di Andrea Turi
In questo articolo, l’ultimo del focus, si chiude il cerchio andando a trattare il tema relativo a come le vicende dello Xinjiang vengono trattate dai media occidentali e cercando di capire quali sono le fonti di questo racconto distorto, con particolare attenzione al lavoro di documentazione – propaganda svolto dalle organizzazioni non governative occidentali.
“Alla fine, la verità semplicemente non importerà. La narrazione popolare, controfattuale oppure no, un giorno vincerà”. Queste le parole introduttive di un articolo a firma Milton Bearden, pubblicato da National Interest1, in cui viene declinata un’analisi dell’information warfare facendo un confronto tra la guerra fredda ed i giorni nostri e che fornisce il framing ideale per la comprensione delle dinamiche che governano il flusso info-comunicativo nelle relazioni internazionali.
Il Cornerstones of Information Warfare dell’United States Air Force (USAF) fa confluire in questa tipologia di attività di guerra “qualsiasi azione volta a negare, sfruttare, corrompere o distruggere le informazioni del nemico e le sue funzioni, proteggendo noi stessi contro quelle azioni e sfruttando le nostre stesse forze armate con funzioni informative2”.
La guerra dell’informazione non è certo qualcosa di nuovo, tanto che gli studiosi militari fanno risalire l’uso delle informazioni come strumento nelle operazioni di guerra e di guerriglia al libro “Arte delle Guerra” dello stratega militare cinese del V secolo a.C. Sun Tzu e alla sua enfasi sull’importanza di dotarsi di una intelligence accurata, funzionale alla superiorità decisionale su un nemico più potente. Questi antichi strateghi hanno contribuito a gettare le basi per quella guerra dell’informazione che si è sviluppata nei tempi attuali.
Avendo luogo al di sotto del livello di un conflitto armato, la guerra dell’informazione comprende tutta la vasta gamma di operazioni militari e governative atte a proteggere e sfruttare le informazioni a proprio favore, spettro di possibilità in cui ricadono anche le campagne di disinformazione, uno dei tasselli di cui si compone l’ampio campo dell’information warfare.
Franco Iacch dalle pagine online de “Il Giornale”scrive che sarebbe opportuno rilevare come “l’Information Warfare non è un’attività limitata al tempo di guerra. La guerra informativa-psicologica (che si discosta da quella prettamente informatica utilizzata in tempo di guerra) è costantemente in corso a prescindere dallo stato di relazioni con l’avversario. È quindi una forma di guerra globale con l’obiettivo di trafugare, interdire, manipolare, distorcere o distruggere le informazioni tramite tutti i canali e i metodi disponibili. L’Information Warfare è il punto di partenza di ogni guerra ibrida in cui si fa ampio utilizzo dei mass media e delle reti informatiche globali, la maggior parte dei civili non è preparata psicologicamente ad operare in un clima di Information Warfare e fake news […]. L’essere umano crea modelli mentali e formula idee in base alla sua percezione della realtà, disinformazione e fake news possono influenzare il modo in cui gli individui interpretano gli sviluppi quotidiani. Quando da sporadiche e disordinate queste attività si trasformano in organizzate e sistematiche, diventano vere campagne di disinformazione potenzialmente in grado di sconvolgere governance di interi Paesi3”.
È quello che si sta cercando di fare (da tempo ormai) con lo Xinjiang, in particolare, e con la Repubblica Popolare Cinese, più in generale. “Le operazioni asimmetriche – spiega in modo chiaro Iacch – prevedono una serie di disparità tra le risorse e le filosofie dei combattenti, con accento posto sull’esclusione di uno scontro diretto tra la forza decentralizzata non statale e quella militare regolare”. Siamo nel campo della guerra di quinta generazione, il cui “raggiungimento dell’obiettivo politico avviene attraverso la persuasione e l’influenza delle popolazioni piuttosto che con la violenza […]. La persistenza implica il controllo degli obiettivi della società. La persistenza determinerà inoltre un indebolimento delle avversioni a lungo termine, senza necessariamente alcun obiettivo specifico a breve termine. La chiave asimmetrica abilitante influenza e predetermina i processi decisionali nemici, modellando gli obiettivi dell’avversario e creando un ambiente permissivo nell’opinione pubblica. Operando attraverso più vettori, si rivolge ai fattori decisionali con lo scopo di raggiungere uno stato psicologico specifico. La chiave asimmetrica abilitante influenza il flusso delle informazioni rivolte alle popolazioni per il dominio cognitivo di massa. L’ambiente permissivo è determinante per ottenere un sostegno pubblico ed attenuare la resistenza alle azioni pianificate dall’attaccante. Ciò accrescerà la possibilità di successo e ridurrà la probabilità di reazioni avverse dannose. La chiave asimmetrica abilitante influenza la politica di un governo minando la fiducia nei suoi leader e nelle istituzioni, interrompendo le relazioni con le altre nazioni, screditando o indebolendo gli apparati governativi. È quindi uno strumento chirurgico per diffondere distorte informazioni alla popolazione, minando le autorità e le strutture dello Stato. La chiave asimmetrica abilitante coinvolge tutte le istituzioni pubbliche nel Paese che si intende attaccare, come i mass media, le organizzazioni religiose, le istituzioni culturali, le organizzazioni non governative. Un obiettivo ovvio per la distribuzione delle false informazioni sono i media ed il legame diretto tra questi ultimi e la capacità di assorbimento della società. La chiave asimmetrica abilitante fornisce una predisposizione psicologica ad un’immagine reale distorta concepita per il dominio cognitivo di massa”.
Ci rendiamo conto di come queste si prestino anche a definire il contesto in cui oggigiorno si muove la comunicazione, quello della post verità, concetto definito da Treccanicome “argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica”; un orizzonte critico in cui la mente umana si muove ed opera sulle sensazioni per creare informazioni per proprio conto e dove i fenomeni diventano informazione attraverso l’osservazione e l’analisi di essi; nell’epoca della post verità la realtà e l’oggettività fattuale non contano niente, i fatti oggettivi sono meno influenti nella formazione e nel condizionamento dell’opinione pubblica che, oggi, si affida sempre più alle proprie emozioni e alle convinzioni personali per elaborare un pensiero su un determinato argomento. Lee McIntyre, ricercatore al Centro di filosofia e storia della scienza all’Università di Boston e docente di etica all’Harvard Extension School, uno dei massimi esperti in materia, afferma che il fatto che “le persone mentano, e che la politica usi la propaganda per perseguire i propri fini non è certo una novità. Per post-verità io però intendo qualcosa di molto diverso: un contesto in cui l’ideologia ha la meglio sulla realtà, perché quale sia la verità interessa poco o niente. Quando si mente, si cerca di convincere qualcuno che quel che si sostiene è vero. Con la post-verità, tutto questo è irrilevante.Non occorre sforzarsi di ingannare nessuno. Non si devono costruire prove false. Quel che conta è avere la forza di imporre la propria versione, indipendentemente dai fatti. Basta ripetere concetti semplici e accattivanti, anche se infondati, perché a nessuno conviene verificarli […]. La post-verità è questo: preferiamo credere alle cose che si accordano alla nostra mentalità, ai nostri valori o pregiudizi, senza preoccuparci che siano fondate o no”. La post verità, quindi, non sarebbe altro che la declinazione moderna di un fenomeno antico e conosciuto, la propaganda, strumento tramite il quale la realtà viene plasmata a piacimento per creare verità che non corrispondono ai fatti ma sono funzionali alla convalida da parte della maggioranza dell’opinione pubblica.
Un interessante paper di studio dal titolo Post-verità e fake news: radici, significati attuali, inattesi protagonisti e probabili vittime, è un’importante bussola per orientarci nel mare magnum dell’informazione contemporanea, caratterizzata sempre più da falsità più o meno volontarie. Il nucleo più interno, quello a cui spesso ci si riferisce, è costituito dai fattoidi, cioè le notizie su eventi mai accaduti, e che costituiscono nel campo dei fenomeni comunicativi ciò che le allucinazioni rappresentano tra i disturbi della mente: “sono non-eventi che diventano reali perché qualcuno li fa diventare una notizia, ma anche reali per le conseguenze e gli effetti che producono. Solo negli ultimi trent’anni, tra i grandi fattoidi che hanno caratterizzato la scena politica internazionale, si possono ricordare il falso massacro di Timisoara che nel 1989 accelerò la caduta del regime del dittatore rumeno Ceausescu; le violenze sulla popolazione del Kuwait occupato perpetrate dalle truppe di Saddam Hussein e documentate in servizi video, in gran parte falsi, commissionati a un’agenzia di pubbliche relazioni dal governo in esilio del piccolo Stato arabo, allo scopo di creare un’opinione pubblica internazionale favorevole all’intervento militare nella Prima guerra del Golfo; gli arsenali di bombe chimiche irachene – mai trovate – con cui l’amministrazione americana e il governo inglese giustificarono la Seconda guerra del Golfo; la falsa notizia – o comunque molto esagerata – diffusa dai media occidentali, di decine di migliaia di morti negli scontri in Libia prima della caduta di Gheddafi. Come emerge da questi esempi, non è per caso che, dalla Prima Guerra Mondiale ad oggi, i conflitti bellici e le situazioni di transizione politica violenta rappresentino situazioni ideali per il fiorire di questa forma di menzogna: la confusione che si genera in tali contesti, unita alla difficoltà per testimoni imparziali di accedere al teatro degli eventi, favorisce la possibilità di vantare vittorie mai ottenute, di attribuire ai nemici atrocità che colpiscano negativamente l’opinione pubblica, spesso avvalendosi della evidenza di immagini fotografiche o audiovisive abilmente contraffatte4”.
