di Marco Costa
L’argomento Taiwan si configura ai giorni nostri come particolarmente caldo, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti geopolitici, geostrategici e le relative implicazioni economiche. Ma prima ancora di configurarsi come questione internazionale – anzitutto a causa delle ripetute provocazioni e strumentalizzazioni operate da parte statunitense – quest’isola costituisce principalmente un nodo irrisolto nella storia recente dell’unica Cina, una sorta di vulnus protrattosi per oltre sette decenni all’indomani della vittoria delle forze comuniste di Mao Zedong nella guerra civile cinese della prima metà del secolo scorso. In sostanza un residuo remoto ed insoluto – certo piccolo in termini territoriali ma non trascurabile in termini patriottici – rispetto alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, avvenuta nell’ottobre del 1949.
Al fine di capire maggiormente il “caso Taiwan” sempre più dibattuto in questo periodo, risulta essenziale e doveroso compiere un lungo passo indietro nei secoli, e ripercorrere brevemente le principali tappe che quest’isola ha compiuto all’interno della storia dell’unica e grande Cina.
I primi contatti dei cinesi con le popolazioni aborigene taiwanesi può ascriversi al 3° secolo d.C., allorquando gli emissari della dinastia Wu Orientale (o Sun Wu) durante la cosiddetta epoca dei Tre Regni, visitarono quest’isola che denominarono come Yizhou. Allora infatti la Cina viveva una vera e propria tripartizione del proprio territorio: il periodo dei Tre Regni si protrasse dal 220 al 280 d.C. e si assistette ad una divisione della Cina tra gli stati dinastici di Cao Wei, Shu Han e Wu Orientale. Va inoltre segnalato che il regno di breve durata Yan insediato nella penisola di Liaodong è solitamente considerato un “Quarto regno”. Successivi contatti tra l’isola e la Cina continentale vengono riportati nel celebre Libro dei Sui, in cui si narra che l’imperatore Yang della dinastia Sui inviò tre spedizioni in un luogo chiamato “Liuqiu” all’inizio del VII secolo.1 Successivamente il nome Liuqiu (i cui caratteri sono scritti in giapponese come “Ryukyu”) si sarebbe comunemente riferito alla catena di isole a nord-est di Taiwan, mentre altri studiosi sostengono che potrebbe direttamente riferirsi a Taiwan nel periodo Sui; infatti l’isola di Okinawa era chiamata dai cinesi “Grande Liuqiu” mentre Taiwan come “Liuqiu minore”.
Più avanti nei secoli, nel corso della dinastia Yuan (1271–1368), i cinesi Han iniziarono a visitare Taiwan più assiduamente. Addirittura, pare che nel 1292 l’Imperatore Kublai Khan volesse inviare suoi funzionari nel regno di Ryukyu per richiederne la fedeltà alla dinastia Yuan, ma i funzionari finirono per errore a Taiwan scambiandola per Ryukyu.
All’inizio del XVI secolo si assistette ad un ulteriore fenomeno di interscambio tra la madrepatria e l’isola; infatti un numero sempre crescente di pescatori, commercianti e anche pirati cinesi andavano esplorando prima ed insediando poi la parte sud-occidentale di Taiwan. Alcuni mercanti del Fujian avevano acquisito ormai familiarità con le popolazioni indigene dell’isola, tanto da padroneggiarne la lingua locale. È molto curioso vedere come il fenomeno della pirateria abbia accelerato la sinizzazione dell’isola; da un lato, infatti, celebri pirati cinesi quali Lin Daoqian, Yan Siqiusava e Lin Feng visitarono Taiwan nel periodo dal 1563 al 1574, utilizzando Wankan (nella moderna contea di Chiayi) come base per lanciare incursioni. A partire dall’anno 1593, i funzionari Ming iniziarono a combattere con decisione questo fenomeno, iniziando a rilasciare dieci licenze all’anno per le giunche cinesi destinate al commercio legale con la parte nord di Taiwan. I registri cinesi mostrano infatti che, dopo il 1593, annualmente venivano concesse cinque licenze per il commercio a Keelung e cinque licenze per Tamsui. Va registrato che inizialmente i mercanti cinesi attraccarono nella parte settentrionale di Taiwan per vendere ferro e tessuti ai popoli aborigeni in cambio di altri prodotti locali quali carbone, zolfo, oro, pesce e selvaggina. Lentamente, venne interessata anche la parte meridionale dell’isola a questi commerci. Basti pensare che solamente per il commercio dei cefali nella parte sud-ovest dell’isola, durante la stagione invernale arrivavano più di cento giunche da pesca dal Fujian, per una stagione di pesca che durava dalle sei alle otto settimane. Alcuni di questi pescatori e commercianti cinesi si accamparono sulle coste di Taiwan e molti iniziarono a scambiare con gli indigeni altri prodotti. Inoltre, il commercio con Taiwan della parte sudoccidentale vide un ulteriore incremento dopo il 1567, quando divenne un metodo per aggirare il divieto del commercio sino-giapponese. In particolare, i mercanti cinesi iniziarono ad acquistare pelli di daino dagli aborigeni per poi rivenderle ai giapponesi con un notevole profitto.
