di Stefano Vernole
Xi Jinping ha parlato per la prima volta della Global Security Initiative al Boao Forum di Shanghai nell’aprile dello scorso anno. Il presidente cinese ha dichiarato che la GSI, traducibile come Iniziativa per la Sicurezza Globale, avrebbe fornito un quadro di principi per affrontare al meglio la diplomazia e gli affari globali, così da rendere il mondo “un luogo più sicuro”. I rappresentanti istituzionali di Pechino hanno descritto l’iniziativa come “un altro bene pubblico globale offerto dalla Cina” per contribuire, con “soluzioni e saggezza cinesi”, a “risolvere le sfide alla sicurezza che l’umanità deve affrontare”1.
“Un antico filosofo cinese ha osservato che tutti gli esseri viventi possono crescere fianco a fianco senza danneggiarsi a vicenda, e che strade diverse possono correre in parallelo senza interferire l’una con l’altra. Solo quando tutti i Paesi perseguiranno la causa del bene comune, vivranno in armonia e si impegneranno nella cooperazione per il reciproco vantaggio, ci sarà prosperità sostenuta e sicurezza garantita”, ha aggiunto Xi, fresco di un inedito terzo mandato nel ruolo di segretario del Partito, spiegando che la Cina ha lanciato la GSI seguendo questo spirito2.
Il 21 febbraio 2023 è arrivata la consacrazione definitiva dell’iniziativa, quando Pechino ne ha diffuso il concept paper in concomitanza – per altro e non a caso – con l’elaborazione di un documento contenente 12 punti suggeriti per la risoluzione della crisi ucraina. Se in effetti confrontiamo China’s Position on the Political Settlement of the Ukraine Crisis con The Global Security Initiative Concept Paper, notiamo che le somiglianze sono numerose e anche piuttosto evidenti3.
Detto altrimenti, il documento relativo al conseguimento della pace in Ucraina altro non è che l’applicazione della GSI in un caso concreto e specifico, il conflitto in Ucraina appunto. Ma, se è davvero così importante per la Cina, che cos’è e cosa comprende l’Iniziativa per la Sicurezza Globale avanzata da Xi?
La sicurezza “con caratteristiche cinesi”
La GSI fa parte della diplomazia cinese elaborata, o meglio aggiornata, in concomitanza con l’ascesa di Xi Jinping. L’attuale presidente ha più volte posto l’attenzione sulla necessità di costruire una “Comunità umana dal futuro condiviso”. In realtà, questo concetto indica la volontà cinese di costruire una coesistenza pacifica, intesa come nuova struttura globale rispondente a regole e principi in rottura con quelli incarnati dagli attuali equilibri internazionali, considerati dalla leadership di Pechino eccessivamente “americanocentrici”. La Comunità umana dal futuro condiviso, poi, si declina in più ambiti, dall’economia alla salute fino alla sicurezza.
“Come i passeggeri a bordo della stessa nave, i Paesi devono lavorare in solidarietà per promuovere una Comunità di sicurezza condivisa per l’umanità e costruire un mondo libero dalla paura e che goda di sicurezza universale”. Detto altrimenti, poiché oggi i problemi e le crisi internazionali riguardano ogni governo, per superare questi ostacoli la Cina ritiene che sia necessario affidarsi ad una cooperazione tra Stati che trascenda vantaggi di parte e differenze culturali-ideologiche. Anche per quanto riguarda la sicurezza, un termine che non deve essere inteso soltanto in relazione alla Difesa e all’ambito militare, visto che nell’accezione dell’iniziativa cinese comprende anche alte questioni come cibo, clima, energia, catene di approvvigionamento e commercio.
La GSI può quindi essere descritta come un’iniziativa attraverso la quale la Cina promuove un’architettura di sicurezza, prima regionale e poi globale, alternativa all’esistente. E che, con il passare del tempo, potrà smarcarsi dal sistema di alleanze e partnership create dagli Stati Uniti al termine della Seconda Guerra Mondiale.
Per quanto riguarda i contenuti riassunti nel concept paper, la Global Security Initiative appare alquanto sfumata, e questo perché la Cina intende modellare le proprie iniziative – come del resto è accaduto e sta accadendo alla Belt and Road Initiative – al susseguirsi degli eventi, così da poter adattare i piani all’evolversi della situazione mondiale.
Le preoccupazioni degli Stati Uniti
Se per la Cina la GSI è un’iniziativa volta a migliorare il mondo, gli Stati Uniti la considerano una possibile minaccia. Già, perché, tra le linee, la nuova sfida lanciata da Pechino a Washington non riguarda tanto lo scontro ideologico tra i due Paesi, quanto il modo di concepire l’ordine globale. In altre parole, Xi intende fare leva sui concetti contenuti nella GSI – cooperazione, relazioni tra pari e via dicendo – per scardinare le certezze statunitensi in regioni geopoliticamente rilevanti quali l’Asia-Pacifico, l’Africa e l’America Latina, e cioè nel Sud del mondo, dove la maggior parte dei governi fa parte dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.
