di Matthew Ehret
ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO IN LINGUA INGLESE SU THE CRADLE
Mentre gli atlantisti continuano il loro impegno per un futuro modellato dalla scarsità di energia e di cibo e guerra con i loro vicini dotati di capacità nucleare, la maggior parte degli stati del Golfo Persico – a lungo fidati alleati dell’Occidente – si sono presto resi conto che i loro interessi sono assicurati nel migliore dei modi con la cooperazione con stati eurasiatici come Cina e Russia che non pensano in termini di relazioni a somma zero.
Con la tanto attesa visita di tre giorni del presidente cinese Xi Jinping in Arabia Saudita si sta consolidando un potente spostamento dello stato arabo più strategico del Golfo Persico verso l’alleanza multipolare. A seconda del lato della barricata ideologica su cui ci si siede, questo consolidamento viene visto con grande speranza o rabbia.
La visita di Xi è in netto contrasto con il deludente incontro tenuto quest’estate dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden; incontro che ha visto l’autoproclamato leader del mondo libero addormentarsi a un tavolo della conferenza e, poi, chiedere una maggiore produzione di petrolio saudita senza offrire nulla di durevole in cambio. Al contrario, l’arrivo di Xi è stato accolto da un saluto di salve di cannone e dai jet sauditi che hanno dipinto i colori rosso e giallo della bandiera cinese nei cieli di Riyadh. La delegazione delle élite politiche e imprenditoriali di Pechino, nei giorni successivi, hanno continuato ad incontrare le controparti saudite per stringere accordi strategici a lungo termine in ambito culturale, economico e scientifico.
La visita è culminata nel primo vertice arabo-cinese di venerdì 9 dicembre e durante il quale Xi ha incontrato 30 capi di stato. Il ministero degli Esteri cinese ha descritto questo evento come “una pietra miliare epocale nella storia dello sviluppo delle relazioni sino-arabe“.
Mentre tra Pechino e Riyad verranno firmati accordi da 30 miliardi di dollari, è in gioco qualcosa di molto più grande che in (troppo) pochi sono riusciti ad apprezzare adeguatamente.
I passi di Riyhad verso la BRI dal 2016
Xi Jinping ha visitato l’ultima volta il regno saudita nel 2016 per promuovere la partecipazione di Riyadh alla nuova Belt and Road Initiative (BRI) promossa dalla Cina. Un rapporto politico del gennaio 2016 del governo cinese indirizzato a tutti gli stati arabi recitava:
Nel processo di perseguire congiuntamente la cintura economica della Via della seta e l’iniziativa della Via della seta marittima del 21° secolo, la Cina è disposta a coordinare le strategie di sviluppo con gli Stati arabi, a mettere in gioco i vantaggi e le potenzialità reciproche, a promuovere la cooperazione internazionale sulla capacità di produzione e a rafforzare la cooperazione in i campi della costruzione di infrastrutture, della facilitazione degli scambi e degli investimenti, dell’energia nucleare, dei satelliti spaziali, delle nuove energie, dell’agricoltura e della finanza, in modo da raggiungere un progresso e uno sviluppo comuni e avvantaggiare i nostri due popoli”.
Solo tre mesi dopo il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS) inaugurò la Saudi Vision 2030 che ha delineato con fermezza una nuova agenda di politica estera molto più compatibile con lo spirito di “sviluppo pacifico” della Cina.
Dopo decenni di servizio come stato cliente dell’Atlantismo – senza prospettive di produzione realizzabili o autonomia al di là del suo ruolo nel sostenere le operazioni terroristiche gestite dall’occidente – Saudi Vision 2030 ha mostrato i primi segni di pensiero creativo dopo anni, con una prospettiva verso un’era post-petrolio.
Sul fronte energetico, China Energy Corp sta costruendo una vasta centrale solare da 2,6 GW in Arabia Saudita e gli sviluppatori nucleari cinesi stanno aiutando Riyadh a sviluppare le sue vaste risorse di uranio, controllando anche tutti i rami del ciclo del combustibile nucleare.
Nel 2016, entrambe le nazioni hanno firmato un protocollo d’intesa volto alla costruzione di reattori nucleari raffreddati a gas di quarta generazione. Ciò segue il recente salto nel XXI secolo fatto dagli Emirati Arabi Uniti con 2,7 GW di energia ora costruiti.
All’inizio del 2017, dunque, Riyadh aveva saldamente acquistato il suo biglietto sulla Nuova Via della Seta con un accordo da 65 miliardi di dollari che integrava Saudi Vision 2030 e BRI. Nella nuova epoca post-americana, i segni di questo spirito di cooperazione e costruzione di ponti si sono sempre più fatti sentire, anche se, come possono testimoniare milioni di yemeniti che hanno sofferto e soffrono in una guerra che si protrae da sette anni, gli effetti sono stati forzatamente frenati.
