di Marco Costa
Come già si è intuito nei precedenti capitoli, la regione dello Xinjiang per tutto il corso della sua storia ha rappresentato un crocevia multiculturale unico, fatto di migrazioni, conflitti, riappacificazioni tra le popolazioni dell’Asia centrale, ponendosi al centro di due diversi poli culturali e politici, ovvero quello cinese ad oriente e quello turco e arabo ad occidente.
Va ricordato che attorno all’anno 840, un gran numero di Uiguri entrò nello Xinjiang per stabilirvisi. Gli Uiguri, originariamente chiamati Uyghur, discendevano dall’antica tribù Teli.1 Furono prima presenti nei bacini dei fiumi Selenga e Orkhon, per poi trasferirsi a nord del fiume Tura. Nel 744, gli Uiguri fondarono un khanato a Mobei e in seguito inviarono ripetutamente le loro truppe a sostegno delle autorità centrali Tang a reprimere la ribellione di An Lushan-Shi Siming. Il khanato uiguro crollò nell’840 per diversi fattori concomitanti, quali disastri naturali, conflitti interni e attacchi subiti dall’antica tribù Jiegasi. Di conseguenza, la maggior parte degli Uiguri emigrò verso ovest. Peraltro, alcuni loro sottogruppi si trasferirono nelle moderne regioni di Jimsar e Turpan, dove fondarono il regno di Gaochang Uighur. Un altro sottogruppo minoritario si trasferì nelle praterie desertiche, vivendo in condizione di semi-nomadismo in diverse aree disseminate nell’Asia centrale a Kashi2, e si unì ai popoli Karluk e Yagma nella fondazione del regno di Karahan. Successivamente, il bacino del Tarim e le aree circostanti caddero sotto il dominio del regno di Gaochang Uighur e del regno di Karahan.3 I residenti locali si amalgamarono con gli Uiguri che si erano trasferiti ad ovest, gettando così le basi per la successiva formazione del gruppo etnico uiguro. Nel 1124, Yollig Taxin, membro della casa regnante della dinastia Liao (916-1125), guidò il suo popolo, la tribù Khitan, verso ovest e conquistò lo Xinjiang, dove stabilì il regno del Liao occidentale. All’inizio del XIII secolo, Gengis Khan avrebbe poi capeggiato una spedizione con il suo esercito verso lo Xinjiang, dove concesse i territori che aveva conquistato ai suoi figli e nipoti. Gli Uiguri, a questo punto, assimilarono ulteriormente una parte delle popolazioni Khitan e dei Mongoli.4 Inoltre le influenze mongole in questo periodo furono ancora più significative, dovute all’influenza degli Oirat (o Zungari); in particolare quelli dell’area di Moxi (l’area a ovest dei vasti deserti dello sterminato altopiano mongolo) durante la dinastia Ming (1368-1644). Oirat che prima vivevano in aree sparse lungo il corso superiore del fiume Yenisaey, diffondendosi gradualmente nel corso medio dei bacini dei fiumi Ertix e Ili. Con l’inizio del XVII secolo si assistette poi all’ascesa delle tribù Junggar, Dorbüt, Huxut e Turgut. Nel 1670, gli Junggar occuparono il bacino del fiume Ili, ponendosi al comando delle quattro tribù, e posero lo Xinjiang meridionale sotto il loro controllo. Dal 1760 in poi, il Governo della dinastia Qing (1644-1911) inviò truppe Manchu, Xibe e Suolun (Daur) dal nord-est della Cina nello Xinjiang per rafforzare la difesa di frontiera della regione, che andarono ulteriormente ad arricchire il panorama etnico dello Xinjiang. Successivamente, anche russi e tartari migrarono nello Xinjiang. Sicchè alla fine del XIX secolo, lo Xinjiang aveva ben 13 gruppi etnici differenti, vale a dire Uiguri, Han, Kazaki, Mongoli, Hui, Kirzighi, Manchu, Xibe, Tajiki, Daur, Ozbek, Tatari e Russi. Gli Uiguri costituivano già allora la maggioranza relativa della popolazione della regione, proprio come oggi.
