Lo Xinjiang nel periodo della Repubblica Popolare Cinese

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di Marco Costa

Nello Xinjiang l’Islam esercita un’influenza notevole nella vita sociale e culturale locale. Attualmente nelle varie parti della regione esistono 23 mila fra moschee e altri centri dediti ad attività religiose, quali templi lamaisti e chiese, in grado di soddisfare le esigenze dei fedeli. La popolazione uigura della Regione è raddoppiata da 5,55 milioni a oltre 12 milioni negli ultimi 40 anni e le persone di tutti i gruppi etnici godono di vari diritti garantiti alle autonomie secondo la legge. Possiamo perciò affermare che nello Xinjiang si stia realizzando – certamente con le difficoltà del caso legate al territorio, ai sabotaggi terroristici, alle interferenze straniere – quel processo di “unità nella molteplicità” sancito costituzionalmente nella Cina odierna, in cui convivono, lavorano e collaborano ben 12 comunità etniche differenti (Han, Uiguri, Kazaki, Hui, Kirghizi, Mongoli, Russi, Xibe, Tagichi, Uzbechi, Tartari e Mancesi) e differenti culti religiosi.

L’istituzione della Regione autonoma dello Xinjiang nel 1955 avvenne come naturale conclusione della fondazione della Repubblica Popolare Cinese il 1° ottobre del 1949, a seguito della vittoria nella regione delle forze comuniste su quelle nazionaliste il 12 ottobre dello stesso anno. Vittoria peraltro pacifica, ottenuta a seguito della resa del 25 settembre del generale nazionalista Tao Zhiyue e di Burhan Shahidi, altro leader politico del Kuomintang a Dihua, i quali annunciarono la resa formale delle forze nazionaliste nello Xinjiang ed il riconoscimento della RPC. Quando il fatidico 12 ottobre l’Esercito Popolare di Liberazione entrò nella regione, molti altri generali del Kuomintang come il generale musulmano Han Youwen1 si unirono alla defezione nazionalista e si unirono alle truppe comuniste, continuando in seguito a servire l’EPL come ufficiali nello Xinjiang. Alcuni leader del Kuomintang che non accettarono il nuovo corso politico e istituzionale fuggirono a Taiwan o in Turchia: Ma Chengxiang scappò attraverso l’India a Taiwan; Muhammad Amin Bughra e Isa Yusuf Alptekin fuggirono in Turchia. Masud Sabri fu invece arrestato dai comunisti cinesi e morì in carcere nel 1952.

Si parla di Liberazione Pacifica dello Xinjiang essenzialmente perché il passaggio alla nuova autorità comunista venne ottenuta essenzialmente con passaggi politici, visto il quadro più complessivo che dal ’45 in poi andava assumendo la guerra civile cinese tra nazionalisti e comunisti, con questi ultimi ormai lanciati vittoriosamente nel compimento del processo rivoluzionario. Infatti, oltre all’avanzata comunista nelle varie roccaforti nazionaliste, ci fu anche l’occupazione sovietica della Manciuria a seguito degli accordi di Yalta del 1945, con la definitiva resa delle forze imperialiste occupanti giapponesi. Nonostante in un primo momento i nazionalisti parevano meglio addestrati ed equipaggiati rispetto ai comunisti, a partire dal 1947 le truppe di Mao avevano già riconquistato le regioni chiave dello Shandong e dello Shaanxi, rifornitisi delle armi strappate ai giapponesi dopo il “sacco” della Manciuria, di quelle americane sottratte ai nazionalisti e in parte anche di quelle fornitegli dai sovietici. Le truppe maoiste, fortemente motivate dalla spinta ideale marxista e da quella concreta fornitagli dalle masse contadine speranzose di una riforma complessiva del mondo agricolo – che si arruolarono massicciamente con i maoisti – inanellarono una serie strepitosa di vittorie militari: prima Mukden in Manciuria, poi Pechino, Tianjin e nel 1949 anche Nanchino e Shanghai. Chang Kai-shek, ormai alle strette, provò dapprima a rifugiarsi a Canton, poi insieme ai suoi ultimi fedelissimi si rifugiò mestamente sull’isola di Formosa (Taiwan).

