di Alessio Tosco
Cercare di riassumere la carriera professionale di quello che, a mio avviso, è stato uno dei più grandi giornalisti italiani oltre ad essere impresa difficile è, nel giorno della sua scomparsa, inutile.
É inutile perché qui non si sta salutando solo un grande giornalista ma anche un grande uomo, le due cose non sempre vanno di pari passo. E si non tutti i morti meritano lo stesso ricordo.
La carriera, la vita, e le idee di Gianni Minà devono essere da esempio oggi più che mai perché stiamo vivendo in un periodo tragico per il giornalismo italiano. Oggi tanti piccoli giornalisti e piccoli uomini cercheranno di tesserne le lodi, con un bel coccodrillo preparato per tempo. Minà, come dichiarato in una recente intervista, non ha mai avuto risentimento per chi negli anni lo ha attaccato, se non proprio denigrato. Per chi, come noi, vedrà tra questi, probabilmente, chi ha fatto in modo e maniera che venisse praticamente epurato dalla RAI dopo aver innovato e dato lustro con le sue interviste, i suoi ospiti, i suoi format, ad un’azienda da sempre ingessata dalle varie lottizzazioni, forse un qualche senso di disgusto lo proverà.
Ma del resto questa è l’Italia. Un Paese dove la propria opinione deve sempre essere ben calcolata se si vuole “far carriera” e dove magari quell’opinione deve essere “riformulata” in base al vento politico se quella carriera si vuole continuare ad averla. Soprattutto in un’azienda pubblica. Soprattutto in un’azienda pubblica che forma l’opinione pubblica, che influenza l’opinione pubblica. E non staremo certo qui a specificare la differenza tra informazione e propaganda. Tra parteggiare e propagandare.
Gianni Minà era un partigiano dell’informazione, perché, si, aveva le proprie idee, le professava e ne ha pagato le conseguenze.
I suoi legami con leader sudamericani Fidel Castro, Chavez, Lula, Alberto Granado, solo per citarne alcuni, a fine anni ’90 portarono alla marginalizzazione e poi esclusione di Minà dai progetti della RAI (anche se forse più di tutto gli costò la sua integerrima ricerca della verità sul caso Ilaria Alpi, la sua intervista ai genitori) ma non ne impedirono la divulgazione con altri mezzi. Da direttore di Latinoamerica e tutti i Sud del mondo (fondata nel 1979 da studenti e ricercatori dopo la rivoluzione sandinista in Nicaragua) ha infatti continuato a portare avanti le battaglie e le rivendicazioni dei popoli in lotta, così come le sue interviste sono continuate a circolare sui media indipendenti dando visibilità e raccontando quella stagione che vide il suo apice nel World Social Forum del 2001 a Porto Alegre. Primi anni 2000 che però segnavano l’ascesa di Kirchner in Argentina, Correa in Ecuador, Lula in Brasile, Morales in Bolivia. Poi per chi si avvicinava alla politica in quegli anni Minà non può che essere un punto di riferimento con l’intervista al subcomandante Marcos che ha segnato i giovani attivisti dei primi anni 2000 forse come poche altre perché portava alla luce una realtà fino ad allora sconosciuta, una lotta in atto e non raccontata, passata, come poteva essere quella di Che Guevara e di Fidel Castro durante la rivoluzione cubana. Quella dell’EZLN nel Chiapas era lotta attuale, diceva che la rivolta era e doveva essere ancora attuale e possibile per i popoli oppressi. Stagione che per tanti coincide con i tristi ricordi del G8 di Genova dove forse venne definitivamente spento quel fuoco di rivolta (per lo meno in Italia e in Europa) l’idea di un mondo diverso, dove l’impatto con la realtà dei fatti tarpò un po’ le ali di una generazione. La storia poi sappiamo come è andata.