I dati più attendibili ci dicono che all’arrivo degli olandesi sull’isola, nel 1623, questi trovarono almeno 2 mila residenti cinesi. La maggior parte di loro era impegnata nella pesca stagionale, nella caccia e nel commercio. Tra l’altro i cinesi avevano iniziato a impiantare sull’isola anche coltivazioni proprie della terraferma, quali piantagioni di mele, arance, banane e angurie. Si erano già formati due insediamenti a maggioranza cinese: quello principale si trovava su un’isola che formava la baia di Tayouan, mentre uno minore si era stabilito sull’isola maggiore, in quella località che sarebbe poi stata conosciuta come Tainan. Nel frattempo anche la lingua locale si stava sinizzando, con un gergo locale che ormai risultava un misto di parole cinesi e aborigene.
Tra il 16° e il 17° secolo Taiwan fu al centro di un vero e proprio intrigo coloniale internazionale, con il sovrapporsi dei più svariati attori in campo: anzitutto i cinesi, che ormai erano abituali frequentatori dell’isola, dall’altra i giapponesi, anch’essi interessati al controllo delle rotte commerciali nel Mar Cinese Meridionale; poi i pirati, che non rispondevano essenzialmente a nessuna dinastia se non alla loro sete predatoria immediata. Ma soprattutto nuovi attori si affacciarono in tempi e con modi diversi sulle coste dell’isola, ovvero i coloni europei: portoghesi, spagnoli e olandesi.
I marinai portoghesi, di passaggio a Taiwan nel 1544, annotarono per la prima volta in un diario di bordo il nome dell’isola come Ilha Formosa, ovvero isola bellissima. Nel 1582, i sopravvissuti a un naufragio portoghese trascorsero 45 giorni combattendo contro la malaria e gli aborigeni prima di tornare fortunosamente a Macao su una zattera. La Compagnia Olandese delle Indie Orientali giunse invece nell’area alla ricerca di una base commerciale e militare asiatica: sconfitti dai portoghesi nella battaglia di Macao nel 1622, tentarono di occupare Penghu, ma furono scacciati dalle autorità Ming nel 1624. Quindi costruirono Fort Zeelandia sull’isolotto di Tayowan al largo della costa sud-occidentale di Taiwan e sulla terraferma prospicente costruirono un forte più piccolo in mattoni, Fort Provintia. Un racconto molto dettagliato dell’epoca ce lo offre uno strano personaggio spagnolo, tale Salvador Diaz, un avventuriero del tempo che si arruolò per diversi eserciti rimanendo sempre in combutta con le trame dei pirati, prima di stabilirsi nella baia di Tayouan (da cui Taiwan prende il nome). Diaz la descrive come «una grande baia che penetra nell’entroterra per più di due leghe da ovest a est. Le sue acque erano poco profonde e piene di banchi di sabbia, rendendo difficile la navigazione, soprattutto per le navi europee di profondità. Il braccio della baia verso il mare era una penisola lunga e stretta, che si estendeva verso nord e poi compiva una brusca virata, puntando verso terra come un dito ricurvo. Al pendio si accovacciavano alcune basse colline, e fu qui che i lavoratori cinesi costruirono la fortezza olandese. Fort Zeelandia aveva quattro baluardi quadrati che dominano il mare, nonché la baia e il suo ingresso. La fortezza, realizzata in mattoni, era circondata da terrapieni rinforzati in pietra. Sotto di essa, all’ingresso della baia, c’era un villaggio di pescatori cinesi, pirati e commercianti davanti al quale attraccano le navi dei cinesi, portando tessuti, cibo, pesce e altre merci da vendere. Tra la fortezza e il villaggio cinese c’erano un magazzino e una loggia, circondati da una palizzata di bambù. Il magazzino era il fulcro delle operazioni commerciali olandesi, dove venivano pesati e immagazzinati seta, pepe e altri beni. Prima di esso c’era un molo per le navi olandesi per il carico e lo scarico. Più lontano, lungo la spiaggia, c’era un accampamento giapponese di piccole case di paglia davanti al quale ondeggiavano giunche provenienti dal Giappone e dalla Cina. I giapponesi sono venuti a commerciare come avevano fatto per anni, ma ora gli olandesi vogliono far pagare a giapponesi e cinesi un tributo del 10 per cento, cosa che non vogliono fare. Dall’altra parte della baia, sulla terraferma di Taiwan, la bandiera olandese sventolava su un altro forte. Qui gli olandesi hanno una fattoria con mucche e cavalli, che hanno portato dal Giappone, oltre a capre e pecore. Accanto a questo forte c’è un piccolo insediamento di pirati (ladroes) cinesi e pescatori. La costa al di là di questo insediamento era tutta selvaggia, e non si può sbarcare, se