di Veronica Vuotto
“Chiunque abbia il controllo sulla rotta artica controllerà il nuovo passaggio dell’economia mondiale e delle strategie internazionali”.
(Li Zhenfu, Dalian Maritime University)
Manca ormai poco al XX Congresso del Partito Comunista Cinese il quale sancirà il futuro politico dell’attuale leader Xi Jinping. Una data importante, quella del 16 ottobre, che sarà anticipata da altrettanti eventi importanti per la Repubblica Popolare Cinese, uno tra i quali il viaggio in Kazakistan, primo di una serie di viaggi che porteranno Xi fuori dai confini del proprio Paese per la prima volta dopo i due anni di chiusura causa Covid-19. La decisione di effettuare il primo viaggio all’estero proprio in questa regione, il Kazakhstan, ha un forte valore simbolico, nonché strategico, dal momento che, ricordiamo, questo grande Paese asiatico è stato importante per un altro evento fondamentale nella leadership di Xi Jinping: è proprio lì, infatti, che nel 2013 l’allora neo-eletto leader del PCC tenne un discorso importante durante il quale introdusse il suo ambizioso progetto della nuova via della seta.
Da quell’ormai lontano 2013, il progetto della Belt and Road Initiative (inizialmente noto come One Belt, One Road, “una cintura, una via”) ha preso sempre più forma e, in una decade, ha espanso i propri orizzonti e programmi con il fine di dar vita nuovamente all’antica via della seta; ma, mentre quest’ultima aveva anticamente l’obiettivo principale di connettere l’Est e l’Ovest così che le diverse civiltà sviluppatesi lungo questo asse commerciale potessero comunicare e prosperare con gli scambi reciproci, l’obiettivo della nuova via della seta è quello di dotare la Cina di un supporto che le permetta di aprirsi al mondo esterno. Per poter fare ciò, la Cina ha puntato a facilitare la connettività e l’efficienza delle rotte commerciali, diminuendone i costi trasporto di merci, nonché garantendo la sicurezza della grande importazione cinese e dei flussi di esportazione. Nel 2013, il Presidente introdusse questo progetto spiegando il doppio volto della Belt and Road Initiative, secondo la quale, con “Belt” si voleva intendere la Silk Road Economic Belt, vale a dire la “zona economica della via della seta”, riferita alle tratte terrestri, mentre per “Road”, il riferimento era alle rotte marittime, dunque alla 21st Century Maritime Silk Road, la “rotta marittima del 21esimo secolo”.
In relazione a quest’ultima, un’evoluzione della BRI ha portato in auge ulteriori interessi cinesi, primo fra tutti, quelli relativi alla regione del Circolo Polare Artico. L’interesse nei confronti di questa parte del mondo è stata menzionata per la prima volta nel 2017, quando la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma della Repubblica Popolare Cinese1 e la State Oceanic Administration2 (SOA) resero nota la Vision for Maritime Cooperation under the Belt and Road Initiative. Il 20 giugno 2017, infatti, Pechino pubblica questo documento relativo al suo programma per la cooperazione marittima, il quale prevede i cosiddetti tre “passaggi economici blu“: il primo è il Passaggio Economico Blu Cina-Oceano Indiano-Africa-Mar Mediterraneo, il quale collega il Corridoio Economico Cina-Penisola Indocinese al Corridoio Economico Bangladesh-Cina-India-Myanmar, estendendosi verso ovest dal Mar Cinese Meridionale all’Oceano Indiano; il secondo passaggio economico blu è quello di Cina-Oceania-Pacifico che, dal Mar Cinese Meridionale, si dirige a sud nell’Oceano Pacifico; il terzo, quello che più propriamente afferisce alla questione al centro della nostra analisi, è il passaggio economico blu che porta all’Europa attraverso l’Oceano Artico.
Seppur non esplicate in maniera estensiva le modalità di applicazione, la scelta di creare una rotta artica mostra l’interesse sempre più forte la volontà di Pechino di diventare un attore attivo nella competizione per il Polo.
La Cina ha chiarito la sua disponibilità a eseguire valutazioni scientifiche delle rotte di navigazione, stabilire stazioni di monitoraggio a terra, condurre ricerche sui cambiamenti climatici e ambientali nell’Artico, nonché fornire servizi di previsione della navigazione al fine di migliorare le condizioni del traffico marittimo. Inoltre, le imprese cinesi sono state incoraggiate “a partecipare all’utilizzo economico della rotta artica e ad assistere in modo responsabile lo sviluppo sostenibile delle risorse artiche”.