Tornando alla liberazione dello Xinjiang, va tuttavia precisato che il nuovo potere comunista riuscì nel suo tentativo grazie ad un duplice passaggio, ad una duplice trattativa, che era mirata ad ottenere il consenso sia della provincia dello Xinjiang nazionalista che dei cosiddetti “Tre distretti” facenti parte della breve esperienza dell’autoproclamata Seconda Repubblica del Turkestan orientale. Come abbiamo visto, sul finire dell’estate del 1949 le sorti della guerra civile cinese erano ormai segnate e l’Esercito Popolare di Liberazione entrò nel corridoio di Hexi nella provincia di Gansu, spingendosi inarrestabilmente verso lo Xinjiang. All’epoca, lo Xinjiang era gestito da un governo di coalizione con sede a Dihua (attuale città di Urumqi), che comprendeva sia i nazionalisti cinesi del Kuomintang che i rappresentanti dell’ex Seconda Repubblica del Turkestan orientale (ETR), un regime “fantoccio” fondato con il sostegno dell’Unione Sovietica nei Tre Distretti nello Xinjiang nordoccidentale durante la ribellione di Ili avvenuta nel 1944, poi scioltosi nel 1946. Sotto il governo di coalizione che amministrò lo Xinjiang dal 1946 al 1949, il Kuomintang controllava la maggior parte della provincia e i leader dell’ex ETR mantennero l’autonomia nei Tre Distretti. Nell’autunno del 1949, i comunisti cinesi raggiunsero quindi accordi separati con la direzione politica del Kuomintang e con quella dei Tre Distretti.

I comunisti cinesi indussero la leadership provinciale e militare del Kuomintang ad arrendersi, mentre l’Unione Sovietica persuase i leader dell’ex ETR ad accettare la superiorità evidente della compagine politica guidata da Mao Zedong. Nell’agosto 1949, quattro dei massimi leader dell’ETR che avevano già riconosciuto la costituzione della RPC, nella delegazione capeggiata da Ehmetjan Qasim, morirono in un incidente aereo in rotta verso Pechino per partecipare alla Conferenza Consultiva politica del popolo cinese, la conferenza del Fronte Unito e delle minoranze etniche della nazione. A dicembre, il nuovo Governo cinese inglobò l’esercito dell’ETR nel PLA; la maggior parte dei dirigenti della defunta ETR, in primo luogo Burhan Shahidi, accettarono l’accorpamento dei Tre Distretti autonomi nella neonata Repubblica Popolare Cinese e, insieme ai funzionari del Kuomintang arresisi, assunsero posizioni di alto livello nel nuovo governo regionale della RPC. Questo per ribadire che il controllo dello Xinjiang da parte dei comunisti cinesi è stato ottenuto in principalmente attraverso mezzi politici pacifici. Il PLA entrò nello Xinjiang nell’ottobre 1949 e controllò la maggior parte della vasta regione entro la primavera del 1950. Tra i principali attori militari nello Xinjiang, solo Yulbars Khan, un lealista del Kuomintang, e Osman Batur, un ex comandante dell’ETR diventato sostenitore dei nazionalisti, combatterono contro i comunisti cinesi, ma entrambi del tutto vanamente.

Il 19 agosto 1949, Mao Zedong, il leader indiscusso dei comunisti cinesi, telegrafò ai leader dei Tre Distretti, invitandoli a partecipare alla Conferenza Consultiva politica del popolo cinese inaugurale che si sarebbe tenuta a Pechino. Il 22 agosto, cinque leader dei tre distretti, Ehmetjan Qasimi, Abdulkerim Abbas, Ishaq Beg Munonov, Luo Zhi e Dalelkhan Sugirbayev salirono a bordo di un aereo sovietico ad Almaty diretto a Chita, ma morirono drammaticamente in un incidente di volo vicino al lago Baikal. Il 3 settembre, altri tre ex leader dell’ETR, tra cui Saifuddin Azizi, giunsero ​​a Pechino in treno. Azizi apprese la notizia dell’incidente aereo dall’ambasciatore sovietico e informò dell’accaduto il negoziatore della RPC Deng Liqun, ma l’incidente non venne annunciato pubblicamente. Azizi e gli altri rappresentanti dei Tre Distretti accettarono comunque di entrare a far parte della Repubblica Popolare Cinese, fondata il 1° ottobre.

