di Marco Costa
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la netta sconfitta del Giappone, sia per la Cina continentale che per l’isola di Taiwan lo scenario sarebbe cambiato completamente, con la ripresa della Seconda Guerra Civile cinese (conosciuta anche come Guerra di Liberazione). Gli sviluppi bellici di questo intervallo di tempo (1945 resa giapponese – 1949 vittoria definitiva delle formazioni comuniste e proclamazione della Repubblica Popolare Cinese) sarebbero infatti stati decisivi per le sorti di Taiwan, relegando l’isola in una fase di cristallizzazione che dura fino ai giorni nostri.
Dopo il ’45, secondo quanto prevedevano i termini della resa incondizionata giapponese dettata dagli Alleati, le truppe nipponiche avrebbero dovuto arrendersi alle truppe del Kuomintang (KMT) ma non al PCC, che era presente in alcune delle aree occupate. In Manciuria, invece, dove il KMT non aveva forze armate attive, i giapponesi si arresero all’Unione Sovietica. Per quanto Chiang Kai-shek ammonisse i giapponesi di arrendersi solo alle truppe nazionaliste, in realtà i comunisti misero direttamente i giapponesi in condizione di arrendersi, suscitando peraltro la preoccupazione statunitense da parte del Wedemeyer, che intuì la posizione di superiorità che stavano acquisendo gli uomini di Mao.1 Il primo negoziato di pace del dopoguerra, a cui parteciparono sia Chiang Kai-shek che Mao Zedong, si tenne a Chongqing dal 28 agosto al 10 ottobre 1945. Chiang partecipò alla conferenza con un vantaggio teorico, in quanto aveva recentemente firmato un trattato amichevole con l’Unione Sovietica, mentre i comunisti stavano ancora costringendo i giapponesi ad arrendersi in diverse aree. A conclusione del vertice, entrambe le parti sottolinearono astrattamente l’importanza di una ricostruzione pacifica, ma senza dare seguito ad azioni concrete. Infatti, le ostilità tra le due parti continuarono anche mentre erano in corso negoziati di pace, fino al raggiungimento dell’accordo nel gennaio 1946. Tuttavia, l’evoluzione nel nord della Cina avrebbe parzialmente cambiato le cose. Infatti, proprio agli sgoccioli del conflitto mondiale in Asia, i sovietici lanciarono una poderosa operazione offensiva in Manciuria contro l’esercito giapponese del Kwantung e lungo il confine tra Cina e Mongolia.2 Questa operazione annientò l’esercito del Kwantung in sole tre settimane e lasciò l’Unione Sovietica ad occupare tutta la Manciuria; inoltre, fece prigionieri circa 700 mila soldati giapponesi di stanza nella regione. Ben presto Chiang Kai-shek si rese conto di essere sprovvisto delle risorse per impedire l’acquisizione da parte del PCC della Manciuria dopo la prevista partenza sovietica: tentò vanamente un accordo con i sovietici per ritardare il loro ritiro fino a quando non avesse trasferito nella regione una quantità sufficiente dei suoi uomini meglio addestrati e del materiale moderno. Tuttavia, i sovietici rifiutarono il permesso alle truppe nazionaliste di attraversare il loro territorio. Le truppe del KMT furono quindi trasportate in aereo dagli Stati Uniti per occupare città chiave nel nord della Cina, mentre le campagne erano già completamente dominate dal PCC. Per quanto nel novembre 1945 il KMT tentasse di imbastire una campagna contro il PCC, ormai risultava ampiamente screditato della popolazione, in preda a fenomeni quale disorganizzazione, corruzione e nepotismo. Inoltre, aspetto non secondario, nell’inverno 1945-1946, Joseph Stalin ordinò al maresciallo Rodion Malinovsky di consegnare a Mao Zedong la maggior parte delle armi dell’esercito imperiale giapponese che furono requisite.3
Se da un lato le forze di Chiang Kai-shek si spinsero fino a Chinchow nello Jinzhou, si assistette ad un’offensiva comunista nella penisola dello Shandong che ebbe un notevole successo, poiché tutta la penisola, tranne che la porzione controllata dagli Stati Uniti, cadde in mano agli uomini di Mao. La tregua cessò definitivamente nel giugno 1946, quando il confronto tra PCC e KMT sfociò in una guerra su vasta scala.
