di Stefano Vernole
Pubblichiamo l’intervento tenuto da Stefano Vernole, vice presidente del Centro Studi Eurasia e Mediterraneo, nel corso del webinar UCRAINA, POTENZIALI RUOLI GEOPOLITICI”
Un’Ucraina equilibrista è ormai irrealizzabile. La stessa presidenza Zelensky, dopo l’iniziale speranza, ha non solo archiviato gli Accordi di Minsk ma posto la parola fine a qualsiasi ipotesi di federalizzazione del Paese.
Indipendentista è assolutamente impossibile, perché l’Ucraina si trova a vivere una gigantesca crisi economico-finanziaria dovuta al mancato aiuto europeo e statunitense dopo il golpe di Maidan del 2014, per cui il suo vincolo esterno (russo o americano che sia) non farà che accentuarsi nei prossimi mesi.
Negli scorsi anni la Russia ha adottato una strategia di logoramento delle istanze indipendentiste/atlantiste di Kiev, con l’obiettivo di ottenere un governo a lei più favorevole. Visto il deteriorarsi della situazione sul campo e l’accentuarsi della pressione militare contro i suoi cittadini nel Donbass (centinaia di migliaia dei quali hanno passaporto russo), Mosca ha deciso recentemente di abolire le restrizioni doganali e consentire la libera circolazione di merci tra il proprio territorio e le Repubbliche di Donetsk e Lugansk. Ciò permetterà non solo il riconoscimento del certificato di conformità dei loro prodotti ma anche la possibilità di essere venduti ufficialmente sul mercato russo: in pratica una vera e propria integrazione economica delle due regioni russofone.
Adesso o Kiev accetta pacificamente lo smembramento del Paese e il ricongiungimento del Donbass alla Federazione Russa, oppure Mosca dovrà accettare che la NATO si trovi sempre più vicina alle proprie frontiere; quest’ultima ipotesi lascia prefigurare una futura invasione militare che nella storia ha precedenti poco favorevoli all’Occidente. Solo pochi giorni fa, il Congresso USA ha deliberato una risoluzione per non riconoscere un’eventuale conferma di Putin al Cremlino dopo il maggio 2024. L’alternativa a queste due opzioni è un conflitto diretto e dispendioso tra le parti in causa, non necessariamente una guerra lampo come in Georgia nel 2008.
In tale circostanza, la grande sconfitta sarebbe ovviamente l’Unione Europea. Se la Russia dovesse dare il via libera al ricongiungimento delle regioni russofone ucraine, a quel punto le converrebbe aprire il “vaso di Pandora” degli altri “conflitti congelati”: annessione immediata della Transnistria (dopo aver liberato Odessa e permesso il suo collegamento con il Donbass), dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Ma l’effetto domino si estenderebbe presto anche ai Balcani, dove la Russia può contare sull’alleato serbo al quale è stato strappato il Kosovo e Metohija in violazione della Risoluzione 1244 delle Nazioni Unite. Belgrado, a quel punto, potrebbe far tornare a casa i serbi di Bosnia (dopo aver messo in sicurezza la città di Brcko e il corridoio della Posavina), i quali da anni aspirano ad un referendum per distaccarsi da Sarajevo visto il tradimento occidentale degli Accordi di Dayton.
Diversi popoli europei da decenni vengono tenuti in ostaggio dall’unipolarismo statunitense; finora la Russia si è appunto limitata a “congelare” questi conflitti e ad utilizzarli come possibile merce di scambio con Washington, ma con quali risultati? Dopo il colpo di Stato a Kiev nel 2014 e il ritorno della Crimea alla Madrepatria, UE e USA hanno inaugurato la stagione delle sanzioni economiche, mentre l’Alleanza Atlantica ha continuato a rafforzare i propri dispositivi bellici nei Paesi dell’ex Est europeo, avvicinandosi sempre di più ai confini russi.
L’opinione pubblica occidentale, che pure non coincide con il volere dei suoi cittadini, non ha fatto mancare il proprio sostegno alla NATO, definendo a più riprese Vladimir Putin e la sua classe dirigente come un covo di autocrati anti-democratici e anti-liberali, rei di non aver consegnato le risorse energetiche russe alle multinazionali statunitensi.
E’ certamente vero che il mondo attuale non è più quello degli anni Novanta e nemmeno quello del 2011, l’anno delle vergognose aggressioni militari alla Libia e alla Siria. Il progetto della Belt and Road Initiative cinese e l’intervento russo in Siria hanno spezzato l’unipolarismo statunitense e lasciato intendere al mondo non colonizzato che un’alternativa geopolitica multipolare è possibile. La sconfitta militare di Washington e dei suoi vassalli in Afghanistan ha fatto perdere la residua credibilità di cui gli Stati Uniti ancora godevano dopo aver abbandonato l’alleato di Tiblisi nel 2008.
L’avvento di un nuovo sistema multipolare sarà tuttavia preceduto da un intermezzo bipolare, certamente più breve e contraddittorio di quello registrato durante la Guerra Fredda. La pressione statunitense continua ad essere forte non solo in Ucraina ma anche in Azerbaigian per il Nagorno Karabakh, in Bielorussia sulla questione dei migranti, in Siria dove USA e Turchia continuano ad occupare illegalmente porzioni di territorio e dove Israele bombarda quasi quotidianamente in spregio al diritto internazionale.
La pandemia ha accelerato il ricompattamento dell’Alleanza Atlantica dietro all’Amministrazione Biden, mentre Parigi vede in Mosca il principale competitore geopolitico in Africa; qualche distinguo in Europa potrà perciò registrarsi solo all’interno dei singoli governi ma di certo non a livello sovranazionale. Ecco quindi l’assoluto silenzio di Bruxelles di fronte alle violente provocazioni della NATO: le manovre militari nel Mar Nero e nel Mare d’Azov, i consiglieri militari statunitensi e britannici che addestrano le truppe di Kiev, i missili Javelin e i droni turchi forniti all’esercito ucraino. Solo nell’ultimo mese sono state registrate più di 30 sortite di bombardieri strategici statunitensi ai confini della Russia (fino a 20 km dai confini russi) nell’ambito dell’esercitazione Global Thunder, che prevede l’impiego di armi nucleari.
Se dovesse scoppiare un conflitto, questo coinvolgerà necessariamente anche la Bielorussia, sia per motivi strategici che geopolitici: l’unione tra i due Paesi procede ormai spedita e il dispiegamento dei missili Iskander-M a Minsk metterebbe nel mirino Kiev e i soldati della NATO a distanza ravvicinata. Inoltre, come sottolineato nei giorni scorsi dalle rispettive dirigenze politiche e militari, il tentativo di alcuni Paesi occidentali di scavare un fossato tra la Russia e la Cina è fallito; Mosca e Pechino continueranno ad estendere il loro partenariato strategico e a coordinare le loro azioni sulla scena internazionale.
L’Europa è consapevole del prezzo che rischia di pagare nel caso di una guerra che si annuncia disastrosa e cercherà finalmente di costruire un polo geopolitico autonomo dalla dominazione statunitense oppure è disposta ad affondare insieme a Washington? Questa è l’unica domanda che oggi necessita di una risposta.
Quanto all’Ucraina, la sua scelta atlantista la condanna a combattere un conflitto potenzialmente distruttivo per la sua stessa esistenza oppure ad accettare pacificamente il diritto di autodeterminazione che le due Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk hanno già manifestato chiaramente tramite referendum nel 2014.
Stefano Vernole – Roma 27 novembre 2021
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