L’unica resistenza organizzata che il PLA incontrò fu quella della milizia kazaka capeggiata da Osman Batur e dalle truppe russe bianche e Hui di Yulbars Khan, che servirono la Repubblica di Cina. Batur giurò fedeltà al Kuomintang e fu ucciso nel 1951. Yulbars Khan combatté le forze dell’EPL nella battaglia di Yiwu, ma quando fu abbandonato fuggì attraverso il Tibet, dove non fu accettato nemmeno dai fedeli del Dalai Lama, scappò allora a Taiwan attraverso l’India per aderire al regime della Repubblica di Cina (Taiwan). In definitiva, la Regione autonoma uigura dello Xinjiang della RPC venne istituita il 1 ° ottobre 1955, in sostituzione della provincia dello Xinjiang (1884-1955), ultima vestigia del vecchio ordinamento prima imperiale e poi nazionalista. Va ricordato – a proposito dell’incidente aereo riguardante i leader dello Xinjiang – che nella Repubblica Popolare Cinese i cinque leader dell’ETR morti nell’incidente del 1949 sono ricordati ancora oggi come eroi nella lotta contro il regime nazionalista. I loro resti furono restituiti alla Cina nell’aprile 1950 e successivamente seppelliti in un cimitero commemorativo degli eroi a Yining. Il cimitero ha un cippo con la calligrafia di Mao Zedong, che elogia gli eroi per i loro contributi alla rivoluzione e alla riunificazione del popolo cinese.

A questo punto è senza dubbio utile rispondere ad una domanda, concernente il nuovo assetto politico-istituzionale dello Xinjiang dopo la fondazione della Repubblica Popolare: quale sarebbe stata la nuova linea del governo di Pechino rispetto al tema delle minoranze etniche e religiose, così come rispetto alla questione delle autonomie locali?

In uno storico comunicato diramato dell’Ufficio di Propaganda di Pechino si inquadrava così la questione: «La questione dell’autodeterminazione dei popoli non dovrebbe più essere sollevata. In passato, durante il periodo della guerra civile, al fine di rafforzare l’opposizione delle minoranze al governo reazionario del Guomindang, impiegammo questo motto [l’autodeterminazione ai popoli!]. Tuttavia oggi la questione è fondamentalmente cambiata […]. Se vogliamo realizzare il grande proposito di unificare il nostro Paese e opporci alla cospirazione imperialista, non dobbiamo usare questo slogan in riferimento alla questione interna […] né permettere l’uso agli imperialisti o agli elementi reazionari tra le nostre nazionalità […] Gli Han costituiscono la maggioranza della popolazione (e sono) la forza più grande della rivoluzione. Sotto la guida del Partito comunista cinese, la vittoria della rivoluzione democratica del popolo dipenderà soprattutto dalla solerzia della nazione Han».2

In sostanza si affermano due concetti importanti: certamente la popolazione Han è maggioritaria, se non altro in termini numerici, ma non possiede tanto privilegi particolari quanto semmai oneri specifici. Insomma uno Stato multietnico che in modo unito e armonioso avrebbe dovuto adoperarsi verso l’unica causa dell’edificazione socialista. L’ampia questione della multietnicità nell’unitarietà della Cina va quindi affrontato almeno da un duplice punto di vista, ovvero da quello politico-ideologico e da quello strettamente giuridico. E in questo senso va fatto un chiarimento linguistico abbastanza determinante. Infatti Il termine shaoshu minzu, traducibile letteralmente con il significato di “minoranze etniche”, indica le 55 etnie, in cinese minzu, non Han, ufficialmente riconosciute dal governo e stanziate sul territorio nazionale della RPC. Per definizione, questi gruppi etnici minoritari, assieme all’etnia maggioritaria Han, danno forma alla nazione o nazionalità cinese: la grande e unica zhonghua minzu. Il termine minzu deriva dal giapponese minzoku che, a sua volta, si ispira al termine tedesco volk. Esso si compone di due caratteri: min che indica una comunità di uomini e zu che rimanda ad un raggruppamento di persone legato da vincoli famigliari o di sangue. In Cina, sia l’identità nazionale propriamente cinese, ovvero la zhonghua minzu, che le identità di tipo etnico e, in particolare, le minoranze etniche, vengono definite con lo stesso termine minzu. Ciò è possibile perché in Cina non viene registrata solo la presenza di diverse etnie ma anche di vari livelli di identità nazionale, partendo da “nazionalità di primo livello” (jiceng minzu, ovvero i 56 gruppi etnici) fino ad arrivare ad una forma di identità di “livello superiore” (gaoceng minzu) che si incarna nella zhonghua minzu.

