Un’interpretazione geopolitica
L’anno 2022 è iniziato con il Kazakistan in fiamme, un grave attacco contro lo Stato perno dell’integrazione eurasiatica. Stiamo solo iniziando a capire cosa e come sia successo, perché le indagini nel Paese sono tuttora in corso e coperte dal segreto istruttorio.
Durante la riunione con i leader dell’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (CSTO), il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev lo ha descritto in modo succinto: “Le rivolte erano nascoste dietro proteste non pianificate. L’obiettivo era prendere il potere – un tentativo di colpo di Stato. Le azioni sono state coordinate da un unico centro. E militari stranieri sono stati coinvolti nelle rivolte”.
Il presidente russo Vladimir Putin è andato oltre: durante le rivolte, “sono state utilizzate le tecnologie Maidan”, un riferimento alla piazza ucraina dove le proteste del 2013 hanno spodestato un governo ostile alla NATO.
Aleksandr Volfovič, segretario di Stato del Consiglio di sicurezza bielorusso, ha affermato che il Kazakhstan ha subito un’aggressione ibrida proveniente dall’esterno, con l’obiettivo di destabilizzare o addirittura rovesciare il governo del presidente Qasym-Jomart Toqaev.
Anche il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha commentato, affermando che le proteste erano una messa in scena organizzata da forze esterne attraverso l’interferenza dei servizi segreti stranieri, e che avrebbero potuto provocare “centinaia o migliaia di morti e un Paese saccheggiato per anni a venire”.
Difendendo il pronto intervento delle forze di pace della CSTO in Kazakistan, Putin ha affermato che “era necessario reagire senza indugio”, che il CSTO sarebbe rimasto sul campo “per tutto il tempo necessario”, ma che “ovviamente, l’intero contingente sarebbe stato ritirato dal Paese una volta terminata la missione” (le forze armate dell’Organizzazione per il Trattato della Sicurezza Collettiva sono in effetti uscite poco dopo dal Kazakhstan).
Quanto è successo non è rimasto senza conseguenze: “I Paesi CSTO hanno dimostrato che non permetteranno che il caos e le ‘rivoluzioni colorate’ siano attuate all’interno dei loro confini”.
Putin si è trovato in sintonia con il Segretario di Stato kazako Erlan Karin, che è stato il primo a sottolineare la gravità di quanto accaduto: quello che è successo è stato un “attacco terroristico ibrido”, da parte di forze sia interne che esterne, volto a rovesciare il governo.
Va ricordato che nel dicembre 2021, un altro colpo di Stato non è andato a segno nella capitale del Kirghizistan, Bishkek. Fonti di intelligence del Kirghizistan lo attribuiscono all’azione destabilizzatrice di ONG legate alla Gran Bretagna e alla Turchia.
L’attacco al Kazakhstan era già nell’aria alla fine dello scorso anno, come dimostrano le parole del Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, il quale lo scorso 30 dicembre aveva ribadito che Pechino si oppone fermamente alle forze esterne che istigano rivoluzioni colorate in Asia centrale: “Il nostro obiettivo comune è cercare la pace, lo sviluppo e la cooperazione. Ci opponiamo fermamente a qualsiasi atto unilaterale o egemonico e ci sosteniamo a vicenda nel salvaguardare i nostri interessi fondamentali di indipendenza, sovranità e integrità territoriale”.
Quando il presidente Tokayev si è riferito ad un “centro unico”, intendeva una sala operativa finora segreta di informazioni militari USA-Turchia-Israele con sede nel centro commerciale meridionale di Almaty, secondo una fonte d’intelligence dell’Asia centrale altamente classificata.
In questo “centro” c’erano 22 nordamericani, 16 turchi e 6 israeliani che coordinavano bande di sabotaggio – addestrate in Asia occidentale da Ankara– e poi allineate ad Almaty, approfittando della disorganizzazione delle comunità religiose ufficiali e sincronizzandosi con esponenti della criminalità organizzata del Kazakhstan.
L’operazione è iniziata a districarsi definitivamente quando le forze kazake, con l’aiuto delle informazioni russe/CSTO, hanno ripreso il controllo dell’aeroporto vandalizzato di Almaty, che avrebbe dovuto essere trasformato in un hub per ricevere rifornimenti militari stranieri.
La chiave della rapidità dell’intervento del CSTO è dovuta al segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo, Nikolai Patrushev, che ha intravisto il quadro generale in anticipo. Ciò spiega perchè le forze aerospaziali e aerotrasportate della Russia, oltre alla massiccia infrastruttura di supporto necessaria, fossero praticamente pronte a partire.