È questo il caso della narrazione occidentale su quanto succede (o si vorrebbe succedesse o si suppone succeda) nella Regione Autonoma dello Xinjiang Uiguro (XUAR), regione posta all’estremità occidentale della Repubblica Popolare Cinese che recentemente si trova ad essere al centro di una campagna di massiccia di disinformazione volta a destabilizzare sia il Governo di Pechino che i progetti relativi alla Belt and Road Initiative; “Gli Stati Uniti, in particolare, e l’Occidente, in generale, hanno elaborato una narrativa maligna nel tentativo di scatenare una guerra contro la Cina, sbandierando sconsideratamente le affermazioni di ‘genocidio’ – un atto atroce del tutto estraneo ai cinesi ma del tutto familiare agli anglosassoni con una lunga eredità di genocidio ed estinzione delle razze; per quanto le forze anti-cinesi si adoperino per perfezionare la loro narrativa fondata sulle accuse contro la Cina di un presunto ‘genocidio’ della popolazione uigura, non riescono a trovare alcuna base legale nelle leggi internazionali – poiché genocidio è un termine ben definito nelle leggi e nei trattati internazionali – tanto che i più autorevoli tribunali internazionali hanno convenuto che la prova del reato di genocidio dipende da una presentazione estremamente convincente di prove fattuali, di cui l’attuale accusa di “genocidio” contro la Cina manca gravemente5”. Ma, come dicevamo poc’anzi, nell’epoca della post-verità queste premesse sono del tutto ignorate per lasciare spazio a fuorvianti suggestioni di forgia occidentale che spesso ricorrono ad azzardati parallelismi con l’azione nazista negli anni della Seconda Guerra Mondiale, accostamenti storici del tutto infondati ma capaci di suscitare quelle forti sensazioni che consentono di portare avanti una disinformazione sistematica nei confronti della Cina che l’Occidente vorrebbe determinata in un’azione di distruzione sistematica degli Uiguri quando, piuttosto, obiettivo di Pechino nella regione autonoma è quello di portare sicurezza, stabilità, benessere e migliori condizioni di vita. Scrive Tom Fowdy, saggista e analista politico e di relazioni internazionali britannico, che “il più grande problema analitico con la valutazione degli eventi nello Xinjiang è il discorso infiammatorio occidentale-centrico che domina la discussione: l’applicazione della memoria storica pubblica nell’associare le azioni dello Stato a determinati regimi nella storia europea, che spesso hanno preso di mira i gruppi di minoranza. L’eredità di questi eventi trasformerebbe il modo in cui l’Occidente si percepiva negli affari internazionali e lo portava a nominarsi custode e sovrintendente con la convinzione di avere il “dovere” di proteggere gli altri […]. L’Occidente si concentra su alcune cose che descrive come “crisi umanitarie o dei diritti” nel mondo non occidentale, ignorandone felicemente gli altri, utilizzando le memorie storiche moralistiche come capitale politico. Sulle cose su cui si concentra, il dibattito è pesantemente carico di emozioni e talvolta può avere una portata di inganno. Gli Uiguri sono una minoranza etnica ufficialmente riconosciuta in Cina. La loro lingua si trova sulle banconote del Paese e in numerosi altri simboli e rappresentazioni pubbliche. Dargli tale riconoscimento indica che non c’è offerta per distruggere la loro identità etnica o religiosa ma per consolidare la sua concettualizzazione come parte di una più ampia “famiglia cinese”. L’Islam non viene sradicato o spostato. Mentre l’Occidente cercherà ovviamente di controbattere affermando che lo Xinjiang non dovrebbe appartenere alla Cina in primo luogo, questa è un’ulteriore mancanza di rispetto per la sovranità del Paese.6”. Quello che la realtà impregnata di post verità nasconde al grande pubblico è che “gli Stati Uniti sono stati responsabili della morte di milioni di musulmani in tutto il mondo attraverso guerre, cambi di regime, missioni di bombardamento e conflitti sponsorizzati. Lo stesso Presidente degli Stati Uniti ha decretato un “divieto musulmano” che vieta ai cittadini di numerosi Paesi anche di visitare gli Stati Uniti, compresi i rifugiati. Tuttavia, la Cina viene rivendicata come una minaccia per l’Islam. In nessun caso gli Stati Uniti sono amici dei musulmani. Sebbene l’Occidente possa nutrire preoccupazioni per lo Xinjiang, gran parte del discorso e della sua applicazione politica è stata caricata emotivamente e piena di inutili appropriazioni e confronti storici che presumono la tutela e la benevolenza dell’Occidente verso i gruppi minoritari in un modo che è selettivo e incoerente. Sempre nel quadro più ampio, i membri del Congresso americani neoconservatori stanno vendendo una narrativa fuorviante secondo la quale gli Stati Uniti conducono una giusta missione per salvare le persone dal “male” arbitrariamente deciso, mascherando intenzioni più sinistre di dividere e indebolire la Cina7”.
Un recente documento, Dinamiche e dati della popolazione dello Xinjiang8, contribuisce a smentire questa che viene ormai considerata la “menzogna del secolo”, la falsa e infamante accusa di genocidio nei confronti della popolazione uigura. Il rapporto dimostra come, negli ultimi 70 anni, lo Xinjiang abbia visto una crescita demografica rapida e costante, un miglioramento della qualità della vita della popolazione, una maggiore aspettativa di vita e un’urbanizzazione e modernizzazione più rapide, processi dei quali hanno potuto beneficiare tutte le diverse etnie che abitano lo Xinjiang, compresa quella uigura. Il rapporto passa in rassegna, per demolirne le basi, le “falsità fabbricate dalle forze anti-cinesi” – questo il titolo del paragrafo 6 del documento – con i loro vari capi di accusa mossi contro le politiche promosse ed attuate dal Governo di Pechino nella XUAR: “attraverso la menzogna dei ‘lavori forzati’, le forze anti-cinesi diffamano le azioni della Cina contro il terrorismo e l’estremismo, sopprimono lo sviluppo di industrie nello Xinjiang come il cotone, i pomodori e i prodotti fotovoltaici e minano la partecipazione della Cina alla cooperazione della catena industriale globale. Lo Xinjiang è impegnato nella filosofia dello sviluppo incentrato sul popolo, attribuisce grande importanza all’occupazione e alla sicurezza sociale e attua politiche proattive dell’occupazione […] Dal 2014 al 2020, la popolazione occupata totale nello Xinjiang è cresciuta da 11.35 milioni a 13.56 milioni, con un aumento di quasi il 20% […]. Nella sua lotta contro il terrorismo, lo Xinjiang ha istituito centri di istruzione e formazione professionale in conformità con la legge. Non c’è alcuna differenza essenziale tra queste istituzioni e i centri di deradicalizzazione e i programmi di correzione comunitaria, trasformazione e disimpegno in molti altri Paesi. Esiste un corpo sostanziale di prove che dimostrano che si tratta di un approccio efficace alla prevenzione del terrorismo e alla deradicalizzazione e che rispetta pienamente i principi delle risoluzioni antiterrorismo come la Strategia globale antiterrorismo delle Nazioni Unite e il Piano d’azione delle Nazioni Unite per prevenire l’estremismo violento”.