Questo mio personale ricordo penso sia però esemplare dell’impatto che alcune notizie, alcune informazioni, ma forse sarebbe meglio dire alcune narrazioni hanno nell’immaginario collettivo, come formano storia, diventano storia. Questo fa di una semplice informazione, di un fatto, un’idea che vale la pena di divulgare, di far conoscere, di condividere con il mondo.
Senza stare a citare le interviste ai grandi della storia di cui sicuramente parleranno tutti i giornali di questi giorni, voglio qui ricordare alcuni degli ultimi interventi di Minà che secondo me racchiudono un po’ tutta la sua storia, e che non hanno neanche bisogno di commenti aggiuntivi.
In uno degli ultimi articoli sulla guerra in Ucraina scriveva:
“Oggi la mia mente ripercorre quei ricordi dolorosi [sulla Seconda guerra mondiale] e vedo che nulla è cambiato: c’è chi inneggia alla guerra, anche nucleare, incurante dei dolori che porta, chi si fa alfiere di vari interessi, chi randella quotidianamente chi la pensa in maniera critica, azzerando il confronto e trasformando il dialogo in una assurda polarizzazione: amico di Putin se sei per la pace o difensore della democrazia se aderisci all’invio di armi per l’Ucraina. Perfino il Papa è stato dichiarato “pacifista estremista”, come se invocare la pace fosse da vigliacchi o peggio, da inetti, incapaci di “prendere una posizione”. Roba da matti, o da incoscienti. O roba da falchi…”
Un altro articolo esemplare è dell’ottobre 2022 dove Minà “rimette al suo posto” Gramellini, uno degli esperti di tutto e di niente che ogni giorno cerca neanche di divulgare idee, giuste o sbagliate che siano, no, cerca proprio di “insegnare a campare” al popolo ignorante e credulone.
In questo caso il “pezzo” del giorno “Comunisti senza rolex” era sulla polemica riguardante i medici cubani chiamati dalla Regione Calabria e in particolare sul fatto che dei 4700 euro elargiti dalla regione solo 1200 sarebbero andati effettivamente ai medici e il resto allo Stato cubano, insieme ad una serie di altri insulti al sistema cubano, ai suoi leader e al suo popolo.
Da dire che mentre Gramellini può scrivere sul “Corriere della Sera” con tutto il seguito che ha tra formato cartaceo e digitale, la risposta che Minà diede, e che riporto quasi integralmente in seguito fu affidata al suo semplice profilo su social network, che se pur seguito ha una risonanza infinitesimale rispetto a quella del primo giornale italiano… già questo potrebbe bastare a descrivere la miseria dell’editoria e del giornalismo italiano!
Gramellini il 13 ottobre scorso sul Corriere riprendeva una lettera della europarlamentare Laura Ferrara del M5S che, insieme ad altri suoi colleghi, protestava contro l’accordo quadro firmato dalla Regione Calabria e Cuba per l’invio di medici cubani nel nostro Paese, definendo il loro rapporto di lavoro “sfruttamento e una chiara violazione dei diritti umani”. Il giornalista ha buttato alla rinfusa le cose che ci sarebbero da dire. Lo farò pure io, tanto per andare sul concreto.
La Sanità calabrese da tempo è al collasso e con la pandemia in atto la situazione è peggiorata tanto da rendere questa fetta dell’Italia simile a un Paese del Terzo Mondo. […]
Noi da sempre siamo un popolo generoso e altruista: piuttosto che vedere la violazione del diritto fondamentale alla salute dei calabresi, siamo attenti ai diritti umani dei medici e infermieri cubani. Sarà forse che siamo talmente abituati allo sfascio di alcune zone del nostro Paese che non riusciamo più a “leggerlo”? O forse perché c’è sempre stato un pregiudizio di fondo dove si preferisce pensare che “lo vogliono loro”, i calabresi, questa situazione, perché non arriveranno mai ad essere operosi ed efficienti come la popolazione del Nord? O semplicemente perché siamo abituati a leggere la realtà che ci circonda con un occhio “occidentale”, eurocentrico, piuttosto che tenere in debito conto le ragioni dell’altro o la sua diversa visione della vita?
