TAVOLA ROTONDA A VIENNA SULLA SICUREZZA: “LE SFIDE DELLA POLITICA DI SICUREZZA PER L’EUROPA – 2023”

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FONTE ARTICOLO: https://geostrategy.rs/en/geopolitics/1316-vienna-security-round-table-security-policy-challenges-for-europe-2023

Il 30 marzo 2023 a Vienna si è tenuta la tavola rotonda internazionale “Le sfide della politica di sicurezza per l’Europa, 2023” in collaborazione con l’Associazione accademica di Vienna e il Centro di studi geostrategici e a cui hanno partecipato politici ed esperti provenienti da Germania, Italia, Francia, Serbia, Polonia, Siria e Austria.

L’interessante discussione sul conflitto ucraino, sulla migrazione di massa, sull’approvvigionamento energetico e sull’attualità è stata presieduta da Patrick Poppel, esperto del Centro di studi geostrategici e analista politico austriaco.

Nello stesso giorno, al Parlamento austriaco il Partito della Libertà ha manifestato il proprio disappunto per il discorso di Vladimir Zelenski – avvenuto con collegamento video in remoto – abbandonando la sessione parlamentare, poiché ritengono che ciò costituisca una violazione evidente della neutralità austriaca. Il presidente del Partito della Libertà austriaco Herberg Kickl ha dichiarato: “L’Austria, Paese neutrale, concede la parola al presidente di un Paese in guerra, che, potremmo dire, sta diffondendo la propaganda ucraina, della NATO e americana”.

I partecipanti alla tavola rotonda “Le sfide della politica di sicurezza per l’Europa nel 2023” hanno appoggiato la posizione dei politici austriaci del Partito della Libertà.

Christian Zeitz, direttore dell’Istituto di Economia Politica Applicata e membro dell’Associazione degli Accademici di Vienna, ha dato il benvenuto agli ospiti della conferenza e ha espresso il suo punto di vista e le sue preoccupazioni sull’attuale situazione politica in Europa.

Andreas Molzer, ex membro dell’Unione Europea tramite il Partito della Libertà austriaco, ha aperto la tavola rotonda delineando il tema della sicurezza europea. Ha parlato di temi geopolitici, di sicurezza europea, di crisi dei migranti e di UE. Ha deplorato il fatto che l’Europa non abbia alcuna alternativa, cioè un’opzione diversa dall’integrazione europea, soprattutto dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale. Dopo la fine del mondo bipolare, l’Europa ha iniziato a emanciparsi, ma questo processo si è ora definitivamente arenato. Abbiamo perso l’occasione offerta dal conflitto russo-ucraino per cambiare la nostra posizione o per tornare alle vecchie posizioni. L’attuale conflitto in Ucraina ha dimostrato che l’UE non ha ambizioni geopolitiche. L’UE aiuta militarmente l’Ucraina e l’Austria è uno degli ultimi Paesi rimasti neutrali. Il problema in Europa è che le strutture politiche non sono unificate, ad esempio l’Alternativa per la Germania, la Lega e la Meloni che rappresenta gli interessi euro-atlantici invece di essere orientata a destra. Il Partito della Libertà austriaco è l’unico partito che ha criticato l’apparizione e il discorso di Vladimir Zelensky in Parlamento. L’UE si è lasciata emarginare dalle grandi potenze. Molzer ha parlato anche dei problemi legati alle migrazioni di massa che in Europa si sono verificate negli ultimi anni. Egli ritiene che i sistemi sociali e sanitari europei non siano in grado di sostenere i costi dell’immigrazione di massa. Il politicamente corretto non sarà d’aiuto a nessuno, meno che meno a noi. Un errore in termini di sicurezza è stato commesso dai sistemi di sicurezza tedesco e nostro. C’è ancora però la possibilità di contenere i danni. La Gran Bretagna, ad esempio, ha imposto una politica migratoria rigida dopo la Brexit. La crisi migratoria in Europa coincide con l’edonismo di massa, l’abolizione della cultura e della religione, che destabilizza ancora di più la situazione; d’altronde, la migrazione è sfruttata come strumento di pressione dalle grandi potenze.

