di Lorenzo Borghi
Il 2021 è stato un anno ricco di eventi e incontri tra gli Stati per discutere delle politiche sui cambiamenti climatici: dalla notifica di rientro degli Stati Uniti all’UNFCCC per gli Accordi di Parigi alla COP-26 di Glasgow.
Tutto il mondo ha finalmente voltato pagina rispetto al 2021 e sta pianificando il proprio avvenire in questo 2022, ma, ad ogni modo, è necessario innanzitutto ripartire e osservare cosa sia successo nell’anno che abbiamo da poco lasciato alle nostre spalle.
GENNAIO – FEBBRAIO: GLI STATI UNITI APRONO AL NEGOZIATO PER GLI ACCORDI DI PARIGI
A inizio del 2021, il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, ha iniziato a smantellare la politica estera del suo predecessore, Donald Trump. Per l’appunto, il 20 gennaio 2021 Biden ha inoltrato alle Nazioni Unite la notifica di richiesta di partecipazione statunitense agli Accordi di Parigi 2015. Dopo circa venti giorni, l’UNFCCC (la Convenzione quadro dell’Onu sui Cambiamenti Climatici) ha accolto tale istanza, permettendo il ritorno ufficialmente nell’Accordo il 19 febbraio 2021.
Gli Stati Uniti erano stati gli unici, tra gli stati ratificanti, ad aver notificato il recesso e, quindi, determinato un rallentamento negativo sulle politiche globali di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Il rientro statunitense è significativo in quanto ha permesso all’amministrazione Biden di partecipare ai dialoghi sui cambiamenti climatici della COP-26 di Glasgow, tenutesi successivamente a inizio novembre.
MARZO: CLIMATE ACTION 100 “DENUNCIA” LE MANCATE RIDUZIONI DI CO2 DA PARTE DI TANTE AZIENDE INTERNAZIONALI
Nel 2018 è stata avviata l’iniziativa globale con l’obiettivo principale di garantire che le più grandi società emittenti di gas a effetto serra al mondo intraprendano azioni necessarie per contrastare concretamente il cambiamento climatico. Tale progetto quinquennale prese il nome di Climate Action 100. Diversi investitori hanno deciso di aderirvi per garantire il coinvolgimento dei più grandi emettitori globali di gas serra e le relative aziende, guidandole nella transizione verso un utilizzo di energia pulita, il net-zero emissions e il raggiungimento degli obiettivi degli Accordi di Parigi.
Ad ogni modo, nel marzo del 2021 il Climate Action 100 ha pubblicato un report1drammatico. Nell’analisi di 107 compagnie, e i relativi piani a medio termine, è emerso come solo 21 di esse rispettino i criteri stabiliti a Parigi e dalla Climate Action 100; situazione ancora più apocalittica per quanto concerne i piani a breve termine dove solo 8 aziende sono in regola. Infine, per quanto riguarda le emissioni Scope 3, più della metà delle aziende non le include nei propri piani per la neutralità climatica.
APRILE: GLI STATI UNITI ANNUNCIANO A TUTTO IL MONDO LA LORO NDC (NATIONAL DETERMINED CONTRIBUTION)
Secondo quanto stabilito dagli Accordi di Parigi, ogni Stato deve presentare, preferibilmente al momento della firma, un piano quinquennale dove stabilisce la percentuale di riduzione, l’anno entro cui ottenerla e l’anno di riferimento per i livelli di emissioni, oltre a chiarire i mezzi e gli strumenti attraverso cui riuscirà a ottenere quanto affermato nella propria NDC. Ogni cinque anni gli Stati membri devono presentare una nuova NDC più ambiziosa di quella precedente.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la nuova Amministrazione Biden ha reso pubblico all’interno del virtual meeting sull’emergenza climatica di giovedì 22 aprile, anche Giornata Mondiale della Terra, quali saranno gli obiettivi statunitensi di riduzione delle emissioni di gas effetto serra2: una riduzione del 50-52% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Comparandolo con l’NDC statunitense notificata nel 2016 sotto la presidenza Obama, emerge come Biden abbia deciso di raddoppiare l’impegno degli Stati Uniti nel mantenimento dell’aumento della temperatura terrestre sotto i 1,5°C.