Attraverso falsificazioni, congetture infondate e frode di dati, poi, sono stati prodotti dei rapporti in cui si accusa la Cina di compiere un genocidio demografico costringendo gli Uiguri e altri gruppi di minoranze etniche al controllo delle nascite e a ridurre il proprio tasso di natalità ma “le statistiche mostrano che la popolazione uigura è cresciuta costantemente e in modo significativo nel corso dei decenni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. Pertanto, le accuse di “soppressione dei tassi di natalità” e di “genocidio demografico” sono del tutto infondate”. Così come infondate sono le accuse di genocidio culturale e di persecuzione religiosa9 (gli Uiguri professano la fede islamica): per quanto riguarda la prima, il documento parla di “forze anti-cinesi [che] affermano che gli sforzi dello Xinjiang per promuovere il cinese standard rappresentano una campagna di “genocidio culturale” e che sono un mezzo di “assimilazione etnica”, progettato per eliminare le lingue parlate e scritte e le tradizioni culturali delle minoranze etniche. La lingua standard di un Paese è un simbolo della sua sovranità. Ogni cittadino ha il diritto e l’obbligo di apprendere e utilizzare la lingua standard. Questo è vero non solo in Cina ma anche nel resto del mondo. Imparare e usare la lingua standard aiuta i diversi gruppi etnici a comunicare, svilupparsi e progredire. Oltre a svolgere l’insegnamento del cinese standard, lo Xinjiang offre anche corsi di lingua uigura, kazaka, kirghisa, mongola, xibe e di altre lingue nelle scuole primarie e secondarie, garantendo così il diritto delle minoranze etniche all’apprendimento e all’uso della propria lingua e proteggendo efficacemente loro lingue e culture. Le lingue delle minoranze etniche sono ampiamente utilizzate in settori come l’istruzione, la magistratura, l’amministrazione e gli affari pubblici”; per quanto riguarda la seconda diffamazione è bene ricordare che “il rispetto e la protezione della libertà di credo religioso sono una politica nazionale di base a lungo termine del Governo cinese. La Costituzione prevede che i cittadini godano della libertà di credo religioso e che nessun organo statale, organizzazione sociale o individuo possa costringere i cittadini a credere o non credere in alcuna religione, né discriminare i cittadini che credono o non credono in qualsiasi religione” e che “ci sono 10 scuole islamiche nello Xinjiang, che hanno formato un contingente di ecclesiastici di alto livello, garantendo efficacemente lo sviluppo sano e ordinato dell’Islam. Per soddisfare le legittime esigenze religiose dei credenti, lo Xinjiang ha attivamente migliorato le condizioni dei luoghi religiosi e degli ambienti circostanti mediante lavori di ristrutturazione e trasferimento, ampliando le strutture esistenti e costruendone di nuove. Le moschee nello Xinjiang sono state dotate di acqua corrente, elettricità, gas naturale, strumenti di telecomunicazione, strutture radiotelevisive, biblioteche e un facile accesso stradale. Impianti di lavaggio e pulizia sono stati installati nelle moschee congregazionali per le preghiere del venerdì (Juma). Le moschee hanno anche servizi medici, schermi al LED, computer, ventilatori elettrici o condizionatori d’aria, attrezzature antincendio, distributori d’acqua, copriscarpe o distributori automatici di copriscarpe, e armadietti. Tutto ciò offre maggiore comodità ai credenti religiosi. Le accuse di “persecuzione religiosa” sono del tutto prive di fondamento”.
La conclusione cui giunge il documento è che “ci sono molte prove che le accuse di “genocidio” nello Xinjiang evocate dalle forze anti-cinesi siano prive di qualsiasi verità. Sono una calunnia contro la politica cinese dello Xinjiang e i successi ottenuti nello sviluppo della regione, e una grave violazione del diritto internazionale e dei principi fondamentali delle relazioni internazionali. Fingendosi “difensori dei diritti umani”, le forze anti-cinesi in alcuni Paesi come gli Stati Uniti ignorano la storia oscura dei propri Paesi, dove è stato commesso un vero genocidio contro popolazioni indigene come i nativi americani. Insieme a molti altri, chiudono un occhio sulla discriminazione razziale profondamente radicata e su altri problemi sistemici nei loro stessi Paesi oggi, e sulla macchia sui diritti umani diffusa dalle loro incessanti guerre in altri Paesi che mietono milioni di vite civili innocenti. I loro orribili doppi standard, l’ipocrisia e la mentalità egemonica ricordano la famigerata citazione: “Accusa l’altro di ciò di cui tu sei colpevole”.
Questi dati, quindi, smentiscono in maniera netta e decisa le menzogne diffuse dalla propaganda anti-cinese di stampo occidentale (se non marcatamente atlantista), che accusa la Cina di pratiche come “lavori forzati”, “sterilizzazione obbligatoria”, “genocidio culturale”, fino ad arrivare a millantare una presunta “pulizia etnica” di una popolazione che in realtà è in costante crescita sin dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, avvenuta nel 1949.
Tali pratiche, del resto, sarebbero contrarie alle stesse leggi e alla stessa Costituzione della Cina.
Queste accuse infondate rappresentano una calunnia contro la politica cinese nello Xinjiang e i successi ottenuti nello sviluppo della regione, oltre che una grave violazione del diritto internazionale e dei principi fondamentali che governano le relazioni internazionali.
Legittimo e doveroso è indagare da dove provenga il supporto documentale ad accuse di tale portata verso un Paese sovrano. Ebbene, si tratta di rapporti redatti da Organizzazioni Non Governative (da qui ONG) basati su informazioni distorte se non false, speculazioni e illazioni, prodotti ad uso e consumo della politica e dei media occidentali e atti a creare un clima di diffidenza verso Pechino con una campagna diffamatoria e denigratoria. Tra le ONG più attive vi è la rete di China Human Rights Defenders (CHRD) e il World Uyghur Congress, entrambe con sede a Washington e finanziate dal Congresso degli Stati Uniti d’America attraverso i fondi gestiti dal National Endowment for Democracy (NED), organo creato agli inizi degli anni Ottanta con l’obiettivo di rendere efficaci le organizzazioni impegnate nella “promozione della democrazia” nel mondo in modo pedissequo alle linee guida della politica estera di Washington. Il processo si protrae dai tardi anni Settanta del secolo breve: paradossalmente, negli anni in cui la Cina ha iniziato a migliorare la propria situazione interna sulle tematiche inerenti i diritti umani e ad aumentare la sua attività nella diplomazia in questo campo, Pechino ha iniziato a diventare un bersaglio della pressione internazionale. L’organizzazione di monitoraggio Freedom House, ad esempio, ha classificato la Cina come “non libera” sia per i diritti politici che per le libertà civili sin da quando ha iniziato la classifica annuale nel 1973.
Ma pensare che le democrazie occidentali siano libere, così come i loro mezzi di comunicazione e istituti di ricerca, è una grande illusione. Scrive il commentatore indiano Maitreya Bhakal che “da quando la Cina ha iniziato a “risorgere” 40 anni fa e ha fornito al mondo una modalità di sviluppo alternativa, socialista e guidata dalle persone – in netto contrasto con l’approccio occidentale assetato di profitto, corrotto e tirannico – gli Stati Uniti hanno scatenato una massiccia campagna di propaganda contro di essa. La Cina è stata accusata di aver commesso ogni crimine sotto il sole, alcuni dei peggiori crimini conosciuti dall’umanità, incluso quello di “genocidio”. Il tutto con zero prove, ovviamente. In generale, si potrebbe immaginare che più grave è il crimine, più prove sono necessarie per dimostrarlo. Eppure, i media occidentali credono nell’opposto: più l’accusa è grave, più deboli sono le prove. Consideriamo l’intera narrativa propagandistica del “genocidio uiguro”. Si basa su dati così fragili che pochi ci credono. Anche gli investigatori dei social media spesso lo fanno a pezzi. Eppure, i media occidentali continuano la loro campagna di propaganda, come se la questione fosse risolta e al di là di ogni dubbio. La maggior parte degli angoli di propaganda sulla Cina nella stampa occidentale si basano su bugie”, se non su documentazione minima e non verificabile sulla base della quale si giunge a conclusioni di portata significativa che assume la veste paludata di “verità assoluta”.
Una parte considerevole delle organizzazioni che operano in opposizione alle politiche di Pechino nello Xinjiang sono più o meno lautamente finanziate dal National Endowment for Democracy, il NED, un’agenzia statunitense istituita nel 1983 dall’Amministrazione Reagan con lo scopo di promuovere la democrazia nel mondo, una vera e propria internazionale democratica che vive dei fondi elargiti dal Congresso statunitense.