non con piccole navi, poiché il fondale è troppo basso. Nelle lussureggianti pianure vivevano un’infinità di cervi, che gli olandesi cacciano a piedi e a cavallo. Più nell’entroterra c’erano migliaia di selvaggi (montesinhos) che vivevano in villaggi senza re, il più potente in ogni luogo facendosi capo. Vengono a vendere alcune cose e gli olandesi e i cinesi danno loro cangan (tessuti indiani colorati) in cambio. Con sollievo dei funzionari portoghesi, i soldati olandesi erano bassi, miserabili e molto sporchi. Ce n’erano solo 320 ed erano sparpagliati tra gli insediamenti e le navi. Dovevano guardarsi da molti pericoli, come i pirati cinesi che controllavano sempre più i mari della costa cinese e che usavano la stessa Taiwan come base. Eppure i pirati offrivano opportunità oltre che problemi, e non erano così caotici come i pirati dei libri di fiabe della nostra immaginazione. In effetti, erano spesso abbastanza ben organizzati».2
Una descrizione minuziosa, in cui oltre agli elementi paesaggistici e sociali emerge quanto l’isola fosse ancora frammentata in termini di governo, con le potenze europee da un lato (spagnoli, portoghesi e olandesi da un lato), quelle asiatiche (cinesi e giapponesi), e i residenti locali (pescatori, aborigeni e pirati fondamentalmente) tutti interessati alle sorti di Taiwan. Per quanto sia durante il periodo coloniale spagnolo che in quello olandese la comunità cinese continuò alacremente sia a commerciare con l’isola sia a stabilirvisi direttamente con una frequenza sempre maggiore, sarebbe stato alla metà del 17° secolo il momento in cui l’egemonia cinese avrebbe preso il sopravvento. Se infatti inizialmente con l’aumento demografico delle comunità cinesi si assistette ad un notevole incremento della produzione di beni quali riso e zucchero, in seconda battuta gli stessi olandesi iniziarono a collaborare con la comunità cinese; questi coloni divennero, sostanzialmente, il canale di intermediazione tra i governatori olandesi e le comunità aborigene. Ai coloni cinesi, infatti, vennero affidati compiti quali la riscossione dei tributi, la gestione delle acque, l’emissione delle licenze per la caccia e per la pesca. I cinesi ormai non potevano accontentarsi di questo ruolo, e risale al 1952 il primo tentativo di ribellione al dominio olandese: oltre 5 mila cinesi insorsero, ma furono repressi dagli olandesi. Una decina di anni dopo ci sarebbe stata un’ulteriore ribellione, questa volta vittoriosa grazie all’intervento armato di Zheng Chenggong (conosciuto anche come Koxinga).3 In quel periodo nella Cina continentale le forze della dinastia Qing sfondarono il Passo Shanhai nel 1644 e sopraffarono rapidamente i Ming. Nel 1661, una flotta navale guidata dal lealista Ming Koxinga arrivò a Taiwan per cacciare gli olandesi e stabilire una base pro-Ming a Taiwan. Nel corso della sua guerra contro i Qing Koxinga aveva costruito un’immensa armata di 30 mila han, con la quale avrebbe poi conquistato l’isola. Koxinga divenne una figura leggendaria nei racconti popolari e la sua immagine di lealista Ming fu onorata anche dall’imperatore Kangxi della dinastia Qing, che rimosse il suo nome dalla categoria di “banditismo marittimo”. Avrebbe ereditato il potere il quinto figlio di Koxinga, Zheng Jing, principe di Yanping.4 Nel 1680, Zheng Jing fu costretto ad abbandonare Xiamen, Quemoy e Dongshan dopo aver perso una grande battaglia navale contro l’ammiraglio Qing Shi Lang. Cacciato dalla terraferma dai Manciù, si ritirò nell’odierna Tainan dove morì il 17 marzo 1681. Zheng nominò suo successore il figlio maggiore, Zheng Kezang; tuttavia, Zheng Kezang fu rapidamente rovesciato a favore di Zheng Keshuang. Da lì a poco, nel 1684, il governo mancese decise di attaccare ed occupare l’isola, inviando una guarnigione di 10 mila soldati capitanati dal comandante Shi Lang, che arrivò dal Fujian. All’epoca sull’isola la comunità cinese era di circa 120 mila abitanti, e la decisione fu quella di inglobare amministrativamente il territorio alla prefettura della provincia del Fujian.5 Infatti il 6 marzo 1684, Kangxi accettò la proposta di Shi di creare stabilimenti militari permanenti a Penghu e Taiwan. La richiesta finale per l’annessione di Taiwan venne presentata il 27 maggio e fu accolta da Kangxi, che autorizzò l’istituzione della Prefettura di Taiwan come nuova prefettura della provincia del Fujian con tre contee: Taiwan, Zhuluo e Fengshan. Yang Wenkui venne nominato governatore generale di Taiwan.
