La democrazia socialista cubana verso le elezioni

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di Giulio Chinappi

FONTE ARTICOLO: giuliochinappi.wordpress.com

Mentre la propaganda antisocialista di tutto il mondo accusa Cuba di non essere un Paese democratico, l’isola caraibica vanta il sistema di democrazia popolare più originale, complesso e genuino del mondo.

I valori che difendiamo sono molto sacri, sono molto alti, sono molto potenti, sono i valori della Patria, sono i valori della Rivoluzione, sono i valori del Socialismo, sono i valori della giustizia, sono i valori dell’uguaglianza, sono i valori della dignità e dell’onore dell’uomo. Questi valori hanno un peso enorme“ – Fidel Castro

La propaganda occidentale, anticubana e antisocialista da sempre, ci ha abituati alle critiche nei confronti di Cuba e del suo sistema politico ed economico, al punto che in molti, anche nella sedicente sinistra, vi sono caduti con tutte le scarpe. Le critiche mosse all’isola caraibica sono generalmente molto banali, ma volte a confermare quei bias che nei Paesi occidentali vengono inculcati nelle menti dei cittadini sin dai primi anni di scuola. Ad esempio, la presenza di un solo partito – il Partito Comunista Cubano – viene considerata la prova principale per dimostrare l’assenza di democrazia a Cuba – o in altri Paesi socialisti.

Secondo la visione della democrazia borghese occidentale, dunque, il multipartitismo sarebbe in sé una garanzia di democrazia. Eppure, la realtà ci dice che molti Paesi vantano sistemi politici con due o più partiti, eppure pochi di essi possono fregiarsi di essere in qualche modo democratici. Negli Stati Uniti, ad esempio, abbiamo due partiti che si disputano il potere, eppure la loro linea in materia di politica economica e di politica estera resta nei fatti sempre la stessa, visto che si tratta di due partiti che difendono gli interessi della classe dominante, mentre l’esito finale delle elezioni viene deciso dai miliardi spesi e sprecati in campagna elettorale, piuttosto che dai programmi.

Nei Paesi europei, a lungo tempo il multipartitismo ha quanto meno garantito una certa rappresentanza delle classi subalterne nei parlamenti nazionali, pensiamo ad esempio al Partito Comunista Italiano, che, pur essendo perennemente escluso dal potere per mezzo della conventio ad excludendum, e pur non essendo scevro da errori e aporie, per quasi cinque decenni si è fatto portatore delle istanze dei lavoratori italiani, raggiungendo risultati non trascurabili.

Nelle democrazie borghesi, dunque, il multipartitismo può essere un fattore positivo se questo garantisce quanto meno la rappresentanza nelle istituzioni della classe lavoratrice. Oggi, tuttavia, anche in Europa si assiste ad un multipartitismo di facciata, che al limite rappresenta le diverse correnti interne alla classe dominante, sul modello di quello statunitense, mentre propaganda mediatica, soglie di sbarramento e retorica del “voto utile” fanno il resto per eliminare i partiti più combattivi dai parlamenti.

Al contrario, nelle democrazie socialiste come Cuba questo criterio non può essere preso in considerazione. Cuba è un Paese dove le classi subalterne hanno già fatto e vinto la propria rivoluzione, per cui il multipartitismo diventa superfluo. Il ruolo del PCC gode della legittimazione popolare, e sia il Partito che il governo si fanno portatori delle istanze del popolo cubano. “Cuba non può essere misurata sotto questo criterio [quello del multipartitismo, ndr], perché il suo sistema elettorale è stato concepito, appunto, per superare i limiti che i modelli tradizionali hanno per favorire l’accesso del popolo al potere”, si legge in un editoriale pubblicato su Granma in tre parti a partire dallo scorso 5 febbraio.

L’isola si trova infatti nel bel mezzo del lungo processo elettorale che porterà il popolo a rinnovare il parlamento de L’Avana – l’Asamblea Nacional del Poder Popular de Cuba – il prossimo 26 marzo. Al contrario dei Paesi occidentali, dove i cittadini sono unicamente chiamati a votare un giorno ogni cinque anni, a Cuba il processo elettorale vede il popolo protagonista per mesi, a partire dalla determinazione delle candidature locali, decise dai cittadini e non dal Partito, fino all’elezione del parlamento nazionale. “La democrazia che non c’è a Cuba è quella praticata dalla società del capitale, quella dell’impero del denaro e dell’influenza, quella che cerca di imporsi su tutti i paesi, senza tener conto della loro storia, delle loro tradizioni, dei loro interessi sociali e politici. organizzazione”, si legge nell’articolo precedentemente citato.

A Cuba, come detto, i candidati vengono approvati direttamente dal popolo e il loro compito è quello di rappresentare le istanze di coloro che li hanno scelti, non di cercare benefici personali o di conquistare la fama e la ricchezza. I deputati sono dei veri e propri portavoci della cittadinanza, che non traggono nessun vantaggio personale dal ricoprire tale carica, se non quello di fare il bene del popolo e del Paese: “I candidati, una volta eletti deputati, non avranno entrate straordinarie e tanti altri benefici, cosa molto comune in altri Paesi, dove a volte le cifre sono approvate dagli stessi che legiferano. L’unica cosa che i nostri guadagneranno è più lavoro, più responsabilità, più impegno. E, naturalmente, riconoscimento popolare, se ottengono risultati”.

A destare scalpore tra i nemici del socialismo sono proprio la trasparenza, la genuinità e l’efficacia del sistema democratico cubano: “La novità del sistema elettorale cubano rispetto alla prassi politica internazionale, in particolare il concetto che è il popolo che postula ed elegge, è inaccettabile per i nemici giurati del socialismo. Riempire di persone del popolo i seggi dove vengono approvate le leggi del Paese terrorizza le élite economiche di quasi tutto il mondo”. Nel parlamento de L’Avana, al contrario della maggioranza degli emicicli mondiali, sono rappresentati tutti i mestieri, le etnie e gli altri gruppi demografici del Paese.

Possiamo quindi dire che, se una democrazia esiste nel mondo, questa è quella cubana, in quanto l’isola ha saputo inventare un sistema originale che non riproduce il mantra democratico borghese, ma che permette al popolo di indirizzare la politica nazionale a proprio vantaggio. Al contrario, i sedicenti campioni di democrazia occidentali applicano un sistema politico che andrebbe più correttamente definito come dittatura borghese, in quanto volto a garantire il perpetuarsi del dominio di questa classe sociale sulle altre.

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