In senso geopolitico, l’UE non avrà alcun ruolo significativo. “Non appoggio l’Operazione Militare Speciale, ma allo stesso tempo non credo che l’Ucraina stia combattendo per i valori occidentali: questa lotta è piuttosto combattuta a Mosca”.

Karin Kneissl, ex ministro federale per gli Affari europei e internazionali della Repubblica d’Austria, ha argomentato la sua opinione circa l’interrelazione tra la crisi energetica e la crisi ucraina nonché le soluzioni possibili per l’Europa.

Kneissl ha parlato della storia di dipendenza dell’Europa dai prodotti e dall’energia stranieri, nonché della mancanza di attenzione alla sicurezza energetica e alla capacità di accesso economico negli ultimi decenni, con particolare attenzione ai cambiamenti climatici. Ha sottolineato l’importanza della sicurezza energetica e della convenienza economica per le famiglie e l’industria e ha fornito l’esempio di come il Primo Ministro ungherese abbia preso provvedimenti precisi per risolvere il problema. La Kneissl sostiene che chi ha il compito di decidere deve essere più realistico e onesto su ciò che è possibile e ciò che non è possibile in termini di produzione energetica e smetterla di pensare tutto in termini di netta contrapposizione. Ha inoltre criticato l’atteggiamento dell’Occidente nei confronti della Russia e ha sottolineato la necessità di adottare un comportamento più maturo da parte di chi di dovere. Ha sottolineato la necessità di instaurare un processo decisionale più realistico e responsabile.

Karin Kneissl si è detta d’accordo sul fatto che il problema principale sia il conflitto tra pio desiderio e fredda realtà, soprattutto in relazione all’attuale crisi energetica e alla guerra economica contro la Russia, che ritiene sia conseguenza di comportamento infantile e affermando che molti governi occidentali non si stiano comportando in modo maturo.

Dragana Trifković, direttrice del Centro di studi geostrategici di Belgrado, ha trattato il tema della separazione violenta del Kosovo e Metochia: “La scorsa settimana si è compiuto il ventiquattresimo anniversario dell’inizio dei bombardamenti NATO sulla Serbia. La ragione dietro l’aggressione della NATO era la presunta violazione dei diritti umani degli albanesi in Kosovo e Metochia, cioè nella provincia meridionale serba, da parte del regime serbo. Taluni hanno persino sostenuto si trattasse di un genocidio. Questa è in realtà un’accusa inventata a tavolino, mossa dai funzionari statunitensi capitanati da Bill Clinton, Madeleine Albright, Wesley Clark e così via, i quali hanno sfruttato accuse false propagandate dai media mainstream per avere un alibi.

Esiste un eccellente documentario tedesco: “It started with a lie” (Cominciò con una menzogna), nel quale la verità è mostrata. L’obiettivo dell’intervento della NATO era di costruire la più grande base militare americana in Europa, sul territorio della Serbia, base che si chiama Bondsteel – non la protezione dei diritti umani degli albanesi.

I diritti degli albanesi del Kosovo e Metochia sono tutelati dalla Costituzione della Repubblica di Serbia, che garantisce loro il diritto all’uso della lingua, alla tutela della loro cultura e dei loro costumi, il diritto di partecipare a tutte le istituzioni statali, alla vita pubblica e politica, il diritto all’istruzione in lingua albanese, ai media in lingua albanese, e così via. L’ex Jugoslavia e la Serbia hanno sofferto per decenni il problema del terrorismo albanese, ed è stato proprio questo il fattore che aveva scatenato la repressione dei terroristi albanesi e dell’Esercito di Liberazione del Kosovo da parte delle strutture di sicurezza serbe. Ma i media occidentali mascherato la cosa come un conflitto tra le forze di sicurezza serbe e i civili albanesi, cosa che non è per niente vera.