Con l’ascesa al potere del PCC e la fondazione della Repubblica Popolare, il termine Zhonghua minzu fu ripreso per includere l’etnia Han e le 55 shaoshu minzu oggi ufficialmente riconosciute. La RPC è infatti definita, da tutte le principali leggi del Paese e in tutti i documenti e gli atti governativi, come “Stato unitario multietnico”: una sorta di grande famiglia di nazionalità. Il concetto di Zhonghua minzu è insomma considerato come una categoria onnicomprensiva che racchiude al suo interno tutti i popoli viventi all’interno del territorio cinese.

Il PCC decise, fondamentalmente, di adottare la definizione di “gruppo etnico” analoga a quella affermata in precedenza dai sovietici, il quale si configurava come una comunità stabile di individui, storicamente costituita, formata sulla base di un linguaggio, un territorio e un sistema economico comuni e di caratteristiche psicologiche che si manifestano in una cultura comune. I quattro criteri staliniani furono adattati dal PCC alla specificità cinese, e gli etnologi incaricati da Pechino identificarono 54 gruppi etnici, a cui se ne aggiunse un cinquantacinquesimo nel 19793. E a queste minoranze, veniva equiparato il cinquantaseiesimo gruppo, quello degli Han. In questo senso risulta tanto curioso quanto decisivo analizzare direttamente un breve scritto di Mao Zedong del 16 marzo 1953, intitolato “Criticare lo sciovinismo degli Han”. La direttiva si apriva con la constatazione di come, in alcune località del Paese, le relazioni intercorrenti tra i membri delle diverse nazionalità non fossero affatto stabili a causa del permanere, nel modo di pensare e negli atteggiamenti di molti funzionari e membri del partito, di una forte ideologia sciovinista e al limite del discriminatorio. Tale ideologia, definita da Mao «l’ideologia reazionaria della borghesia, della classe dei proprietari fondiari e del Guomindang che si esprime nelle relazioni fra le nazionalità», era assolutamente inammissibile ed assurda per i comunisti. Inoltre Mao afferma che «Le delegazioni inviate nelle località dove vivono le minoranze nazionali devono essere guidate da compagni che comprendono bene la nostra politica per le nazionalità, pieni di simpatia per i compatrioti delle minoranze nazionali che ancora soffrono per le discriminazioni; durante le visite essi devono svolgere seriamente inchieste e studi, aiutare le organizzazioni di partito e di governo locali a far venire i problemi alla luce e a risolverli; la loro visita non deve essere un “guardare i fiori restando a cavallo”. […] Perciò è necessario svolgere una seria opera di educazione, in modo che questo problema poco per volta si risolva. Inoltre i giornali devono pubblicare più articoli che, partendo da fatti concreti, critichino apertamente lo sciovinismo han ed educhino i membri del partito e il popolo».4

Da quel periodo si iniziò a dare attuazione anche dal punto di vista normativo ad una legislazione che avrebbe drasticamente rimosso ogni forma di discriminazione o disuguaglianza posta su base etnico-razziale all’interno della Cina Popolare. Questi concetti vennero infatti formalizzati anche dal punto di vista costituzionale in diversi passaggi, riguardanti sia lo Xinjiang che le altre autonomie locali e più in generale le varie etnie. Come con la legge elettorale approvata nel febbraio del 1953, che assicurava un minimo di centocinquanta su millecinquecento seggi nell’Assemblea del Popolo ai delegati espressi dalle minoranze e comunque almeno un rappresentante per ciascuna di esse, indipendentemente dal numero dei suoi cittadini.5 O la creazione della Commissione di Stato degli Affari etnici del 1952 con l’incarico di supervisionare contee (xian), prefetture (zhou) e regioni (qu) autonome istituite in quelle zone della nazione in cui una delle minoranze costituisse la maggioranza locale. Nello specifico, va ricordato che i gruppi islamici di origine turca e mongolica si concentrarono nella regione dello Xinjiang e nelle provincie del Gansu, Ningxia e del Qinghai.6

Interessante ricordare che nella Costituzione del 1975 all’articolo 4 si legge che «la RPC è uno Stato unitario multietnico. Le aree in cui è esercitata l’autonomia regionale sono tutte parti inalienabili della RPC. Tutte le nazionalità sono eguali. Lo sciovinismo grande-han e lo sciovinismo etnico-locale devono essere contrastati. Tutte le nazionalità hanno la libertà di usare le proprie lingue parlate e scritte».

