Qatar: come diventare un mediatore e un decisore internazionale

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di Andreea Stroe

Qatar ha ricoperto il ruolo di mediatore in diversi conflitti in Darfur, Etiopia-Eritrea, Libano, Somalia, Israele e Palestina, Yemen e Sahara Occidentale, Siria e Indonesia e recentemente (ri)vediamo i qatarini in Afghanistan.1 La mediazione è collocata al centro della politica estera qatarina ed è andata di pari passo con la formazione di una politica estera proattiva, per certi versi troppo ambiziosa, indipendente e innovativa. È uno strumento talmente importante da essere inserita tra i primi articoli della Costituzione del 2003.2 In questo articolo, ci proponiamo di analizzare le motivazioni che spingono il Qatar a ricoprire il ruolo di mediatore nei diversi conflitti regionali e internazionali.

La mediazione al centro della politica estera qatarina

La mediazione è al centro della politica estera qatarina ed uno strumento adottato da parte dell’élite governativa in maniera razionale e strategica. La mediazione è una componente cruciale della politica estera qatarina, dimostratasi sempre più attiva e ambiziosa.3

L’articolo 7 della Costituzione del 2003 del Qatar sancisce che “la politica estera dello Stato si basa sul principio del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, favorendo la risoluzione delle controversie internazionali con mezzi pacifici e sostenendo il diritto del popolo all’autodeterminazione e alla non ingerenza negli affari interni dello Stato e alla cooperazione con nazioni amanti della pace.”.4 Questo ci dimostra l’importanza data dalle autorità al coinvolgimento del Paese nelle risoluzioni delle controversie internazionale, il desiderio di contribuire alla risoluzione di esse e il coinvolgimento nel raggiungimento della pace.5 In merito è importante ricordare che fino al 2013 lo Sheikh Hamad bin Jassim bin Jabr Al-Thani ricopriva, oltre al ruolo di Primo Ministro, il ruolo di Ministro degli Esteri – il che dimostra l’evidente priorità data alla politica estera nei programmi governativi.6

La decisione di collocare la mediazione al centro della politica estera è andata di pari passo con la formazione di una politica estera proattiva, per certi versi troppo ambiziosa, indipendente e innovativa, e rappresenta una chiara dichiarazione di autonomia mirata a ritagliare un’influenza regionale e internazionale.7

Qatar ha ricoperto il ruolo di mediatore in diversi conflitti in Darfur, Etopia-Eritrea, Libano, Somalia, Israele e Palestina, Yemen e Sahara Occidentale, Siria e Indonesia e recentemente in (ri) vediamo i qatarini in Afghanistan.8

La politica estera del Qatar dopo il 1995

L’emiro Sheikh Khalifa bin Hamad Al-Thani ha governato il Qatar dal 1972 al 1995 e ha cercato di garantire la sicurezza del proprio Paese rifugiandosi sotto l’ombrello di protezione saudita.9 Al contrario, quando il figlio, lo Sheikh Hamad bin Khalifa Al-Thani, ha preso il potere con un colpo di Stato nel maggio 1995, Qatar iniziò a adottare una politica estera più indipendente e autonoma. Nell’ultimo decennio, Qatar ha mantenuto ottime relazioni con gli Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita ma anche con Iran, Siria, e le organizzazioni Hamas, Hizb Allah, e i Fratelli Musulmani. Allo stesso modo, esiste un’ottima relazione anche con Cina e India in vista dei legami economici ed energetici.10

Nel 1996 Qatar inizia a normalizzare i suoi rapporti con Israele diventando il primo Paese del Golfo a stabilire rapporti con Tel Aviv. Pur mantenendo relazioni strategiche con gli Stati Uniti (Qatar è la sede delle due grandi basi militari statunitensi Al-Udeid e Sayliyah)11 e con gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo – ha investito nel conservare buone relazioni anche con Iran con cui condivide il più grande giacimento di gas al mondo. Nei primi anni duemila Qatar fu alla guida dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (2000-2003) ed ebbe la presidenza del gruppo G77+Cina presso le Nazioni Unite nel 2004. Momenti che hanno rappresentato l’occasione perfetta per l’affermazione della politica autonoma culminando nella prestigiosa assegnazione di un seggio di due anni al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel 2006-2007.12

