di Andrea Turi
Alla memoria di André Vltchek
La chiusa del precedente I Diritti Umani e lo Xinjiang: il cavallo di Troia occidentale per destabilizzare la Repubblica Popolare Cinese richiamava lo stralcio di un articolo redatto dal giornalista Shane Quinn in cui si affermava che “la scala dell’influenza americana negli affari interni della Cina è stata limitata nella migliore delle ipotesi, ma continua comunque a ritmo sostenuto. Washington ha attuato una serie di politiche nella speranza di destabilizzare e frammentare la Cina. Le strategie del Pentagono nei confronti della Cina hanno in qualche modo rispecchiato quelle che hanno diretto contro l’URSS: utilizzo di gruppi per procura, estremisti e minoranze etniche, insieme a Stati clienti1”. La conferma di quanto riportato nell’incipit di questo lungo articolo è nelle parole del ex diplomatico statunitense Charles “Chas” W. Freeman, Jr. (uno dei pochi che non condannò l’azione del Governo di Pechino nei fatti di Tienanmen) che nel corso di una trasmissione radio ha ricordato “che la Central Intelligence Agency, con l’assistenza di alcuni vicini della Cina, ha investito 30 milioni di dollari nella destabilizzazione del Tibet e sostanzialmente ha finanziato e addestrato i partecipanti alla ribellione di Khampa e alla fine ha cercato di rimuovere il Dalai Lama dal Tibet, cosa che fecero. Lo scortarono fuori dal Tibet a Dharamsala. Ci sono stati sforzi simili fatti con gli Uiguri durante la Guerra Fredda che non sono mai veramente decollati. In entrambi i casi ha fatto sventolare la religione come vessillo a sostegno di un desiderio di indipendenza o autonomia che, ovviamente, è un anatema per qualsiasi Stato2”.
Come sosteneva già nel 1987 Edward S. Herman, ordinario di scienze finanziarie alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, all’iniziodell’articolo U.S. Sponsorship of International Terrorism: An Overview, “per il cittadino dell’Occidente, l’idea che gli Stati Uniti possano essere uno sponsor del terrorismo internazionale – figuriamoci lo sponsor dominante – apparirebbe completamente incomprensibile. […] I media occidentali, comunque, non si riferiranno mai agli Stati Uniti o al Sudafrica come “Stati terroristi” anche se entrambi hanno ucciso un numero di persone di gran lunga maggiore di Gheddafi in Libia o delle Brigate Rosse in Italia. […] La ragione per la percezione distorta occidentale è che il più forte definisce il terrorismo, e i media occidentali fedelmente seguono l’agenda dei loro propri leaders. Il più potente naturalmente definisce il terrorismo in modo da escludere le sue azioni e quelle dei suoi amici e clienti. […] Con i mass media compiacenti, specialmente negli Stati Uniti ma anche tra i Paesi clienti, il terrore è ciò che il potente Governo statunitense dichiara che sia terrore3”. È così che succede che le gesta di chiara matrice terroristica compiute dai gruppi operanti sul territorio dello Xinjiang vengano raccontate come sporadici4 atti necessari alla conquista di un’indipendenza dal Governo centrale di Pechino piuttosto che presentati al pubblico mediatico per quello che nella realtà sono: atti terroristici in piena regola volti a destabilizzare la politica interna della Repubblica Popolare Cinese.
D’altronde, non fu il Presidente Repubblicano Ronald Reagan, sostenitore delle operazioni militari segrete degli Stati Uniti in luoghi come l’Afghanistan, l’Angola e il Nicaragua, a dichiarare che la missione affidata al suo Paese “è nutrire e difendere la libertà e la democrazia e comunicare questi ideali ovunque possiamo. Il sostegno ai combattenti per la libertà è autodifesa”?; e non fu Hillary Clinton, Segretario di Stato sotto la Presidenza Obama a rilanciare affermando che oltre ad essere utilizzato in termini di autodifesa, il lavoro sporco dei combattenti per la libertà è un’opportunità da sfruttare per Washington visto che “con i suoi aspetti tragici, l’avanzata dell’ISIS attraverso l’Iraq offre al governo degli Stati Uniti la possibilità di cambiare il modo con cui affronta la caotica situazione della sicurezza in Nord Africa e Medio Oriente5”?Un potere egemonico con enormi risorse tecnologiche e finanziarie ha ampie opzioni nell’utilizzo sia dei mezzi pacifici che violenti per realizzare i propri obiettivi: “i mezzi violenti – scrive Herman – includono tutte le varie forme di terrorismo, e gli Stati Uniti come potenza egemonica le hanno utilizzate – o sponsorizzato il loro uso – tutte. In molte di queste modalità, gli Stati Uniti non sono unici, sono semplicemente quantitativamente importanti, a volte anche supremi, come terroristi e sponsor del terrorismo. […] Gli Stati Uniti hanno inoltre usato forme più convenzionali di terrorismo come ad esempio omicidi, sabotaggi e organizzazione di bande armate e terroristi armati. […] C’è un lungo elenco di bande armate sponsorizzate dagli Stati Uniti e attacchi contro Paesi dell’Est Europa, Unione Sovietica, Cina e Indocina, tra questi6”.
Uno dei mezzi ampiamente utilizzati è quello della sovversione, azioni mirate che includono campagne di disinformazione, pressione economica, intimidazioni, manipolazione del contesto istituzionale, uso discriminatorio degli aiuti e incoraggiamento e supporto a colpi di Stato e cospirazioni volte a screditare e destabilizzare governi presentati come ostili. “Gli Stati Uniti – sostiene Herman – sono talmente potenti che questi dispositivi sono usati, e a malapena notato, contro gli alleati più grandi, molti dei quali sono virtualmente Paesi occupati – economicamente e militarmente – con un gran numero di esponenti locali che servono gli interessi delle grandi potenze estere7”; già nel 1987 ci trovavamo davanti ad una “nuova fase e pericolosa dell’espansione imperiale statunitense. L’Occidente è stato mobilitato per una nuova crociata contro il progressivo cambiamento nel Terzo Mondo”.
Una volta di più, oggi l’Occidente sta portando avanti questa crociata contro la Repubblica Popolare Cinese tentando di distruggerla in ogni modo possibile, anche utilizzando la religione ed il terrore, proprio come avvenuto nella Regione Autonoma dello Xinjiang Uiguro (XUAR), la frontiera occidentale del territorio sovrano cinese dove, a partire dalla fine del XX secolo, si sono verificati atti di matrice terroristica compiuti da gruppi reclamanti l’indipendenza della regione e insieme del popolo uiguro da Pechino. A questo punto, dopo venti anni di guerra totale al terrorismo globale lautamente finanziato dalle stesse mani che volevano fermarlo, si induce una riflessione: nella visione occidentale, “il terrorismo è un male? Dipende da chi colpisce. Perché tra le tante etnie islamiche della Cina solo gli Uiguri sono un problema? Perché una parte seppure estremamenteminoritaria sta combattendo una guerra separatista a suon di attentati e i Paesi occidentali incoraggiano i terroristi sostenendo che gli uiguri stanno affrontando persecuzioni religiose” nella speranza che “se gli Uiguri dovessero ottenere l’indipendenza, anche tutti gli altri gruppi etnici (in Cina ce ne sono 56) inizieranno a chiedere la secessione portando alla disgregazione del Paese. Quindi, se qualcuno afferma che gli uiguri sono discriminati e perseguitati, bisogna chiedersi perché gli altri nove gruppi di mussulmani cinesi non lo sono. Nessuno di questi gruppi etnici musulmani è impegnato in conflitti con il Governo cinese”8.