Con la Costituzione del 1982, poi, sarebbero state ulteriormente specificate le norme in fatto di tutela delle minoranze etniche; nel suo preambolo si afferma che «La Cina è uno dei Paesi con la più lunga storia nel mondo. I popoli di tutte le nazionalità in Cina hanno contribuito alla creazione di una straordinaria cultura e hanno una gloriosa tradizione rivoluzionaria» mentre nell’articolo 4 si ribadisce esplicitamente che «tutte le nazionalità della RPC sono eguali»7.

In definitiva oggi, per riprendere le teorie del noto sociologo Fei Xiaotong, possiamo parlare della Repubblica Popolare Cinese come di nazione guidata dai concetti quali “unità pluralistica della nazione cinese” e di “Stato unitario multietnico”.8 Nel 2005, in occasione dell’incontro sul lavoro etnico del Governo centrale, l’ex Segretario generale Hu Jintao ha ribadito ulteriormente questo concetto ricordando che «nel lungo corso della storia, i vari gruppi etnici del nostro Paese hanno mantenuto stretti legami, facendo affidamento l’uno sull’altra e restando uniti come fossero uno solo. Ciò ha plasmato la nazione cinese come un’unità pluralistica in cui tutti i gruppi etnici hanno contribuito allo sviluppo nazionale e al progresso sociale nel suo complesso».9

Per concludere, si intende assicurare le numerose nazionalità minoritarie sussistenti nell’ambito dello Stato cinese alle quali verranno riconosciuti i rispettivi diritti e interessi legittimi, mantenendo e sviluppando i rapporti fra le nazionalità stesse sulla base dei principi dell’uguaglianza, della solidarietà e della mutua collaborazione.10 Ma mentre si bandisce ogni discriminazione ed oppressione nei confronti di qualsiasi gruppo etnico minoritario, in pari tempo si vieta rigidamente qualunque attività tendente ad indebolire lo stretto vincolo unitario fra le nazionalità stesse o ad incoraggiare eventuali tendenze separatiste. Lo scopo della Repubblica Popolare è appunto stato quello di cementare i vincoli di collaborazione fra i diversi gruppi etnici, mantenendo le loro peculiarità linguistiche e culturali, ma inquadrandoli saldamente nell’unità inscindibile dello Stato e nell’indiscutibilità ideologica del socialismo.

Dopo questa lunga parentesi dedicata più generalmente alla questione etnica e istituzionale nella Cina, occorre tornare nello specifico allo sviluppo che ha avuto la Regione autonoma dello Xinjiang negli ultimi decenni.

Dal punto di vista elettorale-rappresentativo, i quadri politici designati dalle minoranze etniche nello Xinjiang ed eletti a cariche pubbliche furono 46 mila nel 1955, 67 mila nel 1965, 93 mila nel 1975, 202 mila nel 1985, 272 mila nel 1995, 340 mila nel 2005 e 363 mila nel 2008, a testimonianza oggettiva dei risultati ottenuti dal Governo di Pechino al fine di promuovere e includere il ruolo delle minoranze di questa regione.11 Proporzionalmente, alla prima sessione plenaria dell’undicesima Assemblea Nazionale del Popolo del 2008, dei deputati espressi dallo Xinjiang circa il 60% apparteneva a minoranze etniche. Così come va ricordato che nello Xinjiang vengono rispettate le leggi riguardanti il bilinguismo, tanto nelle sedi ufficiali quanto tra la popolazione civile. Peraltro, le lingue locali regolarmente riconosciute sono nove, e non è un caso che il Quotidiano del popolo venga regolarmente stampato e diffuso in lingua han, lingua mongola, uigura, kazaka. E la stessa cosa vale per i testi scolastici.

Oggi la Regione autonoma dello Xinjiang è suddivisa in 14 prefetture, 99 contee e 1.005 villaggi; le aree urbanizzate – dove risiedono circa 25 milioni di abitanti – occupano soltanto il 9,7% del territorio regionale mentre il rimanente 90,3% resta di fatto incontaminato, dove domina la natura più selvaggia costituita da catene montuose (Altaj, Tian Shan, Pamir e Kunlun – confinanti rispettivamente con Mongolia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Pakistan, Afghanistan e con le province cinesi del Tibet e del Qinghai) aree semidesertiche o occupate da vasti bacini idrografici. Il capoluogo regionale è la città di Ürümqi, popolata da circa 3,5 milioni di abitanti.