Se lo Xinjiang ha rappresentato nel corso della storia un vero e proprio crocevia di popoli ed etnie, altrettanto ha rappresentato e rappresenta ancora oggi un incredibile intreccio dal punto di vista dei culti religiosi professati. Infatti, ponendosi come principale snodo per gli scambi economici e culturali tra oriente e occidente fin dai tempi più remoti, lo Xinjiang è da sempre una regione in cui convivono numerose religioni. Ben prima che l’Islam muovesse i suoi primi passi nello Xinjiang, si erano già diffusi culti religiosi quali lo zoroastrismo, il buddhismo, il taoismo, il manicheismo e il nestorianesimo. Queste religioni, peraltro, erano andate ad aggiungersi ai culti primitivi locali come lo sciamanesimo. Comunque, anche a seguito dell’introduzione dell’Islam, la coabitazione di diverse religioni ha continuato ad essere all’ordine del giorno nello Xinjiang, a cui si sono aggiunti successivamente anche il protestantesimo e il cattolicesimo.
Intorno al IV secolo a.C., lo zoroastrismo, o culto del fuoco come veniva chiamato tra la popolazione, proveniente dall’antica Persia, arrivò nello Xinjiang attraverso l’Asia centrale. Divenne il culto maggioritario in tutto lo Xinjiang durante il periodo delle dinastie del sud e del nord e delle dinastie Sui e Tang, e risultava particolarmente seguito nella zona di Turpan.
Intorno al I secolo a.C., il buddhismo che era nato originariamente in India, si diffuse nello Xinjiang attraverso il Kashmir. Poco dopo, divenne la religione principale della regione grazie agli sforzi compiuti dai governanti locali per promuoverla. Al suo apice, i templi buddhisti si moltiplicarono nelle oasi intorno al bacino del Tarim e videro la frequentazione di gran numero di monaci e monache. Yutian, Shule, Qiuci e Gaochang erano i maggiori centri del buddhismo. Nello Xinjiang la cultura buddhista raggiunse una notevole diffusione, lasciando un prezioso patrimonio culturale di statue, dipinti, musiche tradizionali, danze, templi e grotte sacre, arricchendo notevolmente il patrimonio culturale e artistico cinese.
Successivamente, attorno al V secolo, fu il turno del taoismo, che fu introdotto nello Xinjiang dall’interno della Cina su impulso dei migranti Han. Tuttavia, il taoismo era limitato principalmente alle aree di Turpan e Hami, dove si concentravano la gran parte degli insediamenti Han. Fu solo durante la dinastia Qing che il taoismo si diffuse maggiormente nello Xinjiang.
Intorno al VI secolo, il manicheismo raggiunse lo Xinjiang dalla Persia attraverso l’Asia centrale. A metà del IX secolo, quando gli Uiguri, credenti nel manicheismo, si trasferirono a ovest nello Xinjiang, promossero lo sviluppo della religione nella regione. Costruirono templi, scavarono grotte, tradussero scritture, dipinsero affreschi e diffusero il credo e la cultura manichei nell’area di Turpan. Nello stesso periodo, il nestorianesimo, una precedente setta del cristianesimo, fu introdotto nello Xinjiang, ma non ebbe inizialmente un grande seguito; si diffuse solo quando un gran numero di Uiguri si convertirono durante la dinastia Yuan (1206-1368).