Per ogni regione, sottolinea Asia Times rispecchiando le preoccupazioni di Washington sulla fine dell’unipolarismo, il documento concettuale promuove ruoli di primo piano per le organizzazioni internazionali che sono guidate dalla Cina o escludono l’influenza degli Stati Uniti, come l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, la Conferenza Cina-Corno d’Africa per la pace, la governance e lo sviluppo e la Comunità dell’America Latina e Stati dei Caraibi4.
In realtà, la pubblicazione del concept paper sulla GSI rientra nella campagna di Pechino volta a placare i timori internazionali sul fatto che la Cina voglia diventare una grande potenza a discapito di altri Paesi. Serve, inoltre, per dimostrare al popolo cinese che, sotto l’egida del Partito guidato da Xi, l’importanza e il prestigio internazionale del Paese stanno aumentando di anno in anno, mentre sempre più governi stranieri riconoscono l’importanza della civiltà cinese.
Scendendo nei dettagli, c’è un estratto del paper sulla GSI che ha fatto scattare diversi campanelli d’allarme in Occidente. Tra le piattaforme e i meccanismi di cooperazione proposti per raggiungere la sicurezza globale si legge che “la Cina è disposta a fornire ad altri Paesi in via di sviluppo 5mila opportunità di formazione nei prossimi cinque anni per formare professionisti che affrontino problemi di sicurezza globale”. C’è chi ha tradotto tutto questo nella volontà di Pechino di addestrare 5mila unità nei Paesi in via di sviluppo per aumentare la propria influenza sulla sicurezza globale. Nel documento si fa presente che Pechino incoraggerà maggiori scambi e cooperazioni tra le accademie militari e di polizia a livello universitario, rafforzando i legami di Difesa con l’Asia, l’Africa e, in generale, con i Paesi in via di sviluppo, fornendo addestramento militare e condividendo informazioni di intelligence, anche legate all’antiterrorismo.
Per la Cina, al contrario, non c’è niente di cui preoccuparsi. La GSI mira semplicemente ad “eliminare le cause profonde dei conflitti internazionali” e a portare “pace e sviluppo durevoli nel mondo”. La visione ufficiale del Dragone per le future relazioni estere, in più, include un forte sostegno alle Nazioni Unite, definite il “nucleo” del “sistema internazionale”.
Il documento concettuale dell’Iniziativa ne chiarisce ulteriormente i concetti e i principi fondamentali: la visione di una sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile fornisce una guida teorica; il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi è la premessa fondamentale; l’adesione agli scopi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite è il punto di riferimento primario; prendere sul serio le legittime preoccupazioni di tutti i Paesi in materia di sicurezza è un principio importante; risolvere pacificamente le differenze e le controversie tra i Paesi attraverso il dialogo e la consultazione è una scelta obbligata; mantenere la sicurezza nei domini tradizionali e non tradizionali è un requisito intrinseco.
I sei impegni di cui sopra sono interconnessi, si rafforzano a vicenda e costituiscono un insieme organico di unità dialettica. Allo stesso tempo, il documento concettuale incarna un approccio distintivo orientato all’azione, concentrandosi sui seguenti aspetti: sostenere il ruolo centrale delle Nazioni Unite nella governance della sicurezza; promuovere il coordinamento e le solide interazioni tra le grandi potenze; facilitare la risoluzione pacifica delle questioni più scottanti attraverso il dialogo; affrontare le sfide tradizionali e non tradizionali della sicurezza; rafforzare il sistema e la capacità di governance della sicurezza globale.
Ovviamente, ciò che sostiene l’Iniziativa di Sicurezza Globale è un nuovo percorso di sicurezza caratterizzato dal dialogo piuttosto che dal confronto, dalla partnership piuttosto che dall’alleanza e dal vantaggio per tutti piuttosto che dal gioco a somma zero. Come ha affermato il Ministro degli Esteri Cinese Qin Gang, l’Iniziativa di Sicurezza Globale “intende servire gli interessi di tutti e mantenere la tranquillità di tutti, ed i suoi progressi necessitano dell’unità e della cooperazione della comunità internazionale”5.
L’Iniziativa di Sicurezza Globale della Cina non è casuale: questa iniziativa è radicata nella raffinata cultura tradizionale cinese che valorizza la pace al di sopra di ogni altra cosa e si ispira alla pacifica politica estera indipendente della Cina e alle sue pratiche. Uno degli incrollabili obiettivi fondamentali della Cina è costruire un mondo più sicuro, perché lo sviluppo della Cina non può essere separato da un ambiente internazionale pacifico. La visione olistica della sicurezza globale cinese, sottolinea che lo sviluppo della Cina non può prescindere da un ambiente internazionale stabile, ma che, allo stesso modo, senza la sicurezza della Cina non ci sarà sicurezza globale.
Che la Repubblica Popolare Cinese considera la “sicurezza globale” strettamente legata a quella nazionale, è stato confermato da Yuan Peng, capo del China Institutes of Contemporary International Relations (Cicir) e segretario generale del Centro di ricerca sul Concetto di sicurezza nazionale complessiva. Yuan ha scritto che è necessario dimostrare che la Cina è una potenza responsabile, pronta a mediare nelle crisi. Soprattutto, ha sottolineato, “il concetto di sicurezza nazionale complessiva promuove quella globale”, che a sua volta serve a risolvere i “dilemmi securitari” dell’Occidente6.