Il politologo tagiko Parviz Mullojanov è stato tra i pochissimi a sottolineare che c’erano ben 8.000 militanti salafiti-jihadisti, spediti dalla Siria e dall’Iraq, che vagavano nelle terre selvagge dell’Afghanistan settentrionale1.
Questa è la maggior parte dell’ISIS-Khorasan – o ISIS ricostituito vicino ai confini del Turkmenistan. Alcuni di loro sono stati debitamente trasportati in Kirghizistan; da lì, è stato molto facile attraversare il confine da Bishek e presentarsi ad Almaty.
Il crollo della disordinata operazione kazaka è ravvisabile nell’azione del Deep State USA, che aveva delineato la sua strategia in un rapporto della società RAND Corporation del 2019, Extending Russia. Il capitolo 4, sulle “misure geopolitiche”, descrive in dettaglio tutto il senso dell’operazione, dal “fornire aiuti letali all’Ucraina, promuovere il cambio di regime in Bielorussia e aumentare il sostegno ai ribelli siriani” – tutti obiettivi falliti – alla “riduzione dell’influenza russa in Asia centrale”.
L’MI6 britannico, in particolare, è profondamente radicato in tutti gli Stati dell’area tranne che nell’autarchico Turkmenistan, guidando abilmente l’offensiva pan-turca come veicolo ideale per contrastare Russia e Cina.
L’ambizione a breve termine di Erdogan sembrava inizialmente essere solo di tipo commerciale: dopo che l’Azerbaigian ha vinto la guerra del Nagorno Karabakh, prevedeva di utilizzare Baku per ottenere l’accesso all’Asia centrale attraverso il Mar Caspio, insieme alle forniture di tecnologia militare al Kazakistan e all’Uzbekistan (le società turche stanno già investendo parecchio nel settore immobiliare e nelle infrastrutture specie nella regione meridionale del Turkistan kazako, dove hanno stretto numerose partnership in ambito economico e culturale).
Il cavallo di Troia di questa “rivoluzione colorata” fallita sembra essere l’ex capo della KNB (Comitato per la sicurezza nazionale) Karim Massimov, ora detenuto in carcere e accusato di tradimento. Estremamente ambizioso, Massimov è mezzo uiguro e questo, in teoria, ha ostacolato quella che vedeva come la sua inevitabile ascesa al potere. Le sue connessioni con lo spionaggio turco non sono ancora del tutto dettagliate, a differenza della sua intima relazione con Joe Biden e il figlio.
Un ex ministro degli Affari interni e della sicurezza dello Stato, il tenente generale Felix Kulov, ha descritto la rete che spiega le possibili dinamiche interne del colpo di Stato tentato attraverso la “rivoluzione colorata”. Secondo Kulov, Massimov e Samir Abish, nipote di Nursultan Nazarbayev, presidente del Consiglio di sicurezza kazako recentemente destituito, sono stati direttamente coinvolti nella supervisione di unità segrete di jihadisti durante le rivolte. La KNB era direttamente subordinata a Nazarbayev, che fino al momento del tentato golpe era il presidente del Consiglio di sicurezza.
Quando Tokayev ha capito i meccanismi del colpo di Stato, ha fatto dimettere sia Massimov che Samat Abish; Nazarbayev si è invece dimesso “volontariamente” dalla sua presidenza del Consiglio di sicurezza per tutta la vita. Anche il capo dell’Agenzia per la pianificazione strategica e le riforme Kairat Kalimbetov è stato rimosso dall’incarico ma – stando a quanto ci è stato raccontato dagli organi inquirenti kazaki che hanno aperto un’inchiesta per Alto Tradimento ai sensi dell’art. 175 della parte 1 del codice penale – molti altri elementi degli apparati di sicurezza subiranno presto la stessa sorte perché invischiati nel tentato colpo di Stato (alcuni degli arrestati erano privi di documenti e si sospetta che appartenessero proprio alle Forze di sicurezza nazionale).
La ricostruzione degli eventi indicherebbe direttamente uno scontro Nazarbayev-Tokayev; durante i suoi 29 anni di governo, l’ex Presidente ha adottato una politica multi-vettoriale troppo rivolta ad Occidente e che non ha necessariamente giovato al Kazakhstan. Nazarbayev ha subito l’influenza legislativa britannica, ha giocato la carta pan-turca con Erdogan e ha permesso a un numero spropositato di ONG (sono almeno 16.000 quelle attive nel Paese) di promuovere un’agenda atlantista.