Al fine di garantire una partecipazione allo sfruttamento delle risorse naturali e il controllo della probabile rotta che attraversa l’Artico (via più rapida e conveniente per il commercio e l’interconnessione tra l’Asia e il Vecchio Continente), nel 2013 il governo cinese è stato ammesso come osservatore del Consiglio Artico3. Ottenendo lo status di osservatore, la Cina ha avuto accesso alle acque e allo spazio aereo del Polo Nord nonché l’opportunità di essere coinvolta nella governance internazionale relativa alla regione.
In realtà, il Dragone ha iniziato ad avere un ruolo nella zona artica già da molto prima di questa data. Andando indietro nel tempo, ad esempio, possiamo menzionare il Trattato delle Svalbard (o delle Spitzberg) il quale riconosce lo Spitsbergen come territorio appartenente alla Norvegia e che, siglato nel 1920 a Parigi nel contesto delle negoziazioni di Versaille a seguito della Prima guerra mondiale, garantiva, ai Paesi firmatari (tra cui la Cina a partire dal 1925), la possibilità di effettuare esplorazioni nella regione nonché il coinvolgimento negli affari artici.
Successivamente, gli anni ‘30 dello scorso secolo hanno visto la Cina doversi battere prima con i giapponesi e poi all’interno nella guerra civile che ha portato alla nascita dell’attuale RPC. Questo ha fatto sì che in quegli anni, gli interessi artici venissero posti in secondo piano, dando precedenza ai problemi interni. La questione artica è tornata in auge negli anni ‘60, quando i rapporti tra la Cina di Mao e l’Urss di Chruščëv portarono a una crisi fra i due e la conseguente rottura delle relazioni diplomatiche.
In questo contesto, infatti, l’Unione Sovietica minacciava la Cina di un possibile attacco nucleare la cui traiettoria (sia dall’Urss che dagli Stati Uniti) avrebbe inevitabilmente attraversato l’Artico, passando sopra l’arcipelago di Spitsbergen. Di conseguenza, la zona artica diventava così parte fondamentale, seppur complicata, della sicurezza nucleare cinese. Negli anni ‘70, il focus cinese ha virato principalmente sulle capacità militari sovietiche e statunitensi nella regione, definendo la loro influenza come una minaccia alla sicurezza per la Cina.
La scoperta sempre più costante delle ricchezze artiche si registra nel corso del decennio ‘80-’90. In Cina, questi sono gli anni della politica di apertura al mondo esterno di Deng Xiaoping, per cui si cerca di legittimare un proprio ruolo anche nelle questioni relative al Polo Nord4.
Negli anni ‘90, infatti, possiamo ricordare le esplorazioni scientifiche cinesi, grazie alla Xuě Lóng (雪 龙, Snow Dragon), una nave da ricerca cinese rompighiaccio, nota per essere stata la prima ad esplorare la Northern Sea Route, partendo da Qingdao, nello Shandong, fino a raggiungere il Mare di Barents, parte del Mar Glaciale Artico, per poi ritornare al punto di partenza. Ne sono successivamente seguite altre, fino a far registrare, a fine 2017, ben otto spedizioni esplorative cinesi nell’Artico.
Un esempio è la spedizione del 2017 che ha visto la nave cinese attraversare tutte e tre le rotte polari, per un viaggio di 20.000 miglia che ha richiesto 83 giorni, sette giorni più velocemente del solito percorso da New York a Shanghai attraverso il Canale di Panama. Nel 2016 è, inoltre, iniziata la costruzione della Xuě Lóng 2, diventata operativa a partire dal 2019.
Tutto ciò ha posto le basi per quella che oggi conosciamo come la Polar Silk Road, menzionata per la prima volta nel white paper , dal titolo “China’s Arctic Policy” emesso il 26 gennaio 2018.
Con la pubblicazione di questo documento, oltre a qualificare la Cina come uno degli Stati più vicini alla regione artica (“Near-Arctic State“) per via della sua posizione geografica ribadisce nuovamente l’importanza che la BRI potrebbe rivestire per i Paesi che vi partecipano soprattutto per quanto riguarda la costruzione di un passaggio per “facilitare la connettività e la sostenibilità sviluppo economico e sociale dell’Artico”.