A differenza della fissazione atlantista sui Green New Deals che minacciano di annientare l’industria e l’agricoltura, la prospettiva post-petrolifera di Riyadh è molto più sinergica con l’idea cinese di “crescita sostenuta” che richiede energia nucleare, idrocarburi continui e un robusto sviluppo agroindustriale. Il commercio della Cina con l’Arabia Saudita è salito a 87,3 miliardi di dollari nel 2021, con un aumento del 39% rispetto al 2020, mentre il commercio tra Stati Uniti e Arabia Saudita è crollato da 76 miliardi di dollari nel 2012 a soli 29 miliardi di dollari nel 2021. Parte di questo commercio Pechino-Riyadh potrebbe ora essere condotto in Yuan cinese , il che non farà che indebolire ulteriormente le relazioni USA-Arabia Saudita.
Nei primi dieci mesi del 2022, le importazioni cinesi dall’Arabia Saudita sono state pari a 57 miliardi di dollari e le esportazioni verso il regno saudita sono salite a 30,3 miliardi di dollari. La Cina sta, inoltre, costruendo sistemi 5G e coltivando un vasto hub tecnologico con un focus sulla vendita di prodotti elettronici, il tutto aiutando l’Arabia Saudita a costruire un settore manifatturiero locale.
Una tendenza all’armonizzazione
Nonostante il caos continuo nello Yemen e la devastazione economica in Libano, Siria e Iraq, la sottile tendenza di Pechino è stata, comunque, quella di ricucire lo strappo tra l’Arabia Saudita e la Turchia, altra potenza regionale. L’Arabia Saudita e la Turchia hanno spesso agito come rivali e affrontano due distinte agende estere con ampie ambizioni regionali che si sovrappongono su molti fronti. Ma nonostante questo passato competitivo, le maggiori necessità hanno indotto entrambe le nazioni ad armonizzare le loro prospettive di politica estera con un nuovo focus che “guarda a est”.
Ciò è stato espresso durante la visita del principe ereditario saudita ad Ankara nel giugno 2022: in quell’occasione, i due capi di stato hanno chiesto “una nuova era di cooperazione” con un focus sulla cooperazione politica, economica, militare e culturale delineata in un comunicato congiunto. Solo pochi giorni dopo il ritorno di MbS dalla Turchia, l’allora primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi fece visita a Jeddah per promuovere la stabilità regionale, affermando in un comunicato stampa che “sono cambiati punti di vista su una serie di questioni che contribuiranno a sostenere e rafforzare la sicurezza e la stabilità regionali ”.
L’Iraq e l’Arabia Saudita avevano ristabilito le relazioni diplomatiche solo nel novembre 2020 dopo averle interrotte 30 anni prima in seguito all’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. Tra il 2021 e il 2022, l’Iraq ha lavorato duramente per ospitare colloqui bilaterali tra Arabia Saudita e Iran con cinque round di colloqui tenuti con Kadhimi che manifestò la convinzione che “la riconciliazione fosse vicina“. Le relazioni diplomatiche tra Teheran e Riyadh sono state interrotte all’indomani dell’esecuzione, nel 2016 a Riyadh, del religioso sciita saudita Nimr al-Nimr, che ha provocato l’assalto all’ambasciata saudita a Teheran da parte di manifestanti arrabbiati.
Nel marzo 2022, MbS ha affermato che l’Iran e l’Arabia Saudita “erano vicini per sempre” e ha affermato, inoltre, che fosse “meglio per entrambi risolvere i problemi e cercare modi in cui possiamo coesistere“.
Anche gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait hanno creato una nuova pietra miliare riavviando le relazioni diplomatiche con l’Iran. E sebbene quasi tutti gli Stati del Golfo Persico (più la Turchia) abbiano dedicato anni a sostenere il cambio di regime in Siria, una nuova realtà si è imposta: tutti i partiti arabi stanno virando verso il modello prospettato dalla BRI cinese, caratterizzato da integrazione regionale e sviluppo economico.
Il ruolo chiave dell’Iran
L’Iraq e l’Iran stessi sono nelle fasi finali della costruzione della tanto attesa ferrovia Shalamcheh-Bassora che unirà le due nazioni su rotaia per la prima volta da decenni, offrendo anche una potenziale capacità di estendere la ferrovia già esistente di 1500 km attraverso l’Iraq fino al confine con la Siria. Il clima per questa rinnovata cooperazione è stato, indubbiamente, reso possibile dalla presenza della diplomazia economica cinese che ha stabilito un accordo energetico e di sicurezza di 25 anni e da 400 miliardi di dollari con l’Iran – anche la Russia si è mossa con un accordo ventennale, simile ma più piccolo da 25 miliardi di dollari, con Teheran che potrebbe facilmente espandersi a 40 miliardi di dollari di investimenti russi nei vasti giacimenti di petrolio e gas naturale iraniani nei prossimi anni.