Le potenzialità insite nell’utilizzo per procura di gruppi, minoranze etnicheed estremisti religiosi prevalentemente legati all’islamismo per fini afferenti i propri fini di politica estera ed egemonica a Washington furono intuite da due ferventi cristiani, il Presidente James Earl Carter Jr. e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Kazimierz Brzezinski: nel 1979, Carter firmò un ordine presidenziale altamente confidenziale con cui si autorizzava quella che è passata alla Storia come la più grande operazione segreta nella storia della Central Intelligence Agency (CIA) che prevedeva di addestrare formazioni di musulmani fondamentalisti al fine di condurre la Jihad contro gli infedeli comunisti dell’Unione Sovietica e tutti i non credenti dell’Islam sunnita conservatore e portare avanti la guerra terroristica dei mujaheddin contro i soldati sovietici in Afghanistan; la strategia dell’arco di crisi teorizzata da Brzezinski aveva trovato la sua attuazione sul campo in quell’estate del 1979, sei mesi prima dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, quando la CIA aveva già iniziato a finanziare elementi di un’emergente forza mujahidin islamista all’interno del territorio afgano; il concetto tattico si basava sull’idea che dato che l’Unione Sovietica veniva vista come un regime laico e ateo, avendo schiacciato la religione nella sua sfera di influenza, l’ascesa dell’influenza e dei governi islamici nel Medio Oriente e in Asia Centrale avrebbe impedito all’Unione Sovietica di esercitare la propria influenza nella regione, visto che gli estremisti musulmani avrebbero diffidato dei sovietici ancor più di quanto diffidassero degli americani; Secondo l’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Zbigniew Brzezinski e l’ex direttore della CIA Robert Gates, l’intento era di aumentare la probabilità di un’invasione sovietica e intrappolare i sovietici in un pantano vietnamita. Vent’anni dopo, nel 1999, Graham E. Fuller, lo stratega e l’architetto principale di tale strategia alla CIA e agli apparati militari, non fece mistero del fatto che “la politica di guidare l’evoluzione dell’Islam e di aiutarlo contro i nostri avversari ha funzionato meravigliosamente bene in Afghanistan contro i russi. Le stesse dottrine possono ancora essere utilizzate per destabilizzare ciò che resta della potenza russa, e soprattutto per contrastare l’influenza cinese in Asia centrale9”.Alla caduta dell’Unione Sovietica tale pensiero di forgia statunitense è traslato mutatis mutandis nella strategia di contenimento del nuovo rivale regionale, la Repubblica Popolare Cinese. In quest’ottica, è indubbio che lo Xinjiang divenne, allora, l’obiettivo comodo, adatto e confacente le esigenze imperialiste statunitensi di contenere la crescita esponenziale della potenza cinese. Scrive Giambattista Cadoppi nell’articolo Xinjiang: X la strategia americana del Kaos che “la proposta di Fuller è diventata la strategia politica segreta degli Stati Uniti alla fine degli anni Novanta. La politica di Washington di “armare” e formare islamisti radicali e fondare migliaia di scuole islamiche radicali e madrase in Medio Oriente, Africa e Asia centrale, complete di libri scolastici radicali tradotti dalla CIA e interpretazioni del Corano che alimentavano l’odio per “infedeli” o i mussulmani non-sunniti, doveva essere diretta contro il colosso economico emergente della Cina, contro un nemico russo già indebolito e infine contro l’Iran e Hezbollah. Con il caos creato dal crollo dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta, la CIA si è precipitata nelle repubbliche dell’Asia centrale di recente indipendenza per stabilire immediatamente la propria presenza usando i mujahidin veterani delle guerre in Afghanistan. Hanno trasportato i mujahidin jihadisti in Azerbaijan per ottenere il controllo del governo e favorire le compagnie petrolifere statunitensi e britanniche. Hanno portato i mujahidin in Cecenia e nell’ex Caucaso sovietico per scatenare il terrore e il caos bloccando l’oleodotto russo-azero e indebolire la Russia, già in difficoltà, dell’era di Eltsin. Meno conosciuti, sono gli sforzi di portare i veterani della guerra santa dei mujahidin in Uzbekistan, Kirghizistan e persino all’interno dei confini cinesi nella provincia, in gran parte musulmana, dello Xinjiang. La proposta di Graham Fuller veniva attuata segretamente contro la Cina. Lo Xinjiang è un importante centro della nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative, BRI), che Washington intende sabotare. Usciti vincitori dalla guerra fredda nel 1991, gli Usa si sono autonominati il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali”, proponendosi di “impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione – l’Europa Occidentale, l’Asia Orientale, il territorio dell’ex Unione Sovietica e l’Asia Sud-Occidentale (il Medioriente) – le cui risorse sarebbero sufficienti a generare una potenza globale. Le accuse sui pretesi “campi di concentramento” nei media occidentali servono a demonizzare la Cina come “regime nemico”, insieme alla Russia.
[…] Il recente coro di attacchi a Pechino per il trattamento della minoranza musulmana nello Xinjiang ignora convenientemente il motivo per cui Pechino è molto allarmata. Uno dei motivi principali è che ci sono tra i 5 e i 20 mila uiguri che combattono come jihadisti islamici in Siria, e stando e a quanto riferito vengono allenati per tornare in Cina e condurre la jihad contro il governo nella regione che è il cuore delle reti petrolifere e dei gasdotti cinesi e un hub per la nuova Via della Seta. Il ruolo della Turchia e del governo di Erdogan nel sostenere i cosiddetti “popoli del Turkestan orientale” è nel migliore dei casi poco chiaro, nel peggiore dei casi, malevolo. In questo frangente, è chiaro che il problema uiguro della Cina affonda le sue radici in decenni di finanziamenti dell’Arabia Saudita ai progetti della CIA in Asia per conto della Fratellanza Musulmana e dei loro gruppi terroristici tra cui Al Qaeda, Al Nusra in Siria e l’ISIS. I disordini di Urumqi nel 2009 innescati dalle organizzazioni uigure con sede a Washington, sono scoppiati solo pochi giorni dopo un incontro tra i membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che avevano come ospite ufficiale l’Iran di Ahmadinejad, a Ekaterinburg. C’era una chiara connessione tra l’incontro di Ekaterinburg e la rivolta uigura. Washington non era affatto felice di vedere cooperare le nazioni dell’Eurasia. Per la Cina, il controllo del Xinjiang, passaggio naturale per chiunque tentasse di invaderla, è sempre stato cruciale. Tutte le dinastie cinesi nel corso dei secoli hanno sempre operato per conservare questa fondamentale provincia. I cinesi hanno ripetuto per secoli: “Se lo Xinjiang è perso, la Mongolia è indifendibile e, con questo, Pechino è vulnerabile”. L’Eurasia sarà sempre più il campo di battaglia e la distruzione del progetto Belt and Road è la ragione d’essere degli sforzi dell’Impero10”.
Nel 2013, infatti, il presidente Xi Jinping ha iniziato un grande tour nei Paesi dell’Asia centrale per promuovere i piani cinesi per costruire la Belt and Road Initiative – meglio nota come Nuova Via della Seta – in tutta questa area strategica, progetto che vede, di fatto, nello Xinjiang la sua porta di accesso: la Regione Autonoma dello Xinjiang Uiguro è tagliata da tre importanti corridoi economici il New Eurasian Land Bridge Economic Corridor, che connette le regioni costiere cinesi orientali ai mercati dell’Europa settentrionale; il China-Central West Asia Economic Corridor, che parte da Urumqi, tocca il Medio Oriente e fa tappa nel porto del Pireo in Grecia dove il gruppo China Ocean Shipping Company (COSCO) ha deciso di investire 200 milioni di euro in tre nuovi progetti infrastrutturali e nella costruzione di un quarto terminal container11; e il China-Pakistan Economic Corridor, collegamento tra la cinese Kashgar e il Mar Arabico.
La XUAR, dunque, è la porta della Cina verso l’Asia meridionale, l’Asia centrale, il Medio Oriente, la Russia e l’Europa orientale e occidentale. Ed è per tale ragione che gli strateghi americani nell’apprezzare la sua posizione strategica fanno dello Xinjiang il punto cardine del contenimento della Cina e – consapevoli che il successo internazionale della Repubblica Popolare Cinese passa anche (se non soprattutto) dalla riuscita della Nuova Via della Seta12 – il centro nevralgico di una campagna di destabilizzazione ancora in corso elaborata dagli eredi di Graham Fuller per mezzo di bande terroristiche della Jihad islamica che agiscono come longa manus statunitense nella regione. Lo stesso Fuller, nel suo report per il Central Asia-Caucasus Institute titolato The Xinjiang Problem sostiene che “il destino dello Xinjiang sarà determinato soprattutto dal destino della Cina nel suo insieme. Nonostante tutti i discorsi sullo Xinjiang come una “regione autonoma”, le politiche e le pratiche di Pechino sono parte integrante delle sue politiche altrove, non solo nelle altre quattro regioni autonome ma in tutti i territori etnici e, alla fine, nelle altre province. Pertanto, gli scenari sul futuro dello Xinjiang sono in larga misura scenari sul futuro della Cina. Né l’evoluzione della Cina né le probabili direzioni delle future politiche di Pechino verso lo Xinjiang possono essere previste con il minimo grado di certezza13”.
Quel che appare certo è che “ora cheil Governo degli Stati Uniti ha identificato apertamente ed esplicitamente la Cina come nemico strategico, utilizzerà tutti gli strumenti politici disponibili per attaccarla su tutti i fronti possibili e minare le forze politiche, economiche, militari e diplomatiche di quest’ultima. Per molti decenni, gli Stati Uniti hanno segretamente cercato di sconvolgere la stabilità economica e politica. Come le questioni del Tibet, di Hong Kong, di Taiwan e del Mar Cinese Meridionale, le accuse sui diritti umani dello Xinjiang non hanno nulla a che fare con la democrazia, i diritti umani, la sicurezza, la giustizia o la moralità, come l’Occidente ha spesso affermato, ma sono tutte armi politiche per attaccare la Cina. Questo è evidente e va da sé. La strategia degli Stati Uniti per contenere Cina e Russia è totalmente distruttiva. È stato progettato non solo a scapito di quei Paesi, ma anche a scapito degli interessi politici ed economici europei. Alcuni leader politici e aziendali in Europa hanno iniziato a preoccuparsi del potenziale risultato finale: la strategia di contenimento americana non funziona; Cina e Russia si rafforzano; e l’UE, con la sua crescente alienazione dalla Cina e dalla Russia, diventa più profondamente controllata dagli Stati Uniti come trampolino di lancio per questi ultimi per sostenere la propria egemonia nel mondo occidentale”14.