“Dobbiamo provare a mantenere l’aumento della temperatura terrestre entro 1,5 °C. – ha affermato Biden – Il mondo oltre +1,5 °C significa incendi più frequenti ed intensi, inondazioni, siccità, ondate di calore e uragani, che spezzano comunità, strappano vite e mezzi di sostentamento”.
AGOSTO: IL DRAMMATICO RAPPORTO DELL’IPCC (GRUPPO INTERGOVERNATIVO DI ESPERTI SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI)
Il 9 agosto 2021 il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) ha pubblicato il sesto report3 dalla sua fondazione e, le rilevazioni effettuate hanno mostrato un quadro globale altamente drammatico e cinque scenari futuri basati sulle conseguenze delle attuali politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici attuate dagli Stati:
- Il riscaldamento globale di 1,5°C e 2°C sarà superato durante il corso del XXI secolo a meno che non si verifichino nei prossimi decenni profonde riduzioni delle emissioni di CO2 e di altri gas serra;
- Molti cambiamenti nel sistema climatico diventano più grandi in relazione diretta all’aumento del riscaldamento globale. Questi includono l’aumento della frequenza e dell’intensità degli estremi caldi, delle ondate di calore marine, delle forti precipitazioni, della siccità agricola ed ecologica in alcune regioni, della proporzione di cicloni tropicali intensi, della riduzione del ghiaccio marino artico, della copertura nevosa e del permafrost;
- Si prevede che un continuo riscaldamento globale intensifichi ulteriormente il ciclo dell’acqua su scala globale, compresa la sua variabilità, le precipitazioni monsoniche e la gravità degli eventi di precipitazione e siccitosi;
- Negli scenari in cui aumentano le emissioni di CO2, si prevede che i serbatoi di carbonio oceanici e terrestri saranno meno efficaci nel rallentare l’accumulo della CO2 in atmosfera;
- Molti cambiamenti dovuti alle emissioni di GHG passate e future sono irreversibili per secoli o millenni, in particolar modo i cambiamenti nell’oceano, nelle calotte glaciali e nel livello del mare.
SETTEMBRE: ACCORDO UE-USA SULLE RIDUZIONE DI EMISSIONI DI METANO CON ATTENZIONE VERSO LA COP-26 DI GLASGOW
Nel settembre del 2021 l’Unione Europea e gli Stati Uniti, assieme ad altri Stati (Argentina, Ghana, Indonesia, Iraq, Messico e Regno Unito), hanno dato il via al Global Methane Pledge4, ovvero un’iniziativa con cui si impegnano a ridurre i rilasci di questo gas in atmosfera di almeno il 30% entro il 2030 rispetto al 2020. L’obiettivo politico di questo piano, nato a ridosso della COP-26, era quello di presentarsi a Glasgow compatti e con un progetto credibile e attuabile, aprendo alla partecipazione a tutti gli Stati che si sarebbero presentati in Scozia a novembre.
Invece, tra gli obiettivi di mezzi e di risultati, il progetto sulla riduzione delle emissioni di metano si basa sulla riduzione del riscaldamento globale di oltre 0,2°C entro il 2050, tramite anche un controllo effettivo sulle riduzioni, utilizzando le migliori metodologie di contabilizzazione per quantificare le emissioni di metano, con un focus particolare sulle fonti ad alta emissione (il petrolio e il gas, il carbone, l’agricoltura e le discariche).
