di Sorel Kathy Mbah
Dopo undici anni di relativa calma, l’Uganda è tornata ad essere il bersaglio di attacchi kamikaze. La scorsa settimana, la capitale Kampala è stata lo scenario di un doppio attentato dinamitardo. Bilancio dell’attacco, secondo la polizia locale: 3 morti e più di 30 feriti. Inoltre, si tratta del quarto attentato perpetrato sul territorio ugandese dall’inizio di quest’anno.
Questo attentato, e non è l’ultimo, è stato rivendicato da DAESH anche se le autorità locali hanno attribuito questi attacchi alle forze democratiche alleate (ADF), un gruppo islamico ugandese che ha prestato fedeltà all’ISIS ed opera sotto la bandiera della Provincia dello Stato islamico dell’Africa centrale (PSIAC).
Il gruppo dello Stato Islamico (ISIS) ha quindi rivendicato i suoi primi attentati suicidi in Uganda, appena un mese dopo aver iniziato ad operare nel Paese. La minaccia terroristica che pesa ormai su questo Paese dell’Africa orientale ci spinge a interrogarsi sulle ambizioni di DAESH nel Corno d’Africa.
Un improvviso interesse che si potrebbe spiegare con i legami che sono stati stretti con ADF. In effetti, i legami con l’ISIS sembrano essere stati consolidati nel 2019 quando DAESH ha rivendicato le sue prime azioni nella regione di Beni nella Repubblica Democratica del Congo nell’aprile dello stesso anno, dichiarando così la creazione della filiale RDC del PSIAC.
È opportuno ricordare che le Forze Democratiche Alleate (FDA), precedentemente note come Forze Democratiche Alleate – Esercito Nazionale per la Liberazione dell’Uganda (ADF-NALU), sono state create nel nord dell’Uganda negli anni 90’.
L’ADF era una coalizione di gruppi armati ugandesi composta da ex ufficiali militari fedeli all’ex uomo forte Idi Amin Dada, il più grande dei quali era composto da musulmani contrari al regime del presidente Yoweri Museveni, al potere da ormai più di trent’anni durante i quali si è distinto per la persecuzione della popolazione islamica. Questo gruppo è successivamente stato sconfitto dall’esercito ugandese e respinto nel territorio di Beni, nella provincia del Nord Kivu nella Repubblica Democratica del Congo, nel 2001.
Una nuova fase della guerra
Come ha dichiarato DAESH in un suo comunicato, gli attentati suicidi “segnano una nuova fase nella guerra tra mujahedin e crociati ugandesi”, perché l ‘Uganda è “tra gli Stati che partecipano alla guerra contro l’Isis nell’Africa centrale”. Inoltre, “inviando truppe” nella Repubblica Democratica del Congo per combattere i loro militanti, “dopo che l’esercito congolese non è riuscito a fare progressi sul campo”, l’Uganda è vista da DAESH come complice ed al contempo un suo nemico. Secondo i messaggi dell’ISIS, sembra che il gruppo pensi che l’Uganda abbia recentemente iniziato a svolgere un ruolo attivo contro i suoi affiliati nell’Est della RD Congo, o almeno utilizza questa affermazione come scusa per prendere di mira l’Uganda.
Prima degli attacchi di novembre, l’Uganda non occupava un posto di rilievo nelle dichiarazioni o nelle minacce dell’ISIS. Ormai, il gruppo si rallegra degli attacchi contro i cristiani e di aver preso di mira il parlamento pluralista ugandese.
Chiaramente determinato a perseguire gli attivisti ovunque si trovano, il Governo ugandese ha chiaramente espresso le sue intenzioni malgrado il tentativo dell’ISIS di rivoltare l’opinione pubblica contro qualsiasi dispiegamento militare nella Repubblica Democratica del Congo. In seguito all’invito di Kinshasa, le forze ugandesi hanno una volta di più attraversato il confine occidentale del Paese entrando nella Repubblica Democratica del Congo. Prima di questa incursione, gli obiettivi della FDA avevano subito attacchi aerei da parte dell’esercito ugandese.
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