Felice è la formulazione di Emanuele Pierobon in un articolo scritto per la testata telematica InsideOver, nel quale egli afferma che “si scrive promozione della democrazia liberale e del capitalismo, ma si legge denaro inviato a forze utili a sovvertire regimi politici che, per un motivo o per un altro, costituiscono una minaccia agli interessi nazionali degli Stati Uniti. Non una teoria del complotto, ma una realtà che il NED non ha mai nascosto e che, anzi, trova ampio riscontro documentale (e fattuale) […]. Rimanendo in tema di storia recente, il NED ha giocato un ruolo determinante nel corso delle primavere arabe, avendo finanziato, tra gli altri, il Movimento 6 aprile e l’Accademia democratica negli ultimi anni di vita dell’era Mubarak. Andando indietro nel tempo, invece, secondo i politologi che hanno avuto accesso ai documenti prodotti dal NED, tra i quali Lindsey O’Rourke, è agli sforzi che l’agenzia ha compiuto in direzione della democratizzazione che si dovrebbero i cambi di regime avvenuti durante la guerra fredda in una miriade di nazioni: dal Cile alle Filippine, da Haiti alla Polonia, e da Panama al Suriname. Per i motivi di cui sopra, il NED va ricevendo un’accoglienza crescentemente negativa da parte dell’America Latina, dell’Africa e dell’Eurasia, perché ritenuto sinonimo di destabilizzazione. Restano pochi, comunque, i Paesi che hanno trasformato le accuse di interferenza negli affari interni in fatti, come la Russia, dove il NED è stato messo al bando nel 2015, e la Cina, che lo ha sanzionato nel 2019. Dal dopo-11 settembre ad oggi, sullo sfondo della Guerra al Terrore, delle primavere arabe e del restringimento dello spazio post-sovietico, l’agenzia ha rimpinguato le casse di una moltitudine di realtà impegnate a vario titolo in attività anticomuniste e separatistiche: il Congresso mondiale uiguro (World Uyghur Congress), il Progetto per i diritti umani uiguro (Uyghur Human Rights Project), la Campagna per gli Uiguri (Campaign for Uyghurs), la China Free Press, ChinaAid, il Tibet Action Institute e gli hongkongesi Solidarity Center e Justice Centre. Entità, quelle di cui sopra, che, per ragioni differenti, anelano all’implosione della dittatura comunista: chi sobillando i sentimenti etno-religiosi nello Xinjiang, chi tentando di rallentare la sinizzazione del Tibet e chi stuzzicando l’occidentalità delle giovani anime della ribelle Hong Kong. Entità che, numeri alla mano, negli anni recenti hanno ricevuto delle somme riguardevoli dal NED: i gruppi della galassia uigura hanno introitato 8 milioni e 758mila dollari dal 2004 al 2020; i gruppi hongkongesi appartenenti al cosiddetto “fronte pro-democrazia” hanno ricevuto due milioni di dollari nel solo 2020 – una cifra notevole considerando che la “società civile” di HK aveva percepito soltanto 643mila dollari l’anno precedente e che nel periodo 2015-18 erano stati spesi in media, sempre su base annua, circa 450mila dollari10; nel complesso, le realtà impegnate tra Xinjiang, Hong Kong e Tibet hanno ricevuto 10 milioni e 200mila dollari nel corso del 2020 – in aumento rispetto ai 6 milioni rendicontati nel 2019.
Le cifre della battaglia del NED contro la Repubblica Popolare Cinese sono indicative dell’importanza rivestita da questo ente all’interno della politica estera degli Stati Uniti. Perché dietro alle corse alle armi e alle guerre per procura c’è (molto) di più: un mondo fatto di attori dall’apparenza innocua che, lontani dai riflettori, lavorano notte e giorno per oliare le democrazie mature dell’Occidente e per abbattere dolcemente i loro nemici”11.
Dal maggio del 2020, il National Endowment for Democracy si è dotato di una pagina sul proprio sito internet, Uyghur Human Rights Policy Act Builds on Work of NED Grantees, indicante la visione della questione uigura dell’agenzia quasi-governativa.
Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato una nuova legislazione, l’Uyghur Human Rights Policy Act del 202012, che condanna il Partito Comunista Cinese (PCC) “per continue violazioni dei diritti umani contro gli uiguri e altri musulmani turchi nel Turkestan orientale, noto anche come Regione autonoma uigura dello Xinjiang del nord-ovest Cina. Il Governo cinese ha imprigionato tra un milione e tre milioni di uiguri nei campi di concentramento della regione, li ha privati della libertà di movimento e li ha sottoposti a sorveglianza invasiva, torture fisiche e lavori forzati. Nonostante i costanti sforzi del PCC per minare la difesa dei gruppi uiguri in tutto il mondo, la legislazione ha ottenuto un enorme sostegno bipartisan con 68 co-sponsor, guidati dai senatori statunitensi Marco Rubio (R-FL) e Bob Menendez (D-NJ). Un pungente rimprovero a una delle violazioni più sfacciate ed eclatanti al mondo dei diritti umani e delle minoranze. Per promuovere i diritti umani e la dignità umana per tutte le persone in Cina, il National Endowment for Democracy (NED) ha assegnato $ 8.758.300 ai gruppi uiguri dal 2004, fungendo da unico finanziatore istituzionale per la difesa degli uiguri e le organizzazioni per i diritti umani. Grazie al sostegno del NED, “i gruppi di difesa degli uiguri sono cresciuti sia a livello istituzionale che professionale nel corso degli anni”, ha affermato Akram Keram, responsabile del programma ed esperto regionale presso il NED. “Questi gruppi hanno svolto un ruolo fondamentale nell’introdurre la causa uigura in vari contesti internazionali, regionali e nazionali contro le false narrazioni della Cina, portando la voce uigura ai più alti livelli internazionali, comprese le Nazioni Unite, il Parlamento europeo e la Casa Bianca. Hanno fornito risorse concrete e di prima mano che documentano le atrocità nel Turkestan orientale, informando e ispirando l’introduzione di risoluzioni, sanzioni e richieste di azione pertinenti per ritenere responsabile il Partito comunista cinese. Oggi, questa assistenza è più critica che mai, poiché il Partito Comunista Cinese continua a tentare di cancellare le culture, le religioni e le tradizioni uigure. Parlando al NED l’anno scorso, il presidente del World Uyghur Congress Dolkun Isa ha detto: “Abbiamo bisogno, come società democratica, che il mondo rompa il silenzio e adotti azioni concrete per fermare questa violenza contro gli uiguri””13.
Tra i beneficiari dei finanziamenti14 dell’agenzia figurano le iniziative The Uyghur Transitional Justice Database Project, Uyghur Human Rights Project, Campaign for Uyghurs e proprio il World Uyghur Congress, organizzazione umanitaria di difesa dei diritti dell’uomo che dal 2004, anno della sua creazione a Monaco di Baviera, in Germania, ha ricevuto lauti finanziamenti dal NED, fondi stanziati per azioni che assomigliano quantomeno a delle intrusioni negli affari interni di un Paese sovrano a fini ostili15. Nel dicembre 2012, il Global Times ha riportato che: “Il World Uyghur Congress (WUC), un’organizzazione ritenuta collegata a gruppi terroristici e che riceve denaro da organizzazioni politiche occidentali, ha svolto a lungo un ruolo importante nel diffamare le politiche della Cina nella Regione autonoma uigura. Alcuni media e politici occidentali, così come il WUC, hanno diffamato la politica cinese nello Xinjiang, ma rimangono in silenzio sulle informazioni rilasciate dal Governo cinese o dai suoi media. La sede del WUC si trova in un edificio basso in Adolf-Kolping-Strasse, vicino alla stazione ferroviaria e al quartiere dello shopping di Monaco, in Germania. L’edificio, con il suo esterno poco appariscente, è diventato il cuore dei separatisti cinesi dello Xinjiang e il cervello di molti attivisti separatisti dello Xinjiang. L’obiettivo principale del WUC di separare lo Xinjiang dalla Cina non è mai cambiato, ha detto al Global Times Weinsheimer, un esperto tedesco di gruppi etnici cinesi16”. Rapporti e analisi come quella sopra citata sono generalmente respinti dalla propaganda e dai media occidentali come un tentativo dei giornali cinesi filo-governativi di coprire le violazioni dei diritti umani contro gli uiguri nello Xinjiang. “Danneggiare la Cina (e la Russia, l’Iran, il Venezuela e altri) è l’obiettivo primario della politica estera occidentale. Il World Uyghur Congress (WUC) è pronto ad assistere gli Stati Uniti, l’Europa e la NATO (in particolare la Turchia) nei loro sforzi per danneggiare la Cina e per interrompere la BRI. Come mai? Questo perché la BRI è il peggior incubo del neocolonialismo occidentale. Lo spiego nel mio recente libro: China Belt and Road Initiative: Connecting Countries to Save Millions of Lives. La Cina è profondamente coinvolta in questo formidabile progetto che spesso descrivo come l’ultima tappa della decolonizzazione globale. Anche la Russia partecipa sempre di più; in molti casi assume persino la guida del progetto. L’Occidente non può offrire nulla di positivo, di ottimista. Infanga la Cina e la Russia e rovescia o intimidisce i governi che non vogliono sacrificare milioni di loro cittadini sull’altare del capitalismo estremo e brutale e dell’imperialismo occidentale. I media occidentali mettono in guardia gli scrittori dall’usare questi “termini obsoleti”. Spazzatura: non sono obsoleti, sono veri! L’imperialismo non è mai finito. Il colonialismo continua a depredare e rovinare decine di Paesi in ogni continente. Cina e Russia, così come Venezuela, Siria, Iran, Cuba e altri, stanno combattendo per i disgraziati del mondo. È così semplice17”.