Quando lo Xinjiang è stato pacificamente liberato15 dall’Esercito Popolare di Liberazione nel 1949, l’approccio cinese è stato orientato dall’obiettivo generale di integrare pienamente la regione all’interno dello Stato unitario e multietnico della Repubblica popolare. Questo obiettivo è percepito come imperativo e non negoziabile ed è la risultante di fattori sia geopolitici che storici dal momento che la sua posizione geografica pone la XUAR come crocevia eurasiatico;dopo la caduta dell’Unione Sovietica, Pechino ha scelto di aprire lo Xinjiang all’Asia centrale sia per accrescerne la crescita economica che per garantire la stabilità e la sicurezza della sua frontiera più occidentale; l’apertura all’Asia centrale portava con sé anche il potenziale per le comunità uigure nelle neonate Repubbliche dell’Asia centrale – divenute indipendenti con gli accordi di Belaveža confermati più estesamente con i successivi Protocolli di Alma-ata – di ristabilire i legami con gli uiguri dello Xinjiang; così, a partire dagli anni novanta, le scelte di Pechino erano orientate a far beneficiare i vari gruppi etnici di un maggiore benessere; se dal punto di vista economico e sociale, l’apertura dello Xinjiang all’Asia Centrale e ai gruppi uiguri che vi abitavano rappresentavano un fattore positivo, dal punto di vista della sicurezza nazionale, la Cina temeva il potenziale effetto destabilizzante provocato dalla nascita dei nuovi Stati indipendenti ai confini della regione autonoma dello Xinjiang popolata in maggioranza da popolazioni musulmane turcofone presenti anche nelle aree limitrofe. Per questo, a Pechino si riteneva di primaria importanza garantire la sicurezza e la stabilità dello Xinjiang evitando che gli uiguri venissero contagiati da tendenze separatiste alimentate da richiami religiosi (comune fede musulmana) o storici, culturali e linguistici (richiamo al panturchismo, alla creazione di un’unica comunità con comuni radici storico-linguistiche-culturali turcofone). Su questi aspetti, oggi, gli strateghi e i tattici occidentali fanno leva per intraprendere azioni e politiche con il chiaro obiettivo di indebolire e destabilizzare la sovranità di Pechino.
Sebbene il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 abbia rimosso una minaccia a lungo temuta alla sicurezza dello Xinjiang, contemporaneamente ha presentato alla Cina una nuova serie di sfide, tra cui l’incerta prospettiva di trattare con cinque Stati indipendenti dell’Asia centrale e un risveglio islamico regionale. Entrambi sembravano gravidi di conseguenze dal punto di vista di Pechino, dato che un’ondata di disordini era già scoppiata nello Xinjiang nel 1990-91 e aveva suscitato lo spettro di forze esterne ostili e scissioniste nazionali che sfidassero il controllo di Pechino sulla regione e mettessero in serio pericolo l’unità nazionale. Per assicurare stabilità e sicurezza alla regione e sfruttare le opportunità politiche ed economiche offerte dal nuovo contesto regionale e internazionale, la Repubblica Popolare Cinese adottò allora la strategia dello Zhoubian Zhengce16 basata su una rete di relazioni e scambi diplomatici con le nuove repubbliche centrasiatiche nate in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Desiderosa di mantenere lo status quo regionale la Repubblica Popolare Cinese fu uno dei primi Stati a riconoscere politicamente i nuovi Stati indipendenti e, con l’obiettivo di garantire e rafforzare la sicurezza transfrontaliera, concentrò la sua azione nei confronti di Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, repubbliche con le quali condivideva dei lunghi confini e quindi anche le medesime preoccupazioni riguardo alle minacce contro la stabilità nazionale. La convergenza di dinamiche esterne (come il risveglio islamico nella vicina Asia centrale e in Afghanistan) e interne (associate all’era delle aperture e delle riforme post-1978) ha portato la Repubblica Popolare ad adottare una strategia circolare fondata su un approccio di doppia apertura con cui si è inteso integrare contemporaneamente lo Xinjiang con l’Asia centrale e la Cina propriamente detta e, insieme, stabilire sicurezza e cooperazione con i vicini dell’Asia centrale della Cina17.
L’Occidente, però, guarda, oggi come allora, a quest’area con sguardo totalmente differente.
Per la sua posizione strategica e per le risorse naturali ed energetiche di cui dispone, infatti, l’Asia Centrale è sempre stato territorio di contesa e scontro da parte dei grandi imperi e delle grandi potenze; scontro che dall’antichità più remota si è protratta fino alla nostra contemporaneità dal momento che questa porzione di globo si inserisce all’interno del grande scacchiere geopolitico dell’Eurasia il cui controllo, come affermato dal geografo Sir Alford Mackinder nella sua teoria dell’Heartland, permette di dominare il “cuore della Terra” e così i destini del mondo. Nel 1950 Owen Lattimore descrisse lo Xinjiang come un nuovo centro di gravità asiatico tanto che, in termini geopolitici, lo Xinjiang e l’Asia centrale sono il perno geografico di un nuovo Grande Gioco delle grandi potenze come Cina, Russia, India, Stati Uniti.
In Second Chance, Zbigniew Brzezinski teorizzava che i Balcani eurasiatici-mediorientali avrebbero acquisito le dimensioni di Balcani globali, abbracciando un’area compresa tra il Canale di Suez e lo Xinjiang. Lagrande mossa per conseguire uno scacco matto nella regione eurasiatica era la prevenzione geo-strategica e diplomatica dello scenario descritto come più pericoloso per la partita egemonica statunitense, quello rappresentato da una coalizione tra Russia, Cina ed Iran, che avrebbe de facto preso forma attraverso un rafforzamento della SCO e il Pivot verso l’Asia della Russia a seguito dello scoppio di una seconda Guerra Fredda18. Come scrive Emanuele Pierobon, “Brzezinski delineò lucidamente quella che sarebbe dovuta essere la grande strategia degli Stati Uniti per l’Eurasia, il cuore della Terra da mantenere sotto assedio per il bene dell’Impero a stelle e strisce e per la continuazione del momento unipolare nel passaggio al XXI secolo; una strategia sempiterna perché percepita per essere resistente all’erosione del tempo e all’albeggiare dell’era multipolare e per profittare della nascita dell’Azerbaigian e degli “-stan” per creare – come già accennato sopra – un arco di instabilità afflitto da guerre civili e radicalizzazione religiosa19 in cui al Tibet e allo Xinjiang venivano riservati un ruolo di primo piano in quanto indicati come scenari idonei per operazioni destabilizzanti volte al contenimento della Cina. Per quanto riguarda il Tetto del Mondo, basti citate quanto si trova sul sito web del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti nella sezione intitolata “Relazioni estere degli Stati Uniti, 1964-1968, Volume XXX, Cina: 341. Memorandum per il Comitato 303”, in cui si fa piena ammissione del fatto che “il programma tibetano della CIA, parte del quale è stato avviato nel 1956 con la conoscenza del Comitato, si basa sugli impegni del Governo degli Stati Uniti assunti nei confronti del Dalai Lama nel 1951 e nel 1956. Il programma consiste in azioni politiche, di propaganda, operazioni paramilitari e di intelligence, opportunamente coordinato e supportato da [meno di 1 riga di testo di partenza non declassificato]. […] Nel campo dell’azione politica e della propaganda, gli obiettivi del programma tibetano mirano a diminuire l’influenza e le capacità del regime cinese attraverso il sostegno, tra i tibetani e tra le nazioni straniere, del concetto di un Tibet autonomo sotto la guida del Dalai Lama; verso la creazione di una capacità di resistenza contro possibili sviluppi politici all’interno del Tibet; e il contenimento dell’espansione comunista cinese, in attuazione degli obiettivi della politica statunitense dichiarati inizialmente in NSC 5913/1.2 [6 righe di testo di partenza non declassificate]20. La creazione di regioni “autonome” all’interno di uno Stato sovrano per diminuire l’influenza e le capacità di azione e decisione di un governo centrale è un modus operandi talmente consolidato da sembrare ormai familiare a qualsiasi osservatore della politica estera occidentale contemporanea: “la provincia occidentale cinese dello Xinjiang ospita circa 21 milioni di persone. Di quei 21 milioni, meno della metà sono di etnia turca nota come uiguri. Praticanti dell’Islam, gli Stati Uniti hanno utilizzato reti terroristiche sviluppate all’interno della Turchia, membro della NATO, per infiltrarsi, pervertire e radicalizzare una minoranza marginale della comunità uigura, mentre gli stessi Stati Uniti finanziano e promuovono apertamente il separatismo attraverso i fronti dell’opposizione politica e attraverso i media locali e internazionali. La famigerata organizzazione terroristica turca dei “Lupi grigi” è stata utilizzata dalla NATO durante la Guerra Fredda come strumento di coercizione politica. È ancora utilizzato oggi dagli interessi USA-NATO sia all’interno della Turchia che oltre, anche nel sud-est asiatico. I Lupi Grigi sono stati implicati nell’addestramento e nell’armamento di cellule terroristiche nello Xinjiang”. Questo rappresenta un ulteriore tassello nella messa in opera della strategia elaborata da Brzezinski per il quale parimenti importante sarebbe stato l’ingresso della Turchia nello spazio post-sovietico dell’Asia Centrale, perché indispensabile ai fini della (ri)turchificazione e della (re)islamizzazione della regione. Washington sta usando l’appetito imperiale di Erdogan sia per scopi anti-Ue che anti-russi visto che non è un segreto che gli Stati Uniti vogliono entrare nel gioco dell’Asia centrale e potrebbe oggi – come fatto in passato a scapito di Mosca – aiutare Ankara ad armare il panturchismo contro Pechino: “usando Ankara come quinta colonna negli -stans, Washington si proteggerebbe da qualsiasi accusa proveniente dalla Cina21 e, allo stesso tempo, potrebbe raggiungere l’obiettivo di mettere piede nella regione. Alcuni eventi si riveleranno fondamentali per capire se gli Stati Uniti sono posizionati per utilizzare la Turchia per entrare negli standard e, pertanto, devono essere monitorati con molta attenzione: la posizione dei Paesi riguardo allo Xinjiang, la decisione dell’Uzbekistan di aderire all’UE o alla Eurasian Economic Union (EEU e il comportamento di “-stans” all’interno dell’UE”22.