Va ricordato che alla fine della seconda guerra sino-giapponese, il potere del PCC era cresciuto in maniera considerevole, potendo contare su un esercito regolare composto da 1,2 milioni di soldati e da una milizia popolare di ulteriori 2 milioni di uomini, per un totale di 3,2 milioni di soldati. Nella zona liberata nel 1945 poteva contare su 19 basi logistiche, avendo il controllo su un quarto del territorio del Paese e un terzo della sua popolazione. Non furono inoltre rari i casi in cui truppe nazionaliste disertarono, passando nelle fila comuniste, attirate dalla loro maggiore coerenza organizzativa e ideologica. Ma probabilmente l’elemento decisivo nel decidere le sorti del conflitto sarebbe stato di tipo politico-economico, ovvero la riforma agraria promossa dalle forze comuniste. Nei territori liberati, infatti, le forze maoiste diedero la terra in gestione diretta ai contadini, espropriandola ai latifondisti: ciò attirò un enorme numero di contadini affamati e senza terra delle campagne alla causa comunista, consentendo di avere milioni di sostenitori disponibili anche per scopi di combattimento e logistici. A titolo di esempio, durante la sola campagna di Huaihai, il PCC fu in grado di mobilitare 5 milioni e mezzo contadini per affrontare le forze del KMT.4 Di fronte a questa vera e propria sollevazione popolare a nulla valse l’appoggio americano alle truppe nazionaliste, e nemmeno l’uso strumentale dei giapponesi. Lo stesso Truman – presidente statunitense – ammise chiaramente il loro ruolo: «Ci era perfettamente chiaro che se avessimo detto ai giapponesi di deporre immediatamente le armi e marciare verso la costa, l’intero Paese sarebbe stato conquistato dai comunisti. Abbiamo quindi dovuto fare l’insolito passo di usare il nemico come guarnigione fino a quando non avremmo potuto trasportare in aereo le truppe nazionaliste cinesi nella Cina meridionale e inviare marines a guardia dei porti marittimi».5
Infatti gli Stati Uniti sostennero ampiamente e apertamente il KMT: circa 50.000 soldati statunitensi furono inviati a guardia di siti strategici nell’Hebei e nello Shandong nel corso della cosiddetta operazione Beleaguer.6 Inoltre gli americani equipaggiarono, addestrarono e finanziarono lautamente le truppe del KMT; secondo diverse fonti questi aiuti ammontarono a oltre 5 miliardi di dollari.
Il 20 luglio 1946 Chiang Kai-shek lanciò un assalto su larga scala al territorio comunista nel nord della Cina con 113 brigate (per un totale di 1,6 milioni di soldati). Consapevoli dello svantaggio in termini di forniture militari, i comunisti adottarono una strategia di difesa, accerchiamento e logoramento del nemico. Evitare cioè i punti di forza del KMT, abbandonare – se necessario – parte del territorio controllato per preservare uomini e forze, diffondersi nei piccoli villaggi (facendo leva sul consenso contadino) per accerchiare le città. Dopo solo un anno questa strategia si rivelò decisiva, e gli equilibri si erano completamente ribaltati: il KMT aveva perso oltre un milione di combattenti.