NOVEMBRE: IL 2021 DEL CLIMA TERMINA CON LA TANTO DECANTATA COP-26 DI GLASGOW
Dopo due anni di rinvii a causa della pandemia COVID-19, gli Stati hanno potuto incontrarsi fisicamente a Glasgow e dare il via alla COP-26. All’inizio degli incontri, gli obiettivi5 e le premesse che aleggiavano sopra la COP-26 possono essere riassunti in cinque punti:
- Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C. Si chiede ai Paesi di presentare obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni entro il 2030 che siano allineati con il raggiungimento di un sistema a zero emissioni nette entro la metà del secolo. Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi, ciascun Paese dovrà accelerare il processo di fuoriuscita dal carbone, ridurre la deforestazione, accelerare la transizione verso i veicoli elettrici e incoraggiare gli investimenti nelle rinnovabili;
- Adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali. Gli Stati dovranno incoraggiare i Paesi colpiti dai cambiamenti climatici e metterli in condizioni di proteggere e ripristinare gli ecosistemi, costruire difese, sistemi di allerta, infrastrutture e agricolture più resilienti per contrastare la perdita di abitazioni, mezzi di sussistenza e persino di vite umane;
- Mobilitare i finanziamenti. I Paesi sviluppati devono mantenere la loro promessa di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima, fissati inizialmente entro il 2020;
- Collaborare. Finalizzazione del “Libro delle Regole” di Parigi (le regole dettagliate necessarie per rendere pienamente operativo l’Accordo di Parigi) e avvio di nuove attività volte ad affrontare la crisi climatica rafforzando la collaborazione tra i governi, le imprese e la società civile.
Ad ogni modo, rispetto a quanto si chiedeva che gli Stati negoziassero a Glasgow e quanto hanno ottenuto nel comunicato finale, emerge come la COP-266 sia stata un grande compromesso tra le volontà di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici da parte dei Paesi Sviluppati e le richieste di deroga dei Paesi in Via di Sviluppo e da chi si maschera come tale:
- Si ribadisce l’impegno a fare i massimi sforzi per mantenere l’aumento della temperatura terrestre sotto i 2 gradi e sforzarsi successivamente a mantenere l’aumento sotto i 1,5 gradi, considerato dagli scienziati il valore limite entro cui mantenersi per prevenire conseguenze disastrose della crisi del clima. Il che si traduce in una promessa a tagliare le emissioni del 45% entro il 2030;
- Per quanto riguarda la riduzione di emissioni di carbone, gli Stati parte della COP-26 hanno concordato un impegno solo per il carbone unabated, ovvero senza sistemi di stoccaggio di CO2. Invece, per i combustibili fossili si è trovato l’accordo per il blocco ai combustibili “inefficienti”, accontentando quindi le richieste di Arabia Saudita e Russia, le quali sarebbero state le principali nazioni colpite da un eventuale blocco totale delle emissioni di combustibili fossili;
- I 100 miliardi di dollari annui in finanziamenti per il clima che dovrebbero apportare i Paesi Sviluppati sono stati rinviati al 2023;
- Viene riconosciuto il diritto a perdite e danni, ma non a quanto risarcimento gli Stati meno sviluppati e più vulnerabili debbano percepire. L’obiettivo è quello di trovare un accordo in tal senso nei prossimi due anni;
- Gli Stati hanno trovato un accordo su come regolamentare il mercato dei crediti, ossia un sistema di scambio delle emissioni tra i Paesi, attraverso cui chi inquina meno compensa chi sfora i limiti o ha bisogno di aiuto per non superarli;
- Utilizzo della sigla fx da parte dei Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di flessibilità nella contabilità delle emissioni può evitare di consegnare alcuni dati e riempire le caselle mancanti.L’obiettivo è quello di esortare gli altri Stati alla pazienza. Questo nuovo strumento inizierà a partire dal 2024;
- Il Global Methane Pledge è stato firmato da ben 105 Stati, ma non da India, Cina, Russia e Turchia così come da otto Paesi membri dell’Unione Europea: Austria, Polonia, Romania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania.
NOTE AL TESTO
1https://www.climateaction100.org/wp-content/uploads/2021/03/Climate-Action-100-Benchmark-Indicators-FINAL-3.12.pdf
2https://www4.unfccc.int/sites/ndcstaging/PublishedDocuments/United%20States%20of%20America%20First/United%20States%20NDC%20April%2021%202021%20Final.pdf
3 https://ipccitalia.cmcc.it/messaggi-chiave-ar6-wg1/
4 https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_21_4785
5 https://ukcop26.org/it/gli-obiettivi-della-cop26/
6 https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/the-glasgow-climate-pact-key-outcomes-from-cop26
Lorenzo Borghi si è laureato alla triennale in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso la Statale di Milano e sta attualmente frequentando la magistrale di Relazioni Internazionali, sempre presso La Statale di Milano.
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