L’attuale Presidente Tokayev si è dimostrato un giocatore molto intelligente. Formato dal servizio estero dell’ex Unione Sovietica, parla fluentemente in russo e cinese, almeno apparentemente è sincronizzato con l’agenda eurasiatista composta da Nuova Via della Seta, Unione Economica Eurasiatica e Organizzazione perla Cooperazione di Shangai.
La destabilizzazione del Kazakhstan – un attore chiave nella regione – e la sua trasformazione in un’enorme “zona grigia”, assesterebbero un colpo mortale all’integrazione eurasiatica.
Il Kazakhstan rappresenta il 60% del PIL dell’Asia centrale, enormi risorse petrolifere, di gas e minerali, industrie tecnologiche all’avanguardia: una repubblica laica, unitaria e costituzionale che porta in dote un ricco patrimonio culturale.
Tokayev ha immediatamente chiamato in soccorso la CSTO ma lo stesso Putin ha sottolineato come un’indagine ufficiale kazaka sia l’unica autorizzata ad entrare nel merito della questione (d’altronde non si è mai chiesto alla Francia di aprire un’indagine internazionale sulle violenze dei gilet gialli), tuttavia le investigazioni si stanno svolgendo in ogni direzione.
Non è ancora chiaro esattamente chi – e in che misura – abbia sponsorizzato la folla in rivolta. I motivi abbondano: destabilizzare un governo filo-Mosca/Pechino, provocare la Russia, sabotare la Belt and Road Initiative, saccheggiare le risorse minerarie, dare il turbo a una “islamizzazione” in salsa salafita/wahabita.
Precipitata solo pochi giorni prima dell’inizio della richiesta di “garanzie di sicurezza” della Russia agli USA a Ginevra, questa crisi avrebbe rappresentato una sorta di contro-ultimatum dell’establishment della NATO al Cremlino.
Il bilancio dei tumulti e il resoconto degli incontri
Tutte le persone con le quali abbiamo parlato ci hanno confermato la stessa dinamica dei fatti: alle iniziali e spontanee manifestazioni nelle regioni occidentali del Paese per l’aumento del prezzo degli idrocarburi (con la polizia praticamente disarmata ed immobile), è seguita una seconda fase di proteste violente in 11 regioni del Paese con l’ausilio di elementi criminali (specie ad Almaty), alla quale ne è seguita una terza guidata da gruppi terroristici organizzati (alcuni dei quali avevano già operato in Afghanistan) che avrebbero dovuto rovesciare le istituzioni della Repubblica kazaka.
Dopo la reazione dello Stato kazako supportata dall’OTSC, molti dei “militanti” sono fuggiti da Almaty, alcuni nelle campagne e altri – approfittando della porosità delle frontiere – nei Paesi vicini. Uno dei capi faceva parte del commando che aveva compiuto attentati in Francia (a Toulouse), mentre altri avevano operato con cellule terroristiche in Pakistan.
Sanjar Adilov, capo del Dipartimento Investigativo del Ministero degli Affari Interni, ha fornito le seguenti informazioni: in totale, durante gli eventi di gennaio, sono state rubate 3.388 armi, di cui 1.629 pistole da 10 negozi di caccia. Sono state trovate circa 967 unità di questo volume.
Sono stati dati alle fiamme, oltre agli edifici regionali, centri commerciali, filiali bancarie, veicoli del Servizio di frontiera del Comitato di sicurezza nazionale e della polizia. L’edificio dell’aeroporto internazionale di Almaty è stato sequestrato e saccheggiato.
A seguito di attacchi, i criminali hanno distrutto 1466 edifici pubblici, 71 istituzioni statali, 1395 strutture commerciali nelle città di Almaty, Taldykorgan, Taraz, Shymkent, Aktobe e altre.
Più di 700 veicoli, inclusi 345 mezzi ufficiali del Ministero per le situazioni di emergenza, polizia e altri servizi pubblici, oltre a 116 veicoli civili sono stati distrutti e danneggiati. Il danno preliminare totale è di oltre 100 miliardi di tenge (secondo il rapporto della Camera degli imprenditori “Atameken” – 152 miliardi di tenge).
Il numero totale di partecipanti a rivolte e attacchi armati ad Almaty è stato di oltre ventimila. Nell’attacco alla centrale di polizia della città, due ufficiali delle Forze dell’Ordine sono rimasti uccisi, le telecamere messe completamente fuori uso.