A causa del clima secco, la maggior parte della terra coltivata nello Xinjiang dipende interamente dall’irrigazione. I vari gruppi etnici della regione hanno avuto una ricca esperienza nelle tecniche di conservazione dell’acqua e di irrigazione, di cui i pozzi del sistema qanāt nelle depressioni di Turfan e Hami sono un ottimo esempio. Dagli anni ‘50 questi sono stati notevolmente integrati con canali e bacini idrici e la quantità di terreno coltivabile è quasi triplicata.

Lo Xinjiang è autosufficiente per quanto riguarda i cereali. Circa la metà della superficie coltivata totale produce frumento invernale e primaverile. Il mais, altra coltura che caratterizza questa regione, viene coltivato prevalentemente nel sud. Anche il riso, il kaoliang (una varietà di sorgo da granella) e il miglio vengono prodotti in grandi quantità. Colture significative di cotone a fibra lunga sono prodotte nella depressione di Turfan e nel grande bacino del Tarim, e il cotone è diventato un’importante componente del reddito locale. Lo Xinjiang è uno delle principali regioni produttrici di frutta della Cina; i suoi dolci meloni Hami, l’uva Turpan senza semi, le fragranti pere Korla e le croccanti mele Ili sono molto conosciute in Asia. Le barbabietole da zucchero riforniscono un’importante industria di raffinazione dello zucchero nella Cina nordoccidentale. Luppoli e bozzoli di bachi da seta sono sempre più prodotti su larga scala per i mercati nazionali e per l’esportazione. L’allevamento del bestiame ha ricevuto una rinnovata attenzione, in particolare a nord della catena montuosa del Tien Shan.

Le risorse minerarie includono giacimenti di carbone, ferro, zinco, cromo, nichel e rame, nonché molibdeno e tungsteno (usato principalmente per rinforzare l’acciaio). L’oro è estratto e stoccato nei depositi sulle pendici meridionali dei Monti Altai. I prodotti di importanza nazionale dello Xinjiang sono anche petrolio e gas naturale. Da quando il primo pozzo petrolifero è stato sviluppato a Karamaynel 1955, quella zona è stata ampiamente sviluppata; successivamente è stato trivellato un secondo giacimento nel sud, vicino a Dushanzi. Anche lo sfruttamento sia del petrolio che del gas naturale nei bacini di Tarim e Hami (il giacimento petrolifero di Tu-Ha) si è notevolmente ampliato dalla fine degli anni ‘80, con la creazione di due nuovi giacimenti. Sono stati costruiti gasdotti da ovest a est per trasportare il gas naturale dallo Xinjiang alle città situate sulla costa orientale della Cina.

L’industria pesante dello Xinjiang comprende opere siderurgiche e una fabbrica di cemento a Ürümqi e una fabbrica di attrezzi agricoli a Kashgar. Impianti petrolchimici sono stati istituiti a Karamay, Dushanzi, Ürümqi, Korla (nel bacino nordorientale del Tarim) e Zepu (all’estremità occidentale del bacino). Anche la produzione di energia termica è importante per la regione. Le industrie che trasformano prodotti agricoli e animali sono state costruite in grande numero vicino alle fonti delle materie prime e comprendono diversi stabilimenti tessili e zuccherifici di barbabietola.