Alla base delle accuse di genocidio rivolte a Pechino, in particolare, e della propaganda anti-cinese, più in generale, ci sono i lavori di alcuni istituti, sedicenti indipendenti, come Amnesty International18, Australian Strategy Policy Institute (ASPI)19, il Newslines Institute for Strategy and Policy e il Raoul Wallenberg Centre For Human Rights20, tristemente noti per la manipolazione delle notizie che alimentano il battage mediatico intorno a quelli che vengono presentati all’opinione pubblica occidentale come campi di lavoro o detenzione forzata della popolazione uigura. Figura centrale nella costruzione della narrativa deviata intorno allo Xinjiang è Adrian Zenz, divenuto improvvisamente il più eminente esperto di violazioni dei diritti umani perpetrati nella Regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese quando nel 2018 ha pubblicato Thoroughly reforming them towards a healthy heart attitude’: China’s political re-education campaign in Xinjiang, il suo primo report, nel quale stimava in oltre un milione i detenuti nei campi di rieducazione dello Xinjiang senza però averne piena certezza: “anche se non ci sono certezze, è ragionevole ipotizzare che il numero totale dei detenuti possa variare tra diverse centinaia di migliaia e poco più di un milione21”. Le osservazioni conclusive di questo rapporto sono affascinanti indicatori dell’ideologia alla base di ciò che sta emergendo come l’agenda della nuova guerra fredda contro la Cina; tra le formulazioni che vengono utilizzate nelle conclusioni ci sono concetti come “indottrinamento”, “campagna di re-ingegnerizzazione sociale coercitiva”, “con lo Xinjiang come ‘fulcro’ della Belt and Road Initiative, Pechino sembra determinata a perseguire una soluzione definitiva al questione uigura” (affermazione che riecheggia la Soluzione Finale di nazista memoria), “i regimi comunisti hanno a lungo considerato la rieducazione politica come uno strumento fondamentale per ottenere un controllo sociale duraturo attraverso la ‘riforma del pensiero’, che alla fine ha portato a un immaginato ‘nuovo uomo socialista’”, e “”proprio come lo Xinjiang è diventato il banco di prova della Cina per la tecnologia di sorveglianza all’avanguardia, lo Stato può utilizzare le esperienze raccolte dalla rieducazione di questo grande gruppo di minoranza musulmana per gli sforzi di riprogettazione sociale in tutta la nazione”22.
Ma chi è questo analista il cui lavoro è citato alla stregua di buona e dogmatica novella da tutti i più grandi media occidentali? Maxime Vivas lo presenta come un “evangelista fondamentalista vicino agli evangelici americani. A credergli, egli si sente guidato da Dio per una missione contro Pechino. ‘Io mi sento molto chiaramente guidato da Dio a fare ciò’ ha dichiarato al Wall Street Journal23. Il ricercatore tedesco e senior fellow in studi sulla Cina presso la Victims of Communism Memorial Foundation, un’organizzazione fondata nel 1993 dal Governo statunitense per promuovere opinioni anticomuniste che nell’aprile del 2020, contro ogni evidenza, ha accusato la Cina di essere responsabile delle morti mondiali dovute alla diffusione del Covid19, “è anche associato alla Jamestown Foundation, think-tank conservatore sulla politica di difesa fondato da William Geimer che era vicino all’Amministrazione statunitense del defunto Ronald Reagan. Zenz e Ethan Gutmann, un altro ricercatore della Victims of Communism Memorial Foundation, hanno continuato a ripetere le loro conclusioni sul “genocidio” nello Xinjiang al Congresso USA e in una serie di pubblicazioni mainstream. Ospitato dalla British Broadcasting Corporation (BBC) e da Democracy Now!, Zenz ha fornito quella che sembrava una documentazione delle atrocità commesse dalle “autorità cinesi” contro la popolazione uigura. Zenz e Gutmann sarebbero stati affiancati da organizzazioni finanziate dai governi occidentali ma che – come organizzazioni non governative – si atteggiano a gruppi indipendenti di ricerca e difesa (come il Global Center for the Responsibility to Protect e l’Uyghur Human Rights Project; il primo è finanziato dai governi occidentali e il secondo dal National Endowment for Democracy del Governo statunitense).
Nel giugno dello scorso anno, l’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha attaccato il Governo cinese, basando le sue dichiarazioni sullo Xinjiang sulle “scioccanti rivelazioni del ricercatore tedesco Adrian Zenz”. Zenz fornisce una serie di documenti scientificamente dubbi e politicamente carichi, che sono poi usati come fatti dal Governo degli Stati Uniti nella sua guerra informativa contro la Cina. Chiunque sollevi domande sulle affermazioni di Zenz è, nel frattempo, emarginato come un teorico della cospirazione […]. Per mettere insieme la guerra commerciale e la guerra di informazione dello Xinjiang, a metà dicembre 2020, Zenz e il Newlines Institute for Strategy and Policy (ex Center for Global Policy) hanno pubblicato un brief di intelligence sul “lavoro coercitivo nello Xinjiang”. Le affermazioni di questo briefing – basate su un articolo del Wall Street Journal del 2019 sulle catene di approvvigionamento e lo Xinjiang – hanno creato una tempesta mediatica in Occidente, amplificata da Reuters e poi ripresa da molte testate ampiamente lette24”. Stante così il panorama mediatico e accademico, non dovrebbe stupire il fatto che l’opinione pubblica stia maneggiando una verità che – qualora lo fosse – poggia su basi estremamente limitate ma che attraverso la reiterazione delle medesime prove “documentali” assume le piene sembianze della Verità indiscussa ed indiscutibile: “i politici credono ciecamente in questi media che, forse convenientemente, credono dicano la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. E questo non è vero25”.
Quando si tratta di parlare della Cina, le notizie divulgate dai media occidentali sono spesso decisamente sbagliate se non deliberatamente false e costruite; a volte si è portati a trarre le conclusioni dopo un lungo un percorso interpretativo distorto dai pregiudizi del giornalista, dell’editore o degli editori; a volte, invece, ad essere più persuasivo del racconto della realtà è il denaro, come quello stanziato grazie alla campagna di pubbliche relazioni e alla recente assegnazione di 300 milioni di dollari da parte del Senato degli Stati Uniti per incoraggiare i giornalisti a trovare “articoli negativi relativi alla Belt and Road Initiative della Cina” (BRI), che portano i professionisti dell’informazione a concentrarsi sui premi piuttosto che sull’etica. Una delle più grandi e lunghe campagne di propaganda anti-cinese dei media occidentali è la narrazione sullo Xinjiang. Si legge costantemente di “milioni di tonnellate di cemento, migliaia di chilometri di recinzioni e filo spinato, truppe, polizia e personale di sicurezza, attrezzature di sicurezza, telecamere a circuito chiuso sono stati spediti e installati nella regione. Ci sono migliaia di edifici all’interno di centinaia di complessi. Alte recinzioni circondano gli alloggi per decine di migliaia di persone in piccole stanze, non sorprende che si raggiunga un’interpretazione di un enorme sistema carcerario. La realtà è ben diversa. Le interpretazioni errate si verificano a causa della mancanza di conoscenza locale. A differenza di chi scrive, quasi nessuno dei giornalisti che riferiscono di XUAR, nessuno dei politici, nessuno dei diplomatici di quei Paesi e pochissimi accademici hanno mai visitato lo Xinjiang. Se lo avessero fatto, saprebbero che ogni scuola, fabbrica, college e università in Cina ha un muro intorno, queste mura, per ovvie ragioni, sono più grandi e meglio fortificate nello XUAR[…] Lo Xinjiang è una zona sicura, non c’è dubbio. È stata teatro di molteplici attività terroristiche (molte delle quali hanno dimostrato di essere organizzate e sostenute finanziariamente da forze esterne). Quindi, lo Xinjiang è la destinazione del personale militare e di polizia. Condivide anche un confine con l’Afghanistan, dove le Forze Armate statunitensi addestrano e/o combattono il terrorismo da più di 40 anni. Il Governo cinese ha deciso – invece di combattere il terrorismo con bombe e proiettili – di conquistare cuori e menti portando lavoro, reddito, formazione e altre opportunità nella regione. Così facendo, i cinesi hanno indubbiamente costruito anche qualche prigione, ma certamente non più di qualsiasi altro Paese al mondo e decisamente meno dei loro principali accusatori: il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e l’Australian Strategic Policy Institute (Aspi) australiano. Gli Stati Uniti hanno una storia nell’offrire immunità, false identità, protezione dei testimoni e persino ingenti somme di denaro per incoraggiare le persone a testimoniare. […] Non ci sono prove fisiche per sostenerli, nessuno ha visto le fotografie dei “campi”, i testimoni non portano cicatrici o condizioni mediche che possono essere attribuite agli abusi che sostengono. E, un punto importante: non una parola di sostegno da nessuna delle centinaia di migliaia di persone che sarebbero necessarie per organizzare, fornire personale e amministrare una rete di complessi come si presume. Sicuramente, anche in Cina, una tale forza lavoro sarebbe difficile da nascondere e dovrebbe includere molte persone che non sono d’accordo con il presunto programma – gli informatori sembrano essere ben visibili per la loro assenza. Non c’è un’ondata di rifugiati nei Paesi confinanti, cosa che è osservabile in ogni altro genocidio denunciato in tutto il mondo e, un ultimo punto; molti di questi testimoni che ricevono sostegno finanziario nei Paesi ospitanti, ora attendono con impazienza lo status legale in quei Paesi. In breve, sono incentivati. Anche se non dovrebbero essere ignorati, le loro testimonianze devono essere esaminate criticamente. XUAR è una regione aperta, chiunque può andarci. I giornalisti affermano che non possono, ma questa è un’altra falsa dichiarazione, in realtà possono, i turisti entrano nella regione e viaggiano sia in modo indipendente che libero, questo scrittore lo ha fatto diverse volte. La verifica dei fatti è facile da ottenere ma non voluta. Difficoltà come la lontananza della regione, le barriere linguistiche, la cosiddetta mancanza di accesso e il controllo del Governo sono facilmente superabili26”.