Tra la fine del IX secolo e l’inizio del X secolo, l’Islam si diffuse massicciamente nel sud dello Xinjiang attraverso l’Asia centrale; infatti alla metà del X secolo il regno islamico di Karahan intraprese una guerra contro il regno buddhista di Yutian, che proseguì per più di 40 anni. Va ricordato che l’antico regno di Khotan fu uno dei primi Stati buddhisti del mondo, e divenne un ponte culturale tramite il quale la cultura e la conoscenza buddhista furono esportate dall’India alla Cina. Ma nel 1006 Khotan era in mano al musulmano Yūsuf Qadr Khān, cugino del re musulmano di Kāshgar e Balāsāghūn. Tra il 1006 ed il 1165, dopo la caduta sotto Kara Khitay, divenne parte del Khanato di Kara-Khanid. Conquistò Yutian all’inizio dell’XI secolo e introdusse ufficialmente l’Islam nella zona di Hotan. A metà del XIV secolo, sotto la coercizione del Qagatay Khanate (uno Stato vassallo creato da Qagatay, secondogenito di Gengis Khan, nelle regioni occidentali), l’Islam divenne gradualmente la religione principale per i Mongoli, gli Uiguri, i Kazaki, Kirghizi e i Tagiki in quella regione. Di fatto all’inizio del XVI secolo lo zoroastrismo, il manicheismo e il nestorianesimo, le principali religioni degli Uiguri e di altri gruppi etnici, progressivamente scomparvero dallo Xinjiang, mentre il buddhismo e il taoismo continuarono a mantenere una parte di seguaci. A partire dalla dinastia Ming, il buddhismo (nella sua variante tibetana) divenne una religione di pari importanza dell’Islam nello Xinjiang. Successivamente, alla fine del XVII secolo, Apakhoja, capo della setta islamica Aktaglik, soppiantò il suo rivale politico Hoja della setta Karataglik. L’influenza di Apakhoja (anche conosciuto come Afaq Khoja) si diffuse ben al di fuori dello Xinjiang. Dal 1671 al 1672 predicò nel Gansu (che allora includeva parti della moderna provincia del Qinghai), dove aveva predicato in precedenza suo padre Muhammad Yusuf. In quel pellegrinaggio, visitò la città di Xining (l’odierno capoluogo della provincia del Qinghai), Lintao e Hezhou (ora Linxia), e si dice che convertì alcuni Hui e parecchi Salar al sufismo di Naqshbandi.
Con l’evolversi della storia, intorno al XVIII secolo il protestantesimo e il cattolicesimo si diffusero nello Xinjiang, in un’epoca in cui nella regione fiorivano il buddhismo, il taoismo e lo sciamanesimo, templi e chiese di queste fedi religiose si potevano trovare ovunque nello Xinjiang. Ci fu un grande fermento culturale ed anche una consolidata fluidità religiosa per la popolazione, e non era raro che anche alcuni musulmani cambiassero la loro fede convertendosi al cristianesimo o ad altre religioni. Quello che senz’altro emerge, è il fatto che storicamente il dominio di una particolare religione egemone ha continuato a mutare di volta in volta nello Xinjiang, ma la coesistenza di più religioni in seguito all’introduzione di fedi religiose esterne non è mai venuta meno.
Nella fattispecie della religione islamica nell’antica Cina – non solo nello Xinjiang – va anche rammentato il fatto che dal XII secolo in poi personaggi di questa fede occupavano diverse posizioni di prestigio all’interno dell’Impero.
Ad esempio nel 1136 il governatore di Quanzhou5, tale Lian Nanfu, concesse a un arabo di cognome Pu il titolo di “grado inferiore di funzionario del nono rango”, una onorificenza riconosciuta ai capitani di navi mercantili che incrementavano le entrate statali grazie ai dazi sulle merci straniere. Come riporta lo storico Zhoumi, «a Quanzhou c’era un prominente Musulmano del Sud (Nanfan Huihui), un mercante di nome Fulian, membro della famiglia Pu. Egli era così ricco da possedere ottanta navi. Alla sua morte gli sopravvisse una figlia. Le sue proprietà tra cui figuravano 130 picul [più di 7 tonnellate] di perle ed altri beni di egual valore, vennero confiscate dal governo».6 Sempre grazie al prestigio assunto nei commerci marittimi, altri musulmani acquisirono ruoli prestigiosi; nel 1276 a seguito dell’astuzia mostrata da Shougeng contro i pirati che allora imperversavano nel Mar Cinese Meridionale, questi venne promosso al rango di Comandante straordinario delle province del Fujian e del Guandong.