Ormai quella cinese era ampiamente la prima comunità etnica sull’isola: nel 1777 la popolazione han era arrivata a 800 mila abitanti, mentre nel 1824 avrebbe raggiunto la cifra di 1,8 milioni, superando ormai ampiamente gli aborigeni, che rimanevano per lo più arroccati nelle zone montuose interne. L’isola, ormai completamente cinese, veniva amministrata sia politicamente che culturalmente, ed il governo mancese utilizzò il confucianesimo quale strumento per completarne la sinizzazione. Peraltro, la filosofia confuciana era penetrata a Taiwan già molto prima – a partire dall’anno 1000 – con l’arrivo dei primi cinesi di etnia han, e la sua diffusione si consolidò nei secoli parallelamente al crescere del fenomeno migratorio. Va tuttavia segnalato che il sistema confuciano – che essenzialmente è un sistema di norme basato sul rispetto della gerarchia fondata sull’età e sulla posizione sociale, insieme al rispetto e alla cura di chi è inferiore – a Taiwan si sovrappose ad un altro codice etico, chiamato baojia. Questo antico sistema di regole fu un’invenzione di Wang Anshi della dinastia Song settentrionale, che creò questo schema di applicazione della legge e controllo sociale basato sulla comunità, che era ricompreso nella sua ampia riforma del governo varata a partire dal 1069 e definita nel 1076.6 In sostanza questo codice prevedeva che ai capi dei diversi bao veniva conferita l’autorità di mantenere l’ordine locale, riscuotere le tasse e organizzare progetti collettivi. Lo scopo di questo sistema era la diminuzione della dipendenza del governo dai mercenari, assegnando la responsabilità delle forze dell’ordine a queste società civili. In sostanza si riconosceva un principio di “responsabilità collettiva”, in cui le famiglie venivano organizzate in gruppi di dieci unitò (pai) che a loro volta venivano organizzate in altri 10 gruppi (jia), ed infine 10 jia costituivano un bao. Il capo del bao veniva eletto dai capifamiglia e doveva occuparsi della riscossione delle imposte, della ripartizione dei terreni agricoli, di aggiornare i registri del censo e del catasto eccetera.
In maniera del tutto analoga ad altre province dell’impero, la vita a Taiwan si svolgeva quindi sulle pratiche del villaggio, che era in sostanza una sintesi tra tradizioni popolari e un sistema feudale, suddiviso in piccoli potentati autonomi che amministravano la realtà locale per conto dell’autorità politica centrale, occupandosi anche della distribuzione delle risorse provenienti da essa. La sicurezza militare, gli approvvigionamenti alimentari, la gestione delle acque e delle terre, la cura degli anziani ed ogni altro servizio pubblico erano espletati da queste élite locali, che avevano sia l’autorità che l’autorevolezza per rispondere a tale compito. Questo equilibrio a Taiwan avrebbe retto fino a quasi la fine del 19° secolo, allorquando avrebbero fatto il loro ingresso in scena dei vicini particolarmente invisi ai cinesi: i giapponesi.