Il Ministro degli Esteri di Pechino, Qin Gang, ha ribadito che: “In futuro, indipendentemente dal suo sviluppo, la Cina non cercherà mai l’egemonia, l’espansione o la sfera di influenza, né si impegnerà in una corsa agli armamenti, ma rimarrà un difensore della pace nel mondo. Saremo sempre impegnati a far avanzare il processo internazionale di controllo degli armamenti, disarmo e non proliferazione, rispondere attivamente alle sfide globali e aderire alla soluzione dei problemi dei punti caldi con caratteristiche cinesi. Sia la Cina e l’Italia che la Cina e l’Europa sono partner strategici globali che hanno importanti responsabilità per la sicurezza internazionale e regionale, e dovrebbero rafforzare la loro cooperazione, unire le mani per affrontare le sfide e contribuire a costruire una comunità di sicurezza umana di pace duratura e sicurezza universale!”. Contestualmente, ha detto ancora il ministro: “Noi invitiamo tutte le parti coinvolte a smetterla immediatamente di aggiungere combustibile al fuoco, smetterla di spostare le accuse sulla Cina e di estremizzare il discorso sull’Ucraina oggi, e su Taiwan domani … Finora, più di 80 Paesi e organizzazioni regionali hanno elogiato ed espresso sostegno al GSI.”7.
Pechino ha intenzione di arricchire gradualmente l’Iniziativa; anche in assenza di risultati politici immediati, coinvolgere i Paesi in trattative diplomatiche può stemperare le tensioni e contribuire alla costruzione di una rete di relazioni internazionali amichevoli. Queste relazioni si dimostrerebbero utili sia durante una crisi per Taiwan sia in uno scenario a lungo termine, tipo “guerra fredda”, di maggiore biforcazione globale tra i blocchi guidati dagli Stati Uniti e dalla Cina8.
La GSI, accanto alla diffidenza mostrata da gran parte del blocco occidentale, deve però fare i conti con un problema non da poco: la vasta rete di legami militari precedentemente instaurata dagli Stati Uniti con vari Paesi del mondo.
Questa è una delle ragioni per cui la cooperazione bilaterale tra Cina e Russia nel campo della difesa ha registrato nuovi progressi negli ultimi anni, ed entrambi i Paesi hanno riaffermato il loro impegno nella promozione dell’Iniziativa di sicurezza globale9.
Nella prima conferenza stampa da Ministro degli Esteri a margine del congresso delle “Due Sessioni”, Qin Gang si è presentato al mondo con un tono particolarmente duro, soprattutto nei confronti degli Stati Uniti. L’avvertimento a Washington è di abbandonare al più presto l’approccio competitivo a somma zero, pena il rischio inevitabile di “conflitto e scontro” tra le due potenze.
La contemporanea pubblicazione del saggio US Hegemony and its Perils prende la forma di un rapporto che, “presentando fatti rilevanti”, espone l’abuso della propria posizione egemonica da parte degli Stati Uniti dalla politica alla cultura, passando per l’egemonia militare, economica e tecnologica10. Ciò consente alla Cina di proporsi come alternativa mondiale per quel gruppo più o meno ampio di Paesi, soprattutto del Sud globale, insofferenti verso Washington (molti dei quali si sono astenuti nelle recenti votazioni nell’Assemblea generale dell’Onu sulla risoluzione rispetto al conflitto in Ucraina). L’approccio cinese propone “un nuovo modello di relazioni tra Stati basato su dialogo e partnership”, non-interferenza e rifiuto della politica di egemonia unipolare portata avanti dagli USA: “Da quando sono diventati il Paese più potente del mondo dopo le due guerre mondiali e la Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno agito con più coraggio per interferire negli affari interni di altri Paesi, perseguire, mantenere e abusare dell’egemonia, promuovere la sovversione e l’infiltrazione e condurre volontariamente guerre, recando danno alla comunità internazionale. Gli Stati Uniti hanno sviluppato un playbook egemonico per inscenare rivoluzioni colorate, istigare controversie regionali e persino lanciare direttamente guerre con il pretesto di promuovere democrazia, libertà e diritti umani. Aggrappandosi alla mentalità della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno intensificato la politica del blocco e alimentato conflitti e scontri. Hanno esagerato con il concetto di sicurezza nazionale, hanno abusato dei controlli sulle esportazioni e imposto sanzioni unilaterali agli altri. Hanno adottato un approccio selettivo al diritto e alle regole internazionali, utilizzandole o scartandole a suo piacimento, e hanno cercato di imporre regole che servano i propri interessi in nome del mantenimento di un ordine internazionale basato su regole. Questo rapporto, presentando i fatti rilevanti, cerca di esporre l’abuso dell’egemonia degli Stati Uniti nei campi politico, militare, economico, finanziario, tecnologico e culturale e di attirare una maggiore attenzione internazionale sui pericoli delle pratiche statunitensi per la pace e la stabilità nel mondo e