Con l’avvento della dinastia Yuan, dal 1279 al 1368, la Cina meridionale venne annessa al Gran khanato dei mongoli, e lo stesso Shougeng fu nominato vicegovernatore della provincia del Fujian. Quello che va annotato, è il fatto che da allora cambiò completamente la percezione delle comunità islamiche locali. Infatti alcune iscrizioni riportano nomi propri arabi affiancate dal corrispettivo cinese, a dimostrazione del fatto che gran parte dei musulmani dell’epoca erano ormai sinizzati ovvero assimilati, almeno a livello culturale e letterario. Proprio a partire dall’epoca Yuan, con l’appellativo Hui i cinesi avrebbero chiamato univocamente tutti i seguaci della religione di Maometto e non più solamente gli stranieri dell’Asia centrale, come era stato all’epoca della dinastia Song. Con la conquista mongola senz’altro si assistette ad un processo di espansione della cultura islamica; se infatti la religione del Corano era approdata in Cina attraverso l’Asia centrale durante l’epoca Tang, solamente nel periodo Yuan gli Huihui si diffusero in modo massiccio, sia attraverso processi migratori e commerciali, sia attraverso conversioni di cinesi.
È anche interessante indagare lo sguardo che avevano gli esploratori dell’epoca rispetto alla situazione religiosa e culturale della Cina attorno al XIII secolo. La Cina medievale è stata meta di due grandi viaggiatori: il veneziano Marco Polo e il marocchino Ibn Battuta, figura del mondo islamico che pochi conoscono. Marco Polo partì per la Cina nel 1271 e tornò nel 1291. Ibn Battuta, che viaggiò per il mondo dal 1325 al 1354, iniziò il suo viaggio per la città asiatica nel 1345. Entrambi i viaggiatori hanno raccontato l’esperienza dei loro viaggi attraverso la stesura di un’opera: Il Milione e la Rihla. Da una lettura comparativa fra i loro resoconti emergono due sguardi che, pur avendo tratti comuni, appaiono profondamente radicati nelle matrici storico-culturali e religiose di appartenenza. Sia Marco Polo che Ibn Battuta sono ben consapevoli dell’eccezionalità della propria impresa ed entrambi, come ammettono nei loro Prologhi, credono nella necessità del narrare per poter condividere un patrimonio di scoperte. Gran parte della narrazione delle due opere è dedicata alla descrizione delle città e della loro popolazione, commercio, alimentazione, abbigliamento, abitazioni e mezzi di trasporto. È vero che le informazioni forniteci su questi contesti di vita, come prevedibile, combaciano raramente, ma il ricercare le tante piccole differenze presenti nelle descrizioni degli stessi scenari urbani non è l’aspetto più interessante su cui soffermarsi. Appare invece molto più affascinante capire il modo, quasi opposto, in cui i due si avvicinano alle diverse culture che incontrano durante i loro viaggi. Ibn Battuta ha come sicuro ed incrollabile punto di riferimento la cultura araba del Corano e ciò che per lui conta nei viaggi è la rilevazione di ciò che è simile: la presenza dell’Islam. Ciò rende a Ibn Battuta faticoso vivere a contatto di tradizioni, usanze e leggi tanto diverse dalle sue. Il vero e proprio shock culturale non è invece avvertito dall’europeo e cristiano Marco Polo che applica al diverso le elastiche griglie culturali di origine e lascia ampio spazio alla curiosità. Questi differenti modi di rapportarsi sono ben visibili anche nel loro avvicinarsi alle religioni dei popoli incontrati. Marco Polo chiama idolatre le religioni diverse dal Cristianesimo, ma è comunque molto attento ad annotare tutti i loro riti. Ibn Battuta, primo viaggiatore arabo a fare del viaggio una scelta esistenziale non al comando di sovrani, è totalmente interessato solo a ciò che è espressione del mondo musulmano, mondo che Marco Polo, pur non avendo basi conoscitive, critica aspramente. Lo sguardo dei due viaggiatori si fa molto più simile solo nella descrizione di aneddoti e leggende. Qui non esiste più la differenza tra uomo cristiano e uomo musulmano, ma si tratta di due uomini ugualmente figli della mentalità medievale.7