Il ruolo di maggior spessore assunto dalle truppe turche in Afghanistan è ulteriore fatto da monitorare poiché avviene in tempi sospetti visto che la Federazione Russa e la Cina sono in attesa di integrare il Paese abbandonato dagli Stati Uniti nella BRI e nella EEU; d’altronde, quanto riportato è espressione della volontà di Washington (che si appresta a lasciare l’Afghanistan per dispiegare le proprie truppe nel resto della regione eurasiatica23) di utilizzare Ankara per influenzare il futuro prossimo dell’Afghanistan e di evitare che il Paese stringa alleanze forti con i rivali statunitensi nella regione”. Scrive a tal proposito l’analista di relazioni internazionali Salman Rafi Sheikh: “allo stesso tempo, la forte tendenza della Turchia a strumentalizzare le milizie jihadiste e il suo sfacciato uso di gruppi di militanti armati in Siria e nel Nagorno-Karabakh la rendono un candidato perfettamente adatto per gli Stati Uniti in Afghanistan. Allo stato attuale, sulla scia di una presenza militare significativamente ridotta in Afghanistan, gli Stati Uniti possono appropriarsi dell’esperienza turca per schierare queste milizie in Afghanistan non solo per mantenere l’Afghanistan come un esteso avamposto USA/NATO nella regione, ma anche essere in grado di diffondere queste forze nel Caucaso e nello Xinjiang per destabilizzare sia il “basso ventre” della Russia che la BRI cinese. Lo Xinjiang, così com’è, è un importante punto logistico per i progetti BRI cinesi. Collega la Cina con l’Asia centrale, l’Asia occidentale, portando infine ai mercati europei. Dei sei corridoi economici BRI pianificati, almeno tre di essi passano attraverso lo Xinjiang, incluso il Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) che collega Kashgar nello Xinjiang a Port Gwadar in Pakistan. Pertanto, come ritengono i funzionari cinesi, se gli Stati Uniti hanno utilizzato la loro presenza militare e di intelligence in Afghanistan per creare problemi nello Xinjiang per destabilizzare la BRI, dovranno continuare a fare lo stesso se finiranno per ritirare le proprie forze dall’Afghanistan. La CIA e il Pentagono sembrano credere che la presenza estesa e rafforzata della Turchia in Afghanistan e le sue “risorse jihadiste” potrebbero svolgere quel ruolo in modo abbastanza efficace. In effetti, l’agenda degli Stati Uniti ha grandi possibilità di successo a causa del forte sostegno diplomatico della Turchia ai musulmani uiguri cinesi. È significativo notare che gli Stati Uniti e la Turchia hanno narrazioni simili riguardo al presunto “genocidio” che la Cina sta portando avanti nello Xinjiang. Pertanto, per la Turchia è disponibile una narrativa prontamente disponibile per l’inserimento di elementi jihadisti nello Xinjiang attraverso l’Afghanistan. Anche una limitata presenza militare statunitense in Afghanistan sarebbe sufficiente per coprire e facilitare questo progetto24”.
Questa narrazione è in linea con le ambizioni neo-ottomane di Ankara che vuole la Turchia al centro del mondo turco esteso dal Mar Nero, alle steppe dell’Asia centrale e allo Xinjiang. Sono le stesse ambizioni che in precedenza l’hanno portata a schierare le sue forze regolari e jihadiste anche in Libia. Oltre a ciò, il coinvolgimento della Turchia in Afghanistan potrebbe aiutare gli Stati Uniti a conquistare i favori di altri attori cruciali coinvolti nella regione, discorso questo particolarmente vero per il Pakistan. La Russia e la Cina, quindi, considerano naturalmente allarmante il crescente coinvolgimento turco in Afghanistan. Entrambi capiscono che gli Stati Uniti, attraverso la Turchia, mirano a guidare il processo di pace afghano in un modo che potrebbe consentirgli di raggiungere i suoi obiettivi a lungo termine di destabilizzare la Russia e la Cina e quindi mantenere la sua influenza globale. Gli Stati Uniti, in altre parole, mirano a gettare i semi del caos e ad usarli come scala per salire alle vette della supremazia globale: in questo quadro, lo Xinjiang si posiziona nel cuore della massa continentale eurasiatica, ponte geografico e strategico tra Asia, Medio Oriente ed Europa, da secoli storico e tradizionale luogo d’incontro tra differenti civiltà, in termini di scambi commerciali (es. la Via della seta), religiosi, culturali e conserva caratteristiche etniche e islamiche che lo collocherebbero molto vicino ai loro parenti in Asia centrale e alla Turchia e, questo, è uno dei motivi per cui la Regione Autonoma della Repubblica Popolare Cinese sarebbe il terreno ideale per l’attuazione della strategia dello scontro di civiltà che porterebbe con sé il tentativo di balcanizzazione della Cina e il suo confronto con l’Islam (circa 1.500 milioni di seguaci);regione oggi integrata pienamente all’interno dell’assetto statale cinese come ma probabilmente lo è stato durante la sua lunga storia millenaria, diventa sempre più cruciale nei giochi strategici delle potenze occidentali al fine di incunearsi nel cuore dell’Eurasia e, al contempo, operare un’azione di destabilizzazione – in un primo momento violenta, basata su atti di matrice terroristica – nei confronti del Governo di Pechino.
Da non dimenticare il monito secondo cui “se lo Xinjiang è perduto, la Mongolia è indifendibile e Pechino è vulnerabile”,una lezione di geopolitica e strategia che ha caratterizzato l’azione occidentale nello Xinjiang già sul finire del ‘900: gli Stati Uniti e altri paesi occidentali, infatti, hanno iniziato a sostenere le attività separatiste (e terroristiche) nello Xinjiang per scopi geopolitici al fine di destabilizzare la Cina e contenere il suo sviluppo. Durante la Guerra Fredda, lo studioso britannico Bernard Lewis elaborò la teoria dell’arco di crisi con l’obiettivo di fratturare i paesi dal Medio Oriente all’India sulla base di linee etniche per dividere l’Unione Sovietica. Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter, ha sostenuto che gli Stati Uniti devono impedire la realizzazione del sogno secolare di Mosca di avere accesso diretto all’Oceano Indiano. Gli Stati Uniti lanciarono quindi l’operazione Cyclone, che durò dal 1979 al 1989 e costò fino a 630 milioni di dollari ogni anno. Insieme all’Arabia Saudita e alla Gran Bretagna, gli Stati Uniti hanno fornito finanziamenti, attrezzature e addestramento ai guerriglieri musulmani che combattono contro l’Unione Sovietica.