il benessere di tutti i popoli”. Come conclude il rapporto: “Mentre una causa giusta ottiene un ampio sostegno da parte del suo sostenitore, una causa ingiusta condanna il suo persecutore a essere un emarginato. Le pratiche egemoniche, prepotenti e arroganti di usare la forza per intimidire i deboli, prendere dagli altri con la forza e il sotterfugio e utilizzare giochi a somma zero stanno causando gravi danni. Le tendenze storiche di pace, sviluppo, cooperazione e mutuo vantaggio sono inarrestabili. Gli Stati Uniti hanno scavalcato la verità con il loro potere e calpestato la giustizia per servire l’interesse personale. Queste pratiche egemoniche unilaterali, egoistiche e regressive hanno attirato critiche e opposizioni crescenti e intense da parte della comunità internazionale. I Paesi devono rispettarsi a vicenda e trattarsi da pari a pari. I grandi Paesi dovrebbero comportarsi in modo consono al loro status e prendere l’iniziativa nel perseguire un nuovo modello di relazioni tra Stato e Stato caratterizzato dal dialogo e dalla partnership, non dal confronto o dall’alleanza. La Cina si oppone a tutte le forme di egemonismo e politica di potere e rifiuta l’ingerenza negli affari interni di altri Paesi. Gli Stati Uniti devono condurre un serio esame di coscienza. Devono esaminare criticamente ciò che hanno fatto, abbandonare la loro arroganza e il loro pregiudizio e abbandonare le loro pratiche egemoniche, prepotenti e insolenti”.
In sintesi, Washington e l’Occidente non possono arrogarsi l’esclusiva di una sicurezza “giusta” che non prenda in considerazione la prospettiva degli attori estranei ai canoni di “democrazia liberale”. La Cina critica, perciò, “l’egemonismo” che gli Usa continuano a perseguire su diversi fronti: politico, militare, economico, tecnologico e culturale. Una mentalità quella statunitense che, nella prospettiva cinese, rappresenta il maggiore rischio alla stabilità internazionale.
La Cina si considera ormai una potenza mondiale e agisce come tale. A lungo riluttante ad immischiarsi in conflitti lontani dalle proprie coste, Pechino sta mostrando una nuova assertività da quando Xi Jinping ha iniziato il suo terzo mandato da Presidente, posizionando la Cina in modo da attirare dalla sua parte altri Paesi che condividono gli stessi interessi ed avere una maggiore voce in capitolo sulle questioni globali.
Pechino ha sorpreso positivamente il mondo intero mediando la distensione tra Arabia Saudita e Iran con un’audace incursione nelle turbolente e storiche rivalità del Medio Oriente; lo stesso ambirebbe a fare in Ucraina, come si confà ad una grande potenza responsabile, e definita non a caso dal portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Français Stéphane Dujarric de la Rivière un “contributo importante”, con riferimento soprattutto ai punti relativi all’opposizione all’uso o alla minaccia dell’uso di armi nucleari11.
Durante il suo intervento al vertice del Consiglio di cooperazione Cina-Golfo (CCG) nel dicembre 2022, il presidente cinese Xi Jinping ha osservato che il suo viaggio in Arabia Saudita ha annunciato una “nuova era” nel partenariato arabo-cinese e ha invitato gli Stati del Golfo ad aderire all’Iniziativa di Sicurezza Globale (GSI) “in uno sforzo congiunto per sostenere la pace e la stabilità regionali”. “La Cina continuerà a sostenere fermamente i Paesi del CCG nella salvaguardia della loro sicurezza e a sostenere gli sforzi dei Paesi regionali per risolvere le divergenze attraverso il dialogo e la consultazione e per costruire un’architettura di sicurezza collettiva del Golfo”, ha poi dichiarato Xi12.
Il GSI è entrato rapidamente in varie attività di politica estera e diplomatiche in Africa e Medio Oriente. Sullo sfondo delle esistenti partnership strategiche della Cina con gli Stati del Golfo che aderiscono al principio di non interferenza, molti governi probabilmente vedranno il GSI allineato con le loro opinioni sulla sicurezza regionale e internazionale. Dato il significativo profilo commerciale e di investimento della Cina, il GSI facilmente otterrà sostegno in alcune parti della regione del Golfo. Inoltre, come la Belt and Road Initiative (BRI), il GSI potrebbe essere visto da alcuni Paesi del Golfo come un’opportunità per la Cina di avere una maggiore influenza nell’economia e nella politica globali.
Il concept paper di GSI presenta la Cina come un intermediario onesto pronto a fungere da garante e fornitore di sicurezza inclusiva in tutto il mondo. In Medio Oriente, il documento concettuale del GSI chiede di istituire un “nuovo quadro di sicurezza” basato sulla proposta cinese in cinque punti per realizzare la pace e la stabilità nella regione, “tra cui la promozione del rispetto reciproco, la difesa dell’equità e della giustizia, la realizzazione della non proliferazione, promuovendo congiuntamente la sicurezza collettiva e accelerando la cooperazione allo sviluppo”.