Qatar ha ricoperto il ruolo di mediatore in diversi conflitti in Darfur, Etiopia-Eritrea, Libano, Somalia, Israele e Palestina, Yemen e Sahara Occidentale, Siria e Indonesia e recentemente (ri)vediamo i qatarini in Afghanistan.13 Qatar si impegnò al rilascio dei marocchini catturati dal Polisario nel Sahara Occidentale (febbraio 2004), a mediare la controversia Hamas – Fatah nell’ottobre 2006, a firmare un accordo di pace tra il Governo dello Yemen e gli Houthi (febbraio 2008), a ospitare i negoziati di pace tra le fazioni libanesi (maggio 2008 – con conseguente accordo di pace). Grazie alla mediazione del Qatar, Gibuti ed Eritrea raggiunsero un accordo di cessate il fuoco sulla disputa sui confini (giugno 2010) e il governo del Sudan e il Movimento di Liberazione e Giustizia firmarono il Documento di Doha per la pace in Darfur (luglio 2011).14

Lo scoppio di proteste di massa in Tunisia, Egitto e Libia all’inizio del 2011 ha fornito al Qatar un ulteriore opportunità per riaffermare il proprio modello di sviluppo politico ed economico.15

Prima del 2011, Qatar emerse come mediatore leader imparziale ma con l’arrivo delle primavere arabe diventò un sostenitore dell’interventismo. Anche se a prima vista le azioni interventistiche in Libia e Siria potrebbero sembrare una rottura della strategia di mediazione, è importante contestualizzare le scelte politiche e prendere in considerazione il cambiamento radicale nelle circostanze.16 Sulle azioni prese durante la primavera araba, Khaled Hroud, accademico palestinese, considera che le decisioni qatariote sono solo “una continuazione della sua politica estera attiva e sempre più crescente”.17

Oggi vediamo Qatar ricoprire un ruolo attivo nella crisi dell’Afghanistan. I talebani avevano aperto un ufficio politico a Doha nel 2013. Il 19 giugno del 2013 Barack Obama avviò i negoziati tra Usa e i talebani per la pace in Afghanistan. Tali negoziati furono ripresi da Donald Trump e portarono all’accordo di Doha del 29 febbraio 2020. Mentre Afghanistan viene messo in ginocchio dalla crisi economica, finanziaria e politica, Qatar insiste sul fatto che il gruppo al potere debba essere guidato e accompagnato nelle scelte del futuro; il merito il Ministro degli Esteri di Doha ha dichiarato che “è necessario impegnarci con chiunque governi l’Afghanistan perché abbondonare l’Afghanistan sarebbe un grosso errore”.

Queste performance sono state possibili grazie alle enormi entrate finanziarie garantite dalla vendita di idrocarburi, dalla stabilità interna, dalla natura pragmatica e strategica dell’agenda prestabilita e all’immagine di “Paese aperto al dibattito” costruita da Al-Jazeera.18

Le motivazioni che spingono il Qatar a ricoprire il ruolo di mediatore

Il Qatar ha utilizzato la mediazione come strategia di resilienza per migliorare la sua reputazione e confermare la sua legittimità e prestigio a livello regionale e internazionale; inoltre rappresenta un tentativo per presentare il Paese come attore indipendente e progressista.19 È legato al desiderio di aumentare il suo profilo internazionale e attraverso una strategia di “state-building” crearsi un’immagine di potenza diplomatica e mediatore onesto. È uno strumento centrale per migliorare il soft power e l’immagine globale del Qatar e massimizzare la sua influenza mantenendo legami stretti e linee di comunicazione aperte con amici e nemici.20 Il coinvolgimento del Qatar in diversi conflitti regionali è una forma di investimento che ha lo scopo di ritagliare un margine di influenza regionale e internazionale, soprattutto nei confronti dell’Arabia Saudita. L’Arabia Saudita, ad esempio, vede gli sforzi di mediazione del Qatar nello Yemen come una sfida alla sua influenza, e l’Egitto la pensa allo stesso modo riguardo alla mediazione del Qatar in Sudan e Gaza.21