Di seguito i comunisti passarono al contrattacco: nel giugno del 1947 attraversarono il Fiume Giallo e si trasferirono nell’area dei Monti Dabie, per poi attaccare anche nella Cina settentrionale e orientale. Alla fine del 1948, il PCC conquistò le città settentrionali di Shenyang e Changchun e prese il controllo del nord-est dopo aver subito numerose battute d’arresto mentre cercava di conquistare le città, con la decisiva Campagna di Liaoshen. Con la cattura di grandi battaglioni del KMT, il PCC riuscì a rifornirsi di carri armati e di artiglieria pesante, necessari per l’offensiva finale a sud della Grande Muraglia. Nell’aprile del 1948 la città di Luoyang cadde, tagliando le truppe del KMT fuori da Xi’an; dopo una feroce battaglia, il 24 settembre 1948 il PCC conquistò la provincia di Jinan e Shandong. Con la campagna di Huaihai tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949 Mao assicurò la Cina centro-orientale al PCC. Lo sviluppo di questa campagna si sarebbe rivelato decisivo per l’esito militare della Guerra di Liberazione. Dopo aver ottenuto una vittoria decisiva nelle campagne di Liaoshen, Huaihai e Pingjin, il PCC spazzò via 144 divisioni regolari e 29 irregolari del KMT, inclusi 1,54 milioni di soldati veterani del KMT. Stalin inizialmente era favorevole a un governo di coalizione nella Cina del dopoguerra e cercò di persuadere Mao a impedire al PCC di attraversare lo Yangtze e di attaccare le posizioni del KMT a sud del fiume. Mao rifiutò la posizione di Stalin e il 21 aprile iniziò la campagna di attraversamento del fiume Yangtze, fino ad arrivare il 23 aprile a catturare la capitale del KMT, Nanchino. Il governo del KMT si ritirò prima a Canton (Guangzhou) fino al 15 ottobre, poi a Chongqing fino al 25 novembre poi Chengdu, prima di ritirarsi definitivamente a Taiwan il 7 dicembre.
Come è noto, il 1° ottobre 1949 Mao Zedong proclamò la fondazione della Repubblica Popolare Cinese con capitale Beiping, che fu restituita all’antico nome Beijing. Chiang Kai-shek e circa due milioni di soldati nazionalisti fuggirono dalla Cina continentale nell’isola di Taiwan nel mese di dicembre dopo che l’EPL era avanzato anche nella provincia del Sichuan. Piccole sacche di resistenza nazionaliste isolate rimasero nell’area, ma la maggior parte crollò dopo la caduta di Chengdu il 10 dicembre 1949.
Questi eventi risultano fondamentali per capire la questione di Taiwan ai giorni nostri, che sono figli di una storia sia antica (la conquista cinese dell’isola nel 17° secolo) che di una più recente (intermezzo coloniale giapponese prima e Guerra di Liberazione dopo). In sostanza possiamo affermare che nonostante gli aiuti statunitensi, sul finire del 1948 la posizione dei nazionalisti risultava indebolita e fragile. Al contrario l’Armata Rossa di Mao, ribattezzata nel 1948 Esercito Popolare di Liberazione (EPL), poteva vantare i successi nella guerriglia contro il Giappone e una solida organizzazione formatasi nel corso della leggendaria “Lunga Marcia” (1934-35), che ne aveva consolidato lo spirito combattivo e ne aveva corroborato compattezza e determinazione. Di conseguenza, nonostante la superiorità in termini di armamenti e di equipaggiamento, corruzione, demoralizzazione e assenza di ideali avrebbero comportato il completo scoramento tra le truppe nazionaliste, che non riuscirono a frenare l’avanzata comunista divenuta ormai inarrestabile, soprattutto in seguito al grande appoggio delle masse contadine e operaie. Va infatti ricordato che i comunisti – oltre ad avvalersi delle masse contadine accorse in loro massiccio aiuto – riuscirono a mobilitare gli intellettuali e gli universitari delle città, nonché la componente operaia urbana. Basta ricordare che nel 1947 quasi 4 milioni di lavoratori di varie città quali Shanghai e Tianjin scesero in piazza organizzando scioperi e manifestazioni contro la guerra e a supporto dei comunisti.
Fiutando il cambiamento del clima complessivo, anche Truman dovette far fronte a numerose critiche interne, e il Dipartimento di Stato venne persuaso nell’allentare la sua assistenza alla fazione nazionalista. Quando cadde Nanchino, il governo nazionalista evacuò fortunosamente ed indecorosamente in varie sedi, con oltre un milione di uomini, funzionari governativi, truppe ed ufficiali. A quel punto Mao aveva epicamente realizzato il progetto di liberazione. Mancavano solamente il Tibet (Xizang) – che sarebbe stato liberato nell’anno seguente – Taiwan e altri isolotti molto piccoli. Macao e Hong Kong hanno avuto un percorso del tutto differente.