Peraltro, l’avvio della campagna di colonizzazione giapponese dell’isola prese avvio da un fatto abbastanza casuale. Infatti nel dicembre 1871 una nave di Ryukyuan7 naufragò vicino all’estremità meridionale di Taiwan, dando vita ad un episodio conosciuto come incidente di Mudan. Cinquantaquattro membri del suo equipaggio di 66 persone furono decapitati dagli aborigeni Paiwan, mentre i restanti 12 membri dell’equipaggio furono salvati dai cinesi han e trasferiti a Tainan, nel sud di Taiwan. In seguito, i funzionari locali del governo cinese Qing li trasferirono nella provincia del Fujian, nella Cina continentale, per poi essere rimpatriati. Ma quando il Giappone chiese un risarcimento alla Cina, il tribunale respinse la richiesta sulla base del fatto che i nativi “selvaggi” di Taiwan erano considerati al di fuori della sua giurisdizione. Questa timidezza nel difendere la sovranità sull’isola indusse alla spedizione di Taiwan del 1874 da parte dei giapponesi, oltretutto favoriti da una Cina particolarmente indebolita – da poco era stata sconfitta dalla Gran Bretagna nel corso della “prima guerra dell’oppio” (1839-42) – e che proprio a partire da quel periodo avrebbe patito il peso dei cosiddetti trattati ineguali.8
Ormai da tempo si stava esacerbano la conflittualità tra gli imperi cinese e giapponese (ma anche russo) per il predominio dell’asia orientale. In particolare la penisola coreana e la Manciuria, viste le loro ricchezze e la loro posizione strategica, suscitavano gli appetiti espansionistici dei giapponesi. La guerra sino-giapponese del 1894 esplose proprio per questo motivo, e avrebbe portato tali aree sotto l’influenza coloniale giapponese. Inoltre, come conseguenza dei trattati di pace di Shimenoseki dell’aprile del 1895, l’impero Qing si vide costretto a cedere al Giappone anche l’isola di Taiwan e l’arcipelago Penghu.9 Va sottolineato che all’epoca su una popolazione di 2,5 milioni, circa 2,3 milioni erano cinesi han e i restanti duecentomila erano classificati come membri di varie tribù indigene. Insomma, l’isola era indubitabilmente cinese. Ma si era nel pieno del periodo dell’imperialismo, quindi il Giappone desiderava imitare ciò che stavano facendo le nazioni occidentali, cercando avidamente colonie e risorse nella penisola coreana e nella Cina continentale per competere con la presenza delle potenze occidentali in quel momento.
È peraltro probabile che Taiwan non fosse un obiettivo diretto dei giapponesi, ma che venisse proposta ai nipponici come territorio da occupare come compensazione per la vittoria della guerra, dopo la restituzione del Liaodong ai cinesi. Taiwan venne quindi inserita nel trattato di Shimenoseki, senza che venissero indispettite le altre potenze europee (Russia, Germania e Francia e Regno Unito). Fatto sta che per mezzo secolo (1895-1945) Taiwan rimase una colonia dell’impero giapponese, nonostante le comunità locali organizzassero fin da subito una tenace e decennale resistenza armata. Solitamente questo intervallo giapponese viene suddiviso dagli storici in tre periodi in cui prevalsero politiche diverse: repressione militare (1895-1915), assimilazione (1915-37) e giapponesizzazione (1937-1945). Dal punto di vista strettamente militare, l’invasione giapponese di Taiwan (maggio-ottobre 1895) fu un conflitto di breve durata in seguito alla cessione della dinastia Qing di Taiwan al Giappone nell’aprile 1895 alla fine della prima guerra sino-giapponese. I giapponesi cercarono di prendere il controllo del loro nuovo possedimento, mentre le forze repubblicane combattevano duramente per resistere. I nipponici sbarcarono vicino a Keelung, sulla costa settentrionale di Taiwan, il 29 maggio 1895, e in una campagna di cinque mesi si diressero verso sud in direzione Tainan. Sebbene la loro avanzata fosse rallentata dall’attività di guerriglia, i giapponesi sconfissero le forze di Formosa (un misto di unità cinesi regolari e milizie locali Hakka) ogni volta che tentavano di prendere posizione. La vittoria giapponese a Baguashan il 27 agosto, la più grande battaglia mai combattuta sul suolo taiwanese, condannò la resistenza di Formosa a una sconfitta anticipata. La caduta di Tainan il 21 ottobre pose fine alla resistenza organizzata all’occupazione giapponese e inaugurò, come detto, cinque decenni di dominio giapponese a Taiwan. In pratica, abbastanza paradossalmente, i giapponesi prima ottennero Taiwan “sulla carta” con il trattato di Shimenoseki (aprile 1895) e solo successivamente la occuparono militarmente (ottobre dello stesso anno).