Allo stesso modo, gli edifici istituzionali nelle regioni di Aktobe, Atyrau, Kyzylorda e Zhambyl sono stati sequestrati e sottoposti a distruzione con l’uso della violenza. Ad Aktobe, nel dettaglio, 25 persone hanno attaccato militarmente con armi pesanti un autobus e poi utilizzato il veicolo per compiere altri attacchi. Uno di questi ha utilizzato la stessa metodologia dell’ISIS per invitare alla Jihad in tutto il Paese.
A seguito dei tragici “eventi di gennaio” hanno subito danni fisici oltre 4.578 persone, di cui 4.353 ferite, tra essi 3.393 dipendenti delle forze dell’ordine (78%); 238 persone sono state uccise, 19 delle quali – agenti di polizia e militari.
È in corso un’indagine su questi casi. Le cause e le circostanze della morte sono in corso, il che richiederà tempo, le statistiche variano di giorno in giorno.
Attualmente i gruppi investigativi stanno conducendo 3.193 procedimenti penali, di cui 46 su atti di terrorismo, 94 su omicidi, 45 su rivolte e altri reati.
I procedimenti penali contro 86 persone sono stati completati e depositati in tribunale. Si tratta di reati ordinari (furti, rapine, detenzione e furto di armi, ecc.), che sono indagati dal Ministero dell’Interno (polizia).
Ad oggi 727 persone sono state arrestate e giudicate, molte appartengono ad organizzazioni religiose estremiste, in particolare a gruppi salafiti che hanno combattuto in Siria contro il Presidente Bashar al Assad (tra i prigionieri ritroviamo persone di etnia uigura, curda, kirghiza, uzbeka e tagika). Il loro coinvolgimento nei reati è stato verificato non solo dai pubblici ministeri, ma anche dal tribunale al momento dell’autorizzazione all’arresto.
Va notato che tutti i rapporti delle istituzioni internazionali per i diritti umani (su presunti arresti arbitrari, maltrattamenti e torture di manifestanti pacifici e altre persone), compresi quelli pubblicati dai media, sono verificati dai pubblici ministeri.
Ogni fatto sarà attentamente indagato con un’adeguata valutazione giuridica; Amanat è la commissione investigativa sugli eventi di gennaio – indipendente dal potere politico – essa si coordina con l’analoga commissione istituita sui fatti di Almaty.
Nella Repubblica, i pubblici ministeri hanno modificato le misure preventive per 158 persone dalla detenzione a un impegno scritto a non lasciare il Paese.
Ad oggi, la Procura ha ricevuto 363 denunce di cittadini su metodi di indagine illegali e violazioni dei diritti dei cittadini durante le indagini da parte degli agenti di polizia. Sulla base di 188 denunce, i pubblici ministeri hanno avviato un’indagine preliminare su fatti di tortura e abuso di potere.
I tribunali hanno ascoltato 9.300 casi amministrativi relativi agli eventi di gennaio ed è stato emesso un avviso di garanzia contro 4.628 persone.
Attualmente, su 2.087 ricorsi (proteste) di pubblici ministeri, i termini degli arresti amministrativi nei confronti di 1.153 persone sono stati ridotti, 779 multe sono state sostituite con diffide; 879 cause amministrative sono state archiviate per la fine dello stato di emergenza.
Diversi giornalisti stranieri hanno partecipato alle proteste e tra quelli fermati dalle autorità troviamo “casualmente” alcuni appartenenti ai principali organi di informazione finanziati dalla CIA: Eurasianet.org e Radio Free Liberty2.
A Shymkent i video degli incidenti scoppiati nella notte dimostrano che i manifestanti non chiedevano nulla ma si limitavano a spaccare le vetrine, le auto o ad assaltare i supermercati. La cittadinanza e le proprietà sono stati difesi non solo dalle forze di polizia ma anche dai veterani, semplici cittadini e volontari che hanno testimoniato un’importante reazione della popolazione.
Settimanalmente, la Procura generale e il Ministero degli affari interni forniscono informazioni sulle misure adottate per garantire i diritti costituzionali dei cittadini caduti nell’orbita criminale o arrestati per reati amministrativi. Anche in base alla nostra breve esperienza, possiamo confermare la piena disponibilità delle autorità kazake a collaborare con i giornalisti nella ricerca dei dati.
