Nuovo patto finanziario “globale” di Parigi: il “Club di Pechino” si batte per la Cina

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di Sylvain Takoué

Traduzione dal francese per il Centro Studi Eurasia e Mediterraneo di Carolina Angelica Fava.

Se il Presidente della Francia, Emmanuel Macron, ha convocato a Parigi un “Vertice per un nuovo patto finanziario globale”, al quale hanno preso parte, dal 22 al 24 giugno 2023, una quarantina di capi di Stato e di governo, oltre a rappresentanti delle istituzioni internazionali istituzioni finanziarie, nonché attori del settore privato e della società civile, nulla ci impedisce di essere convinti che si tratti solo di un esercizio di routine rinnovato in questo settore.

Il patto, in fondo, resta lo stesso: Parigi detterebbe la sua legge del mercato delle idee e il suo filo conduttore, in una messa del gran signore, e gli altri dovrebbero ancora dire il tradizionale “amen”, e tornare a casa loro, tutti indottrinati…

Ma no, questa volta: tra tutti i partecipanti conosciuti, il Presidente del Brasile, Lula da Silva, il Presidente del Sud Africa, Cyril Ramaphosa, nonché il Premier cinese Li Qiang, avevano e hanno mostrato una posizione unica, che è quella dei BRICS. Hanno abbattuto le istituzioni finanziarie internazionali, che fino ad ora hanno tenuto il mondo in disequilibrio, e hanno proposto la loro visione comune di governance globale, come ora dovrà essere vissuta sulla scena internazionale.

L’approccio di questo “Paris Financial Summit” sta certamente cambiando, per darsi un nuovo sguardo sulla scena internazionale, ma non ha nulla a che vedere con un cambiamento profondo, eppure atteso dal resto del mondo: il cambio di dottrina (politica di aspirazione) e di fatto (ultraliberismo economico).

Le istituzioni finanziarie internazionali denunciate – in particolare il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale (BM) e le Banche Multilaterali di Sviluppo (MDB) – che erano state tolte dal cappello occidentale di Bretton Woods, all’indomani della Seconda guerra mondiale (1939-1945), ha fatto il suo tempo e il suo cavolo grasso, a solo vantaggio delle potenze capitaliste e liberali presenti.

Poi queste alte istituzioni hanno dato vita, negli anni ‘80, con il sostegno del Tesoro americano, a un patto finanziario globale, noto come “Washington Consensus”: fornire assistenza finanziaria ai Paesi in via di sviluppo dell’America Latina e a quelli dell’Africa – in breve, il Terzo Mondo.

Ma è stato fatto a condizione, senza scampo, di un’eterna austerità di bilancio concordata da questi languenti Paesi del Terzo Mondo.

Le conseguenze sulla loro economia nazionale sono state disastrose: schematicamente, questo patto finanziario ha dato poco finanziariamente con una mano, mentre ha tolto economicamente troppo con l’altra, e quindi ha condannato questi Paesi sovraindebitati alle crisi interne che hanno sempre vissuto, quali sono le cause profonde della loro instabilità cronica.

La politica economica e finanziaria ultraliberale degli Stati Uniti d’America, in questo patto finanziario globale del “Washington Consensus” – un sistema favorevole solo ai Paesi ricchi – ha piuttosto pompato e vampirizzato l’economia dei Paesi dell’America Latina e L’Africa, da tempo intrappolata nelle trappole del debito estero occidentale, strettamente condizionata dallo spirito mercantile, secondo il quale la “democrazia occidentale” è garanzia di sviluppo economico.

Troviamo, nei risultati di questo grande gioco di prestigio, un mito facile e vuoto, quello dell’Occidente ineludibile, e dei Paesi del Terzo Mondo che sono rimasti in fondo alla scala dello sviluppo economico, e lì stanno crollando sotto il peso delle restrizioni economiche interne e la loro quota di ripetute crisi politiche.

Quando, nel 2004, il geo-stratega americano Josha Cooper Ramo fece conoscere il nome “Beijing Consensus “, in opposizione ideologica al “Washington Consensus” del 1980, incoraggiò a trovarvi un’alternativa orientata sul modello dello sviluppo economico.

L’accademico, editorialista, saggista e politologo francese Christian Gambotti dà una spiegazione del “Beijing Consensus”: per lui, infatti, questa “dottrina va letta come volontà di rottura con l’Occidente e con le ex potenze coloniali: non- ingerenza, rispetto reciproco, esaltazione dello Stato forte e dei regimi neoautoritari, anche se “dimenticano” i diritti umani, divorzio tra crescita e libertà, ecc. Il successo economico della Cina le permette di imporre il suo modello”.

L’accademico Christian Gambotti indica approssimativamente che la Cina ha creato, nel 2014, la “New Development Bank”, in alternativa al “Washington Consensus”, per aiutare i Paesi membri dei BRICS, formatisi dal 2011.

Lì, in realtà, sta la strada per costruire un vero e proprio “nuovo patto finanziario globale”, e non in questo recente Summit di Parigi. Con la Cina, un “consenso equilibrato e giusto” vale l’alternativa di uno sviluppo economico condiviso e inclusivo. Stretti per lungo tempo tra le grinfie della ferrea morsa finanziaria dell’Occidente, i Paesi del Terzo Mondo – o meglio ora i Paesi in via di sviluppo – potrebbero finalmente dare alle loro economie nazionali l’ossigeno che gli mancava per riprendere fiato e rimettersi in piedi.

Con i 5 Paesi chiave, vale a dire Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, il blocco BRICS rappresenta, nel 2023, il 40% della popolazione mondiale, il 31,5% del PIL mondiale, rispetto al 30,7% del G7. Senza dimenticare che questo Blocco dell’alternativa ideologica evolve verso quello che diventerà il “BRICS Plus”, con un numero sempre crescente di altri Paesi che ne chiedono l’integrazione automatica. Indubbiamente, il nuovo mondo della nuova era economica dovrà quindi sottolineare l’approfondimento e il consolidamento delle relazioni internazionali attorno ai BRICS, realizzando questo “Beijing Consensus”, che sarà un consenso a tutto campo di nuove convergenze sui grandi temi che influenzare il futuro dell’umanità.

La governance globale così ora equilibrata è a questo prezzo, nonostante certi malumori e spiriti retrogradi, ancora intrisi del dissuasivo pessimismo che ne tradisce letteralmente il superamento. Ma una cosa è certa e certa: il mondo oggi non può andare avanti, in una direzione o nell’altra, senza Cina e BRICS.

Sylvain Takoué è uno scrittore ivoriano e direttore generale del Premio Xi Jinping, nonché autore del libro 

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