Il lavoro giornalistico è svilito dalle esigenze della propaganda che lo informa e lo alimenta. La Dichiarazione dei Diritti e dei Doveri dei Giornalisti, approvata a Monaco di Baviera nel 1971, fatta propria dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti, dall’Organizzazione Internazionale dei Giornalisti, e dalla maggioranza dei sindacati di categoria europei, enuncia 10 doveri essenziali cui il giornalista si deve attenere nel ricercare, scrivere e commentare gli eventi: 1. Rispettare la verità, qualunque siano le conseguenze per essa stessa, a causa del diritto del pubblico di conoscere la verità; 2. Difendere la libertà di informazione, di commento e di critica; 3. Pubblicare solo informazioni di cui si conosce l’origine o, in caso contrario, accompagnarle con le dovute riserve; non cancellare informazioni essenziali e non alterare testi e documenti; 4. Non utilizzare metodi sleali per ottenere informazioni, fotografie e documenti; 5. Impegnarsi a rispettare la vita privata delle persone; 6. Correggere tutte le informazioni pubblicate che risultano imprecise; 7. Mantenere il segreto professionale e non rivelare la fonte delle informazioni ottenute in via riservata; 8. Astenersi da plagio, calunnia, diffamazione e accuse infondate, nonché dal trarre qualsiasi vantaggio in conseguenza della pubblicazione o della cancellazione delle informazioni; 9. Non confondere mai la professione di giornalista con quella di pubblicitario o propagandista; non accettare alcuna istruzione, diretta o indiretta, dagli inserzionisti; 10. Rifiutate ogni pressione e accettare la guida editoriale solo dai responsabili della redazione.
Le modalità di narrazione e l’approccio dei media occidentali nei confronti dello Xinjiang hanno stracciato questo documento di deontologia professionale giornalistica.
Tali problemi nascono da un’agenda anti-cinese e sinofobica. Come altri programmi politici, vediamo due tipi di guerra che operano in parallelo: la vera guerra calda o fredda sul campo e la guerra di informazione/propaganda che si colloca sull’ampio spettro occupato dai vari media, ognuno con il suo target di riferimento. Il giornalismo che approccia alla Repubblica Popolare Cinese piuttosto che alle 10 regole auree contenute nella Dichiarazione dei Diritti e dei Doveri dei Giornalisti, sembra declinare il lavoro di documentazione e informazione secondo le 9 tecniche di manipolazione mediatica: 1. Fake news – menzogna: inganni, invenzioni o quant’altro non giudicabile, verificato come empiricamente valido; la presentazione di istituti e studiosi come “indipendenti” e la definizione di pubblicazioni come basate su ricerche accademiche quando non lo sono – sono esempi tipici; 2. Omissione: tralasciando prospettive essenziali, fatti, analisi, esperti, perizia, letteratura, opinioni contrarie, possibili ipotesi alternative e spiegazioni dei risultati trovati. Nel loro insieme, l’omissione è spesso molto più distorsiva del falso (e meno facile da rilevare per il pubblico); 3. Censura: nel senso che un governo dice ai media (per legge o con metodi meno aperti e verificabili) quali sono i limiti, cosa può essere affrontato e come – e cosa non può essere affrontato senza conseguenze. Quando alcune delle innumerevoli storie possibili che potrebbero essere raccontate da tutto il mondo vengono selezionate per le prime pagine, è anche il risultato della censura, non solo dell’omissione; 4. Autocensura: agenzie di stampa, editori, reportage e giornalisti conoscono le procedure operative standard e si attengono ad esse perché è conveniente e in genere garantisce che mantengano il loro lavoro; 5. Framing:nella teoria sociale, il framing è un tipo di interpretazione, forse un insieme di aneddoti, eventi storici e stereotipi su cui gli individui fanno affidamento per comprendere e rispondere agli eventi. In altre parole, le persone costruiscono una serie di filtri mentali attraverso influenze biologiche e culturali. Quindi usano questi filtri per dare un senso al mondo. Le scelte che poi fanno sono influenzate dalla loro creazione di una cornice; 6. Narrazioni costruite: storie che più o meno sostituiscono la realtà e rendono superfluo o addirittura pericoloso il controllo della realtà (per il mantenimento della segnalazione di falso/omissione). Le narrazioni sono spesso grossolane semplificazioni di una realtà complessa e utilizzano modi di pensare quotidiani a cui tutti possono relazionarsi senza una grande conoscenza delle questioni sostanziali. Ridurre un conflitto complesso a una lotta tra il bene archetipico buoni (tutti da una parte, forse nostri) contro i cattivi (tutti riuniti dalla “loro” parte) – noti da favole, drammi e film – è un esempio che, ovviamente, implica anche un’enorme distorsione e inoltre può usare falsi e omissioni; 7. Propaganda e altre distorsioni: una narrazione costruita con informazioni, idee, opinioni o immagini, che spesso forniscono solo una parte di un argomento, che vengono trasmesse, pubblicate o in qualche altro modo diffuse con l’intenzione di influenzare le opinioni delle persone; 8. Guerra psicologica o operazioni psicologiche (PsyOps): attività vicine alla propaganda, ma spesso definite come capaci di influenzare le opinioni dell’avversario, non le nostre. Tuttavia, oggi non è così. Indubbiamente, i governi fanno anche PsyOps sui propri cittadini, ad esempio instillando loro costantemente la sensazione di essere minacciati da Paesi stranieri, armi, terroristi – o dalla Cina; 9. Cancel culture: è una forma moderna di ostracismo in cui qualcuno viene espulso dai circoli sociali o professionali, che sia online, sui social media o di persona. Coloro che sono stati oggetto di questo ostracismo sono stati “cancellati” principalmente a causa delle loro opinioni o comportamenti27.
Questi metodi sono una parte evidente dei principali media occidentali e della realtà politica di oggi; ad esempio, nessun media o governo occidentale tradizionale che rivendica violazioni dei diritti umani o genocidio nello Xinjiang, ha condotto anche un controllo superficiale o casuale dei fatti e delle fonti, analisi dei dati, controllo dei precedenti degli istituti e degli studiosi e delle loro affiliazioni, o ha pensato al possibile motivo alla base della determinazione del genocidio e della copertura costantemente solo negativa della Cina; quello che viene fatto, invece, è costruire informazioni elaborate attraverso uno o più dei 9 metodi, in modo che il prodotto finale si adatti e sia funzionale ai dettami di quella agenda politica che inquadra la Cina come il nemico pubblico numero uno per Washington e, per sineddoche, per le forze occidentali di cui è guida egemone; “coloro che sono ancora indipendenti e il cui lavoro non si basa né su finanziamenti corporativi né statali hanno ora un enorme compito di istruzione pubblica: presentare i fatti complessi, criticare la ricerca commissionata e i media prodotti al riguardo – e trovare alternative. Questo compito è essenziale, se eviteremo una terribile guerra fredda contro la Cina che spreca tempo, creatività e risorse. E questo argomento è rilevante e valido, qualunque cosa si pensi della Cina. Se pensiamo che la Cina sia per lo più interessante, grande o ammirevole, la ricerca e i media occidentali sulla Guerra Fredda sono grossolanamente ingiusti e destinati a creare sentimenti negativi sia nel Governo che nel popolo cinese. Se al contrario, abbiamo opinioni per lo più negative sulla Cina e pensiamo che sia un Paese dittatoriale, distruttivo e un pericolo per l’Occidente, una politica della Guerra Fredda è la strada più controproducente da intraprendere28”. Nei media, l’agenda della nuova guerra fredda contro Pechino si snoda attraverso tematiche ricorrenti, abbastanza facili da elencare e tutti classificabili come negative: “i diritti umani sono calpestati e il genocidio dello Xinjiang è solo il peggiore di molti casi; autoritarismo, dittatura, nessuna democrazia; le persone ad Hong Kong sono generalmente oppresse; la Cina può occupare Taiwan in qualsiasi momento e anche l’Occidente deve sostenerlo militarmente; l’armamento cinese è rapido su tutti i fronti e sta diventando una formidabile sfida militare; nel Mar Cinese Meridionale, la Cina opera in modo aggressivo; la Cina abusa delle relazioni commerciali, ha studenti, agenti/studenti che si infiltrano e rubano la ricerca, e non rispetta le sanzioni economiche occidentali su altri Paesi; la Belt and Road Initiative è un nuovo brutto modo di sfruttare dozzine di Paesi e renderli dipendenti dalla Cina in futuro, non ultimo perché accumuleranno debiti e la Cina li acquisterà. Insomma, un nuovo colonialismo e dominio mondiale; la Cina raccoglie dati e informazioni in tutto il mondo, Huawei e il 5G si concentrano sulla raccolta di informazioni, i dati vengono consegnati direttamente a Pechino; in generale, la Cina è una grande sfida per il mondo, una minaccia e non un possibile partner per una cooperazione fiduciosa. Deve essere superato e gli Stati Uniti devono rimanere dominanti a livello globale – “Stiamo di nuovo guidando il mondo”, come ha affermato ripetutamente Joe Biden da quando è diventato presidente29”.
