quanto mi prefiggevo prima di partire per la Siria. Non immaginavo mi sarei trovato di fronte a una situazione così drammatica.
Non c’è città o villaggio che non mostri i segni delle distruzioni patite in quasi dodici anni di guerra.
Una scia di morte e disperazione riassunta in queste statistiche impietose: quasi settecentomila morti, tre milioni di feriti e circa dodici milioni di profughi (la metà degli quali all’estero). Numeri da capogiro, tenendo conto che nel 2011, allo scoppio delle prime proteste contro il governo del Presidente Bashar al-Assad, la popolazione ammontava a poco più di ventidue milioni. Ma sono dati ancora in divenire, in quanto il conflitto è ancora ben lontano dall’essersi concluso.
La definizione più calzante dovrebbe essere “congelato”, in quanto una parte del Paese è ancora fuori controllo governativo. Basta consultare una mappa per comprendere quanto sia complessa la situazione: la regione ad est dell’Eufrate è sotto il controllo delle Forze Democratiche Siriane a guida PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, mentre i territori all’estremo nord-ovest (Afrin, A’zaz e Manbig) sono in mano a milizie fedeli al governo di Ankara. Inoltre, nell’area desertica a est di Palmira sono presenti sacche dell’ISIS (o Stato Islamico).
Ma la lista dei territori in mano a forze “ribelli” non può dirsi completa se non si menziona il cosiddetto “Governatorato di Idlib”. Quest’area, compresa tra il confine turco (regione di Antiochia) a ovest e Aleppo (la capitale culturale della Siria) a est, è attualmente amministrata dal Governo di Salvezza Siriano formato dal gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham, che poi altro non è che Al-Qaida in Siria, e altre formazioni minori. Una situazione talmente paradossale da indurre certi media occidentali a coniare l’espressione di “Qaidistan”, il Paese di Al-Qaida.
Tra i gruppi minori presenti nella regione vanno annoverate anche le milizie sconfitte dall’esercito siriano nella regione di Aleppo e i militanti dell’ISIS che hanno abbandonato la Siria orientale dopo la disfatta dello Stato Islamico nel 2019. Non è un caso che il suo capo, Abu Bakr al-Baghdadi, sia morto proprio qui a seguito di un raid americano nell’ottobre dello stesso anno.
La coesistenza di forze così disparate, all’apparenza inspiegabile, è stata possibile grazie all’appoggio fornito loro dal governo di Ankara, interessato a impiegarle per creare una zona cuscinetto lungo i suoi confini. Di fronte a questa minaccia, nel dicembre del 2019 l’esercito siriano ha cercato di recupere la regione contando sul supporto russo e iraniano. Inizialmente, l’offensiva ha avuto successo e la strategica autostrada M5, che collega Hama ad Aleppo, è stata liberata. Solo con grandi sforzi Hayat Tahrir al-Sham è riuscita a evitare la disfatta, bloccando l’avanzata delle forze di Damasco fuori dal villaggio di Saraqib, una quindicina di chilometri a est di Idlib.
Ma’arrat, il martirio di una città
Nonostante le perdite territoriali, il Qaidistan è ancora una realtà temibile e il confine con il territorio governativo corre a poca distanza dall’autostrada M5. Lo si percepisce chiaramente percorrendo l’arteria nei pressi di Saraqib: ovunque si notano terrapieni, trincee, postazioni di artiglieria e carri armati mimetizzati. Uno dei punti più critici è vicino Tell Mardik, cittadina presso cui sorgono le rovine di Ebla, città dell’Età del Bronzo scoperta alla metà degli anni Sessanta dalla missione archeologica dell’Università La Sapienza di Roma.
Ogni tentativo di visitare il sito, per capire in che condizioni sia, è stato bloccato sul nascere. La zona ospita una base dell’esercito. Nei dintorni gli scontri sono stati molto pesanti. Per chilometri e chilometri cittadine e villaggi sono in macerie. La popolazione è fuggita ed è difficile immaginare quando potrà fare ritorno. Dopo aver costatato il livello di distruzione di interi quartieri ad Aleppo, Homs e Damasco pensavo che non mi sarei stupito più di nulla. Mi sbagliavo.
Se c’è un luogo che più di ogni altro è in grado di spiegare l’abisso in cui è precipitata la Siria da oltre un decennio questo è la cittadina di Ma’arrat al-Nu’man, trentatré chilometri a sud di Idlib.