Nel caso del Qatar, la mediazione appare come un mezzo per superare le sue limitate capacità demografiche, geografiche e militari (caratteristiche tipiche del piccolo Stato).22

Secondo alcuni analisti, la mediazione qatarina ha una caratteristica legata ad una sorta di altruismo – fattore connaturato nella società qatariota e fortemente incoraggiato dai principi coranici.23 Dall’altra parte, sebbene il Qatar investa in progetti umanitari in molti Paesi africani, la patina rappresentata dall’altruismo spesso copre degli interessi economici e geopolitici ben calcolati. Doha è interessata al mercato del cibo per garantire sicurezza alimentare, tenendo conto che circa 90% dei prodotti alimentari vengono importati. Gli investimenti in Sudan sono importanti proprio per questo motivo: nel 2009 il piano Hassad Foods Sudan, un investimento di circa 100 milioni di dollari, aveva l’obiettivo di coltivare 250’000 acri di terra. Così come il coinvolgimento del Qatar in Libia24 e all’interno del contesto delle rivolte arabe, sembra collegarsi agli interessi qatarini per il settore energetico; così come la mediazione tra il Governo afghano e talebani potrebbe facilitare un aumento dell’influenza in un Paese centrale per i corridoi energetici dell’Asia centrale e meridionale.

Infine, nonostante Qatar voglia mantenere un rapporto commerciale con Iran e ridurre il più possibile le tensioni, unanimemente gli altri Stati arabi sunniti tendono a prevedere un aumento dell’influenza iraniana nell’area. Per questo motivo, la spinta del Qatar verso un dialogo tra le forze governative e Hizb Allah in Libano, potrebbe essere letto come una ricerca di stabilità politica per evitare una maggiore influenza iraniana nel Paese. Infatti, un aumento della conflittualità e un’eventuale presa di potere sciita avrebbe comportano numerose tensioni e conseguenze negative per gli interessi sunniti e degli Stati appartenenti alla CCG e gli Stati Uniti.

Proprio per questo motivo il Qatar è un caso degno di nota: il piccolo Paese si comporta in maniera diversa rispetto a quanto si aspetterebbe da una minuscola potenza nella misura in cui si dedica a proseguire obiettivi ben superiori alla mera necessità di sopravvivenza e al proprio benessere economico. Attraverso precisi calcoli strategici mira a ritagliarsi margini di influenza regionale e internazionale, mira all’ottenimento di obiettivi materiali (sicurezza, investimenti) ma anche immateriali (rango, prestigio, reputazione, branding). In questo contesto, la mediazione è uno strumento perfetto adottato dal Qatar.

Andreea Stroe è laureata all’Università Ca’ Foscari in “Lingue, Culture e Società dell’Asia e dell’Africa Mediterranea” e all’Università Ca’ Foscari Magistrale in “Lingue, Economie e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa Mediterranea” con una preparazione in materie linguistiche (Arabo C1, Inglese C1, Turco B1, Francese A2, rumeno – madrelingua) ed economia (con focus sulle politiche energetiche), politica (terrorismo, istituzioni, migrazioni, crisi), letteratura e cultura.

Bibliografia

Articoli:

  • David Roberts, “Understanding Qatar’s Foreign Policy Objectives,” in Mediterranean Politics, 17(2), 2012
  • Kamrava, M., “Mediation and Qatari foreign policy”, in Middle East Journal, 65 (4), 2011, 539-556
  • Kristian Coates Ulrichsen, “Qatar’s Mediation Initiatives,” in NOREF Policy Brief, Febbraio 2013
  • Barakat, Sultan, “The Qatari Spring: Qatar’s Emerging Role in Peacemaking”, in LSE Kuwait Programme Working Paper, 24, 2012, 10
  • Barakat, S. “Qatari mediation: between ambition and achievement” in​ Brookings Doha Center Analysis Paper, 12​, 2014, pag 1-2
  • Khatib, L. “Qatar’s Foreign Policy: The Limits of Pragmatism”, in International Affairs, 89, 2013, 417-431
  • Khalid Hroub, “Qatar and the Arab Spring – Conflict and International Politics”, in “Beirut Middle East”, 3 marzo 2014, https://lb.boell.org/en/2014/03/03/qatar-and-arab-spring-conflict-intl-politics
  • Babak Mohammadzadeh, “Status and Foreign Policy Change in Small States: Qatar’s Emergence in Perspective”, in The International Spectator, 52( 2), 2017, 19-36, pag. 19-20.
  • Sultan Barakat, “Priorities and challenges of Qatar’s Humanitarian Diplomacy” in Bergen: Chr. Michelsen Institute CMI Brief no.7, Luglio 2019
  • Kristian Coates Ulrichsen, Un potere logorato dalla neutralità perduta, «Oasis», anno IX, n. 17, giugno 2013, pp. 56-60