Inoltre, la Cina promette di utilizzare il GSI per sostenere gli sforzi dei Paesi della regione per “rafforzare il dialogo e migliorare le loro relazioni, accogliere le ragionevoli preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti, rafforzare le forze interne di salvaguardia della sicurezza regionale e sostenere la Lega degli Stati arabi e altre organizzazioni regionali a svolgere un ruolo costruttivo in questo senso”.
Le relazioni tra la Cina e gli Stati del Golfo sono prosperate negli ultimi decenni, come dimostrano i loro legami rafforzati in materia di energia, commercio, politica, investimenti, tecnologia, turismo e cultura. Gli Stati del Golfo svolgono anche un ruolo cruciale nella BRI cinese e nell’espansione verso ovest, grazie alla loro posizione geografica favorevole e alla vicinanza al Mar Rosso. Lo scambio economico sino-golfo non si limita solo all’energia e alla chimica (sebbene sia una dimensione centrale nella relazione), né opera in una direzione. Invece, è diventato un processo bidirezionale che si è diversificato e approfondito alle due estremità per includere lo sviluppo di forme di energia rinnovabile, la costruzione di infrastrutture e trasporti. Inoltre, la cooperazione Cina-Golfo ha anche iniziato a spostarsi verso altre forme di attività economica più avanzate e a valore aggiunto, compresi gli investimenti nella finanza, nel turismo e nell’economia digitale.
Il GSI cinese rappresenta uno sforzo significativo per impegnarsi con la regione del Golfo e promuovere stabilità e prosperità. Man mano che l’influenza della Cina cresce, il suo coinvolgimento avrà un impatto significativo sull’architettura di sicurezza nella regione. Attualmente, la Cina si è impegnata attivamente con gli Stati del Golfo su varie questioni di sicurezza, tra cui esportazioni di armi, visite ed esercitazioni militari, antiterrorismo, sicurezza marittima e sicurezza informatica. Ha firmato accordi di cooperazione, addestrato funzionari della sicurezza, ricercatori e personale militare e istituito filiali cinesi di accademie e college dell’Esercito popolare di liberazione.
Nel complesso, il GSI cinese rappresenta un cambiamento significativo nel suo approccio agli affari di sicurezza globale. La Cina cerca di diventare un attore più efficace negli affari di sicurezza internazionale espandendo la sua presenza e influenza nelle questioni di sicurezza del Medio Oriente. Pertanto, il suo impegno con gli Stati del Golfo è una componente fondamentale di questa strategia.
La visita di Xi Jinping in Arabia Saudita nel dicembre 2022 ha segnato una svolta nella politica estera della Cina nei confronti degli Stati del Golfo
La Cina ha dichiarato che avrebbe aiutato gli Stati del Golfo a mantenere la loro sicurezza, risolvere pacificamente le controversie e sviluppare una nuova e completa architettura di sicurezza per il Golfo. Xi ha osservato che il suo viaggio ha annunciato una “nuova era” nella partnership arabo-cinese. I partecipanti al vertice hanno annunciato un nuovo piano d’azione congiunto quinquennale per il dialogo strategico, che svilupperebbe anche il loro partenariato in varie questioni economiche regionali e di sicurezza.
L’espansione economica mondiale della Cina ha portato a una più ferma determinazione a essere maggiormente coinvolta nella stabilità e nella politica regionale, in particolare attraverso il GSI come nuova architettura di sicurezza per il Golfo. Il quadro GSI consente alla Cina di collaborare con gli Stati del Golfo su questioni strategiche e diventare un importante fornitore di beni pubblici legati alla sicurezza.
Gli Stati del Golfo, da parte loro, sono frustrati con gli Stati Uniti per aver abbandonato la regione dilaniata dalla guerra a favore del suo perno verso l’Asia. Di conseguenza, a marzo, l’Arabia Saudita e l’Iran hanno concordato di ristabilire le relazioni diplomatiche in un accordo mediato dalla Cina. L’intesa ha segnalato il forte aumento dell’influenza della Cina nella regione del Golfo, dove gli Stati Uniti sono stati a lungo l’intermediario di potere dominante, e potrebbe complicare gli sforzi di Washington e Israele per rafforzare un’alleanza regionale volta ad affrontare l’Iran mentre espande il suo programma nucleare. Questa è stata la prima volta che la Cina è intervenuta così direttamente nelle rivalità politiche del Golfo Persico.