Venendo alla questione dei diritti dei cittadini russi in Ucraina, l’Ucraina ha vietato l’uso della lingua russa, le attività dei media in lingua russa e le attività dei partiti di opposizione. Nel 2014, dopo il colpo di Stato a Kiev, il regime ucraino ha lanciato nelle regioni orientali del Paese contro i propri cittadini. Eppure gli Stati Uniti non hanno definito ciò una violazione dei diritti umani, ma della democrazia. La politica dei due pesi e delle due misure si vede qui chiaramente: un utilizzo completamente incoerente che rende chiaro gli usi impropri delle tematiche legate alla democrazia e alla violazione dei diritti umani per ottenere obiettivi militari ed economici. Basti vedere come i media occidentali parlino della democrazia in Kosovo. A tutt’oggi, oltre 250 mila serbi vivono in esilio, non possono tornare alle loro case e non possono esercitare i loro diritti umani: sono rifugiati all’interno loro stesso Paese. Ogni giorno vengono perpetrate violenze contro i serbi rimasti in Kosovo.

L’unico documento internazionale valido per risolvere la questione del Kosovo è la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma gli Stati Uniti si ostinano a proseguire lungo il loro progetto d’indipendenza per il Kosovo, ignorando e violando il diritto internazionale.

Attualmente alla Serbia viene imposto un piano franco-tedesco per la risoluzione della questione del Kosovo, che in realtà non è che il piano di Ischinger per l’indipendenza del Kosovo del 2007. Questo piano è stato modellato sul riconoscimento delle due Germanie dopo la Seconda Guerra Mondiale. Alla Serbia viene chiesto di riconoscere la cosiddetta indipendenza del Kosovo, di rinunciare al suo territorio e di sollevare gli Stati Uniti dalla responsabilità dei bombardamenti sulla Serbia. Si tratta in realtà di una violenta ridefinizione dei confini, tramite la quale gli Stati Uniti perseguono i propri interessi soffiando sul fuoco del conflitto. Se aboliremo completamente il diritto internazionale e eccetteremo il diritto di una particolare potenza, che in questo caso sono gli Stati Uniti, di ridisegnare i confini interni all’Europa secondo le proprie esigenze, ci ritroveremo in una situazione molto pericolosa.

Un Kosovo indipendente può essere stabilito ovunque in Europa perché in Europa ci sono molti potenziali conflitti che potrebbero essere sfruttati in questo senso, in particolare dopo le grandi migrazioni dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa. È chiaro che l’Europa è ora gravata da molti altri problemi, ma il caso del Kosovo in questo senso non va essere ignorato, poiché è quello che ha aperto il vaso di Pandora.

La soluzione è di tornare al quadro del diritto internazionale e delle istituzioni internazionali, entro il quale poter dialogare. Nei riguardi della crisi ucraina, abbiamo visto che gli accordi raggiunti a Minsk non sono stati rispettati, come ha infine riconosciuto l’ex cancelliere tedesco Angela Merkel.

I funzionari europei ci hanno detto che non avevano intenzione di onorare gli accordi di pace raggiunti, che gli servirono solo per ad armare l’Ucraina in vista della guerra che si stava preparando.

L’opinione di Dragana Trifković è che l’idea di scatenare una guerra con la Russia, anche qualora si trattasse di una guerra ibrida condotta attraverso l’Ucraina, sia molto pericolosa per l’Europa tutta. Per questo motivo, Dragana Trifković ritiene che la consegna di armi all’Ucraina debba essere immediatamente interrotta e che i mezzi diplomatici debbano essere attivati nel pieno rispetto del diritto internazionale e nell’ottica di attuare gli accordi raggiunti.