Chiang Kai-Shek, che nel frattempo aveva lasciato anche Chongqing, abbandonò il Paese con oltre 600 mila soldati e 2 milioni di civili e, con il sostegno statunitense, riparò a Taiwan. Con la presa di Hainan e l’abbandono di Chengdu nel 1950, le ultime sacche di resistenza vennero debellate. La Repubblica Popolare Cinese poteva risollevarsi, nonostante il nodo Taiwan non venisse risolto.
Realizzare la completa riunificazione della Cina è stato un obiettivo che il PCC ha sempre perseguito a partire dai primi anni del suo insediamento al potere. Peraltro, già prima della fondazione della RPC, il 15 maggio 1937, Mao Zedong dichiarò che l’obiettivo della Cina era ottenere una vittoria completa nella guerra, una vittoria che avrebbe recuperato i territori cinesi occupati nel nord-est e a sud del Passo Shanhai, e conseguire la liberazione di Taiwan.7
Va inoltre ricordato che il 9 dicembre 1941, il Governo cinese emise una dichiarazione di guerra contro il Giappone e proclamò che tutti i trattati, le convenzioni, gli accordi e i contratti riguardanti le relazioni tra Cina e Giappone erano stati abrogati e che la Cina avrebbe recuperato Taiwan e le Isole Penghu.
Successivamente, con la “La Dichiarazione del Cairo” sottoscritta da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 1˚ dicembre 1943, veniva affermato che era obiettivo comune dei tre alleati che tutti i territori che il Giappone aveva sottratto alla Cina, come la Manciuria, Taiwan e le Isole Penghu, sarebbero dovuti essere restituiti. In seguito, il “Trattato di Postdam” firmato da Cina, Stati Uniti e Regno Unito il 26 luglio 1945 e successivamente riconosciuto dall’Unione Sovietica confermò che: “I termini della Dichiarazione del Cairo devono essere eseguiti”. Nel settembre dello stesso anno il Giappone firmò la dichiarazione di resa, in cui si impegnava ad adempiere fedelmente agli obblighi previsti dal “Trattato di Potsdam”. Il 25 ottobre il Governo cinese annunciò il ritorno della propria sovranità su Taiwan e si tenne a Taipei la cerimonia di accettazione della resa del Giappone nella Provincia di Taiwan. Da quel momento in poi, la Cina ha recuperato Taiwan de jure e de facto attraverso una serie di documenti con effetto legale internazionale inoppugnabile. Come già ribadito, il 1° ottobre 1949 fu fondata la Repubblica Popolare Cinese, che divenne il soggetto statuale successore della Repubblica Cinese (1912-1949), e il Governo Popolare Centrale divenne l’unico governo legittimo dell’intera Cina. Il nuovo governo ha sostituito il precedente regime del KMT in una situazione in cui la Cina, in quanto soggetto di diritto internazionale, non è cambiata e la sovranità e il territorio intrinseco della Cina non sono cambiati. Come logica conseguenza, il Governo della RPC dovrebbe godere ed esercitare la piena sovranità della Cina, che include la sua sovranità su Taiwan.
La questione dell’appartenenza dell’isola di Formosa alla RPC ha senza dubbio due livelli di argomentazione: uno del tutto storico e politico, l’altro di carattere giuridico. Infatti, se è indubbio che a seguito della guerra civile in Cina nella seconda metà degli anni ‘40 e dell’interferenza di forze esterne (Giappone prima, USA dopo), le due sponde dello Stretto di Taiwan sono cadute in uno stato di prolungato confronto politico, la sovranità e il territorio della Cina non sono mai stati divisi e lo status di Taiwan come parte del territorio cinese non è mai cambiato e non potrà mai cambiare.