Per spiegare il ruolo assunto dalla cultura islamica nella Cina antica – e non solo nello Xinjiang – bisogna infatti tornare all’epoca Yuan, nel corso della quale la circolazione di idee e gli scambi di merci fiorirono particolarmente all’interno di quel contesto che può essere definito come pax mongolica. Questo clima di particolare apertura culturale venne favorito grazie alla stabilità assicurata dai khanati mongoli tra il XIII e il XIV secolo, che abbracciavano territorialmente gran parte della Cina e dell’Asia centrale. Sicuramente, in questo periodo la Cina intrattenne ottime relazioni commerciali con la Persia ilkhanide, come ha testimoniato Ibn Battuta nei suoi incontri con i mercanti di Karbala diretti in Cina. Inoltre, da fonti storiografiche cinesi sappiamo che nel 1290 gli Yuan inviarono una delegazione ufficiale di novanta rappresentanti presso la corte ilkhanide di Arghun (1284-1291); tale delegazione ripercorse le stesse rotte già tracciate da Marco Polo due anni prima, allorquando fu incaricato di scortare in Persia la principessa mongola Cocacin, promessa sposa ad Arghun.8
In definitiva il periodo della dinastia Yuan venne caratterizzato per un clima di particolare tolleranza religiosa, in cui fiorirono le attività di proselitismo, si assistette a matrimoni misti e le conversioni furono ammesse (in alcune regioni furono assai frequenti). Un caso molto eclatante fu quello di Ananda. Questi era un principe reale della dinastia Yuan della Cina e dell’Impero mongolo; discendeva da Gengis Khan, essendo nipote di Kublai Khan e figlio di Manggala il terzo figlio di Kublai e dopo una conversione divenne un musulmano devoto. Secondo lo storico persiano Rashid-al-Din Hamadani, fu allevato da un musulmano dell’Asia centrale il cui nome era Hassan. Sotto l’influenza del suo patrigno, Ananda divenne musulmano. Addirittura l’Imperatore cinese Temür Khan, cugino di Ananda, tentò di riconvertirlo al buddhismo dopo aver scoperto che Ananda stava divulgando l’Islam nella Cina nordoccidentale, dove si trovava il suo feudo. L’azione del principe era vista come non ortodossa poiché la maggior parte dei mongoli era affiliata al buddhismo. Tuttavia, Ghazan Khandi Persia, un altro membro della famiglia di Gengis Khan, anch’egli convertito all’Islam si pose a sostegno di Ananda. Temür in conclusione non riuscì a far cambiare idea ad Ananda e decise di tollerare la sua pratica religiosa.9
Il padre di Ananda controllava i feudi della regione di Hexi, del Tibet e della provincia del Sichuan. Con l’ampio feudo controllato dalla famiglia, egli si rese un attore competitivo nella politica cinese: raccolse l’esercito sotto la sua tenda e convertì i soldati all’Islam. La posizione del trono di Ananda era nelle montagne Liupan della Cina nordoccidentale, dove Gengis Khan trascorse i suoi ultimi giorni. Il titolo ufficiale di Ananda era quello di Re di Anxi.
Peraltro anche dalle testimonianze di Marco Polo si evince che le conversioni furono frequenti, soprattutto nelle province del Gansu e del Ningxia.10
Tornando più nello specifico alle vicende dello Xinjiang, possiamo notare come in questa regione confluirono a partire dal XIV secolo due principali attori politici, ovvero quello mongolo e quello islamico. Infatti, dopo la morte di Qazan Khan nel 1346, il Khanato Chagatai, che abbracciava sia il Turkestan orientale che quello occidentale, fu diviso in Transoxiana ad ovest e nel Moghulistan ad est, che controllava l’attuale Xinjiang. Il potere nella metà occidentale passò nelle mani di diversi capi tribali, in particolare i Qara’una. Nella porzione orientale, Tughlugh Timur (1347–1363), un avventuriero chaghataita, sconfisse i nomadi mongoli e si convertì anch’esso all’Islam. Durante il suo regno (fino al 1363), i Moghul si convertirono all’Islam e lentamente assimilarono elementi della cultura turco-araba. Nel 1360, Timur invase la metà occidentale nella speranza di poter riunificare il khanato. Al loro apice, i domini Chaghataite si estendevano dal fiume Irtysh in Siberia fino a Ghazni in Afghanistan e dalla Transoxiana (il moderno Uzbekistan) al bacino del Tarim. Il Moghulistan occupò le terre colonizzate del Turkestan orientale e le terre nomadi a nord di Tengri tagh. Le terre abitate erano conosciute all’epoca come Manglai Sobe o Mangalai Suyah, che si traduce come “Terra Splendente” o “Terra Avanzata che affrontava il Sole”. Questi includevano città-oasi del Tarim occidentale e centrale, come Khotan, Yarkand, Yangihisar, Kashgar, Aksu e Uch Turpan; più raramente coinvolse le città-oasi orientali di Tangri Tagh, come Kucha, Karashahr, Turpan e Kumul, dove esistevano ancora un’amministrazione uigura locale e una popolazione in prevalenza buddhista. Le aree nomadi comprendevano l’attuale Kirghizistan e parti del Kazakistan, tra cui Jettisu, conosciuta come “area dei sette fiumi”.