Paolo Grimoldi, ex membro del Parlamento italiano e capo della delegazione italiana presso l’OSCE, ha trattato dei due pesi e due misure riguardo al fatto che l’Europa, in alcuni casi, ha sostenuto il separatismo regionale, ma non in altri. Si sono registrate una serie di rivoluzioni colorate e di numerosi altri tentativi di farne scoppiare altre, che però sono falliti. L’amministrazione statunitense si è dimostrata incapace di garantire la pace nel mondo. Paolo Grimoldi ha dichiarato di essere venuto recentemente a conoscenza del fatto che la Tunisia ha iniziato ad agire per prevenire l’immigrazione clandestina in Europa e che gli Stati Uniti l’hanno per questo biasimata. È ovvio che gli Stati Uniti sostengano la migrazione di massa e che non vogliono che si fermi. Grimoldi ritiene che gli Stati Uniti stiano ricattando politicamente molti Paesi europei, tra i quali l’Italia. Molti Paesi quali il Messico, il Brasile, la Bolivia, la Cina e la Russia sono critici verso la politica statunitense.

Jacques Hogard, colonnello del Task Group delle forze speciali francesi sotto il comando della NATO in Kosovo, autore di un libro biografico a riguardo dal titolo “L’Europa è morta a Pristina”, ha discusso delle conseguenze dell’aggressione della NATO contro la Serbia e della separazione del Kosovo sotto il protettorato congiunto della NATO e dell’UE verso i gruppi mafiosi albanesi. La guerra ha causato sofferenze fisiche, materiali, morali e psicologiche alle popolazioni, la morte di molti giovani e la distruzione massiccia delle infrastrutture, con pensanti conseguenze economiche e sociali. L’autore non è d’accordo con il giornalista che aveva incolpato la Russia e Vladimir Putin per la guerra. Suo padre, ex generale dell’esercito francese, riteneva che gli Stati Uniti lavorassero contro la Francia e che la NATO, dopo il crollo dell’URSS, fosse diventata uno strumento offensivo antislavo e antirusso al servizio dei soli interessi americani. Suo padre ha persino lasciato l’esercito francese per questo motivo. L’Unione Europea è un fallimento, è antidemocratica e corrotta da una casta interna. La sua gestione disastrosa ha causato il sostegno costoso e criminale alla guerra in Ucraina, alla gestione catastrofica della pandemia di Covid e all’assenza di ogni politica di protezione di fronte alle ondate migratorie. Altre critiche riguardano la promozione dell’ideologia woke e la messa in discussione dei valori tradizionali ereditati dalle civiltà greca e romana plasmate dal cristianesimo, nonché i gravi attacchi all’identità dei popoli europei. Anche il destino della Francia è motivo di preoccupazione.

Hogard, che proveniente da una famiglia di partigiani della Resistenza francese durante la Seconda Guerra Mondiale, si considera un discepolo del generale de Gaulle e sogna la rapida uscita dal comando integrato della NATO e la scomparsa di questo strumento imperialista americano. Spera nella costruzione di un vero sistema di sicurezza europeo dall’Atlantico a Vladivostok, che comprenda la Polonia, l’Europa centrale e i Paesi baltici. Egli ha inoltre esortato i popoli europei a liberarsi da quello che considera il giogo americano e a riprendere il controllo del proprio destino prima che sia troppo tardi, prendendo come esempio l’Ungheria.

Petr Bistron, membro del Bundestag tedesco con il partito Alternativa per la Germania, è intervenuto sul tema della crisi ucraina. Egli ritiene che il conflitto in Ucraina segni la fine del mondo monopolare e l’inizio del mondo multipolare. L’Ucraina è la nuova linea rossa che verrà utilizzata per tracciare la nuova divisione dell’Europa. L’Europa sarà divisa in due parti, che segna in realtà una nuova divisione del mondo intero. Questo conflitto segna allo stesso tempo la fine del dominio e dell’egemonia statunitense e l’arrivo di forze nuove che agiscono in sintonia: Cina, India, Russia, Brasile e altri Paesi BRICS, l’Africa, si unisce a questa alleanza, e l’Iran. Questa alleanza è molto attraente per numerosi Paesi dell’Africa e dell’Asia. Gli Stati europei e gli Stati Uniti pappagallano una narrazione sempre falsa e si sforzano di etichettare la Russia come l’aggressore attraverso l’uso della menzogna ripetuta mille volte circa il fatto che l’azione militare della Russia in Ucraina costituisca la prima violazione del diritto internazionale registratasi in Europa sin dalla Seconda Guerra Mondiale. Ciò non è vero, dato la prima violazione del diritto internazionale è avvenuta con il bombardamento di Belgrado, l’aggressione della NATO contro la Jugoslavia nel 1999. Quindi il primo aggressore tra gli altri Paesi della NATO è stata la Germania.