Ma anche da un punto di vista di diritto internazionale la questione è chiara. Infatti, nel corso della sua 26ᵃ sessione dell’ottobre 1971, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la fondamentale risoluzione 2758, che così si espresse: «L’Assemblea Generale, richiamando i principi della Carta delle Nazioni Unite, considerando che il ripristino dei diritti legittimi della Repubblica Popolare Cinese è indispensabile sia per la salvaguardia della Carta delle Nazioni Unite sia per la causa che l’organizzazione deve servire secondo la Carta, riconoscendo che i rappresentanti del Governo della Repubblica Popolare Cinese sono gli unici rappresentanti legittimi della Cina alle Nazioni Unite e che la Repubblica Popolare Cinese è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza».8 Questa risoluzione ha risolto inequivocabilmente le questioni politiche, legali e procedurali della rappresentanza della Cina all’ONU e ha riguardato l’intera nazione, ivi compresa Taiwan. La medesima risoluzione ha anche determinato che la Cina ha un solo seggio di rappresentanza all’ONU, sconfessando di conseguenza anche eventuali fantomatiche ipotesi “due Cine” o “una Cina, una Taiwan”.9
A conferma di ciò, anche altre agenzie collegate all’ONU hanno successivamente adottato ulteriori risoluzioni restituendo alla RPC la sua sede legittima ed espellendo i rappresentanti delle autorità di Taiwan. Una di queste è la Risoluzione 25.1 adottata alla 25ᵃ Assemblea Mondiale della Sanità nel maggio 1972, in cui si affermava chiaramente che “le Nazioni Unite considerano Taiwan una provincia della Cina senza status separato, e si ritiene che le ‘autorità’ di Taipei non godano di alcuna forma di status di governo”. Alle Nazioni Unite l’isola è infatti indicata come “Taiwan, Provincia della Cina”.10
È abbastanza paradossale, ma costituzionalmente da entrambe le parti dello stretto si considerava e si considera Taiwan e RPC come parte di una stessa nazione. Infatti, se la Costituzione della RPC recita che «Taiwan è parte del territorio sacrosanto della RPC. Completare la grande opera dell’unione della patria è un obbligo sacrosanto dell’intero popolo cinese, compresi i compatrioti di Taiwan»11, anche la Costituzione dell’isola “ribelle” Taiwan recita che «Il territorio della Repubblica di Cina, definito dai suoi confini nazionali esistenti, non deve essere modificato a meno che non venga avviato su proposta di un quarto dei membri totali dello Yuan Legislativo […] e sancita dagli elettori con un referendum […]»12 Questa Costituzione risale al 1947, anche se è poi stata emendata nel 2005.
Per parte sua la RPC ha promulgato una legge anti-secessione composta da dieci articoli, con l’obiettivo di sottolineare la sua sovranità su Taiwan che renderebbe automatica una risposta in caso di dichiarazione di indipendenza da parte dell’isola. Tale legge prevede al suo secondo articolo che «C’è solo una Cina al mondo. Sia il continente che Taiwan appartengono a un’unica Cina. La sovranità e l’integrità territoriale della Cina non tollerano divisioni. Salvaguardare la sovranità e l’integrità territoriale della Cina è un obbligo comune a tutto il popolo cinese, compresi i connazionali di Taiwan. Taiwan fa parte della Cina. Lo Stato non permetterà mai alle forze secessioniste “dell’indipendenza di Taiwan” di far separare Taiwan dalla Cina sotto qualsiasi nome e con qualsiasi mezzo». La medesima legge ribadisce all’articolo 5 che «Sostenere il principio di un’unica Cina è la base della riunificazione pacifica del Paese. Riunificare il Paese attraverso mezzi pacifici serve al meglio gli interessi fondamentali dei compatrioti su entrambi i lati dello stretto di Taiwan. Lo Stato farà tutto il possibile con la massima sincerità per raggiungere una riunificazione pacifica. Dopo che il Paese sarà riunificato pacificamente, Taiwan potrebbe praticare diversi sistemi diversi da quelli del continente e godere di un alto grado di autonomia». Infine l’articolo 8, che anticipava già in larga misura le ultime dichiarazioni rilasciate dal rieletto Presidente Xi Jinping: «Nel caso in cui le forze secessioniste “dell’indipendenza di Taiwan” dovessero agire sotto qualsiasi nome o con qualsiasi mezzo per causare la secessione di Taiwan dalla Cina, o che le possibilità di una riunificazione pacifica fossero completamente esaurite, lo Stato impiegherà mezzi non pacifici e altre misure necessarie per proteggere la sovranità e l’integrità territoriale della Cina».13
Tale premessa serve a leggere nella loro coerenza la posizioni espresse più recentemente in due occasioni ufficiali per la RPC, ovvero il “Libro bianco sulla questione Taiwan e riunificazione nella nuova era” pubblicato nell’agosto di quest’anno e le dichiarazioni del Presidente Xi in occasione del XX Congresso del PCC.