Il rapporto dell’Arabia Saudita e della Russia all’interno di l’OPEC+ ha dimostrato tutta la sua potenza quest’estate, quando Riyadh ha vinto l’ira di Washington non solo ha rifiutato le richieste di Biden di aumentare la produzione di petrolio, ma, andando nella direzione opposta, ma ha tagliato la produzione complessiva di petrolio, facendone, così, salire i prezzi a livello globale. L’Arabia Saudita, poi, ha beneficiato di un enorme aumento delle importazioni di petrolio russo scontato che è stato poi venduto a un’Europa disperata.
Inoltre, l’Arabia Saudita intende entrare a far parte dell’hub globale del multipolarismo stesso, il BRICS+ (insieme a Turchia, Egitto e Algeria), oltre ad essere diventato recentemente un vero e proprio partner di dialogo dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO); con queste scelte, Riyadh ha posto il suo destino sempre più in profondità nella crescente Alleanza Multipolare.
Con l’aumento del potenziale di stabilità e armonizzazione degli interessi tra i vari blocchi di potere, si sta finalmente presentando agli investitori cinesi un’atmosfera più favorevole agli investimenti economici a lungo termine.
Nell’agosto 2022, la compagnia petrolifera statale saudita Aramco e la China’s Petroleum and Chemical Corporation Ltd hanno firmato un Memorandum Of Understanding con il quale veniva ampliato il suddetto accordo di cooperazione da 65 miliardi di dollari stipulato nel 2017 e che prevede la costruzione di Fujian Refining and Petrochemical Company (FREP) e Sinopec Senmei Petroleum Company ( SSPC) nel Fujian, in Cina, e Yanbu Aramco Sinopec Refining Company (YASREF) in Arabia Saudita.
Ferrovia e interconnettività
Forse le più entusiasmanti sono le prospettive riguardanti l’interconnettività che si giocano direttamente nei corridoi di sviluppo legati alla BRI.
In Arabia Saudita, questo treno si è mosso costantemente a ritmo sostenuto con la ferrovia Haramain; completata nel 2018, si tratta di strada ferrata ad alta velocità su cui i treni corrono a 450 km, costruita dalla China Railway Construction Company e che collega la Mecca a Medina.
Sono in corso, inoltre, discussioni per estendere questa linea ai 2400 km della North South Railway che collega Riyadh ad Al Haditha e che è stata completata nel 2015. Nel frattempo, 460 km di ferrovia che collegano tutti i membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) sono attualmente in costruzione fatto che sta guidando le riforme nel settore dell’ingegneria, oltre al fiorire di scuole professionali e di centri di produzione in tutta la penisola arabica.
Nel 2021, tutti gli stati del GCC hanno dato il loro pieno sostegno a una ferrovia ad alta velocità del Golfo Persico-Mar Rosso da 200 miliardi di dollari soprannominata “The Saudi Landbridge”, capace di unisce anche un altro megaprogetto da 500 miliardi di dollari con vasti investimenti cinesi, vale a dire la futuristica mega-città NEOM sul Mar Rosso.
Gli eurasisti ci guadagnano
Si può solo sperare che questa nuova fase di armonizzazione e cooperazione vantaggiosa per tutti possa presto fornire una chiave per porre fine agli incendi del conflitto nello Yemen e in altri stati regionali. Inoltre, con la Russia e la Cina che aiutano entrambe a mediare i canali diplomatici secondari, e con l’Iran che gioca un ruolo attivo all’interno di questo processo, forse i negoziati per la ricostruzione di questa zona di conflitto devastata dalla guerra possono prendere il via.
Non è uno sforzo estremo dell’immaginazione vedere come il nuovo progetto ferroviario del Golfo Persico-Mar Rosso si possa estendere a nord verso l’Egitto e a sud verso lo Yemen.
Guardando una mappa della regione, si può immaginare la riattivazione del “Ponte del Corno d’Africa“: inaugurato per la prima volta nel 2009, il Ponte avrebbe dovuto estendere la linea ferrovia attraverso lo stretto di Bab el Mandeb (25 km) collegando oleodotti e linee ferroviarie a Gibuti e a est Africa, più in generale.
Mentre una primavera araba manipolata dall’occidente ha fatto deragliare quel concetto di sviluppo nel 2011, e la guerra saudita contro lo Yemen lo ha spinto ulteriormente sotto terra dal 2015, forse questo nuovo spirito di cooperazione inter-civilizzazione nato sotto una nuova architettura economica liberata dal sistema del dollaro dominato dagli atlantisti potrebbe fornire proprio quello che serve per far rivivere l’idea ancora una volta.
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