Subito dopo la fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna iniziarono a usare lo Xinjiang come leva per contenere la Cina, sostenendo le forze separatiste e terroristiche. Le forze neo-conservatrici negli Stati Uniti si sono spostate dall’Unione Sovietica per contenere l’influenza della Cina in Asia centrale. Le agenzie di intelligence statunitensi e britanniche hanno sostenuto il panturchismo per indebolire la Russia e la Cina e servire la loro agenda di mantenere un mondo unipolare. Nel corso degli anni, sono emerse una serie di istituzioni anti-cinesi e gruppi estremisti che cercavano uno Stato del “Turkestan orientale” o l’”indipendenza” dello Xinjiang, tra cui il Congresso mondiale uiguro e il governo del Turkestan orientale in esilio.
Dal 2004, il National Endowment for Democracy (NED) ha stanziato 8,76 milioni di dollari per i gruppi della diaspora uigura che si battono contro le politiche cinesi nello Xinjiang.
I suddetti fattori hanno causato la rapida diffusione di idee radicali nello Xinjiang. I terroristi sono entrati nello Xinjiang dai campi di battaglia in Afghanistan, Pakistan e Siria. Alcune organizzazioni terroristiche violente hanno apertamente chiesto a gran voce di prendere di mira e attaccare i cittadini cinesi. Tra il 1997 e il 2014, il Movimento islamico del Turkestan orientale (ETIM) ha spesso pianificato e portato a termine attacchi terroristici, che hanno causato la morte di oltre 1.000 civili.
Nel 2003, gli agenti della Central Information Agency (CIA) suggerirono l’idea che se qualora gli Stati Uniti dovessero trovarsi in una crisi o in uno scontro con la Cina in futuro, “l’opzione di usare la carta uigura come mezzo per esercitare pressioni non dovrebbe essere tolta dal tavolo. Con questa strategia, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i loro alleati, attaccandosi alla mentalità della Guerra Fredda, hanno diretto i loro servizi di intelligence e studiosi anti-cinesi a mobilitare i gruppi della diaspora uigura per diffondere disinformazione sulla cosiddetta grave oppressione dei musulmani uiguri. nello Xinjiang, che è stato diffuso dai principali media occidentali in modo coordinato. Ecco cosa cercano di ottenere:
– in primo luogo, una falsa impressione che i musulmani nello Xinjiang sostengano “l’indipendenza”. Questo viene spesso fatto istigando alcuni gruppi a svolgere attività separatiste per far credere al pubblico che le persone nello Xinjiang vogliano tutte uno Stato indipendente;
– in secondo luogo, l’illusione che l’ETIM sia per la pace. Non è stato detto nulla sugli stretti legami dei gruppi rilevanti con Al-Qaeda e sulla loro retorica violenta e terroristica. Nel novembre 2020, l’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo ha persino rimosso l’ETIM dall’elenco statunitense delle organizzazioni terroristiche straniere;
– terzo, la falsa affermazione di violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Alcune organizzazioni, tra cui Human Rights Watch, hanno fabbricato rapporti sullo Xinjiang, ma le loro fonti sono solo un piccolo gruppo di uiguri d’oltremare estremamente anti-cinesi. I resoconti infondati in quei rapporti sono stati ulteriormente pubblicizzati e diffusi da istituzioni come l’Australian Strategic Policy Institute (ASPI)”25.
Influenzato dal turbolento ambiente internazionale confinante e dalle proprie esperienze storiche, lo Xinjiang è cruciale per la sicurezza nazionale e l’integrità territoriale della Cina ma, al contempo, rappresenta anche il suo ventre molle. Se lo Xinjiang diventasse il fulcro della competizione delle grandi potenze, come accadde intorno al 1900, l’integrità territoriale della Cina affronterebbe una minaccia fatale; uno Xinjiang instabile potrebbe abbattere il ponte continentale eurasiatico e impedire la comunicazione e la cooperazione della Cina con i Paesi dell’Asia centrale e non solo. Se lo Xinjiang diventasse indipendente come lo vuole l’Occidente, il Tibet e la Mongolia interna potrebbero seguirlo, la Cina perderebbe più della metà del suo territorio e le fiamme delle guerre nella Cina occidentale potrebbero essere alimentate, dal momento che l’area centrale della civiltà cinese sarebbe direttamente esposta agli attacchi dei Paesi stranieri. Per Pechino, il presidio della sua frontiera più occidentale, baluardo naturale per chiunque tentasse di invaderla, è diventato sempre più cruciale per la difesa dell’integrità territoriale e chiunque si sia avvicendato al Governo centrale ha sempre operato per conservare il controllo di questa fondamentale provincia oggi ad amministrazione speciale, la cui stabilità a partire dagli anni ottanta e novanta è stata minata dall’estremismo religioso di matrice islamica venato di panturchismo che ha fatto da base ideologica per il separatismo terroristico che si è sviluppato nella regione; questi elementi sono penetrati anche in Cina dove l’intervento di altre grandi potenze occidentali ha reso più complicata la situazione nella regione autonoma dove si voleva promuovere un nazionalismo che fosse in grado di fuggire all’influenza della Russia (e, in prospettiva, della Cina), e quindi incoraggiarono indirettamente la lotta per l’indipendenza dello Xinjiang.
Nel 1991, il primo ministro turco Sami Süleyman Gündoğdu Demirel avrebbe affermato che non avrebbe permesso ai cinesi di assimilare i loro fratelli etnici nel Turkestan orientale e avrebbe esercitato pressioni portando la questione alle Nazioni Unite; nel 1992, il presidente turco Halil Turgut Özal avrebbe dichiarato di aver preso in consegna la causa del Turkestan orientale dal momento che le repubbliche turche che erano state sotto il dominio sovietico avevano tutte dichiarato la loro indipendenza. “Ora è il turno del Turkestan orientale. È nostro desiderio vedere l’antica patria dei popoli turchi un Paese libero”.
Quando fu sindaco della città di Istanbul, l’attuale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan26 fece erigere una piccola statua in un onore di un uiguro, nello storico quartiere di Sultan Ahmed: “il sultano di Ankara crede che l’esigua minoranza etnica presente principalmente nella provincia cinese dello Xinjiang, sia il luogo di nascita della nazione turca. Dopo lo scoppio della guerra in Siria, o più precisamente, dopo che l’Occidente iniziò un tentativo di rovesciare il presidente Assad, la Turchia formò miliziani uiguri e iniziò ad usarli all’interno del territorio siriano”. Secondo lo scrittore Andre Vltchek che ha scritto il saggio La marcia degli uiguri pubblicato dalla rivista New Eastern Outlook, “La Turchia ha trascinato i quadri di questo gruppo jiahdista e le loro famiglie attraverso l’Indonesia e altri Paesi, fornendo loro passaporti turchi, per la durata del viaggio, li ha addestrati nei campi profughi, principalmente nella regione di Hatay, per schierarliinfine a Idlibdove hanno ucciso centinaia di uomini, donne e bambini, spopolando interi villaggi e città, anche grazie all’abitudine di assumere droghe prima del combattimento, un fatto culturale che dobbiamo assolutamente preservare e usato peraltro in Cina, come inaugurazione del gruppo, nella strage della stazione di Kunming.
Ma Erdogan ha avuto l’accortezza di allontanare in qualche modo dalla Turchia il Wuc, che ha sede in via Adolf Kolping Strasse a Monaco di Baviera in una stradina adiacente alla stazione centrale, cosa che in qualche modo è collegata alla comparsa ad Hong Kong, dove il Wuc è intervenuto a provocare disordini, della bandiera tedesca. Tuttavia sta giovando una pericolosa partita cercando di ricostruire un impero mettendo l’uno contro l’altro NATO, Stati Uniti, Europa, terroristi, islamisti e Russia e Cina. E si scopre che semmai i motivi etnico culturali per cui si accusa la Cina, derivano invece proprio dagli alleati dell’Occidente.
In questo caso la guerra americana alla Cina si salda strettamente con le ambizioni di Erdogan e con la creazione di un gruppo jiahdista per attaccare in sostanza la nuova Via della Seta. La cosa curiosa e culturalmente interessante in tutto questo è che la Cina non ha mai avuto alcun problema con i musulmani e una visita all’antica capitale cinese di Xian da dove partiva la carovaniera della seta illustrerebbe chiaramente i legami tra gli Han e le culture musulmane. Ma l’Occidente, che invece discrimina i musulmani e ne ha fatto esclusivamente dei terroristi, ha direttamente trasferito i suoi istinti in Cina, dove non hanno ragione di essere, mettendo in piedi una campagna che manca totalmente di sostanza, a meno che con questa non si voglia intendere la creazione di un ennesimo gruppo jihadista da usare dove più aggrada. Del resto alcuni potentati sono riusciti a trasformare una sindrome influenzale in peste, non c’è da meravigliarci di nulla tranne che di noi stessi, impegnati a credere ad ogni favola e a trattare da favola la realtà”27.