A fronte di questi temi che governano la narrazione mediatica riguardante la Repubblica Popolare Cinese, ci sono tutta una serie di tematiche che vengono tenute nascoste al grande pubblico occidentale: l’apertura della Cina alle politiche occidentali introdotte nel 1978 e l’immenso, storicamente unico sviluppo socio-economico da allora – dalla soddisfazione dei bisogni umani fondamentali verso uno Stato sociale; l’alleviamento della povertà di base, sollevando circa 850 milioni dalla povertà nello stesso periodo; The Belt and Road Initiative, BRI – pochissimi su larga scala hanno mai sentito parlare di questo progetto cooperativo, il più grande che abbia mai coinvolto circa 140 Paesi; la costruzione di un’infrastruttura di trasporto e comunicazione in tutta la Cina (ad esempio, nel 2018, gli Stati Uniti avevano 54 chilometri di binari ad alta velocità con una velocità massima di 240 km, la Cina ne aveva 27.000 con una velocità massima di 350 km/ora); lo straordinario sviluppo della cultura e delle arti – enorme produzione in vari campi, musei, gallerie e spazi artistici che spuntano in tutta la Cina – Shanghai sta diventando il prossimo centro mondiale dell’arte contemporanea; le città e le regioni future sperimentali pianificate a lungo termine della Cina; la filosofia, la politica e le implicazioni a lungo termine di investimenti storicamente elevati nell’istruzione e nella scienza; dal momento che i cinesi sono così diversi da noi e hanno realizzato cose incredibili in pochi decenni: qual è la loro cosmologia sociale? Come pensano al presente e al futuro? In che modo il confucianesimo, il taoismo, il buddismo, la loro storia e le loro esperienze (anche con l’Occidente) modellano le loro politiche e cosa pensano di noi in Occidente? I cinesi hanno un enorme vantaggio in quanto hanno studiato l’Occidente, la sua musica, la letteratura, la filosofia politica e convivono con elementi occidentali assimilati nella loro società, e milioni di persone hanno imparato l’inglese. Quanto è stato curioso l’Occidente riguardo alla Cina, e cosa ha mai pensato di poter imparare da essa? Non sarebbe possibile produrre qualcosa di interessante nei media, nella politica e nella ricerca su questi temi? Certo che lo sarebbe, ma tali progetti e prospettive vengono omessi e gli esperti competenti cancellati. Le persone in Occidente potrebbero non aver pensato molto a questi insiemi di temi e non temi della Cina? Praticamente tutto ciò che potrebbe essere considerato positivo sulla Cina è caduto nell'(auto)censura. Inoltre, non pensiamo a ciò che non vediamo e non sentiamo30”.
Sentiamo, però, e molto, parlare di Xinjiang. Sulla base di una selezione di fonti problematiche, media e governi prevalentemente occidentali hanno ripetutamente condannato Pechino riguardo le politiche messe in campo nella sua regione più occidentale, hanno dato loro legittimità facendo eco a queste fonti con zero fatti senza verifica delle fonti. È così che materiali inaffidabili hanno acquisito lo status di verità indiscutibile, semplicemente per essere stati ripetuti come se fossimo in una camera di risonanza. Le fonti della documentazione e le affiliazioni ideologiche della maggior parte degli autori non sono mai state verificate o messe in discussione, le interpretazioni alternative sistematicamente omesse. Insomma, falsi, omissioni e ripetizioni che si legano e si rinforzano a vicenda. Visti i gravi episodi di cui l’Occidente si è macchiato nel corso della storia recente, le gravi accuse rivolte alla Cina possono essere catalogate sotto l’etichetta proiezione psicologica, un meccanismo di difesa in cui l’Io si difende da impulsi o qualità inconsce (sia positive che negative) negando la loro esistenza in se stessi e attribuendole ad altri. La proiezione incorpora lo spostamento della colpa e può manifestarsi come dumping della vergogna”. In un linguaggio semplificato, significa: incolpare o condannare gli altri per aver fatto ciò che fai tu stesso molto di più o peggio ma senza guardarti mai allo specchio!
Scrive Maxime Vivas nel suo libretto dedicato allo Xinjiang e alle fake news costruite sull’argomento che: “non c’è nessuna parola di verità nella campagna anti-cinese sullo Xinjiang. Pechino non è in guerra contro questa regione autonoma ma, al contrario, la pone al centro delle sue attenzioni e dei suoi favori31”.
Allora, cosa sta succedendo veramente nello Xinjiang? “Alla mia sinistra, il Governo cinese e il suo progetto faraonico di Nuova Via della Seta che parte dallo Xinjiang e che contraria gli Stati Uniti al di là dell’immaginabile. Alla mia destra, gli Stati Uniti, il suo braccio clandestino chiamato CIA, la sua armata di media, false ONG, islamisti fanatici, terroristi, separatisti uiguri. Separatisti tutti gli Uiguri? Certamente no! Non tutti gli Uiguri sono musulmani e pochi dei musulmani uiguri sono islamisti […]. Per i nostri media, il cui cuore non vacilla a lungo quando si tratta di scegliere tra USA e Cina, il caso è chiuso. Eppure, e fortunatamente per i lettori, ci sono ancora giornalisti integri per cui ci sono ancora troppe bizzarrie: come possono aver ucciso 25.000 autoctoni l’anno senza che ciò sia stato visibile? Come hanno potuto bruciare così tanti cadaveri senza che il fumo allertasse i satelliti? Perché la sterilizzazione di massa non si accompagna ad un drastico calo delle maternità? Perché dispensare le coppie uigure dalla politica del figlio unico e, allo stesso tempo, sterilizzare gli Uiguri e provocare menopause precoci? Perché gli Uiguri beneficiano di privilegi come aiuti per la creazione di attività commerciali, ristrutturazione delle loro case, se l’obiettivo è sterminarli? E in cosa l’obbligo di apprendimento del mandarino come prima lingua è più liberticida di quanto non sia stato l’apprendimento della lingua d’Oil in Francia? Per quanto tempo dovrebbe essere considerato razionale che siano necessari cinque interpreti ad ogni riunione dell’assemblea dello Xinjiang? Per quale motivo la lotta al terrorismo in Cina dovrebbe essere ispirata dai nostri metodi? Perché tante “prove” (tutte) visive (foto, video) del martirio degli Uiguri sono dei falsi? Come si possono formare (lingua, mestiere, civismo) milioni persone senza costruire dei centri di formazione (detto come i nostri media: “campi di concentramento”)? Perché, tranne quelli riservati ai condannati di diritto comune, questi centri sono aperti? Perché mai il Governo cinese cercherebbe di formare un’intera regione contro di lui? Perché i principali iniziatori di questa aggressione mediatica sono vicini alla CIA? Perché quasi tutti coloro che ci allertano sul “genocidio” non hanno mai messo piede in Xinjiang? Perché la banda composta da Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, che si considerano la comunità internazionale, non riesce a fare votare dall’ONU una condanna della Cina? Perché le accuse non sono ratificate dall’ONU (che si rifiuta di votarle e che vuole andare a vedere cosa accade realmente) dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (che le rigetta) e dalla Banca Mondiale (che le dichiara false)? Perché i Paesi musulmani sono così numerosi nel sostenere la Cina? Perché preoccuparsi della Nuova Via della Seta che, dallo Xinjiang, faciliterà il commercio della Cina con l’Asia, l’Africa, l’Europa? Senza gli Stati Uniti.
La verità sullo Xinjiang si svelerà con le risposte a queste domande32”.