Molto chiaramente, questa pubblicazione afferma che «La realizzazione della completa riunificazione nazionale è guidata dalla storia e dalla cultura della nazione cinese e determinata dallo slancio e dalle circostanze del ringiovanimento della nostra nazione. Mai prima d’ora siamo stati così vicini, fiduciosi e capaci di raggiungere l’obiettivo di ringiovanimento nazionale. Lo stesso vale per quanto riguarda il nostro obiettivo di una completa riunificazione nazionale. […] Per realizzare la riunificazione pacifica, dobbiamo riconoscere che la terraferma e Taiwan hanno i loro sistemi sociali e ideologie distinti. Il principio ‘un Paese, due sistemi’ è la soluzione più inclusiva a questo problema. È un approccio che si basa sui principi della democrazia, dimostra buona volontà, cerca una soluzione pacifica per la questione di Taiwan e offre vantaggi reciproci. Le differenze nel sistema sociale non sono né un ostacolo alla riunificazione né una giustificazione per il secessionismo».14
Il metodo proposto dalla RPC per la completa riunificazione si mostra quindi particolarmente attento alle peculiarità storiche, sociali e culturali che ha sviluppato l’isola negli ultimi settant’anni, che non ha ancora vissuto la rivoluzione socialista. Mette anzitutto in primo piano la riunificazione nazionale, al di là del sistema politico proposto, secondo una formula già collaudata in occasione del recupero di territori ex-coloniali quali Macao e Hong Kong.
Per Xi Jinping e la nuova dirigenza del PCC la questione Taiwan torna ad essere una priorità; come annunciato all’ultimo Congresso, «Risolvere la questione di Taiwan è affare del popolo cinese, e spetta al popolo cinese decidere. Insistiamo a lottare per la prospettiva di una riunificazione pacifica con la massima sincerità e il massimo impegno, ma non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza e ci riserviamo la possibilità di prendere tutte le misure necessarie. Il corso storico della riunificazione nazionale e del ringiovanimento nazionale stanno andando avanti e la completa riunificazione della madrepatria deve essere raggiunta, e deve essere raggiunta!».15
Sicuramente la capacità persuasiva e i metodi pacifici sono auspicabili non solo per la Cina, ma per l’intera comunità internazionale, visto che anche Taiwan è un prezioso partner economico ad occidente e ad oriente. Tuttavia questo piccolo residuo della guerra civile cinese – combattuta e vinta dal PCC ormai oltre sette decenni orsono – andrà risolta compatibilmente al metodo già collaudato del principio “un Paese, due sistemi”, che potrà tenere conto delle differenze storiche maturate nel corso della storia. In sostanza quest’ultima dimostra inequivocabilmente che quella di Taiwan è una questione interna cinese, che con non può e non deve essere strumentalizzata in occidente come pretesto di disturbo geopolitico.
NOTE AL TESTO
1 Il generale Albert Coady Wedemeyer (1896 – 1989) era un comandante dell’esercito degli Stati Uniti che prestò servizio in Asia durante la Seconda guerra mondiale dall’ottobre 1943 alla fine della guerra. Wedemeyer era un convinto anticomunista e mentre era in Cina negli anni dal 1944 al 1945 fu capo di stato maggiore di Chiang Kai-shek e comandò tutte le forze americane in Cina, sostenendo la fazione di Chiang contro Mao.
2 L’armata del Kwantung fu un grande gruppo d’armate dell’Esercito imperiale giapponese creato all’inizio del XX secolo come forza a protezione della Ferrovia della Manciuria meridionale e delle relative aree in concessione. Il 9 agosto 1945 l’Armata Rossa, che aveva raggruppato un formidabile schieramento di truppe e mezzi corazzati sul confine del Manciukuò, passò all’attacco con 80 divisioni e quattro corpi meccanizzati sbaragliando in breve tempo l’armata del Kwantung che si arrese il 19 agosto 1945.