Il Moghulistan durò effettivamente per circa un secolo e poi si divise in due parti: da un lato lo Stato di Yarkand (mamlakati Yarkand), con capitale Yarkand, che abbracciava tutte le terre abitate del Turkestan orientale; dall’altro il regno nomade di Moghulistan, che comprendeva le terre nomadi a nord di Tengri Tagh. Il fondatore di Yarkand era Mirza Abu-Bakr, che era della tribù Dughlat. Nel 1465 egli sollevò una ribellione, catturò Yarkand, Kashgar e Khotan e si dichiarò come sovrano indipendente, respingendo con successo gli attacchi dei sovrani del Moghulistan, Yunus Khan e suo figlio Akhmad Khan (o Ahmad Alaq, chiamato Alach, ovvero “il Macellatore”, per la sua guerra contro i calmucchi).
Gli emiri di Dughlat avevano governato il Paese che si trovava a sud del bacino del Tarim dalla metà del XIII secolo, per conto di Chagatai Khan e dei suoi discendenti, come loro satelliti. Il primo sovrano Dughlat, che ricevette le terre direttamente dalle mani di Chagatai, fu amir Babdagan o Tarkhan. La capitale dell’emirato era Kashgar e il Paese era conosciuto come Mamlakati Kashgar. Sebbene l’emirato, che rappresentava le terre colonizzate del Turkestan orientale, fosse formalmente sotto il dominio dei khan Moghul, gli emiri di Dughlat cercarono spesso di porre fine a tale dipendenza e sollevarono frequenti ribellioni, una delle quali portò alla separazione di Kashgar dal Moghulistan per quasi 15 anni, nel periodo dal 1416 al 1435. Mirza Abu-Bakr riuscì a garantire una certa stabilità a questo regno, governandolo per ben 48 anni.11
Nel maggio 1514, il sultano Said Khan, nipote di Yunus Khan (regnante del Moghulistan tra il 1462 e il 1487) e terzo figlio di Ahmad Alaq, compì una spedizione contro Kashgar da Andijan con soli 5000 uomini, e dopo aver catturato la cittadella di Yangi Hissar, che difese Kashgar dalla strada sud, prese la città, detronizzando Mirza Abu-Bakr. Poco dopo, altre città del Turkestan orientale – Yarkant, Khotan , Aksu e Uch Turpan – si unirono a lui e riconobbero Sultan Said Khan come sovrano, creando un’unione di sei città, chiamata Altishahr. Si ritiene che all’improvviso successo del sultano Said Khan abbia contribuito l’insoddisfazione della popolazione per il governo tirannico di Mirza Abu-Bakr e la riluttanza degli emiri a combattere contro un discendente di Chagatai Khan, decidendo invece di portare la testa del sovrano ucciso al sultano Said Khan. Questa mossa pose fine a quasi 300 anni di governo (nominale e effettivo) dei Dughlat Amir nelle città della Kashgaria occidentale (1219–1514). Egli fece di Yarkand la capitale di uno Stato, “Mamlakati Yarkand”, che sarebbe rimasto in vigore fino al 1678.
Nel XVII secolo, gli Zungari (conosciuti anche come Oirats, Kalmyks o Djungar) stabilirono un impero su gran parte della regione. Questi controllavano un’area conosciuta come Grande Tartaria o Impero calmucco per gli occidentali, che si estendeva dalla Grande Muraglia cinese al fiume Don e dall’Himalaya alla Siberia. Un maestro sufi – Khoja Āfāq – sconfisse il regno di Saidiye e salì al trono a Kashgar con l’aiuto dei mongoli di Oirat (Dzungar). Dopo la morte di Āfāq, gli Zungari tennero in ostaggio i suoi discendenti e mantennero il governo della dinastia nella regione di Altishahr (bacino del Tarim), che durò fino al 1759.