Non meno che sui territori da loro controllati nella Cina continentale (Manciuria), i giapponesi diedero sfogo a crudeltà e razzie indicibili. Uno spaccato di tale atteggiamento spietato, ci viene offerto da questo racconto: «La cessione dell’isola al Giappone fu accolta con tale sfavore dagli abitanti cinesi che fu necessaria una grande forza militare per effettuarne l’occupazione. Per quasi due anni, alle truppe giapponesi fu opposta un’aspra resistenza di guerriglia e per la sua soppressione furono necessarie grandi forze di oltre 100.000 uomini, si stimava all’epoca. Ciò non fu compiuto senza molta crudeltà da parte dei conquistatori, i quali, nella loro marcia attraverso l’isola, perpetrarono tutti i peggiori eccessi della guerra. Hanno avuto, senza dubbio, una notevole opposizione. Furono costantemente attaccati da nemici in agguato e le loro perdite in battaglia e malattie superarono di gran lunga la perdita dell’intero esercito giapponese durante la campagna della Manciuria. Ma la loro vendetta è stata spesso presa sugli innocenti abitanti del villaggio. Uomini, donne e bambini furono massacrati spietatamente o divennero vittime di lussuria e rapine sfrenate. Il risultato è stato quello di cacciare dalle loro case migliaia di contadini laboriosi e pacifici, che, molto tempo dopo che la resistenza principale era stata completamente schiacciata, hanno continuato a condurre una guerra di vendetta e a generare sentimenti di odio che gli anni successivi di conciliazione e buon governo hanno non del tutto sradicato».10
Agli albori del dominio coloniale giapponese, la polizia fu schierata nelle città per mantenere l’ordine, spesso con mezzi brutali, mentre i militari furono dislocati nelle campagne come forza di contro-insurrezione e ordine pubblico. La brutalità di questo atteggiamento poliziesco si ritorse contro ai giapponesi e spesso ispirò ribellioni e insurrezioni invece di reprimerle. In qualità di massima autorità coloniale di Taiwan durante il periodo del dominio giapponese, il Governatore Generale era nominato direttamente da Tokyo. Il potere era altamente centralizzato con il Governatore Generale che esercitava il potere esecutivo, legislativo e giudiziario supremo, rendendo di fatto il governo una dittatura. Come sistema amministrativo i giapponesi rivisitarono l’ormai secolare sistema del baojia, introducendo un sistema chiamato Hoko. La concezione del sistema Hoko era duplice; 10 famiglie formavano un ko e 10 ko formavano un ho. Tuttavia, il numero di nuclei familiari afferenti a ciascuna unità variava a seconda delle dimensioni della comunità. Ogni unità ho e ko era rappresentata da un capo eletto, mentre ogni famiglia era rappresentata da un capofamiglia. Ogni capo era responsabile nel garantire che la propria unità rispettasse le regole del sistema Hoko. Sebbene le regole fossero lasciate alla discrezione di ciascun distretto, la regolamentazione generalmente comprendeva compiti amministrativi come le indagini sulle famiglie, la riabilitazione dei fumatori di oppio, la riscossione delle tasse e l’emissione di multe, ma anche compiti di sorveglianza come la segnalazione di estranei dall’aspetto sospetto, la scoperta di criminali o individui contagiosi. Le comunità venivano monitorate da vicino con i capifamiglia che segnalavano qualsiasi cambiamento di residenza o spostamento, compresi i visitatori notturni. La deviazione o il mancato rispetto delle regole avrebbe comportato una punizione per l’intera unità: la condanna di un criminale, di un ko, avrebbe comportato una multa per negligenza a tutti i capifamiglia per non aver denunciato il sospetto. Questo aveva lo scopo di produrre un senso di responsabilità collettiva, ma anche un clima delatorio generale. Goto Shimpei credeva che la responsabilità collettiva fosse un metodo efficace di controllo sociale perché si basava sul “solido terreno di obblighi, relazioni di parentela e tradizione”.11
Il dominio giapponese a Taiwan venne rinsaldato dallo scoppio della seconda guerra sino-giapponese nel 1937 e terminò insieme alla Seconda Guerra Mondiale nel 1945; con l’ascesa del militarismo in Giappone tra la metà e la fine degli anni ‘30, l’ufficio del Governatore Generale venne nuovamente occupato da ufficiali militari e il Giappone cercò di indirizzare tutte le risorse dell’isola nello sforzo bellico. A tal fine, si cercò (abbastanza vanamente) di assimilare i taiwanesi ai membri della società giapponese. Di conseguenza, i primi movimenti sociali furono banditi e il governo coloniale dedicò tutti i suoi sforzi al “movimento Kōminka”, volto a giapponesizzare completamente la società taiwanese. Tra il 1936 e il 1940, il movimento Kōminka cercò di costruire uno “spirito giapponese” e un’identità giapponese tra la popolazione, mentre gli ultimi anni dal 1941 al 1945 si concentrò sull’incoraggiare i taiwanesi a partecipare direttamente allo sforzo bellico. Come parte del movimento, il governo coloniale iniziò a imporre alla popolazione locale di parlare la lingua giapponese, indossare abiti giapponesi, vivere in case in stile giapponese, “modernizzare” le pratiche funebri osservando i funerali in stile giapponese e convertirsi allo shintoismo. Nel 1940 furono anche approvate leggi a favore dell’adozione di nomi giapponesi.