Il Centro Studi Eurasia Mediterraneo era stato tra i pochi a prevedere questa evoluzione
Già nel marzo 2021, il nostro paper dedicato alla complementarità tra la Vision 2030 saudita e la Belt and Road Initiative cinese ha anticipato che: “La Belt and Road Initiative (BRI), che collega nazioni e mercati in tutta l’Eurasia e nella regione dell’Oceano Indiano, sta rendendo la Repubblica Popolare Cinese un attore sempre più decisivo in Medio Oriente, dove l’Arabia Saudita gode di una notevole influenza politica, economica e religiosa. Allo stesso tempo Saudi Vision 2030, essendo un programma di diversificazione economica dipendente dall’esterno per investimenti e competenze, presenta una sinergia naturale con i progetti BRI della Cina in Medio Oriente, guidando Pechino e Ryiad verso una più stretta cooperazione. Attualmente il significativo divario tra gli impegni economici e di sicurezza della Cina con l’Arabia Saudita sono in fase di progettazione; se Pechino dovesse perseguire un rapporto militare più profondo con Riyad sfiderebbe l’alleanza Stati Uniti-Arabia Saudita innestando un processo decisamente antagonista con Washington. Mantenendo un rapporto di primo piano soltanto economico, la Cina è in grado di continuare a trarre benefici da un’alleanza mantenuta dagli Stati Uniti nell’ordine regionale senza contribuire ai pesanti costi di messa in sicurezza del Golfo Persico.
Dal punto di vista di Pechino, l’Arabia Saudita offre tre attributi unici per sostenere la BRI: una posizione geostrategica, il ruolo di superpotenza energetica e la sua preminenza nell’Islam globale. Geograficamente, l’Arabia Saudita è ben posizionata per trarre vantaggio dalle ambizioni di connettività marittima e terrestre della BRI. È un grande Stato, che occupa circa l’80% della Penisola Arabica, ed è l’unico Paese con accesso costiero sia al Golfo Persico che al Mar Rosso. Con le potenziali strozzature nei mercati energetici globali dello Stretto di Hormuz e di Bab el-Mandeb, l’Arabia Saudita rappresenta una possibile alternativa quale percorso di transito attraverso la Penisola nel caso in cui l’accesso sia limitato o chiuso. La sua importanza geografica è accentuata dalla sua centralità nel Medio Oriente, dove condivide i confini con otto Stati, condizione che consente all’Arabia Saudita di essere il perno di molte questioni regionali e che la rende un attore imprescindibile nelle trattative diplomatiche. In termini energetici, la posizione dell’Arabia Saudita come superpotenza petrolifera è una considerazione essenziale per la Cina”.13
La Cina è a sua volta percepita dall’Arabia Saudita come una grande potenza emergente che non ha le stesse aspettative degli Stati Uniti basate sui “valori” nelle sue relazioni estere. Il modello cinese “di crescita economica senza riforme politiche” è attraente, così come lo è il principio di “non interferenza negli affari interni di altri Stati”, codificato nei suoi “cinque principi di pacifica convivenza”, la dottrina centrale della politica estera di Pechino.
La cooperazione con l’Arabia Saudita sugli affari islamici aiuta la Cina a rafforzare la sua legittimità agli occhi della stessa popolazione musulmana. Questo è particolarmente importante nello Xinjiang, sede degli uiguri, un gruppo etnicamente turco con tradizioni religiose, culturali e linguistiche distinte da quelle della maggioranza degli abitanti della RPC. Nel luglio 2019 l’Arabia Saudita ha supportato, insieme ad altri 36 Paesi, la firma di una lettera di sostegno alle politiche cinesi nella regione occidentale dello Xinjiang; l’agenzia di stampa “Reuters” ha dichiarato di aver preso visione di una copia della lettera e ha riferito che, tra le altre cose, i firmatari avrebbero scritto che la sicurezza era tornata nello Xinjiang e che i diritti umani fondamentali delle persone appartenenti a qualsiasi gruppo etnico erano stati salvaguardati: “Di fronte alla grave sfida del terrorismo e dell’estremismo, la Cina ha intrapreso una serie di misure di antiterrorismo e de-radicalizzazione nello Xinjiang, tra cui la creazione di centri di istruzione e formazione professionale”, si legge nella missiva.
Soprattutto il CeSEM aveva previsto la necessità per Pechino di porsi come mediatrice tra le due grandi potenze regionali rivali (come infatti è poi avvenuto): “Alla base del suo successo futuro rimane la capacità della Repubblica Popolare Cinese di mantenere un forte equilibrio tra Ryiad e Teheran; la sua presa di posizione a sostegno dell’Iran dipende, in larga misura, dall’interesse che la Cina ha nei confronti di una Persia stabile e inserita a pieno titolo nel sistema internazionale. L’Iran occupa infatti un ruolo chiave all’interno dei progetti BRI a causa della sua posizione geografica tra Europa e Asia che permette l’incontro tra i corridoi Nord-Sud ed Est-Ovest. Inoltre, la rete ferroviaria di 2300 km che collega Urumqi a Teheran è, per la Cina, la porta terrestre verso l’Europa. La Cina teme quindi di ritrovarsi schiacciata dalla rivalità tra Iran e Arabia Saudita e di dover far fronte ad un sistema regionale lesivo per i suoi progetti. Inoltre, l’importanza strategica del controllo delle infrastrutture diviene ancora più evidente se si considera che, acquisendo uno sbocco a Gwadar (in Pakistan), l’Arabia Saudita guadagna un avamposto strategico nei pressi dello stretto di Hormuz, uno dei principali check point globali – da cui transita il 20% del petrolio globale. Dopo gli investimenti sauditi di 20 miliardi di dollari nella “Terra dei Puri”, le tensioni nel Kashmir hanno nuovamente riavvicinato Islamabad allo storico alleato cinese; la neutralità e la ricerca di nuovi rapporti bilaterali nei confronti dell’Iran, potrebbero così trasformare il Pakistan nel mediatore ideale per la pacificazione della regione voluta dalla Cina per implementare la BRI”14.