NOTE AL TESTO
1 https://nationalinterest.org/feature/secrets-and-lies-information-warfare-during-cold-war-and-today-168125
2 What is Information Warfare? (af.edu).
3 Information Warfare e Fake News: il dominio cognitivo di massa – ilGiornale.it.
4 “Accanto a questo primo nucleo c’è un’area molto più ampia che comprende tutte le diverse forme di falsificazione e omissione dell’informazione, accomunate da un certo grado di intenzionalità nel volere nascondere o deformare la verità dei fatti. La falsificazione altera o deforma i dati della realtà e può riguardare le dimensioni quantitative di un evento oppure la sua natura, le sue caratteristiche qualitative. La deformazione quantitativa può riguardare il numero di morti di una battaglia, le vittime di una catastrofe o di una strage o i partecipanti a una manifestazione di protesta o di appoggio al governo. L’alterazione qualitativa mira invece a «far apparire le cose diverse da come sono» e a suggerire particolari interpretazioni degli eventi e dei fenomeni sociali.
Opera anch’essa attraverso il potere del linguaggio – sia quello verbale e scritto sia quello delle immagini – di nascondere o rivelare semplicemente usando alcune espressioni o inquadrature invece di altre. La sovrapposizione confusiva di racconto e commento; l’allusione per cui si lascia al lettore il compito di completare il senso (sospeso) di un discorso senza esporsi avanzando un’interpretazione in modo esplicito; le strategie di contestualizzazione per cui una
notizia viene collocata accanto ad altre che creano un certo quadro interpretativo; la «cripticità mendace», per cui un articolo contiene dei segnali in codice comprensibili per determinate categorie e non per la generalità dei lettori, sono
solo alcune di queste strategie. L’omissione è invece quel tipo di menzogna che opera attraverso la deliberata esclusione o messa in secondo piano di informazioni rilevanti per la comprensione di un fatto, un fenomeno o un problema. Questo tipo di menzogna per omissione può essere ricondotto alla vastissima area della «mezza verità» o del «mentire senza mentire» ed è molto più difficile da smentire e smascherare.
Come la falsificazione, anche l’omissione opera preventivamente sul contenuto della notizia decidendo che cosa «non» mostrare, per cui «il cittadino non è in grado di sapere che cosa è rimasto fuori, anche se si soffermasse ad analizzare a lungo l’articolo [o il servizio o il post] che gli viene presentato». Vale la pena osservare che, mentre l’attenzione si è concentrata sui fatti più eclatanti (i fattoidi), un pericolo non inferiore si nasconde in questa vasta gamma di azioni manipolatorie, più quotidiane e meno evidenti, che si avvalgono delle variegate forme della falsificazione e dell’omissione. Infine, vi è una terza area assai frastagliata di forme più «veniali» e «innocenti» di falsificazione.
In terzo luogo ci sono le manipolazioni che strizzano l’occhio alla complicità del destinatario, come le claque organizzate in comizi o programmi televisivi a supporto dell’ospite di turno. Infine si ritiene giustamente che non si debbano confondere la falsificazione e l’omissione consapevole (e colpevole) con la selettività, la semplificazione di un messaggio o con la trasmissione di informazioni non accurate. Tutte queste appaiono senza dubbio come forme più veniali e innocenti di manipolazione e quindi, come tali, possono essere più facilmente assolte o giustificate. In realtà, e senza cadere in inutili moralismi, non si può tuttavia ignorare che anch’esse contengono un certo grado di ambivalenza e di rischio”. Cfr. Guido Gili e Giovanni Maddalena, Post-verità e fake news:radici, significati attuali, inattesi protagonisti e probabili vittime, Media Education, vol. 9, n. 1, 2018, pp. 3-5.
5 How blood-stained West orchestrated ‘genocide’ defamation against Xinjiang step by step – “Global Times”
6 Critiquing Western narratives on Xinjiang – CGTN
7 Ibidem
8 Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, Dinamiche e dati della popolazione dello Xinjiang, settembre 2021. Il documento è disponibile per il download in lingua italiana al seguente indirizzo: Cina: il rapporto demografico sullo Xinjiang smentisce “la menzogna del secolo” – Centro Studi Eurasia e Mediterraneo (cese-m.eu).
9 Per avere un’idea delle accuse rivolte dall’Occidente alla Cina su tale tematica, rimandiamo a quanto riportato nel China (Includes Tibet, Xinjiang, Hong Kong, and Macau) 2020 International Religious Freedom Report pubblicato dal Dipartimento di Stato USA e dall’Office of International Religious Freedom.
10 Per le attività della NED ad Hong Kong rimandiamo all’articolo Hong Kong, il “porto profumato” della Repubblica Popolare Cinese – Centro Studi Eurasia e Mediterraneo (cese-m.eu).
11 Che cos’è il Ned, l’esportatore di democrazia degli Stati Uniti (insideover.com).
12 S.3744 – 116th Congress (2019-2020): Uyghur Human Rights Policy Act of 2020 | Congress.gov | Library of Congress.
13 Uyghur Human Rights Policy Act Builds on Work of NED Grantees – NATIONAL ENDOWMENT FOR DEMOCRACY.
14 Per effettuare delle ricerche sui budget allocati dalla NED, rimandiamo alla seguente pagina NED Grant Search.
15 Maxime Vivas, op. cit., p. 56. Molti dirigenti di tale organizzazione risiedono negli Stati Uniti ed hanno, in precedenza, occupato ruoli direttivi presso Radio Free Asia, Radio Free Europe e Radio Liberty, agenzie di stampa create in seno alla CIA.
16 Lo stralcio dell’articolo del Global Times in questione è stato riportato da Andre Vltchek in Le WUC ouïghour est utilisé par l’Occident pour embraser le monde (reseauinternational.net).
17 Ibidem.
18 Amnesty International ha recentemente pubblicato un report dal titolo Like We Were Enemies in a war. China’s mass internment, torture, and persecution of muslims in Xinjiang.
19 Australian Strategy Policy Institute è diventata l’avanguardia della propaganda contro Pechino con la pubblicazione di numerosi report sullo Xinjiang. Fondato nel Governo australiano nel 2001, l’istituto in questione indica come proprie fonti di finanziamento il Ministero della Difesa australiano, il Dipartimento di Stato USA, il Dipartimento della Difesa USA, le ambasciate di Giappone, Olanda e Israele, e industrie di armamenti come Lockheed Martin e Northrop Grummman. Nel 2018, l’ASPI ha pubblicato Mapping Xinjiang’s ‘re-education’ camps, un database di luoghi che si definiscono come campi di rieducazione. Nel dicembre del 2020, la Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang ha smontato tale report pubblicando le foto dal basso di quelli che attraverso le immagini satellitari venivano presentati come centri di detenzione degli uiguri Le Xinjiang publie des photos de sites présentés comme des centres de détention des Ouïghours par des images satellites (reseauinternational.net). Le palesi affinità con il complesso militare-industriale occidentale rendono vacillante la pretesa obiettività del lavoro dell’ASPI. Scrivono gli analisti del The Transnational Foundation for Peace and Future Research che il lavoro dell’ASPI è commissionato e pre-determinato (TFF’s Behind The Smokescreen Report – The Transnational).
20 Questi due istituti hanno pubblicato nel marzo 2021 un rapporto dal titolo The Uyghur Genocide: an examination of China’s Breaches of the 1948 Genocide Convention (The Uyghur Genocide: An Examination of China’s Breaches of the 1948 Genocide Convention – Newlines Institute)che è stato confutato integralmente dalla minuziosa analisi del gruppo di lavoro del The Transnational Foundation for Peace and Future Research che ha raccolto le prove della faziosità del rapporto in un report titolato The Xinjiang Genocide Determination as Agenda. A critical analysis of a report by the Newslines Institute and the Raoul Wallenberg Center (TFF-GenocideAsAgenda.pages (transnational.live)).
21 Adrian Zenz, Thoroughly reforming them towards a healthy heart attitude’: China’s political re-education campaign in Xinjiang in Central Asian Survey, vol. 38, n. 12, p. 29.
22 Ibidem, pp. 31 e seguenti.
23 Maxime Vivas, op. cit., pp. 68.
24 Perché lo Xinjiang è centrale nella guerra fredda degli Stati Uniti contro la Cina – Marx21.
25 TFF-Smokescreen Report.pages (transnational.live), p. 50.
26 Western Media Misrepresents Situation in China – Antiwar.com Original.
27 Lo schema delle nove manipolazioni mediatiche è alla base del report di The Transnational Foundation for Peace and Future Research, Behind the Smokescreen. An analysis of the West’s destructive China Cold War Agenda and why it must stop, pp. 59 – 62.
28 Ibidem, p. 65.
29 Ibidem, p. 66 – 67.
30 Ibidem, pp. 68 – 69.
31 Maxime Vivas, op. cit., p. 113.
32 Ibidem, pp. 151 – 154.
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