Sulle responsabilità dei familiari dell’ex Presidente Nazarbayev si sta ancora indagando ma i primi provvedimenti adottati vogliono far capire che gli errori commessi in passato non verranno più tollerati. I gruppi più violenti erano estremamente organizzati e hanno goduto di ampie coperture all’interno degli apparati di sicurezza interni allo “Stato profondo”; durante l’occupazione di alcuni edifici pubblici e istituzionali, per almeno due ore le truppe non hanno ricevuto istruzioni sul da farsi, evidentemente si è verificato un cortocircuito comunicativo che ha coinvolto il Ministero della Difesa kazako.
Durante la fase di transizione tra Nazarbayev e Tokayev, non solo la situazione economica si è aggravata ma questi gruppi radicali si sono rafforzati e hanno goduto di finanziamenti da parte degli apparati di sicurezza nazionale controllati da Massimov. La situazione tra i due leader del Paese si sarebbe aggravata durante un viaggio comune a San Pietroburgo lo scorso 20 dicembre, anche se nessuno sa ancora esattamente cosa sia successo.
Molte persone che vivono ai confini con la Cina sono di etnia uigura, uzbeka e dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan hanno ricevuto supporto dai militanti salafiti in uscita da quel Paese; in passato il Kazakhstan non ha mai avuto problemi con il radicalismo islamico ma ora stiamo assistendo ad un transito di gruppi jihadisti in tutta l’Asia Centrale.
Stando alle testimonianze delle autorità kazake, altri estremisti avrebbero ricevuto direttamente le armi all’interno degli uffici della sicurezza nazionale di Almaty, come dimostrato dal fatto che erano perfettamente organizzati con divise nere e fasce al braccio e che si coordinavano tramite l’utilizzo di walkie talkie.
Per alcuni analisti kazaki, il tentato golpe sarebbe partito da una lotta tra clan interni e avrebbe comportato significativi risvolti geopolitici; è risultata perciò decisiva la fermezza del Presidente Tokayev nel ribadire che sarebbe rimasto al suo posto e nel riportare sotto il proprio controllo tutti gli apparati di sicurezza nazionale.
Divenuto presidente due anni fa, Tokayev aveva iniziato a riformare il Paese e diversi atti normativi sono già stati adottati in tal senso, consentendo ad esempio alla popolazione di riunirsi e manifestare pacificamente.
Secondo Erlan Karin, il problema delle proteste iniziali risiedeva nel monopolio delle risorse da parte di un ristretto gruppo di persone e per questa ragione le prossime riforme andranno proprio nella direzione di eliminare tale concentrazione di potere economico e di fornire maggiori opportunità ai cittadini kazaki.
Con Nazarbayev il sistema dei mass media non era certamente libero ma controllato da un gruppo di oligarchi e la stessa opposizione parlamentare era più immaginaria che reale: questa è la ragione per cui nel “Nuovo Kazakhstan” di Tokayev la parola d’ordine sarà “trasparenza”.
I “tragici eventi di gennaio”, pur evidenziando una crisi profonda del precedente assetto istituzionale, sortiranno quindi l’effetto contrario: invece di bloccare il processo di cambiamento, essi determineranno un’accelerazione delle riforme a 360°, dal sistema sociale, politico ed economico fino alla trasformazione culturale del Paese.
NOTE AL TESTO
1 Pepe Escobar, After Kazakhstan, the color revolution era is over, thecradle.co, 12 gennaio 2022.
2 Eurasianet è un’organizzazione esente da tasse con sede presso l’Harriman Institute della Columbia University, uno dei principali centri in Nord America di borse di studio sull’Eurasia. E’ finanziata da Google, dalla Open Society Foundations, dal Foreign, Commonwealth & Development Office del Regno Unito, dal National Endowment for Democracy (nota emanazione dei servizi segreti USA), dal Saltzman Institute of War and Peace Studies della Columbia University e da altre istituzioni che erogano sovvenzioni. La missione di RFE/RL è promuovere i valori e le istituzioni democratiche e promuovere i diritti umani riportando le notizie nei Paesi in cui una stampa libera è vietata dal governo o non è completamente consolidata. RFE/Radio Liberty è registrato presso l’IRS come un privato senza fini di lucro ed è finanziato dal Congresso degli Stati Uniti attraverso l’Agenzia USA per i media globali (USAGM).
Stefano Vernole – responsabile relazioni esterne del CeSEM – si è recato in Kazakhstan dal 20 al 26 febbraio 2022 insieme ad altri 9 giornalisti europei per ricostruire i tragici avvenimenti di gennaio
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