Il massimo diplomatico cinese, Wang Yi, ha recentemente affermato che il dialogo tra i due Paesi è “diventato una pratica di successo per la forte attuazione della Global Security Initiative. Wang ha descritto l’accordo Iran-Arabia Saudita come una vittoria per il dialogo e la pace, aggiungendo che la Cina continuerà a svolgere un ruolo costruttivo nell’affrontare questioni globali impegnative.
Il successo della Cina nell’ospitare i colloqui che hanno portato alla svolta evidenzia la sua buona volontà e il suo impegno per promuovere la pace in Medio Oriente attraverso il dialogo politico e i suoi sforzi per far progredire l’attuazione del GSI. Ciononostante, ci vorrà probabilmente più tempo per attenuare le tensioni di sicurezza e settarie di lunga data che hanno diviso l’Arabia Saudita e l’Iran per decenni e alimentato la loro competizione per il dominio regionale. La spaccatura Iran-Arabia Saudita ha rappresentato lo scisma spesso violento tra musulmani sciiti e sunniti che ha dominato per decenni il Medio Oriente.
Inoltre, l’accordo tra Arabia Saudita e Iran è stato firmato a seguito di notizie secondo cui Riyad si sarebbe offerta di normalizzare le sue relazioni con Israele in cambio di un impegno degli Stati Uniti per la sicurezza del Golfo, il sostegno al programma nucleare saudita e maggiori vendite di armi nordamericane al regno. Secondo un rapporto del Wall Street Journal, dopo la firma dell’accordo per rinnovare le relazioni con l’Iran, mediato dalla Cina, i funzionari sauditi hanno affermato che il principe ereditario Mohammed bin Salman si aspetta che manovrando le grandi potenze l’una contro l’altra, sarà in grado di aumentare la pressione sugli Stati Uniti nell’ambito del tentativo saudita di ottenere garanzie di sicurezza e il via libera allo sviluppo di un programma nucleare civile15.
Conclusioni
La rivalità Cina-Stati Uniti riguarda prima di tutto una lotta per chi stabilirà le regole globali, essenzialmente una sfida per il “discorso dominante” sulla scena internazionale.
Il GSI cinese è una componente di una spinta più ampia per determinare un mondo multipolare post-occidentale e stabilire agende globali che riflettano i suoi interessi e valori. Come ogni altra grande potenza, la Cina persegue i propri interessi nazionali, ma in quanto superpotenza emergente cerca anche di stabilire la propria leadership globale.
A prima vista, i crescenti livelli di impegno nel Golfo dimostrano che la Cina tenta di svolgere un ruolo più significativo nel plasmare la prospettiva di accordi di sicurezza regionale. L’aumentata presenza diplomatica della Cina ha portato a una sua più ferma determinazione a essere maggiormente coinvolta nella stabilità e nella politica regionali, in particolare attraverso il GSI come nuova architettura di sicurezza per il Golfo.
Tuttavia, il crescente impegno della Cina nel Golfo non significa necessariamente che Pechino miri a sostituire gli Stati Uniti e finanziare un nuovo sistema di sicurezza. Gli USA rimangono il principale fornitore di sicurezza della regione, non solo in termini di vendita della maggior parte delle armi agli Stati del Golfo, ma anche come presenza militare sul campo. Il GSI cinese deve fornire valide alternative alla deterrenza integrata di Washington nel Golfo. Sebbene esista una crescente varietà di opzioni cinesi nei beni di pubblica sicurezza e nelle tecnologie a duplice uso e militari, essa non può ancora sostituire la deterrenza complessiva integrata dagli Stati Uniti nel Golfo, a meno che ciò non avvenga di concerto con gli Stati partner, Russia in primis.
Detto questo, la Cina attualmente fornisce alternative di sicurezza limitate che minano direttamente e indirettamente il dominio degli Stati Uniti, pur senza sostituirlo.
Anche se la visione alternativa della Cina per una nuova architettura di sicurezza (in particolare attraverso il GSI) nel Golfo deve ancora essere sviluppata quando si affrontano le reali esigenze militari, la Cina può rimodellare in modo significativo l’ambiente geopolitico, dato il suo crescente impegno strategico con gli Stati del Golfo. Questo impegno talvolta potrebbe anche essere nell’interesse degli Stati Uniti o dei suoi alleati. Washington non può aspettarsi che i suoi alleati del Golfo rifiutino il GSI, non più di quanto la Cina non possa contare su di loro per abbandonare l’architettura di sicurezza e la rete di alleanze degli Stati Uniti. Mentre la Cina ha iniziato ad articolare una visione audace di come dovrebbe svilupparsi la governance della sicurezza globale, il successo e l’impatto di questa iniziativa nel Golfo dipenderanno in ultima analisi dalla volontà dei partner locali di cooperare nell’ambito del GSI.