L’articolo a firma André Vltchek sopra citato28 si apre con queste parole che suonano come una sentenza inappellabile: une fois de plus, l’Occidente tente de détruire la Chine, en utilisant la religion et la terreur. Tradotto: una volta di più, l’Occidente tenta di distruggere la Cina utilizzando la religione e il terrore per mezzo dell’azione dei gruppi uiguri che agiscono sul territorio della Regione amministrativa autonoma dello Xinjiang29 e che rappresentano il peggior incubo della Cina. Supportati dall’estero, scatenano il fondamentalismo religioso, il nazionalismo militante e il separatismo. Sono potenzialmente il più grande ostacolo e il più grande pericolo per la meravigliosa BRI (The Belt and the Road, o New Silk Roads) del presidente Xi Jinping. L’Occidente e la Turchia glorificano gli uiguri più estremisti. Li finanziano e li armano. Li presentano come vittime. Gli uiguri sono ora una nuova “arma segreta” da utilizzare per contrastare la decisa avanzata di Pechino verso il socialismo con caratteristiche cinesi.
L’Occidente e i suoi alleati stanno facendo tutto il possibile per screditare la Cina (RPC), per far deragliare il suo percorso progressista e per fermare la sua influenza sempre più positiva e ottimista in tutto il mondo. Inventano e poi sostengono/finanziano ogni immaginabile e inimmaginabile oppositore del Partito Comunista Cinese.
Le sette religiose sono l’arma preferita contro la Cina dal Nord America e dall’Europa. È il caso degli estremisti che appartengono al buddismo tibetano, concentrati attorno a un agente ebeniaminodei servizi segreti occidentali, il Dalai Lama. O ancora un’altra setta estremista radicale e anti-sociale: il Falun Gong. L’Occidente sta facendo tutto ciò che è in suo potere per distruggere la Cina.
Lo si è visto chiaramente 30 anni fa durante l’incidente di Piazza Tian An Men (un evento sostenuto dall’Occidente, poi distorto dai media occidentali), e allo stesso modo durante due recenti “ribellioni” a Hong Kong, sponsorizzate interamente da organizzazioni (ONG) e governi occidentali. L’ultimo capitolo degli attacchi contro la Cina, guidati dall’Occidente, è forse il più pericoloso e meglio concepito degli attacchi multinazionali agli interessi della Cina (RPC) e del mondo in via di sviluppo, in particolare delle ex Repubbliche sovietiche. Questa quella che è chiamata la questione uigura”.
Continua Vltchek, citando da Constituting the Uyghur in U.S.-China Relations: The Geopolitics of identity formation in the war on terrorism” di Gaye Christofferson,che i “separatisti e movimenti indipendentisti uiguri affermano che la regione non fa parte della Cina, ma che la Seconda Repubblica del Turkestan orientale è stata incorporata illegalmente dalla Repubblica Popolare Cinese nel 1949 e da allora è stata occupata dalla Cina. L’identità uigura rimane frammentata, poiché alcuni sostengono una visione panislamica, come il Movimento islamico del Turkestan orientale, mentre altri sostengono una visione panturca, come l’Organizzazione per la liberazione del Turkestan orientale. Un terzo gruppo sostiene uno stato “uiguristan”, come il movimento per l’indipendenza del Turkestan orientale. Di conseguenza, nessun gruppo uiguro o del Turkestan orientale parla per tutti gli uiguri, anche se può affermarlo, e gli uiguri in ciascuno di questi campi hanno commesso violenze contro altri uiguri che ritengono troppo assimilati nella società cinese o russa o non abbastanza religiosi ”.
Questo era prima della grande ondata di propaganda dell’Occidente; durante gli anni in cui il mondo accademico occidentale era ancora relativamente libero di valutare la situazione nello Xinjiang. Ma poco dopo, la politica nordamericana ed europea è cambiata e si è radicalizzata.
In Occidente, la questione uigura è stata definita “centrale” ed “essenziale” per raggiungere tre obiettivi principali:
– Diffamare e umiliare la Cina, dipingendola come un Paese che “viola i diritti umani”, i “diritti religiosi” e i diritti delle minoranze;
– Gli uiguri sono stati letteralmente inseriti dai paesi della NATO, Turchia compresa, in diverse aree di combattimento violento: in Siria, Afghanistan e Indonesia, solo per citarne alcuni, con un unico scopo: addestrare e rafforzare i loro combattenti, che possono poi essere schierati come fattori destabilizzanti in Cina, Russia e nelle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale;
– Sabotare grandi progetti infrastrutturali, in particolare le Nuove Vie della Seta, o l’Iniziativa Road and Belt, che è la creazione del presidente cinese Xi Jinping. Collegamenti ferroviari ad alta velocità, autostrade e altre arterie infrastrutturali passerebbero attraverso lo Xinjiang a est. Se brutali attacchi terroristici sostenuti dall’Occidente e dai suoi alleati islamisti, e perpetrati da terroristi uiguri, hanno scosso la regione, l’intero progetto che è stato creato per aiutare a migliorare la vita di tutta l’umanità (sradicando vari Paesi poveri e sviluppando il sanguinario abbraccio neocolonialista occidentale), potrebbe essere in pericolo o addirittura crollare”.
D’altronde, una tattica standard messa in campo dal Governo degli Stati Uniti è quella di creare situazioni in cui il governo di un Paese considerato ostile da Washington non ha altra scelta che ricorrere alla violenza il cui uso viene, poi, utilizzato come prova della necessità di un “cambio di regime”. La Cina è stata messa in una situazione del genere nei confronti di una delle sue minoranze islamiche, quella uigura che vive nello Xinjiang ma ha sempre risposto con azioni di polizia limitate e finalizzate a mettere in sicurezza contesti specifici come villaggi, o quartieri urbani trasformati in base dai gruppi terroristici30. Esiste, però, un pericolo reale che siano i gruppi terroristici e i sedicenti combattenti per la causa degli uiguri ad usare la violenza contro la Cina perché questo è già stato fatto in passato ma, finora, come detto poc’anzi, le autorità cinesi hanno risposto con uno sforzo di rieducazione massiccio e obbligatorio invece che con la violenza; il fatto, poi, che la minoranza in questione sia di religione islamica permette alla propaganda occidentale di affermare che la Cina stia perseguitando la religione sul proprio territorio nazionale con la conseguenza indiretta che questo tipo di narrazione possa anche creare un sentimento anti-cinese tra le persone religiose di tutto il mondo, e specialmente tra i musulmani che vivono in Cina ma anche altrove: “Una parte centrale della loro strategia per far deragliare la Cina e la sua crescente presenza eurasiatica si fonda sul rafforzamento del fondamentalismo islamico di Gülen, Al Qaeda e la Fratellanza musulmana contro la Cina, la Russia e tutta l’Eurasia, l’unico spazio che Zbigniew Brzezinski nel suo famoso libro The Grand Chessboard definì l’unica possibile sfida alla futura egemonia e dominio dell’America. Per gli Stati Uniti si tratta in ultima analisi di confinare il grande Paese asiatico nella sua superficie terrestre e di circondarlo con il maggior numero possibile di basi aeree e navali e con un gigantesco dispositivo militare, destinato a crescere ulteriormente in conseguenza del ‘pivot’. Se questo piano dovesse riuscire, la Cina sarebbe alla mercé degli Stati Uniti, i quali potrebbero in ogni momento ricattarla, con la messa in atto o la minaccia di un blocco navale o di un blocco delle linee di comunicazione marittima attraverso le quali passano le materie prime e il commercio estero che sono assolutamente essenziali per l’economia del grande Paese asiatico. A questo punto si realizzerebbe il sogno del consigliere dell’ex vice-presidente Dick Cheney (un falco e un campione del neo-conservatorismo), il sogno per cui la Cina verrebbe a dipendere per l’eternità dalla ‘benevolenza’ tutt’altro che garantita degli USA. Sì – ribadisce il sullodato consigliere – ‘la Cina è troppo importante per essere lasciata in mani cinesi’ (Friedberg)! Ebbene, quali sono i progetti e i suggerimenti che si possono leggere in questo testo? ‘La fragilità politica interna della Cina è un fattore di rischio per i suoi governanti e potrebbe costituire un elemento di vulnerabilità che gli avversari potrebbero sfruttare’. Partendo dalla constatazione dello ‘stretto controllo che i leader del Partito comunista desiderano mantenere sull’esercito, sul governo e sulla società cinese nel suo complesso’, ecco che vengono ipotizzati una serie di ‘minacce’ e ‘attacchi’ di natura non sempre precisata e comunque assai varia. In primo luogo l’attenzione si deve concentrare sui ‘metodi di guerra irregolari, attinenti all’informazione, non convenzionali che comportano la possibilità di provocare instabilità per esempio nel Tibet o nello Xinjiang’. È un punto su cui l’analista militare statunitense insiste in modo particolare: ‘azioni coperte e guerra non convenzionale miranti a creare disordini per il PCC nel Tibet e nel Xinjiang’ possono costituire un ottimo punto di partenza. Peraltro, non sono solo le regioni abitate da minoranze nazionali a dover essere prese di mira. S’impongono ‘operazioni più aggressive contro la Cina di carattere multimediale e nell’ambito dell’informazione’ (e disinformazione); occorre saper dispiegare pienamente ‘le operazioni psicologiche e di informazione (e di disinformazione), le arti nere della guerra irregolare e offensiva, la guerra non convenzionale’. Ci si dovrebbe ricordare delle accuse propagandistiche contro la Siria poco prima che scoppiasse la guerra! La questione dei “campi” dello Xinjiang non è altro che una manovra per istigare conflitti tra la Cina e il mondo musulmano. È progettata per minare la Via della Seta. Bisogna pur trovare qualcos’altro da fare a quei jihadisti che stanno perdendo la guerra in Siria, dirigendoli alla guerra in Cina. Minare la stabilità per lo sviluppo e la lotta alla povertà. Sembra che la guerra commerciale di Trump non sia sufficiente per abbattere la Cina”31.