Il white paper delinea, inoltre, in linea di principio l’obiettivo e la strategia cinese per la partecipazione alla scoperta e allo sfruttamento di risorse non viventi presenti in queste aree inesplorate come minerali, petrolio, gas e carbone sfruttando al contempo queste risorse in modo etico e legale.
Pechino ha inoltre affermato che per partecipare alla governance artica sviluppando questa rotta della Belt and Road Initiative, sarebbe necessario comprendere la regione artica, sviluppare le industrie della pesca e del turismo insieme ad altre risorse biologiche, proteggere l’ecosistema e affrontare congiuntamente i cambiamenti climatici. Dunque una partecipazione attiva alla governance artica e alla cooperazione internazionale; la Cina, infine, si presenta come promotore della pace e della stabilità in tutta la regione artica.
Sebbene la Cina non appartenga strettamente alla geografia dell’estremo Nord, è riuscita a rafforzare la propria strategia al fine di avanzare oltre e tener testa ad altri Stati (come ad esempio la Russia), i quali intendono gestire gli affari nordici in prima linea.
In tal contesto, è fondamentale ricordare la geografia della zona artica: l’Artico infatti copre un’area di circa 21 milioni di chilometri quadrati di terra e mare. Secondo il diritto internazionale, la zona comprende le masse di terra più settentrionali dell’Europa, dell’Asia e del Nord America, nonché le isole e i mari pertinenti. Sono inclusi l’alto mare, l’area dell’Oceano Artico e le aree marittime sotto l’autorità nazionale. Importante è notare come, al momento, non esista un unico trattato completo che tratti ogni singolo aspetto relativo alle questioni artiche.
L’importanza che la Cina può avere in questa vasta area è stata ribadita, già prima dell’elaborazione della strategia cinese con il white paper del 2018, dall’allora Presidente dell’Islanda, nonché Presidente del Circolo Polare Artico, Ólafur Ragnar Grímsson, il quale, nel 2013, all’epoca aveva dichiarato che la Repubblica Popolare Cinese, così come ogni nazione al di fuori della regione polare, dovrebbe essere coinvolta nelle dinamiche artiche. Secondo la sua opinione, “è uno scenario sbagliato pensare che questo riguarderà solo le persone che vivono nell’Artico. Sarà una preoccupazione per ogni nazione”. Vediamo dunque come Grimsson avesse già in pratica invitato il Dragone ad dar voce e spazio ai suoi interessi artici5 partecipandone attivamente alla progettazione di politiche specifiche.
Allo stesso modo, anche il contrammiraglio cinese Yin Zhuo, in una dichiarazione del 2010, aveva sostenuto che il Polo Nord fosse proprietà di tutta l’umanità, nessuno Stato avesse la sovranità su di esso e la Cina dovesse essere un agente inevitabile nella sua esplorazione.
I motivi che hanno spinto la Cina ad interessarsi al Polo Nord abbiamo visto essere vari. Tuttavia, uno dei principali fattori è senz’altro quello legato alla difficile situazione che da decenni e per decenni dovremo affrontare: il cambiamento climatico. Il riscaldamento globale, che con il conseguente e costante innalzamento delle temperature, sta causando, inevitabilmente, lo scioglimento dei ghiacciai, e in generale la riduzione del livello del ghiaccio marino e della neve, porta con sé, da un lato, modifiche irreversibili al paesaggio, così come alla vita di chi ci abita, dall’altro, tuttavia, fa sì che si crei un nuovo passaggio marittimo tra Asia orientale ed Europa, la cosiddetta rotta del Mare del Nord, la quale certamente beneficia il Dragone in più modi, tenendo in considerazione che tale rotta permetterebbe di ridurre di molto le tempistiche dell’attuale percorso attraverso il Canale di Suez.
Da un problema grave quale l’inquinamento globale ne deriva un vantaggio derivante e uno scenario del tutto nuovo nella zona artica, la quale diventa sempre più preziosa in termini di ricerca scientifica, protezione dell’ambiente e di risorse energetiche.
Di fondamentale importanza strategica, motivo anche di contesa, competizione e cooperazione fra gli Stati, è la scoperta di quel che è stato definito il “forziere dell’Artico”: nel 2008, nel pieno della crisi economica e l’impennata dei prezzi del petrolio, l’Istituto Geologico degli Stati Uniti annuncia la presenza, nel Circolo Polare, di almeno il 30% di riserve non ancora scoperte di gas naturale, nonché il 13% delle fonti di petrolio inesplorate, 20% del gas naturale liquefatto nel mondo, insieme ad altri minerali importanti come l’uranio, il carbone, e anche le terre rare6.