In definitiva, rimane essenziale osservare l’evoluzione del GSI e il suo rapporto con le più ampie ambizioni della Cina di riformare la governance globale nei prossimi anni. Nonostante la narrativa dell’Amministrazione Biden, le effettive prospettive che gli Stati Uniti si ritirino dall’area mediorientale sembrano scarse. Ciò è particolarmente vero per la regione del Golfo, dove la presenza militare statunitense è cresciuta costantemente nell’ultimo decennio (basti pensare alle basi militari statunitensi in Siria, funzionali al furto del petrolio e del grano del Paese e mai autorizzate dal Governo di Damasco)16.
Washington mantiene ancora interessi vitali nel garantire la libertà di navigazione e salvaguardare le forniture globali di petrolio.
Anche se gli Stati Uniti alla fine si ritirassero dal Golfo, la Cina dovrebbe espandere le sue capacità di proiezione del potere per sostituire l’architettura di sicurezza statunitense. Per ora, alla Cina mancano le capacità militari – in particolare la copertura aerea che richiederebbe basi regionali – e la volontà politica di fornire una valida alternativa. Tuttavia, i progetti in crescita nell’ambito del quadro BRI e la volatilità regionale potrebbero modificare questi calcoli a lungo termine.
L’annuncio per cui l’Iran e molti altri Paesi della regione, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein e Iraq, formeranno presto una forza navale congiunta per garantire la sicurezza nel Golfo Persico – secondo quando dichiarato dal comandante della Marina iraniana, il contrammiraglio Shahram Irani, in un programma televisivo e secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa iraniana “Fars”: “Oggi i Paesi della regione si sono resi conto che la sicurezza della regione può essere stabilita attraverso la sinergia e la cooperazione degli Stati regionali” – va proprio nella direzione di un nuovo assetto multipolare così come auspicato dall’Iniziativa di Sicurezza Globale.
L’alto ufficiale iraniano ritiene che anche Pakistan e India potrebbero presto unirsi alla forza congiunta. Irani ha specificato: “Quasi tutti i Paesi della regione dell’Oceano Indiano settentrionale sono giunti alla conclusione che devono sostenere la Repubblica islamica dell’Iran e stabilire congiuntamente la sicurezza con una significativa sinergia. Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrain, Iraq, Pakistan e India sono tra questi Paesi”.
In precedenza, un sito informativo del Qatar, “Al Jadid”, aveva riferito che Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Oman formeranno una forza navale congiunta sotto gli auspici della Cina per migliorare la sicurezza marittima nel Golfo Persico. Secondo “Al Jadidi”, “la Cina ha già iniziato a mediare i negoziati tra Teheran, Riyad e Abu Dhabi volti a rafforzare la sicurezza della navigazione marittima nello specchio d’acqua strategico”17.
NOTE AL TESTO
1 Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China, Acting on the Global Security Initiative To Safeguard World Peace and Tranquility, fmprc.gov.cn, 6/5/2022.
2 Federico Giuliani, Che cos’è la Global Security Initiative, la nuova proposta sulla sicurezza globale della Cina, “Inside Over”, 28/02/2023.
3 Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China, China’s Position on the Political Settlement of the Ukraine Crisis, fmprc.gov.cn, 24/02/2023. Il testo completo della GSI con i miei commenti nelle note è rinvenibile nel primo articolo di questo Focus CeSEM.
4 Denny Roy, ‘Global security’ rules would bind world, not China, “Asia Times”, 24/02/2023.
5 “Scenari Internazionali”, 8 marzo 2023.
6 Yuan Peng, Strategic Thinking on the Path of National Security with Chinese Characteristics, “China Institutes of contemporary international relations”, 15/07/2022.
7 Aska News, Cina rilancia la sua iniziativa per la sicurezza globale, 21/02/2023.
8 Gabriel Wildau, China’s Global Security Initiative (GSI) aims to build a diplomatic and security architecture to rival the US-led system of multilateral treaties, alliances, and institutions, “teneo.com”, 1/3/2023.
9 Conferenza stampa del portavoce del ministero della Difesa cinese, Tan Kefei, 30/03/2023.
10 Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese, US Hegemony and Its Perils, fmprc.gov.cn, 20/02/2023.
11 UN spokesman says China’s position paper on Ukraine crisis “important contribution”, “Xinhua”, 25/02/2023.
12 Mordechai Chaziza, The Global Security Initiative: China’s New Security Architecture for the Gulf, “The Diplomat”, 5/5/2023.
13 Stefano Vernole, Da Vision 2030 alla Belt and Road Initiative. Quale evoluzione per l’Arabia Saudita?, www.cese-m.eu, 16/3/2021.
14 Ibidem.
15 Chaziza, op. cit.
16 USA continuano a rubare petrolio e grano in Siria, “China Radio International”, 04/01/2023.
17 Golfo: il comandante della Marina iraniana annuncia una forza navale congiunta con sette Paesi della regione, “Agenzia Nova”, 3/6/2023.
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