Con l’espansione della guerra del Pacifico, il governo iniziò anche a incoraggiare i taiwanesi a servire volontariamente l’esercito e la marina imperiale giapponesi nel 1942, e infine ordinò un progetto su vasta scala nel 1945. Come risultato della guerra, Taiwan patì numerose perdite, tra cui migliaia di giovani taiwanesi uccisi mentre prestavano servizio nelle forze armate giapponesi, nonché subì gravi ripercussioni economiche dai bombardamenti alleati. Alla fine della guerra del 1945, la produzione industriale e agricola era scesa molto al di sotto dei livelli prebellici, con la produzione agricola del 49% rispetto ai livelli del 1937 e la produzione industriale in calo del 33%. La produzione di carbone crollò da 200.000 tonnellate a 15.000 tonnellate. Come se non bastasse, durante la Seconda Guerra Mondiale le autorità giapponesi istituirono campi di prigionia a Taiwan. I prigionieri di guerra alleati furono utilizzati per i lavori forzati nei campi di tutta l’isola, come ad esempio in un campo a servizio delle miniere di rame a Kinkaseki, con un trattamento particolarmente atroce. Dei 430 prigionieri di guerra alleati morti in tutti in quattordici campi di prigionia giapponesi a Taiwan, la maggior parte si registrò proprio a Kinkaseki. Va ricordato che l’economia di Taiwan durante il dominio giapponese era, per la maggior parte, un’economia coloniale tipica: le risorse umane e naturali di Taiwan furono utilizzate per aiutare lo sviluppo del Giappone, secondo una politica avviata dal Governatore Generale Kodama che raggiunse il suo apice nel 1943, nel mezzo del conflitto mondiale. Dal 1900 al 1920, l’economia taiwanese è stata dominata dall’industria dello zucchero, mentre dal 1920 al 1930 il riso rimase la principale esportazione. Durante questi due periodi, la principale politica economica del governo coloniale rispondeva alla seguente formula: “l’industria per il Giappone, l’agricoltura per Taiwan”. Dopo il 1930, per esigenze belliche, il governo coloniale iniziò a perseguire una politica di industrializzazione e sotto il settimo governatore, Akashi Motojiro, una vasta palude nel centro di Taiwan venne trasformata in un’enorme diga per costruire una centrale idraulica per l’industrializzazione. La diga e l’area circostante, ampiamente conosciuta come Lago Nichigetsu, è oggi anche una meta turistica di un certo interesse.
Nel 1942, dopo che gli Stati Uniti entrarono in guerra contro il Giappone e dalla parte della Cina, il governo cinese del Kuomintang rinunciò a tutti i trattati firmati con il Giappone prima di quella data e fissò il ritorno di Taiwan alla Cina (come con la Manciuria, controllata in tempo di guerra dallo Stato fantoccio del Manchukuo) come uno degli obiettivi principali. Nella Dichiarazione del Cairo del 1943, le potenze alleate dichiararono il ritorno di Taiwan (compresi le isole Pescadores) alla Repubblica di Cina come parte delle numerose richieste alleate. Nel 1945, il Giappone si arrese incondizionatamente, ponendo definitivamente fine al suo dominio coloniale su Taiwan ed il territorio fu posto sotto il controllo amministrativo del governo della Repubblica di Cina nel 1945 direttamente dall’Amministrazione di soccorso e riabilitazione delle Nazioni Unite. L’Ufficio del Comandante Supremo per le potenze alleate ordinò alle forze giapponesi in Cina e Taiwan di arrendersi a Chiang Kai-shek; il 25 ottobre 1945, il Governatore Generale Rikichi Andōha cedette l’amministrazione di Taiwan e delle isole Penghu al capo della Commissione investigativa di Taiwan, Chen Yi. Il 26 ottobre, il governo della Repubblica di Cina dichiarò che Taiwan era tornata una provincia della Cina.