3 Rodion Jakovlevič Malinovskij (1898–1967) è stato un generale sovietico, maresciallo dell’Unione Sovietica e Ministro della difesa dell’URSS. Dopo aver partecipato con valore come sottufficiale dell’Esercito imperiale russo alla Prima guerra mondiale, prese parte alle Rivoluzione bolscevica e alla Guerra civile russa, arruolandosi dell’Armata Rossa; partecipò alla Guerra civile spagnola e nella Seconda guerra mondiale si dimostrò uno dei più abili generali sovietici, specialista soprattutto delle truppe corazzate, raggiungendo il grado di maresciallo e contribuendo alla vittoria sulla Germania nazista con l’avanzata delle sue forze fino a Bucarest, Budapest e Praga. Malinovskij prese parte anche alla rapida e brillante vittoria sul Giappone in Manciuria nell’agosto 1945. Successivamente, continuò la carriera militare divenendo il principale consigliere militare e il Ministro della difesa durante il periodo di potere di Nikita Sergeevič Chruščëv, divenendo un simbolo della potenza militare sovietica e mostrando sempre posizioni di rigida contrapposizione verso gli Stati Uniti; il maresciallo svolse un ruolo importante anche durante la Crisi dei missili di Cuba.
4 La campagna di Huaihai, anche conosciuta come Battaglia di Hsupeng, fu uno dei conflitti militari dell’ultima fase della guerra civile cinese tra il PCC e il KMT. La campagna iniziò quando l’Esercito popolare di liberazione lanciò un’importante offensiva contro il quartier generale del Kuomintang a Xuzhou il 6 novembre 1948 e terminò il 10 gennaio 1949 quando l’EPL raggiunse vittoriosamente il nord dello Yangtze.
5 Vedi Harry S.Truman, Memoirs, Vol. Two: Years of Trial and Hope, 1946–1953, Doubleday & Company, 1956, pag. 66.
6 L’operazione Beleaguer è stata un’operazione militare degli Stati Uniti guidata dal Generale Keller E. Rockey, che comandò 50.000 uomini del III Corpo Anfibio della Marina che si schierò nelle province di Hopeh e Shandong, della Cina nord-orientale tra il 1945 e il 1949. Gli obiettivi principali dell’operazione erano il rimpatrio di oltre 600.000 giapponesi e coreani rimasti in Cina dopo la fine della Seconda guerra mondiale, così come la protezione delle vite e delle proprietà americane nel paese. Per quasi quattro anni, le forze americane ebbero diversi scontri armati con i comunisti cinesi.
7 Il passo Shanhai, conosciuto anche come Shanhaiguan o passo Yu nella Provincia di Hebei, è uno dei principali passi che compongono la grande muraglia cinese. Sopra i suoi archi di ingresso, vi sono incise le parole “il Primo Passo sotto il Paradiso”.
8 Vedi Yearbook of the United Nations, 1971, pp. 127-128 e 136.
9 Vedi https://italian.cri.cn/2022/08/03/ARTId91JKKrKx0iZlVsbV36H220803.shtml
10 Vedi United Nations Juridical Yearbook 2010, p. 516. Consultabile online all’indirizzo: https://legal.un.org/unjuridicalyearbook/volumes/2010/
11 Vedi https://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/043/043_cost.htm
12 Vedi https://www.constituteproject.org/constitution/Taiwan_2005.pdf?lang=en
13 Vedi http://gr.china-embassy.gov.cn/eng/xwdt/200503/t20050314_3159164.htm
14 Vedi http://milano.china-consulate.gov.cn/ita/zxhd/202208/t20220815_10743585.htm#:~:text=%22Siamo%20una%20sola%20Cina%20e,%22%2C%20afferma%20il%20Libro%20bianco.
15 Vedi https://www.reuters.com/world/china/xi-china-will-never-renounce-right-use-force-over-taiwan-2022-10-16/
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