Dicevamo che c’è un pericolo reale che gli uiguri usino la violenza contro la Cina perché questo è già stato fatto in passatopoiché laddove, adesso, l’Occidente cerca di fare leva sui diritti umani e sulle presunte accuse di genocidio per fare pressione e destabilizzare il fermo, solido e stabile Governo di Pechino, in precedenza non si sono risparmiati sostegno e aiuti logistici e finanziari a vari gruppi di matrice terroristica affinché svolgessero azioni violente sul territorio dello Xinjiang; in Xinjiang: increasing pain in the heart of China’s borderland32i professori Yufan Hao e Weihua Liu fanno una lunga lista dei gruppi separatisti uiguri che hanno operato negli Stati dell’Asia Centrale33 mentre Maria Morigi nel suo Xinjiang “Nuova Frontiera”, al fine di orientarsi nella babele di organizzazioni attive sul territorio della Regione autonoma cinese, elenca le sigle più importanti dei movimenti separatisti/indipendentisti dello Xinjiang: Movimento Islamico del Turkestan Orientale (ETIM), Organizzazione per la Liberazione del Turkestan Orientale (ETLO), Fronte Unito Rivoluzionario del Turkestan Orientale (URPET), Organizzazione per la Liberazione degli Uiguri (ULO), Partito Islamico del Turkestan (TIP)34.
Scrive, poi, Morigi: “sia ideologicamente che praticamente, i vari movimenti separatisti hanno affrontato la questione separazione/indipendenza in modi difformi, che per semplicità ridurremo a tre: una visione panislamica, una visione panturca, mentre un terzo gruppo di attivisti avrebbe voluto realizzare, fin dall’inizio della proclamazione autonoma, uno Stato indipendente che avrebbe dovuto chiamarsi Uyghuristan. […] Nel 1993 venne creato il Movimento Islamico del Turkestan Orientale (ETIM) che sosteneva il panislamismo mirando alla creazione di uno Stato islamico fondato sulla Sharia nel territorio del Turkestan Orientale. Alla base dell’organizzazione c’era Hassan Maksum, nativo di Kashgar e combattente professionale che ricevette asilo in Afghanistan; in seguito si trasferì in Pakistan dove morì nel 2003. Nel 1997, l’ETIM fu riorganizzato, ricevendo, come si dirà più avanti, assistenza finanziaria e militare da varie organizzazioni militari.
L’Organizzazione per la Liberazione del Turkestan Orientale (ETLO) è stata fondata in Turchia nel 1990 o nel 1996 (a seconda delle versioni) sotto la guida di Mehmet Emin Hazret, un intellettuale impegnato che vive all’estero. L’ETLO è ritenuta responsabile della maggior parte degli attentati degli anni Novanta e Duemila, ma è designata organizzazione terroristica solo dai Governi di Cina, Kazakhstan e Kirghizistan (in quanto più pericolosa), mentre non è considerata tale dall’ONU, che evidentemente vuole mantenere buoni rapporti con Ankara.
[…] L’ULO è stata considerata responsabile di gravissimi episodi, per alcuni dei quali in un primo momento si era pensato all’ETLO.
Da ribadire il ruolo predominante del Movimento Islamico del Turkestan Orientale35 (ETIM) che utilizzava Islam e Jihad per aggregare la minoranza uigura. Dapprima smantellato drasticamente dopo l’esilio dei suoi promotori, l’ETIM ha potuto ricostruirsi in molte forme tra cui, nel 2001, il Turkestan Islamic Party (TIP), una formazione intesa ad instaurare un califfato in tutta la regione centrasiatica, dal Caspio allo Xinjiang. Alleata con il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, con “iTalebani pakistani, era senz’altro finanziata nei primi anni Duemila da Uzbeki residenti in Arabia Saudita, da Al-Qaeda e dal traffico di oppio”36.
Gli attacchi dell’11 settembre e la conseguente guerra contro il terrorismo lanciata da Washington in Afghanistan contro il regime dei Talebani, hanno portato Pechino a denunciare la presenza sul proprio territorio nazionale di un terrorismo di matrice islamica con radici nella Regione autonoma dello Xinjiang; la Cina ha, così, cercato il benestare statunitense alla sua lotta contro il secessionismo uiguro offrendo, al contempo, il proprio appoggio alla guerra globale contro il terrorismo ma assicurandosi da parte di Washington la non interferenza negli affari interni dello Xinjiang; non interferenza di facciata dal momento che sebbene il Governo degli Stati Uniti sembri sostenere l’antiterrorismo cinese, esso è riluttante ad equiparare la lotta al terrorismo con la repressione interna della Cina contro il separatismo; piuttosto, Washington ha chiarito ai cinesi che le attività separatiste non violente non possono essere classificate come terrorismo. In effetti, alcune delle ONG finanziate dal Governo degli Stati Uniti hanno fornito sostegno finanziario al movimento del Turkestan orientale in nome dei diritti umani e della libertà.Si tratta, in sostanza, di una galassia estesa ed organizzata di media e organizzazioni non governative che operando attraverso un profilo istituzionale sostengono attivamente la sovversione della legalità nello Xinjiang appoggiando i gruppi che rivendicano l’autonomia da Pechino, esercitano pressioni sul Congresso statunitense e cercano di influenzare l’opinione pubblica occidentale ricorrendo alla divulgazione di notizie che non sempre possono essere considerate come attendibili. D’altronde, in questo nuovo Grande Gioco eurasiatico in cui ogni potenza è in competizione per proiettare la propria influenza nella regione, la verità mediatica sembra essere l’unica vittima accertata caduta sul campo; la destabilizzazione dei confini nordoccidentali della Cina e quella conseguente dei territori dello Xinjiang, tra i più ricchi di risorse e strategicamente importanti della Repubblica Popolare, rientrano a pieno titolo in questo scenario di gioco di potenze37.