Questo fa capire come la Cina non sia il solo attore coinvolto o comunque interessato alla zona e, soprattutto, nel contesto della crisi climatica, ne conviene che tutti gli Stati, a livello internazionale, debbano e necessitino di interessarsi ad una situazione già critica, al fine di regolare ciò che in essa avviene per trarne beneficio per gli interessi nazionali.
Per quanto riguarda le cooperazioni, è fondamentale per la Cina collaborare con altri Stati che sono più vicini alla zona di interesse. Motivo per cui, la cooperazione Cina-Russia, nel contesto dell’Artico e, in particolar modo, dell’esplorazione dei giacimenti energetici e lo sviluppo di infrastrutture per la fornitura di gas, è fondamentale in tal senso.
La Russia giustifica i suoi interessi per l’area sia per una questione di vicinanza geografica che per il suo coinvolgimento diretto; non a caso, la presenza russa nell’Artico, sia in termini militari che commerciali, è massiccia. Così come massiccia è stata la cooperazione Russia-Cina nei progetti Yamal LNG (liquified natural gas). Si tratta un impianto di gas naturale liquefatto situato a Sabetta, nella Penisola Jamal in Russia che ha iniziato ad operare nel 2017, nonché il più imponente a livello globale: un progetto del valore di 27 miliardi di dollari, che comprende il giacimento di gas di South Tambay (Tambay Skoe), un impianto GNL da 17,4 milioni di tonnellate all’anno, con quattro treni di processo e le strutture di spedizione presso il porto della Sabetta appositamente costruito.
Una seconda cooperazione che ha segnato passo importante nella relazione Russia-Cina è segnata dall’inaugurazione, nel dicembre 2019, del gasdotto Power of Siberia, il mastodontico condotto principale di gas naturale di tutto l’oriente russo. Si tratta di un’infrastruttura di ben 3000 chilometri che si estende nei ghiacci siberiani, partendo dai giacimenti di Yakutia russa per giungere alla provincia cinese di Heilongjiang. Questo accordo trentennale è stato firmato già nel 2014, poco prima dell’inizio della crisi ucraina e dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa. Di conseguenza, se da un lato la Russia cercava un appoggio dal partner orientale in vista di un allontanamento dall’Occidente e dunque cercava “clienti” alternativi, il Dragone cercava modi per diversificare il proprio approvvigionamento energetico, sia per non dipendere da Paesi come gli Stati Uniti, il Qatar e l’Australia, sia in vista della necessità di abbandonare, secondo i termini stabiliti, entro il 2040, la sua dipendenza dal carbone. Inoltre, la possibilità di ottenere ingenti risorse energetiche avrebbe favorito l’ascesa del Dragone.
Dal punto di vista della Russia, la Polar Silk Road è maggiormente focalizzata sul passaggio del Mare del Nord, il cui sfruttamento favorirebbe tutti gli interessi per la sicurezza nazionale russa, sia a livello economico, che geopolitica, così come per la difesa e l’ambiente. Per tale ragione, la Russia porta avanti progetti finalizzati alla costruzione o al miglioramento di porti, aeroporti e ferrovie, anche accettando prestiti cinesi e indiani. Inoltre, ha incoraggiato imprese e privati a stabilirsi lì, come a Murmansk, dopo aver designato l’Artico russo come zona di libero scambio nel 2020. Questo perché sarebbe di fondamentale importanza riuscire ad attrarre investimenti nazionali ma soprattutto esteri (la Cina in primis) per migliorare la capacità di navigazione russa.
La vicinanza tra i due partner strategici sembra consolidarsi sempre più in vista di un nuovo sviluppo di tale progetto: la Power of Siberia 2, la quale vede un ulteriore avvicinamento della Russia alla Cina. Si tratterebbe di un aggiornamento del precedente gasdotto, la cui realizzazione non dovrebbe però avvenire prima del 2030, e che garantirebbe il raddoppio delle esportazioni di gas naturale, dalla Russia alla Cina, passando stavolta per la Mongolia.
Sebbene si parli sempre più spesso dell’alleanza tra Russia e Cina, inevitabilmente anche a causa dell’attuale scenario geopolitico e i recenti sviluppi nelle terre di Ucraina, non è solo con la Russia che il Dragone proietta la sua strategia artica.