Konrad Rekas, esperto di politica e analista geopolitico polacco, ha tenuto una presentazione sul tema: “Spostamento o migrazione: il movimento della popolazione ucraina dopo il 24/2/2022. come fattore di destabilizzazione in Europa centrale“. Ha parlato delle preoccupazioni legate alla migrazione in Polonia, soprattutto dall’Ucraina, e del potenziale impatto sull’economia e sui valori culturali del Paese.

Nel febbraio 2022, molti polacchi hanno aiutato spontaneamente coloro che ritenevano essere dei rifugiati in fuga dalla guerra e dal pericolo imminente, anche se la maggior parte degli arrivi proveniva da aree non colpite dalla guerra. Nel corso di 13 mesi, la Polonia ha accolto non meno di 4,8 milioni di immigrati ucraini, che costituiscono quasi il 14% della popolazione polacca antebellica. Questo trauma demografico senza precedenti, a cui si unisce la mancanza di controlli alle frontiere, ha reso vulnerabile il Paese alle mafie ed al terrorismo, sulla falsa riga di quanto avvenuto con la guerra del Kosovo del 1999. Rekas ritiene che ciò costituisca un’ulteriore invasione organizzata e diretta dagli occupanti anglosassoni avvenuta con il pretesto degli “aiuti umanitari”.

Rekas esamina la crisi migratoria ai confini polacchi e la paragona al conflitto in Kosovo e all’aggressione della NATO contro la Jugoslavia nel 1999. Sottolinea inoltre che la Russia ha accolto un numero significativo di rifugiati provenienti dalla parte orientale e russofona dell’Ucraina e che stia sostenendo i costi della guerra imposta senza lamentele e senza chiedere l’amnistia.

Egli sostiene inoltre che l’afflusso di immigrati stia mettendo a dura prova il sistema assistenziale polacco e che rilanciare l’economia attraverso l’immigrazione è cosa non fattibile. Rekas esprime anche preoccupazione nei riguardi dell’indottrinamento nazista degli immigrati ucraini e critica l’attuale Stato e governo ucraino per il loro carattere neonazista. Rekas ritiene che la migrazione di massa degli ucraini verso l’Unione Europea sia un fattore destabilizzante e una minaccia per le nazioni europee, e chiede di intervenire per contrastare quella che potrebbe essere vista come una rinascita del nazismo.

Marco Ghisetti, dottore in Politica Mondiale e Relazioni Internazionali e in Filosofia, collaboratore della rivista di geopolitica “Eurasia” e direttore della collana “Classici” della casa editrice italiana Anteo Edizioni, fornisce una prospettiva macrocontinentale della crisi in atto in Europa e sulle delle sfide che gli Stati europei sono tenuti ad affrontare. Egli ritiene che l’Europa stia subendo un processo di degermanizzazione, il quale sta danneggiando il motore economico della Germania e con esso l’autonomia strategica e politica dell’Europa e dell’UE. Egli sostiene che questo processo stia avvenendo in un momento in cui Russia e Cina hanno stretto un’alleanza e se il centro di gravità della Germania si spostasse verso est, l’unipolarismo americano ne sarebbe irrimediabilmente compromesso. L’oratore tratta anche la guerra in Ucraina e l’ascesa di movimenti populisti in Europa, che sono anti-germanici ma filo-americani.