Ma vengo al dunque sui punti di Gramellini:
1) “è avvilente dover ammettere che la dittatura cubana riesce a esportare medici in eccesso, mentre noi boccheggiamo in fondo alle classifiche dei laureati”. E’ vero, ha ragione lui, è avvilente, soprattutto alla luce del fatto che per Cuba la sanità e la cultura di massa sono sempre state una priorità. Sempre parlando di Sanità, in quell’Isola nel 1984 nacque il “Programma del Medico di Famiglia”, che mise a disposizione dei pazienti un medico e un infermiere garantendo, a partire dai primi anni ‘90, l’assistenza primaria al 95% delle famiglie cubane direttamente nel proprio quartiere di residenza. In quel periodo si aprirono 21 scuole mediche in tutto il territorio nazionale. Il sistema sanitario cubano ha poi iniziato ad essere preso dall’OMS, dall’Unicef e da altre agenzie internazionali come esempio ideale per Paesi in via di sviluppo […] Insomma Cuba può veramente esportare il suo sistema sanitario al mondo, compreso quello più ricco, perché ha dimostrato che con pochissime risorse economiche si può mettere in piedi qualcosa di eccezionale. […]
2) “è incredibile che in Italia ci sia ancora gente, i famosi comunisti col rolex, che considera quel sistema, castrista e castrante, più egualitario del nostro, fingendo di non sapere che i 3500 euro sottratti allo stipendio di ciascun medico non andranno a migliorare le condizioni del popolo cubano, ma il conto in banca dei clan al potere”; è veramente incredibile, ha ragione Gramellini, a pensare che ci sia gente che ancora crede che il sistema sanitario cubano sia migliore del nostro. E’ incredibile, ma è la dura verità.
Noi abbiamo il nostro SSN ormai al collasso come ha accertato il XIX Rapporto Osservasalute 2021, curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane tanto è vero che abbiamo accettato, disperati e in piena pandemia, aiuto offerto da Cuba attraverso la loro Brigada “Henry Reeve”, il Contingente Internazionale di medici specializzati in situazioni di catastrofe ed epidemie gravi istituito nel 2005 in risposta ai danni causati dall’uragano Katrina alla città di New Orleans negli Stati Uniti, […]
Nel 2017 il Contingente “Henry Reeve” ha ricevuto il premio Dr. Lee Jong-Wook dall’Organizzazione Mondiale della Sanità alla cerimonia della sua 70a Assemblea. In questa occasione, il presentatore del premio, IHN Yohan, che presiede la Korea Foundation for International Health Services, aveva affermato: “Il contingente Henry Reeve ha diffuso un messaggio di speranza al mondo intero”.
Perché lo fanno? Perché è questa l’essenza di Cuba, perché ancor prima che castrista, si è sempre riconosciuta negli ideali di José Martí, espressi nella famosa frase “La patria è l’intera umanità” e questo concetto fondamentale si esprime anche nel preambolo della loro Costituzione.
[…]
Ma la loro condizione ovviamente non vale quando si parla di difesa dei diritti umani.
In questo momento i cubani stanno vivendo un periodo nerissimo; tra l’aggravamento del blocco economico durante la pandemia [sta portando] l’Isola è allo stremo. Eppure, il 26 settembre scorso dopo un referendum, è passato il loro nuovo diritto di famiglia che contempla la responsabilità delle famiglie con la tutela dei loro membri e tutto ciò che riguarda il matrimonio e le unioni di fatto, […]; il supporto legale per il raggiungimento della maternità/paternità attraverso uteri solidali, […] il diritto a scegliere il proprio orientamento sessuale o l’identità di genere, la convivenza e, infine, la valutazione economica del lavoro in casa e tutte le definizioni relative alla violenza in questo ambito. Alla faccia del nostro DDL Zan e della sua fine miseranda.