La Cina infatti mira a concludere investimenti anche in Alaska, Canada e Norvegia, oltre che nei porti minerari e del Nord Europa.
Anche i membri del Consiglio artico dell’Europa settentrionale, quali Islanda, Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia, sono tra i potenziali partner della Cina. Ad esempio, la Finlandia ha ricevuto il quinto più grande investimento di capitale circolante estero della Cina per un valore di 8,43 miliardi di dollari tra il 2000 e il 2016, mentre la Norvegia ha ricevuto 7 miliardi di dollari nello stesso periodo. Inoltre, l’Islanda e la Groenlandia sono diventate le destinazioni principali per gli investimenti di capitali esteri cinesi.
Fondamentale è, ad esempio, la partecipazione cinese per quanto riguarda i finanziamenti (ben 15 miliardi di euro) nella costruzione del tunnel sottomarino ferroviario che collegherà le rispettive capitali di Finlandia ed Estonia; un progetto che è andato a sostituire quello originale, poi successivamente bocciato, il quale prevedeva dei collegamenti infra-regionali che collegassero Rovaniemi, in Finlandia, con Kirkenes, in Norvegia.
La Cina, tuttavia, è andata anche oltre, giungendo fino in Groenlandia, regione strategicamente importante per la geopolitica artica. Il suo suolo è fondamentale per la presenza massiccia di riserve naturali, così dell’uranio e delle terre rare, la cui estrazione, già largamente finanziata dalla Cina, permetterebbe a quest’ultima un passo ulteriore in avanti verso il primato mondiale nel settore tecnologico. Inoltre, data la posizione strategica della Groenlandia, uno stretto legame con il governo di Nuuk, garantirebbe un posto importante per la Cina nel cuore dell’Oceano Atlantico.
Vediamo dunque l’importanza che l’Artico gioca per la Cina (ma non solo), soprattutto nell’attuale contesto internazionale in cui ci troviamo che vede le potenze principali battersi tra ciò che promettono di fare per tematiche come il clima, e ciò che garantirebbe loro più benefici, economici e/o sociali. La presenza del Dragone nell’Artico, attraverso i suoi finanziamenti, potrebbe cambiare oltre al tenore del dibattito politico internazionale, anche gli equilibri regionali. Non va dunque sottovalutato il progetto della Polar Silk Road, la quale, sebbene meno nota rispetto alla principale Belt and Road Initiative, è una chiara espressione delle ambizioni cinesi a livello globale.
Se storicamente, infatti, gli interessi cinesi nell’Artico erano prettamente considerazioni geo-strategiche, divenute poi di tipo commerciale, con l’ascesa al potere di Xi Jinping, vediamo come il Polo Nord sia ormai un obiettivo vero e proprio, di tipo geostrategico, che si inserisce in un contesto più ampio che vede l’espansione economica del Dragone, le sue ambizioni marittima, nonché un’evoluzione nei rapporti con potenze quali gli Stati Uniti e la Russia7.
NOTE AL TESTO
1 National Development and Reform Commission (NDRC): agenzia governativa, fondata nel 1953, sotto il Consiglio di Stato, che ha un ampio controllo amministrativo e di pianificazione sull’economia della Cina continentale. E’ definito anche il “mini-consiglio di stato”.
2 Agenzia amministrativa subordinata al Ministero della Terra e delle Risorse, responsabile della supervisione e della gestione dell’area marina nella Repubblica popolare cinese e dell’ambiente costiero; responsabile anche della tutela dei diritti marittimi nazionali e dell’organizzazione della ricerca scientifica e tecnica delle sue acque territoriali.
3 Organizzazione che riunisce i Paesi che si affacciano sulla regione polare (Canada, Russia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Usa, Svezia e Finlandia)
4 Ties Dams, Louise van Schaik, Adája Stoetman, Presence before power: why China became a near-Arctic state, Clingendael Institute (2020), p. 7-8
5 Suzanne Goldenberg, China should have a say in the future of Arctic – Iceland president, The Guardian, (2013) https://www.theguardian.com/environment/2013/apr/16/china-future-arctic-iceland.
6 7 National Geographic, Arctic, Resource Library: https://www.nationalgeographic.org/encyclopedia/arctic/.
7 Ties Dams, Louise van Schaik, Adája Stoetman, Presence before power: why China became a near-Arctic state, Clingendael Institute (2020), p. 15
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