La fase successiva sarebbe stata quella del dominio degli Zungari, che fondarono un Khanato, dal 1687 al 1757. Gli Zungari di etnia mongola, che raccoglievano l’identità collettiva di diverse tribù Oirat, formarono e mantennero uno degli ultimi imperi nomadi, coprirono l’area chiamata Dzungaria che si estendeva dall’estremità occidentale della Grande Muraglia cinese all’attuale Kazakistan orientale e all’attuale Kirghizistan, arrivando fino alla Siberia meridionale. La maggior parte di questa zona venne appunto ribattezzata “Xinjiang” dai cinesi solo dopo la caduta dell’Impero Dzungar, che rimase in vita dall’inizio del XVII secolo alla metà del XVIII secolo.
Il popolo sedentario turco musulmano del bacino del Tarim era originariamente governato dal Khanato Chagatai mentre il nomade buddhista mongolo Oirat in Dzungaria governava il Khanato Dzungar. Il Naqshbandi Sufi Khojas, discendente del profeta Maometto, aveva sostituito i Chagatayid Khan come autorità di governo del bacino del Tarim all’inizio del XVII secolo. Ci fu un’aspra lotta tra due fazioni di Khojas, la fazione Afaqi (Montagna Bianca) e la fazione Ishaqi (Montagna Nera). Alla fine Ishaqi sconfisse l’Afaqi, il che portò l’Afaqi Khoja a invitare il 5° Dalai Lama, il capo dei buddhisti tibetani, ad intervenire in suo favore nel 1677. Il 5° Dalai Lama invitò quindi i suoi seguaci buddhisti Dzungar nel Khanato Dzungar ad agire in base questo invito. Il Dzungar Khanate poi conquistò il bacino del Tarim nel 1680, stabilendo l’Afaqi Khoja come proprio sovrano fantoccio, nel periodo di massima espansione dell’Impero tibetano.
Khoja Afaq chiese inoltre al 5° Dalai Lama quando fuggì a Lhasa di aiutare la sua fazione Afaqi a prendere il controllo del bacino del Tarim (Kashgaria). Il Dalai Lama chiese allora al capo Dzungar Galdan di restaurare Khoja Afaq come sovrano di Kashgararia. Khoja Afaq collaborò con gli Dzungar di Galdan quando gli Dzungar conquistarono il bacino del Tarim dal 1678-1680 e stabilirono gli Afaqi Khoja come governanti fantoccio. Il Dalai Lama benedisse la conquista da parte di Galdan del bacino del Tarim e del bacino di Turfan.
Circa 67.000 patman (ogni patman è di 4 picul e 5 pecks) di grano e 48.000 once d’argento furono pagate annualmente da Kashgar agli Dzungar, così come facevano il resto delle città. Anche le tasse sul commercio, sulla macinazione e sulla distillazione, il lavoro di corvée, l’estrazione dello zafferano, il cotone e il grano venivano estratti dagli Dzungar dal bacino del Tarim. Ogni stagione del raccolto, donne e cibo dovevano essere forniti agli Dzungar quando venivano a riscuotere le tasse da loro. Dopo essere stati convertiti all’Islam, i discendenti dei buddhisti uiguri di Turfan non riuscirono minimamente a conservare la memoria della loro eredità culturale ancestrale.
NOTE AL TESTO
1 Storicamente, il termine Uiguri (che significa “alleati” o “uniti”) venne applicato a un gruppo di tribù di lingua turca che viveva nell’odierna Mongolia, generalmente identificati con i Tie-le (a loro volta spesso collegati con i Ting-ling) delle cronache cinesi. Insieme ai turchi Gok (celesti), gli Uiguri furono dunque uno dei maggiori e più importanti gruppi di lingua turca ad abitare l’Asia centrale. Essi formarono una federazione tribale retta dal Juan Juan dal 460 al 545 e dagli Eftaliti dal 541 al 565, per poi essere sottomessi dal khanato dei turchi Gok.