Ghisetti annota che l’attuale processo di degermanizzazione in Europa non è il primo che si verifica. Si è soffermato sui due precedenti casi rovinosi di germanizzazione: il primo è avvenuto angli anni antecedenti la Prima guerra mondiale, dopo che la Germania aveva cercato di unire lo spazio europeo sotto la propria influenza economica e politica attraverso iniziative quali la linea ferrovia Berlino-Bisanzio-Baghdad. Ciò portò alla distruzione di molte potenze europee in una sorta di guerra civile europea. Il secondo caso risale a poco prima della Seconda Guerra Mondiale, quando la Germania nazista tentò di costruire un blocco continentale che unisse l’Unione Sovietica e il Giappone contro l’Impero anglosassone. Anche questo processo di degermanizzazione ha portato alla distruzione finale della Germania e dell’Europa nel suo complesso.

L’oratore sostiene inoltre che dopo la Seconda guerra mondiale l’Europa è diventata un oggetto politico e che ha perso la propria autonomia a causa della sua dipendenza da potenze straniere quali gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. L’oratore osserva che l’attuale motore economico dell’Europa è la Germania, il quale ha una forte spinta a spostarsi verso est, spinta contro la quale gli Stati uniti combattono. L’oratore ammonisce che se l’Europa tagliasse i ponti con l’integrazione eurasiatica, essa perderà tutto il suo potere economico e la sua capacità di agire politicamente, finendo per diventare irrilevante.

Hans-Thomas Tilschneider, deputato al Parlamento regionale del partito Alternativa per la Germania, ha parlato del tema: “L’Islam in Europa, un fattore di resistenza o di incertezza?“. Egli ritiene che dalla dichiarazione di guerra al terrorismo da parte degli Stati Uniti il 9 settembre 2001 il fattore islamico sia stato adoperato come strumento per attuare strategie geopolitiche. L’obiettivo degli Stati Uniti è quello di indebolire l’Europa utilizzando il fattore islamico, che Huntington legge attraverso la lente della divisione culturale. La critica globalista all’Islam è che non è esso non si sia modernizzato. D’altra parte, c’è una critica all’islamizzazione, e si tratta di due argomenti diversi. Il fattore islamico in Europa non deve essere considerato una debolezza, ma un punto di forza, perché la maggior parte dei musulmani in Europa si oppone al modernismo americano ed è critica varo ola politica statunitense. I musulmani non vogliono la guerra con la Russia e si oppongono all’invio di armi in Ucraina. Per questo motivo, il fattore islamico non è una debolezza, ma può diventare un vantaggio. I problemi dell’Europa possono essere risolti tagliando i legami dell’Europa con gli Stati Uniti. Dovremmo abbandonare il settore americano.

Stephan Ossenkopp, associato dell’Istituto Schiller dalla Germania, ha parlato del tema: “La Germania tollererà l’industrializzazione o si unirà alle iniziative di sicurezza e sviluppo globali?”. Gli Stati Uniti stanno spingendo per imporre sanzioni alla Russia, che apparentemente non hanno alcun effetto, dato che la Russia collabora con la Cina. Le sanzioni europee non hanno danneggiato l’economia russa. Recentemente si è tenuto a Mosca un incontro molto significativo tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping, durante il quale sono stati firmati diversi accordi tra i due Paesi. A Mosca si è tenuto anche il vertice Russia-Africa, al quale hanno partecipato numerosi presidenti e funzionari dei Paesi africani. Quindi la Russia non è isolata. È necessario un ritorno alla sovranità e ad iniziative per una nuova architettura di sicurezza. L’economia tedesca sta subendo danni enormi.