NOTE AL TESTO
1 Il Libro dei Sui raccoglie la storia ufficiale della dinastia cinese Sui, e fa parte delle “Ventiquattro Storie” ufficiali della Cina imperiale. Fu redatto da un gruppo di storici guidati dal funzionario della dinastia Tang Wei Zheng e fu completato nel 636. Particolarmente pregevole è il suo catalogo letterario, che al pari del Libro degli Han fornisce preziose indicazioni su opere del passato ormai perdute.
2 Vedi José Eugenio Borao Mateo, The Spaniards in Taiwan: Documents, 2 volumi, Taipei, SMC, 2001–2, pag. 62–69. Consultabile in ampie parti al sito http://www.gutenberg-e.org/andrade/andrade02.html#s01
3 Zheng Chenggong, principe di Yanping, meglio conosciuto a livello internazionale come Koxinga, era un generale lealista Ming che resistette alla conquista Qing della Cina nel XVII secolo, combattendoli sulla costa sud-orientale della Cina. Nel 1661, Koxinga sconfisse gli avamposti olandesi a Taiwan e fondò una dinastia, la Casa di Koxinga , che governò parte dell’isola come Regno di Tungning dal 1661 al 1683.
4 Zheng Jing, principe di Yanping, conosciuto anche con i nomi di Xianzhi e Yuanzhi o con lo pseudonimo di Shitian, era un Signore della guerra cinese del XVII secolo, lealista della dinastia Ming e sovrano del regno di Tungning a Taiwan.
5 Shi Lang venne poi ribattezzato come “Marchese della pacificazione del mare”.
6 Wang Anshi (1021-1086), conosciuto anche come Jiefu, è stato un economista, filosofo, poeta e politico cinese durante la dinastia Song. Ha servito come cancelliere e ha tentato importanti e controverse riforme socioeconomiche conosciute come “le Nuove Politiche”. Queste riforme costituivano i concetti centrali dei riformisti della dinastia Song, in contrasto con i loro rivali, i conservatori, guidati dal cancelliere Sima Guang.
7 Il popolo Ryukyuan è un gruppo etnico dell’Asia orientale originario delle isole Ryukyu, che si estendono tra le isole di Kyushu e Taiwan. Amministrativamente, vivono nella prefettura di Okinawa o nella prefettura di Kagoshima del Giappone.
8 I trattati ineguali furono un insieme di convenzioni concluse forzatamente da alcuni Stati dell’Estremo Oriente (l’Impero Qing, il Giappone Tokugawa e la Corea Joseon) con le potenze occidentali tra il XIX secolo e i primi anni del XX. In tale periodo le nazioni asiatiche erano in gran parte incapaci di resistere alla pressione militare ed economica straniera, stante l’enorme divario tecnologico tra Occidente e Oriente. La nomea di “trattati ineguali” emerse negli anni Venti in riferimento ai trattati di pace del XIX secolo da parte dei patrioti cinesi.
9 Le isole Penghu o isole Pescadores sono un arcipelago al largo della costa occidentale di Taiwan nello stretto di Formosa. L’arcipelago consiste in 90 piccole isole e scogli che coprono un’area di 141 chilometri quadrati. L’intero arcipelago costituisce la contea di Penghu sotto la provincia di Taiwan, mentre le altre piccole isole più a nord a ridosso della costa cinese costituiscono la contea di Lienchiang della provincia del Fujian.
10 Vedi Sir Adolfo William Ward; George Walter Prothero, Sir Stanley Mordaunt Leathes, Ernest Alfred Benians. La storia moderna di Cambridge, vol. 12, 1910. p. 573.
11 Il conte Gotō Shinpei (1857 – 1929) è stato un politico giapponese. Ricoprì numerosi ed importanti incarichi: fu capo degli affari civili di Taiwan sotto il dominio giapponese, primo direttore della Ferrovia della Manciuria del Sud, settimo sindaco di Tokyo, primo Capo scout del Giappone, primo direttore della Televisione nipponica, terzo preside dell’Università di Takushoku, nonché Ministro degli interni e Ministro degli esteri del Giappone.
Il CeSE-M sui social