Il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese ha pubblicato un documento nel quale analizza le criticità della democrazia statunitense. Il documento è stato pubblicato il 5 dicembre 2021 sulla versione inglese del Quotidiano del Popolo online. Di seguito un resoconto del rapporto con la possibilità di scaricare il testo completo in italiano.
Per decenni gli Stati Uniti si sono autoproclamati il “campione della democrazia”, arrogandosi il diritto di ergersi a giudice dei sistemi politici degli altri Paesi, senza disdegnare interventi diretti o indiretti per favorire l’abbattimento di governi ostili e l’emergere di governi a propria immagine e somiglianza. Quel tempo, tuttavia, è finito, e gli Stati Uniti non possono più considerarsi “il faro della democrazia”, e sono essi stessi soggetti al giudizio sferzante di altri attori internazionali, prima fa tutti la Repubblica Popolare Cinese.
A dire il vero, il sistema politico statunitense ha sempre avuto numerose falle sin dalla sua istituzione, ma queste sono venute a galla in maniera palese negli ultimi anni, minando l’immagine che Washington si era costruita al cospetto dell’opinione pubblica internazionale: “Nel corso degli anni, la democrazia negli Stati Uniti è diventata alienata e degenerata, e si è sempre più allontanata dall’essenza della democrazia e dal suo progetto originale. Problemi come la politica del denaro, la politica dell’identità, le dispute tra partiti politici, la polarizzazione politica, la divisione sociale, la tensione razziale e il divario di ricchezza sono diventati più acuti. Tutto ciò ha indebolito il funzionamento della democrazia negli Stati Uniti“, si legge nel rapporto del ministero degli Esteri cinese.
I problemi della democrazia statunitense sono dunque evidenti sia da un punto di vista interno che esterno. Si tratta infatti di un sistema politico volto a creare sempre maggior iniquità, pensato ad unico vantaggio di una piccola minoranza che detiene il potere economico: “La democrazia in stile americano è un gioco per uomini ricchi basato sul capitale, ed è fondamentalmente diversa dalla democrazia del popolo. […] Gli Stati Uniti sono un tipico paese dominato da una classe d’élite. Il pluralismo politico è solo una facciata. Una minoranza élitaria domina gli affari politici, economici e militari“. Da un punto di vista esterno, invece, “gli Stati Uniti hanno spesso usato la democrazia come pretesto per intromettersi negli affari interni di altri Paesi, causando caos politico e disordini sociali in questi Paesi e minando la pace e la stabilità mondiale e la tranquillità sociale in altri Paesi“.
Le falle del sistema politico della massima potenza capitalista mondiale sono tutte venute a galla negli ultimi due anni, portando numerose persone, sia statunitensi che straniere, a rivedere le proprie posizioni circa la democrazia a stelle e strice. La rivolta del Campidoglio del 6 gennaio 2021 ha assestato un duro colpo alle fondamenta dell’immagine degli USA come modello di democrazia. In secondo luogo, eventi come la morte di George Floyd il 25 maggio 2020 hanno dimostrato come il razzismo negli Stati Uniti non sia un fenomeno che riguarda alcuni individui, ma un vero e proprio male endemico della società statunitense: “Oggi, sebbene la segregazione razziale sia stata apparentemente abolita negli Stati Uniti, la supremazia bianca è ancora diffusa e dilagante in tutto la nazione. La discriminazione contro i neri americani e altre minoranze razziali rimane un fenomeno sistemico“. Infine, la gestione della pandemia di Covid-19 ha dimostrato l’inefficacia di un sistema basato unicamente sulla ricerca del profitto individuale, e non del benessere generale: “Con le migliori risorse sanitarie e mediche del mondo, come essi stessi affermano, gli Stati Uniti sono stati un disastro totale quando si trattava di risposta al COVID. Hanno il numero più alto al mondo di contagi e decessi“.
In politica estera, gli Stati Uniti hanno esercitato la violenza su altri Paesi in vari modi, ma sempre con il pretesto della democrazia. Questi metodi includono le “rivoluzioni colorate”, l’intervento militare diretto e le sanzioni economiche unilaterali. Sebbene con forme diverse, tutti questi attacchi sferrati ai Paesi che hanno l’unica colpa di non genuflettersi al progetto egemonico statunitense hanno portato risultati simili: “L’esportazione degli Stati Uniti dei suoi valori ha interrotto il normale processo di sviluppo nei Paesi interessati, ha ostacolato la loro ricerca di un percorso e di un modello di sviluppo adeguati alle loro condizioni nazionali, ha portato disordini politici, economici e sociali e ha distrutto, uno dopo l’altro, ciò che erano le belle patrie degli altri. Le turbolenze, a loro volta, hanno dato origine al terrorismo e ad altre sfide a lungo termine che minacciano e mettono a rischio la sicurezza regionale e persino globale“.
Oggi, sono in pochi a poter ancora sostenere il sistema politico statunitense come un modello di democrazia. L’ordine internazionale del XXI secolo esige la fine delle egemonie e l’inizio del multilateralismo tra pari, al fine di affrontare sfide globali come le pandemie, il rallentamento economico e l’emergenza ambientale: “Qualsiasi tentativo di spingere per un modello unico o assoluto di democrazia, utilizzare la democrazia come strumento o arma nelle relazioni internazionali, o difendere la politica di blocco e il confronto tra blocchi sarà una violazione dello spirito di solidarietà e cooperazione che è fondamentale in tempi difficili“.
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