Ma noi? Noi come siamo messi con la difesa dei diritti umani? Cosa facciamo per i troppi morti sul lavoro dimenticati dopo un articolo in cronaca o l’intervista alla madre della vittima (con la terribile, costante domanda: “Cosa si prova in questi momenti Signora?”)? […] E infine noi, oggi, abbiamo messo in pratica i dettami della nostra Costituzione, l’abbiamo tradita o siamo stati dei leali esecutori?
Ah, già: “i soldi sottratti ai medici non andranno a migliorare le condizioni del popolo cubano, ma il conto in banca dei clan al potere”. Ha proprio ragione Gramellini.
In questa risposta è riassunto tutto l’amore di Minà per l’isola caraibica, per i suoi ideali e per come questi vengono messi in pratica nella realtà, perché se si professa la fratellanza tra popoli è nel momento del bisogno che bisogna dimostrarla: e Cuba lo ha fatto. Questo ci fa anche capire bene come e perché un uomo come Minà a differenza di un Gramellini qualsiasi non scriveva da tempo sul “Corriere della Sera”, o su “Repubblica”, “La Stampa” ecc. ecc. insomma su uno dei grandi giornali italiani o non compariva da tempo sulle principali televisioni pubbliche o private italiane: perché oggi anche solo insinuare un dubbio su questioni scomode, sia in questo caso la superiorità del modello sanitario del piccolo Paese socialista caraibico, sia la messa in discussione della narrazione buonissimi vs cattivissimi della guerra Russo-ucraina, non è accettabile dal sistema. Nella lotta alla propaganda filoamericana portata avanti nell’ultimo anno la voce di Minà è stata, certamente non unica, sicuramente tra le più autorevoli, e in un momento dove le voci scomode sono sempre meno questa sua scomparsa peserà molto. Come ogni buon insegnante credo però abbia lasciato molti studenti in grado di capire e comprendere l’evoluzione degli eventi, in grado di fare massa critica, di comunicare i cambiamenti. Studenti che necessariamente dovranno riprendere il controllo di un sistema che mai come in questo momento storico sta andando verso il baratro di una nuova guerra mondiale. Mai come in questo periodo però l’informazione può giocare un ruolo fondamentale, se è pur vero che la propaganda ha sempre giocato un ruolo importante nei periodi precedenti le guerre, mai come adesso ogni singolo individuo può e deve farsi promotore dell’idea di pace, mai come adesso ognuno, se vuole, può contribuire in maniera attiva alla lotta per la pace. Mai come adesso è necessario appropriarsi dei mezzi necessari a condurre questa “battaglia dell’informazione” per tornare a essere protagonisti della storia. Lo dobbiamo ai nostri figli, e lo dobbiamo ai tanti come Gianni Minà che per una vita hanno dato voce agli ultimi del mondo, ha dato voce a chi subiva l’ingiustizia del criminale embargo americano contro il popolo cubano, a chi lottava per il diritto alla gestione delle proprie risorse in Venezuela dopo anni di colonialismo economico e finanziario, ha dato voce popoli indigeni brasiliani depredati delle loro terre, a tutti i proletari brasiliani diventati finalmente protagonisti con Lula, a Lula stesso, leader di questi milioni di lavoratori, ingiustamente incarcerato. Continuare a coltivare questo tipo di giornalismo che mette prima di tutto i diseredati, i migranti, i profughi, i poveri di tutti i sud del mondo, è oggi più che mai necessario. La denuncia delle ingiustizie di un sistema capitalistico a trazione americana è oggi più che mai fondamentale per lo sviluppo dei Paesi del sud del mondo. La denuncia di un imperialismo americano con un’Europa sempre più marginale nelle decisioni cruciali è più che mai necessario per il mantenimento della pace.
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