Kevork Almasian, pluripremiato commentatore politico siriano, è intervenuto sul tema della geopolitica dell’Eurasia. Nel 2014 era presentatore e produttore in una società di media in Libano. All’epoca, il suo diretto supervisore era un professore di relazioni internazionali ed esperto di geopolitica, il prof. Jamal Vakim. Quando l’amministrazione Obama/Biden ha organizzato il colpo di Stato a Kiev, Wakim gli ha detto che “se la Terza Guerra Mondiale scoppierà, comincerà in Ucraina”. Kevork Almasian ha iniziato una ricerca per capire l’essenza del conflitto, perché l’Ucraina è importante, e nel 2015 ha avuto l’opportunità di recarsi a Donetsk per vedere con i propri occhi. Vuole riassumere la lotta per l’Ucraina in una sola parola: Eurasia. Oggi i tentativi di unità eurasiatica al di fuori dell’ombrello statunitense si reggono su tre pilastri: Russia, Cina e Iran. Uno dei passi verso l’unità eurasiatica è l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai del 1996, che copre circa il 60% dell’Eurasia. Con il processo di piena adesione dell’Iran alla SCO, iniziato nel 2021, i tre pilastri dell’Eurasia sono stati completati. Kevork Almasian ha poi parlato della NATO, nata dopo la Seconda guerra mondiale come alleanza militare volta a sconfiggere l’Unione Sovietica e a costringerla a ritirarsi dalla Germania dell’Est e dall’Europa orientale. Dopo il crollo dell’URSS, contrariamente a quanto promesso da James Baker a Gorbaciov, la NATO si è espansa a est, soprattutto nei Paesi ex sovietici, fino ai confini dell’attuale Russia. I tentativi di isolare gli Stati Uniti, prima contro l’URSS e poi contro la Russia, non si fermarono all’Europa orientale. Kevork Almasian si è infine soffermato sull’Ucraina, che a suo avviso è il conflitto geopolitico più importante dei tempi moderni perché rappresenta uno dei quattro ponti che includono Francia, Germania e Polonia. Questo ponte dà agli Stati Uniti accesso al cuore del mondo. D’altra parte, secondo Brzezinski, la Russia senza l’Ucraina diventa una potenza regionale e perde la sua dimensione europea. Ecco perché l’ingresso dell’Ucraina nella NATO è una linea rossa per la Russia: l’Ucraina diventerebbe il punto di partenza per proiettare la potenza statunitense nel cuore del mondo. La Russia ritiene inoltre che se l’Ucraina diventerà uno Stato cliente della NATO o degli Stati Uniti, questi ultimi potranno proiettare il loro potere all’interno della Russia, provocando conflitti interni per balcanizzare la Federazione Russa.

Marco Filippi, esperto crisis manager e SME in Intelligenza Artificiale ed esperto militare italiano, ha presentato un messaggio in cui ha trattato i rischi associati all’uso dell’IA in Europa nel medio e lungo termine per via del crescente ricorso all’IA in vari settori nelle crisi come la pandemia Covid-19. Si è soffermato sulle minacce più imminenti alla sicurezza globale, come la guerra nell’Europa orientale e la potenziale crisi nell’area di Taiwan, nonché dell’impatto del sentimento generale che c’è nei riguardi dell’utilizzo dell’IA per scopi commerciali e specialistici nelle forze di sicurezza, nelle forze armate e nei processi decisionali politici.

Il sentimento generale si riferisce all’umore o alle idee generali di un particolare gruppo di persone e può avere un impatto significativo sulla formazione dell’IA. Se il sentimento è negativo, si arriva a modelli di IA distorti e difettosi. Anche i dati incompleti o distorti nei periodi di crisi possono portare a modelli di intelligenza artificiale errati, con il risultato di prendere decisioni che non sono nell’interesse di coloro che vengono aiutati. L’analisi del sentimento è utilizzata nell’elaborazione del linguaggio naturale per estrarre informazioni soggettive dal testo e può essere utilizzata anche nell’addestramento dell’IA militare per analizzare i sentimenti verso determinati eventi o situazioni. L’uso dell’analisi del sentimento nell’addestramento dell’IA militare può essere utilizzato per identificare i pregiudizi nei dati, indirizzare la propaganda verso gruppi specifici e riconoscere le emozioni negli individui per prevedere il comportamento.

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