Per quanto riguarda i trasporti e le infrastrutture, un sistema di strade circonda il bacino del Tarim lungo le pendici delle catene montuose circostanti e le strade corrono lungo le pendici settentrionali del Tien Shan nel bacino dello Junggar. I due bacini sono collegati da strade che attraversano il Tien Shan vicino a Ürümqi ed a ovest di Ürümqi. Ci sono strade che portano al Kazakistan a nord, attraverso passaggi nel bacino dello Junggar, e al Tagikistan a sud, attraverso uno svincolo vicino a Kashgar, che era la storica porta della Via della Seta che a lungo ha facilitato il commercio tra l’Asia e l’Europa fin dalla notte dei tempi. La regione è anche collegata via terra al Gansu e al Qinghai nel sud-est. Inoltre, una ferrovia attraversa lo Xinjiang da Gansu attraverso Hami, Ürümqi e la Porta Dzungarian (detta anche Alataw Shankou; un passaggio attraverso la catena di Zhongghar Alatau), collegandosi con il sistema ferroviario del Kazakistan. I settori settentrionale e meridionale della provincia sono stati collegati anche da una ferrovia costruita attraverso il Tien Shan, da Turfan a Korla e oltre ad Aksu e Kashgar. Ci sono una dozzina di aeroporti sparsi in diverse città della regione, con Ürümqi che è il centro dei servizi dell’aviazione civile. Il settore turistico non è ancora molto sviluppato, ma molti investimenti in questo senso sono già previsti nei prossimi anni.

Secondo quanto riportato nel rapporto “Costruire un meraviglioso Xinjiang, realizzare il Sogno Cinese”, pubblicato dal Consiglio di Stato e presentato nel 2019 dal governatore regionale Shorhat

Zakir, il PIL dello Xinjiang è passato dai 791 milioni di yuan (€ 97,69 mln) del 1952 ai 1.220 miliardi di yuan (€ 159,67 mld) del 2018, ad un ritmo medio annuo dell’8,3%.12 Insomma una radicale trasformazione, una vera e propria rivoluzione produttiva ed economica, in cui si sono mantenute le tradizionali attività legate all’agricoltura e alla pastorizia, alla pesca e agli allevamenti ma sotto una spinta riformista e modernizzatrice che ha sviluppato anche una fiorente industria e si è aperta da poco anche alla ricerca sull’high-tech, con interessanti casi sperimentali di innovazione quali la Zona di Sviluppo Economico e Tecnologico di Ürümqi, inaugurata nella prima metà degli anni Novanta, ed un promettente settore dei servizi.

Rispetto a certo qualunquismo manipolatorio propagato dai soliti centri di potere occidentali, sono i fatti più delle opinioni a parlare; secondo i dati ufficiali, dal 2014 al 2019, il PIL dello Xinjiang è passato da 919,59 miliardi di yuan (circa 142 miliardi di dollari) a 1,36 trilioni di yuan, con un tasso di crescita medio annuo del 7,2%. Secondo gli standard attuali, 3,06 milioni di residenti rurali nella regione sono usciti dalla povertà, infatti 3.666 villaggi e 35 contee colpiti dalla povertà sono stati rimossi dalle liste dell’indigenza. Inoltre l’aspettativa di vita media della popolazione locale è passata dai 30 anni dei tempi della fondazione della nuova Cina, ai 72 anni attuali. La popolazione uigura della Regione è raddoppiata da 5,55 milioni a oltre 12 milioni negli ultimi 40 anni e le persone di tutti i gruppi etnici godono di vari diritti garantiti alle autonomie secondo la legge.13

In sintesi, possiamo affermare che nello Xinjiang si stia realizzando – certamente con le difficoltà del caso legate al territorio, ai sabotaggi terroristici, alle interferenze straniere – quel processo di “unità nella molteplicità” sancito costituzionalmente nella Cina odierna, in cui convivono, lavorano e collaborano ben 12 comunità etniche differenti (Han, Uiguri, Kazaki, Hui, Kirghizi, Mongoli, Russi, Xibe, Tagichi, Uzbechi, Tartari e Mancesi) e differenti culti religiosi. Infatti nello Xinjiang l’Islam esercita un’influenza notevole nella vita sociale e culturale locale. Attualmente nelle varie parti della regione esistono 23 mila fra moschee e altri centri dediti ad attività religiose, quali templi lamaisti e chiese, in grado di soddisfare le esigenze dei fedeli. Le principali organizzazioni religiose dello Xinjiang sono l’Associazione Islamica, l’Istituto dei testi islamici, l’Associazione Buddhista. Dieci etnie della regione professano l’Islamismo, tra cui gli Uiguri, i Kazaki e gli Hui, con oltre 9 milioni di praticanti, il 56,3% del totale della popolazione. D’altra parte nella regione circa 80 mila mongoli professano il buddhismo tibetano, con 40 templi lamaisti. La regione conta anche 30 mila cristiani protestanti e 24 chiese, e oltre 4 mila cattolici con 25 chiese e sedi di attività religiose. Infine un centinaio di Russi seguono la Chiesa Ortodossa, con due edifici cristiani.

