di Sylvain Takoué
Articolo originale:
“Quand Joe Biden accuse Xi Jinping d’être un « dictateur»…”
Traduzione per il Centro Studi Eurasia e Mediterraneo di Carolina Angelica Fava
Accusare il Presidente Xi Jinping di essere “un dittatore”, quando sei tu stesso il Presidente di uno Stato federale americano interventista, che afferma e ostenta una dittatura da “poliziotto mondiale” in tutto il mondo, è ridicolo e un’ironia della storia.
No, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, dalla cui bocca è uscita quest’accusa, dovrà tenere uno specchio sugli Stati Uniti d’America: ci vedrebbe, a meno che non abbia anche lui una visione disturbata, una superpotenza nucleare globale, di cui detiene a sua volta, in qualità di 46° Presidente, i pulsanti e i comandi, e che non ha fatto altro che essere, al di fuori del suo territorio, uno stato di ripetuta, permanente ed eterna ingerenza e interferenza di fatto nella vita politica interna di altri Stati deboli e meno ricchi del mondo.
In effetti, come riportato dal media Chine-magazine, “il Presidente degli Stati Uniti ha accusato (apertamente) il suo omologo cinese Xi Jinping durante un ricevimento organizzato in California per i donatori del Partito Democratico”.
L’incidente è avvenuto il 21 giugno 2023, al termine della visita di Antony Blinken a Pechino. Blinken era stato il primo capo della diplomazia statunitense a visitare la Cina in quasi cinque anni”, “per allentare le tensioni tra Washington e Pechino”.
Alla domanda se anche lui considerasse Xi Jinping un “dittatore”, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato alla CNN, in un’intervista trasmessa il 25 giugno 2023, che “i commenti del Presidente Biden riflettono la posizione ufficiale degli Stati Uniti”, affermando: “Il Presidente (Joe Biden) parla in modo chiaro e netto. Ho lavorato sotto la sua guida per oltre 20 anni e lui parla per tutti noi”.
All’ascolto del suono di queste campane che diffondo disinformazione, bisogna mettere le cose a testa in su, non a testa in giù: non esiste al mondo una dittatura ideologica e politica peggiore del sistema espansionistico degli Stati Uniti d’America, che esalta una narcisistica “democrazia superiore”, suonando la tromba della “libertà” e dell'”uguaglianza” nel resto del mondo per giustificare la sua politica interventista, che in realtà mina la sovranità nazionale dei Paesi che tiene in pugno con il debito occidentale.
Che cos’è questa democrazia americana che “garantisce” al popolo americano e ai suoi governanti la pace e la sicurezza interna, nonché una solida salute economica e finanziaria, attraverso un inossidabile capitalismo di Stato, mentre non ne dà il minimo riflesso rassicurante e credibile negli altri Paesi in cui il suo interventismo politico ed economico ha un punto d’appoggio?
Che cos’è questa democrazia americana, che intende dominare il resto del mondo attraverso il suo sistema unipolare radicale, che, pretendendo di essere il grande “vincitore” della “guerra fredda”, ha l’unico istinto di infrangere impunemente il diritto internazionale e di decidere unilateralmente sul destino sovrano di altri Stati e sul modo di vivere dei loro popoli, e su quello del mondo intero?
Gli esempi di questo approccio controverso abbondano in tutto il globo e nessuno si lascia più ingannare.
Oggi tutti capiscono e vedono che questa “democrazia del più forte” è sempre stata un concetto nebuloso che, in una sfocatura artistica abilmente creata attorno alle vaste e pretestuose nozioni di “libertà” e “uguaglianza”, si sta evolvendo, in modo molto calcolato e abile, la sua preminenza in un chiaroscuro tipico dei miti irraggiungibili.
Per questo motivo, alla Cina e al suo Presidente Xi Jinping vanno le più vive congratulazioni per aver chiarito la situazione sulla scena internazionale e per aver proposto, insieme a partner globali responsabili – come, ad esempio, il gruppo dei BRICS, che oggi si sta allargando sempre di più – una nuova visione del mondo: quella del multipolarismo, del mutuo beneficio e dell’equità.
Il nuovo mondo, così ripensato e riequilibrato, è ora in marcia sotto l’ombrello pragmatico del necessario riordino ideologico e politico del mondo. Nulla sarà più come prima: il bilancio della democrazia occidentale nel mondo è gravido di responsabilità.
Liberandoci dai fardelli che hanno mantenuto il vecchio ordine internazionale unidirezionale, che oggi più che mai sta subendo le sue necessarie mutazioni, la scelta per un nuovo mondo multipolare che rispetti il diritto internazionale è davvero imperativa.
E questo in termini, ad esempio, di “de-dollarizzazione” del mercato finanziario internazionale.
Se il presidente cinese Xi Jinping fosse stato il “dittatore” caricaturato dal pennello americano, avrebbe potuto ragionevolmente guidare il mondo nella sua visione di riequilibrio e di equità, di “comunità di destino”, di “sviluppo congiunto” e di “sviluppo economico condiviso” con il resto del mondo, laddove la politica estera e di esteri degli Stati Uniti d’America è sempre stata fermamente, e al contrario, quella di un capitalismo oltraggioso, che sfrutta, fino ad esaurirle, le altre porose economie del mondo?
Sylvain Takoué è uno scrittore ivoriano e direttore generale del Premio Xi Jinping, nonché autore del libro Una Sola Cina.
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