2 Kashgar o Kashi (500.000 ab.) è attualmente una città della provincia autonoma dello Xinjiang e si trova presso un’oasi del deserto del Taklamakan.
3 Questo era un regno uiguro creato nell’843, con forti influenze buddhiste cinesi e tocare. Fu fondata da rifugiati uiguri in fuga dalla distruzione del Khaganato uiguro dopo essere stati cacciati dagli Yenisei Kirghiz; fondarono la loro capitale estiva a Qocho (chiamata anche Qara-Khoja, nel moderno distretto di Gaochang di Turpan) e capitale invernale a Beshbalik (moderna contea di Jimsar, nota anche come Prefettura di Ting). La sua popolazione è solitamente chiamata “Xizhou uiguri” dall’antico nome cinese Tang di Gaochang, o gli uiguri Arslan (leone) dal titolo del loro re.
4 Il popolo Kitai o Kathai, o Khitan, o Qidan o Ch’i-tan, fu una popolazione mongola, originaria della Mongolia interna, che si trasferì in Manciuria, nell’odierna Cina, attorno al IV secolo. Dominarono una vasta area della Cina settentrionale e fondarono nel X secolo la dinastia Liao; dopo la caduta di Liao nel 1125, molti Kitai si diressero a ovest e fondarono lo Stato di Kara Khitay, che fu definitivamente distrutto dall’Impero mongolo nel 1218.
5 Questa città era un porto molto frequentato, anche da navi provenienti dalla Malaysia fin dal VI secolo, e sotto la dinastia Tang (VII-X secolo) divenne, unitamente a Canton e Yangzhou, uno dei maggiori porti cinesi per il commercio estero. Raggiunse la massima prosperità durante le dinastie successive, tra il X e il XIV secolo. A quell’epoca il raso e altri tessuti locali erano commercializzati fino in Europa. Con il nome di Zaiton la città è citata da Marco Polo nel suo Milione. Da qui egli partì per accompagnare la principessa Cocacin in Persia. Una curiosità: zaytun in arabo significa “olivo”, ed era il nome con cui i mercanti arabi chiamavano la città. I cinesi, nel loro dialetto locale, la chiamavano invece Citun, da una varietà di alberi di catalpa (in cinese citong), in quanto il governatore Lin Congjiao aveva fatto piantare molti di questi alberi intorno alle mura della città.
6 Vedi Hajj Yusuf Chang, Chinese Muslim Mobility, pag. 148. Anche in F. Rosati, L’islam in Cina. Dalle origini alla Repubblica popolare, L’Asino d’Oro, Roma, 2017, pag. 46.
7 H. Park, Mapping the Chinese and Islamic Worlds: Cross-Cultural Exchange in Pre-Modern Asia, Cambridge University Press, 2012.
8 Arghun morì tuttavia prima che il lungo viaggio di Cocacin avesse termine, e la giovane principessa finì con lo sposare il figlio ed erede di Arghun, il più giovane Ghazan.
9 Temür Khan (Pechino, 15 ottobre 1265 – Khanbaliq, 2 febbraio 1307) conosciuto anche col nome mongolo di Temür e con quello cinese di Chengzong è stato imperatore della Cina dal 1294 al 1307, della dinastia mongola degli Yuan.
10 Vedi F. Rosati, L’islam in Cina. Dalle origini alla Repubblica popolare, L’Asino d’Oro, Roma, 2017, pag. 55.
11 Tale regno prende il nome da un fiume; infatti lo Yarkand noto anche come Yarkant, è un ramo sorgentifero del fiume Tarim della regione autonoma uigura dello Xinjiang, nell’estremità occidentale della Cina. Lo Yarkand, lungo 970 km, ha le proprie sorgenti sul passo Karakoram, situato sulla catena omonima, nella porzione del territorio del Kashmir sotto amministrazione pakistana. Nel suo corso superiore forma un breve tratto del confine tra Kashmir e Xinjiang, aprendosi una profonda valle attraverso le montagne del Kunlun. Dopo aver oltrepassato le gole del Kunlun, lo Yarkand, procedendo verso nord-est, perde il suo carattere di impetuoso torrente di montagna e si suddivide in molti rami su un conoide di deiezione per irrigare l’oasi di Yarkand.
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