La pacifica collaborazione è e dovrà essere sempre più un prerequisito allo sviluppo economico di questa regione cinese, che di anno in anno tornerà a riconfigurarsi secondo il compito che la storia le ha assegnato, quello di collegamento, crocevia, ponte tra culture nazioni ed economie nel progetto di implementazione della Nuova via della Seta terrestre e marittima.

NOTE AL TESTO

1 Han Youwen (1912–1998) è stato un generale musulmano di etnia Salar nel rivoluzionario nazionale dell’Esercito della Repubblica di Cina, nato nella contea autonoma di Hualong Hui nel Qinghai. Il suo nome musulmano era Muhammad Habibullah. Dopo avere aderito alla Liberazione Pacifica della regione, continuò a servire come ufficiale dal 1949 al 1953 nell’Esercito di liberazione popolare col ruolo di comandante della 7a divisione di cavalleria della 22a armata. Nel 1953-1954 Han fu quindi trasferito al ruolo di 3 ° vice capo di stato maggiore del comando dell’area militare dello Xinjiang.

2 Vedi F. Rosati, L’islam in Cina. Dalle origini alla Repubblica Popolare, L’asino d’oro edizioni, Roma, 2017, pp. 191-192.

3 Uno degli accademici incaricati del censimento e indicizzazione delle etnie cinesi da ricordare è senz’altro Lin Yaohua (1910 –2000), che è stato un importante sociologo e antropologo cinese. Venne scelto per i suoi studi sulle strutture familiari cinesi, nonché per il lavoro sui gruppi etnici minoritari cinesi, in particolare il popolo Yi. Collaborò con Fei Xiaotong nei suoi lavori sull’etnologia in Cina. Dopo l’istituzione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, anche Fei svolse un ruolo importante nella vita intellettuale e ideologica nazionale e in poco tempo iniziò a ricoprire un numero crescente di incarichi accademici e istituzionali. Nel 1951 divenne vicepresidente dell’Istituto centrale per le nazionalità di Pechino (oggi Università Minzu della Cina) e nel 1954 partecipò al Primo Congresso nazionale del popolo come membro della Commissione per gli affari delle nazionalità

4 Vedi Maria Arena Regis e Filippo Coccia (a cura di), Mao Zedong. Rivoluzione e costruzione. Scritti e discorsi 1949-1957, Torino, Einaudi, 1979, pag.93-94.

5 La prima Assemblea, composta da 1.226 deputati, fu in sessione dal 1954 al 1959. Oggi è composta invece da quasi 3 mila membri.

6 Da notare che tutti i gruppi musulmani cinesi appartengono ai sunniti, tranne il gruppo minore dei Tagiki che sono sciiti.

7 Consultabile in inglese per intero alla pagina http://www.asianlii.org/cn/legis/cen/laws/cotproc1982424/

8 «La Repubblica Popolare Cinese è uno Stato multietnico unitario, di cui il sociologo Fei Xiaotong descrive la composizione con la formula “origini multiple, un solo corpo”. Tale forma nazionale – pluralistica ma unificata – è il risultato di un millenario processo storico». Vedi Vedi M. Morigi, Xinjiang “Nuova frontiera”. Tra antiche e nuove Vie della Seta, Anteo edizioni, Cavriago (RE), 2019, pag. 152.

9 Hu Jintao, 2005, citato in MA Qizhi, The Pluralistic Unity of the Chinese Nation and China’s Ethnic Policy, 2011.

10 Anzi, come vedremo in seguito, alle minoranze sono state spesse garantite forma di tutela particolare, basti pensare alla loro esclusione dalla cosiddetta “politica del figlio unico”

11 Vedi M. Morigi, Xinjiang “Nuova frontiera”. Tra antiche e nuove Vie della Seta, Anteo edizioni, Cavriago (RE), 2019, pag. 152.

12 Vedi CIIC, SCIO briefing on Xinjiang’s development, Pechino, 31/7/2019; dati riportati anche nel report consultabile online https://www.cese-m.eu/cesem/wp-content/uploads/2021/05/IT-Xinjiang-3.pdf

13 Vedi https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/notiziario_xinhua/2021/03/30/cina-per-xinjiang-distinguere-il-bene-dal-male-2_934638f3-bcf5-4e68-a72c-ab5c2f33c2e5.html

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