di Andrea Cantelmo
Il progetto Open Balkan, varato il 29 luglio 2021 da Serbia, Macedonia del Nord e Albania non sta raggiungendo gli obiettivi prefissati e sta attirando su di sé alcune aspre critiche, in particolare dai potenziali membri (Montenegro, Kosovo e Bosnia). Lo scopo principale dell’iniziativa, fondata durante la pandemia, era intrecciare maggiormente i Paesi a livello economico e culturale, anche al fine di velocizzarne il processo di adesione all’Unione Europea.
A tal proposito, la Serbia però ha visto una brusca frenata per l’ingresso nell’Ue, a causa delle posizioni del presidente Aleksandr Vucic considerate dai vertici europei troppo vicine a Putin; Bruxelles ha in pratica legato l’eventuale accesso del Paese ad un allineamento al solco tracciato dalla Commissione europea in merito alle sanzioni nei confronti della Russia. In più, le tensioni sulla questione delle targhe con il Kosovo hanno ulteriormente raffreddato i rapporti tra Bruxelles e Belgrado.
Oltre a non aver fornito una piattaforma per migliorare e rendere più rapido il percorso per l’integrazione nell’Ue, Open Balkan ha subito delle pesanti critiche anche riguardo il suo funzionamento proprio da esponenti dei Governi degli Stati candidati ad entrare a far parte del progetto. L’ultima, in ordine di tempo, è arrivata dalla ministra dimissionaria agli Affari europei del Montenegro, Jovana Marovic, che ha accusato l’iniziativa di “mancanze strutturali sotto il punto di vista strategico e istituzionale, poiché non chiarisce come arrivare agli obiettivi prefissati e non garantisce posizioni di equità agli Stati partecipanti”. In più, nell’analisi di Marovic viene sostenuto che Open Balkan possa far allontanare Podgorica da Bruxelles, in considerazione anche della risoluzione del Parlamento europeo che ha espresso forti riserve sull’iniziativa regionale. Inoltre, secondo l’ormai ex Ministra agli Affari Europei, il progetto potrebbe rappresentare lo strumento con cui Vucic intende accrescere il suo ruolo nei Balcani, conquistando una posizione sempre più centrale.
Anche gli altri due Paesi candidati, Kosovo e Bosnia Erzegovina, non sembrano attratti dall’iniziativa e a più riprese – attraverso diversi esponenti politici – hanno specificato che intendono dare priorità al processo per diventare membri dell’Unione europea, area politica che secondo i loro leader potrebbe apportare grandi benefici alle rispettive economie.
Gli iniziali accenni di interesse alla creazione di un’area economica comune tra questi sei Paesi nasce nei primi anni ’90 del secolo scorso, ma solo nel 2018 vi sarebbero state le prime concrete intenzioni di dar vita ad un progetto del genere. Nel 2019 con due riunioni a Ocrida (Macedonia del Nord) e Durazzo (Albania) sono state poste le basi dell’accordo che verrà firmato il 29 luglio 2021 da Aleksandr Vucic, Edi Rama e Zoran Zaev a Skopje. Sin da subito però Kosovo, Montenegro e Bosnia avevano mostrato titubanze sull’effettiva utilità di Open Balkan, poiché consideravano il progetto una sovrastruttura poco utile allo scopo di raggiungere gli obiettivi imposti dall’Ue. Dunque, a poco più di un anno di attività effettiva, Open Balkan è rimasto privo della metà dei potenziali candidati e non sembra avere un piano chiaro su come avvicinare i Paesi all’ingresso nell’Unione europea, come paventato dall’analisi di Jovana Marovic.
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