È stata liberata dall’esercito siriano solo nel gennaio del 2020. Qui dieci anni prima vivevano novantamila persone, oggi invece è un luogo spettrale. Prima della guerra era una tappa obbligata per chi andava e veniva da Aleppo. Lo testimoniano i resti di eccentrici ristoranti (uno di loro aveva riprodotto una torre Eiffel in miniatura), oggi distrutti, che sorgevano ai lati della strada. I segni della guerra sono ovunque, essendo Ma’arrat passata più volte di mano, e tutti gli edifici sono in rovina. Solo i soldati siriani presidiano le strade. Non sapremo mai il prezzo pagato in termini di vite umane, ma deve essere stato altissimo. E non solo tra i militari. Anche il patrimonio culturale versa in condizioni preoccupanti. A partire dal caravanserraglio di Khan Murad Pasha, adibito a museo dei mosaici che sono stati scoperti nell’immediato circondario. Oggi la struttura, che è adibita a posto di comando dell’esercito, verte in condizioni precarie. Sottoposta a duri bombardamenti, ha subito ulteriori danni dal recente terremoto. Alcuni mosaici sono andati distrutti, quelli che si sono salvati sono ancora al loro posto ma necessitano di interventi urgenti. Di fronte alla piazza del museo sorgono il caravanserraglio di Khan Assad Pasha al-Azem e una serie di palazzi storici che sono stati pesantemente bombardati. Anche la celebre Grande Moschea ha subito danni. E l’elenco potrebbe andare avanti ancora a lungo. Stiamo parlando solo di una piccola parte del centro cittadino. Avventurarsi nei quartieri occidentali è rischioso, tenendo conto che le forze di Al-Qaida non sono poi così lontane.
Sul fronte sud La recente avanzata dell’esercito siriano non ha riguardato solo i confini occidentali del Qaidastan ma anche quelli meridionali. Lasciata Ma’arrat e percorrendo la M5 in direzione di Hama, il paesaggio di desolazione continua. Cittadine, una volta prospere e affollate, come Bseiden, Shaykhun e Morek, sono in rovina.
La situazione non cambia neppure quando, all’altezza di Suran (quindici chilometri a nord di Hama), si imbocca la strada che porta a Qalat al-Madiq, cittadella medioevale presso cui si trovano i resti della celebre città, prima ellenistica e poi romana, di Apamea.
L’area è stata liberata dall’esercito siriano solo di recente e le posizioni nemiche non sono molto lontane. D’altronde, in linea d’aria la distanza da Ma’arrat è poco più di trenta chilometri. Per giungere a Qalat si attraversa un paesaggio collinare coperto di olivi e alberi da frutto. Nei villaggi di Tayyibat al-Iman, Al-Arad e As Suqaylabiyah non c’è anima viva. Solo posti di blocco con giovani soldati. Sorridono, ma sui loro volti si legge stanchezza e tensione. L’impatto con Qalat è devastante. Il villaggio moderno, ai piedi della cittadella, non esiste più. Una volta c’erano botteghe e ristoranti, ora solo macerie. Qui la presenza militare è massiccia. I soldati occupano gli edifici abbandonati e si esercitano al tiro in un poligono di fortuna. Vecchi carri armati e corazzati di produzione sovietica sono mimetizzati tra le rovine.
Nel percorrere la strada che sale al pianoro dove sorge Apamea, con il suo splendido colonnato fatto costruire da Traiano nel II secolo, si avverte la tensione. Si arriva all’ultimo posto di blocco prima della terra di nessuno. Proseguire è impossibile, oltreché pericoloso. Per arrivare alle rovine bisogna tornare indietro e prendere uno sterrato che conduce all’imponente porta di Antiochia. Il sito è incustodito e deserto: nessun dépliant turistico, nessun biglietto di ingresso. Camminare all’ombra del colonnato è un’esperienza surreale: un misto di tensione ed euforia. Intorno buchi ovunque, a dimostrazione che qui negli anni passati si è scavato di frodo. Nel complesso però il sito è integro. Alcuni crolli dovuti al recente terremoto, ma nulla di paragonabile al calvario di Palmira, la “Sposa del deserto” che l’ISIS ha sfregiato nel 2015.
Antonio Ratti è stato in Siria dal 24 marzo al 2 aprile 2023
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