Libro:

  • Ulrichsen Coates Kristian, Qatar and the Arab Spring, Oxford University Press, 2014

NOTE AL TESTO

1 Cfr. David Roberts, “Understanding Qatar’s Foreign Policy Objectives,” in Mediterranean Politics, 17(2), 2012.

2 Cfr. Kamrava, M., “Mediation and Qatari foreign policy”, in Middle East Journal, 65(4), 2011, pag. 539-556.

3 Cfr. Kristian Coates Ulrichsen, “Qatar’s Mediation Initiatives,” in NOREF Policy Brief, Febbraio 2013, pag. 1-3.

4 https://www.constituteproject.org/constitution/Qatar_2003.pdf?lang=en – Qatar Constitution 2003

5 Cfr. Ulrichsen Coates Kristian, Qatar and the Arab Spring, Oxford University Press, 2014, pag. 70.

6 Cfr. Barakat, Sultan, “The Qatari Spring: Qatar’s Emerging Role in Peacemaking”, in LSE Kuwait Programme Working Paper, 24, 2012, pag.10.

7 Cfr. Barakat, S. “Qatari mediation: between ambition and achievement” in​ Brookings Doha Center Analysis Paper, 12​, 2014, pag. 1-2

8 Cfr. Khatib, L. “Qatar’s Foreign Policy: The Limits of Pragmatism”, in International Affairs, 89, 2013, 417-431, pag. 418.

9 Cfr. Mehran Kamrava, Qatar: Small State, Big Politics (Cornell University Press, 2013), pag. 71.

10 Cfr. Zanitti Francesco Brunello, “Il Qatar: l’emergere di una piccola-grande potenza” in Geopolitica – La “Primavera Araba”, 1(2), 2012, pag. 95-108.

11 Cfr. Timur Akhmetov, “Explaining Qatar’s Foreign Policy,” Open Democracy, February 27, 2012; and Kamrava, Qatar, pag. 89.

12 Cfr. Ulrichsen Coates Kristian, Qatar and the Arab Spring, pag. 69-72.

13 Cfr. Khatib, L., “Qatar’s Foreign Policy: The Limits of Pragmatism”, pag. 418.

14 Cfr. Barakat, S. “Qatari mediation: between ambition and achievement”, pag 19.

15 Ibidem

16 Ibidem

17 Cfr. Khalid Hroub, “Qatar and the Arab Spring – Conflict and International Politics”, in “Beirut Middle East”, 3 marzo 2014, https://lb.boell.org/en/2014/03/03/qatar-and-arab-spring-conflict-intl-politics

18 Cfr. Barakat, S. “Qatari mediation: between ambition and achievement”, pag. 19-20.

19 Cfr. Babak Mohammadzadeh, “Status and Foreign Policy Change in Small States: Qatar’s Emergence in Perspective”, in The International Spectator, 52 (2), 2017, 19-36, pag. 19-20.

20 Ibidem

21 Cfr. Lina Khatib, “Qatar’s Foreign Policy: The Limits of Pragmatism,” International Affairs 89, no. 2 (March 2013): 417-431.

22 Cfr. Barakat, S. “Qatari mediation: between ambition and achievement”, pag. 18

23 Cfr. Sultan Barakat, “Priorities and challenges of Qatar’s Humanitarian Diplomacy” in Bergen: Chr. Michelsen Institute CMI Brief no.7, Luglio 2019, pag. 1-5

24 Cfr. Kristian Coates Ulrichsen, Un potere logorato dalla neutralità perduta, «Oasis», anno IX, n. 17, giugno 2013, pp. 56-60.

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