Nella parte iniziale di questo breve saggio è stata riportata la seguente affermazione: “per il cittadino dell’Occidente, l’idea che gli Stati Uniti possano essere uno sponsor del terrorismo internazionale – figuriamoci lo sponsor dominante – apparirebbe completamente incomprensibile”. Comprensibile o meno che sia, il problema del terrorismo cinese nello Xinjiang è il risultato diretto del finanziamento e del sostegno degli Stati Uniti. Non solo gli Stati Uniti armano e addestrano gli estremisti uiguri in Siria dove stanno combattendo al fianco dei militanti, ma gruppi separatisti come il World Uyghur Congress (WUC) che cercano apertamente “l’indipendenza” dello Xinjiang hanno uffici a Washington DC e sono finanziati dal National Endowment for Democracy degli Stati Uniti (NED). Scrive Carlatucci che “in effetti, il finanziamento della NED statunitense alla sovversione in Cina è suddiviso in diverse regioni con le proprie pagine dedicate sul sito web della NED. Lo Xinjiang è elencato dal NED come “Xinjiang/Turkestan orientale” – il Turkestan orientale è il Paese immaginario che gli estremisti cercano di creare. Gran parte dell’estremismo nello Xinjiang è anche legato al vasto sostegno dell’Arabia Saudita, alleata degli Stati Uniti, e della Turchia, membro della NATO. Mentre gli Stati Uniti finanziano la sovversione politica e la Turchia aiuta gli estremisti uiguri che combattono nel territorio siriano, l’alleato degli Stati Uniti Arabia Saudita incanala denaro e risorse nello stesso Xinjiang per radicalizzare le comunità musulmane con il salafismo politicamente motivato ed estremista di Riyadh. Questo radicalismo invasivo trapiantato nello Xinjiang dagli Stati Uniti e dai suoi alleati sauditi si è tradotto direttamente in vera violenza – un fatto ripetutamente omesso o sepolto nella copertura odierna dello Xinjiang e lasciato fuori dalle condanne statunitensi ed europee della Cina per le sue politiche lì. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno condotto una “guerra al terrore” per 20 anni, invadendo intere nazioni con falsi pretesti, uccidendo centinaia di migliaia di persone, sfollandone decine di milioni, praticando torture sistematiche e costruendo una rete di sorveglianza globale, il tutto in modo nascosto, per armare e finanziare il vero terrorismo in luoghi come la Libia, la Siria e persino nello Xinjiang cinese. Tutto questo è stato fatto con l’aiuto e la complicità dei media occidentali che piegano le verità o inventano interamente bugie, ma anche omettendo la verità. Non dovrebbe quindi sorprendere che i media statunitensi ed europei abbiano scelto di mentire sulle attuali politiche della Cina per affrontare quello che è chiaramente un problema di terrorismo reale e pericoloso nello Xinjiang38”. Non è mistero il fatto che quello che Cadoppi rinomina l’Impero del Kaos debba far fronte ad una pressante minaccia: la pace e la stabilità portata dalla Cina. All’origine della guerra in Siria troviamo la volontà dell’Impero USA di favorire la creazione di una situazione caotica utilizzando ogni mezzo, intervento palese, guerra civile, terrorismo per favorire i suoi vassalli nell’area. L’obiettivo non è solo quello di esercitare il controllo su una determinata area per sfruttarne le risorse, ma di sottrarre una zona al controllo dei concorrenti o per mettere i bastoni tra le ruote ad uno sviluppo pacifico delle relazioni politiche e commerciali (Moro 2017). Jamal Wakeem, professore dell’Università Libanese di Beirut, intervistato da Russia Today ha dichiarato: “Credo che i russi siano consapevoli del fatto che la guerra in Siria è una guerra per procura diretta contro di loro e contro il loro alleato: la Cina. Fa parte di un piano più grande degli Stati Uniti per bloccare le rotte commerciali marittime dell’Eurasia”. Insomma gli obiettivi USA sono di interrompere la Via della Seta cinese nell’area euroasiatica e in Medio Oriente e nel contempo togliere alla Russial’unica base attiva nel Mediterraneo, a Tartous in Siria. In particolare sel’Ucraina serviva a rompere la possibile collaborazione russo-tedesca orientata verso l’Eurasia, la Siria serve anche ad intralciare la Via della Seta vista come un passo verso la formazione di un blocco sino-euroasiatico, come sottolineano Alberto Rabilotta e Michel Agnaïeff (2016) in un loro interessante saggio pubblicato da Marx XXI39.
Pechino è, quindi, in stato di allerta perché consapevole del fatto che se i combattenti potrebbero essere inviati dalla Siria e dalle altre zone di crisi come l’Afghanistan per compiere azioni dirette in Cina: “la vicinanza dell’Afghanistan alla Cina [….] ma anche con le ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale (l’Afghanistan confina con Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan), ne fa un gruppo ideale da utilizzare per la sovversione contro Cina, Russia e repubbliche dell’Asia centrale. È essenziale capire che la Belt and Road Initiative è progettata per collegare la Cina al mondo intero, utilizzando diversi corridoi infrastrutturali, alcuni dei quali seguirebbero le antiche Vie della Seta, attraversando l’Asia centrale, tagliando l’Iran, il Pakistan ma anche l’Afghanistan. La città di Urumqi, e la provincia dello Xinjiang in generale, saranno tra gli hub più importanti. Coloro che in Occidente vogliono interrompere questo progetto globale, forse il più importante di tutti, stanno strategicamente usando separatisti uiguri, terroristi e fanatici religiosi per seminare incertezza, persino caos, in questa parte del mondo”40.
Non è peregrino affermare, quindi, che la Cina ha tutto il diritto di difendersi. Anzi, è obbligata a farlo. Da molti anni l’approccio di Pechino alla lotta al terrorismo si fonda sul concetto dei “tre mali, estremismo, separatismo e terrorismo. All’apparenza sembrano tre categorie distinte che Pechino vorrebbe sovrapporre per estendere arbitrariamente l’area politica del terrorismo a fenomeni di legittima dissidenza politica, come per altro alcuni osservatori occidentali hanno già ipotizzato più volte puntando il dito contro il Governo cinese. In realtà si tratta di fenomeni effettivamente intrecciati tra loro, e non solo nello Xinjiang. L’ispirazione ideologica a vecchie formazioni statuali, forme di civiltà pregresse quando non addirittura immaginarie, porta i gruppi fondamentalisti ad inseguire l’obiettivo di destabilizzare interi territori per ridisegnare la geografia, a scapito della pace, dello sviluppo socio-economico e dei diritti civili. […] Un analogo revisionismo storico caratterizza anche i gruppi terroristi attivi nello Xinjiang, che utilizzano la definizione “Turkestan Orientale” per designare la regione, rivendicandone il territorio quale porzione orientale della vasta area storico-geografica del cosiddetto Turkestan, ovvero la “terra dei turchi”, intendendo per turchi (o turki) le popolazioni uralo-altaiche stanziate tra il Mar Caspio e la Valle dell’Orkhon. Chiaramente, questa interpretazione non tiene conto di aspetti storici e politici fondamentali, ovvero le precedenti dominazioni Han e Tang, le forti influenze culturali cinesi durante il dominio della Dinastia Liao dell’Ovest, noti come Qara Khitaj, le successive dominazioni Qing, e, più in generale, il carattere multietnico e multi-confessionale dello Xinjiang, affermato crocevia commerciale della Via della Seta già più di mille anni prima della conversione all’Islam di Abdulkerim Satuq Bughra Khan (934 d.C. Sovrano karakhanide di Kashgar. Difendersi dal terrorismo per la Cina significa difendere anzitutto i propri confini e la propria sicurezza”41.
Adesso a Pechino si guarda con attenzione i recenti sviluppi nel vicino Afghanistan. Scrive Luigi Medici che “ciò che la Cina teme di più del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan è la rinascita dell’East Turkestan Islamic Movement, Etim e il terrorismo nella regione cinese dello Xinjiang. L’Etim è un gruppo militante di etnia uigura attivo in Afghanistan, che da tempo cerca di ottenere l’indipendenza dello Xinjiang, per la creazione del “Turkestan orientale”. L’Etim è anche presente in Siria, dove i combattenti sono stati in gran parte raggruppati a Idlib e in altre regioni del nord. Le Nazioni Unite hanno classificato il gruppo come “organizzazione terroristica” dal 2002. Curiosamente, l’ex amministrazione di Donald Trump ha rimosso l’Etim dalla lista di gruppi terroristici dell’America nel novembre 2020, dicendo all’epoca che non c’erano “prove credibili”che l’Etim esistesse ancora, riporta Asia Times. Mentre i talebani avanzano verso nord sulla scia del ritiro delle truppe americane, sembra probabile che sia solo una questione di tempo prima che arrivino a Kabul per stabilire un nuovo “emirato islamico” che aprirà nuovi spazi per gruppi come l’Etim per reclutare e radicalizzare i giovani uiguri.
Per Pechino, tuttavia, la preoccupazione non è semplicemente la diffusione di idee radicali tra i musulmani uiguri nel vicino Afghanistan. Piuttosto, è la minaccia che una rinascita dell’estremismo potrebbe rappresentare per la Belt and Road Initiative nella regione, non ultimo in Pakistan. Quattro delle sei reti cinesi della Via della Seta, compreso il Corridoio economico Cina-Pakistan, Cpec, provengono o passano attraverso lo Xinjiang. Queste strade mirano a collegare la Cina con la Russia, l’Asia centrale, meridionale e occidentale, raggiungendo il Mar Mediterraneo.
In particolare, le reti della Via della Seta diverse dal Cpec che passano attraverso lo Xinjiang includono il Corridoio economico Cina-Asia centrale-Asia occidentale, il Corridoio economico New Eurasia Land Bridge e il Corridoio economico Cina-Mongolia-Russia. Seppur vista con favore, la partenza delle forze degli Stati Uniti e della NATO dall’Afghanistan, mette anche Pechino in un nuovo dilemma strategico nella regione.
Un recente rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha confermato che l’Etim non solo esiste e opera in Afghanistan, ma persegue anche una “agenda transnazionale”. Secondo il rapporto, l’Etim è tra i «principali” gruppi terroristici stranieri che operano in Afghanistan». Il rapporto dice che l’Etim si trova principalmente nelle province di Badakhshan, Kunduz e Takhar e che Abdul Haq (Memet Amin Memet) rimane il leader del gruppo. Circa 500 combattenti Etim operano nel nord e nord-est dell’Afghanistan, principalmente nei distretti di Raghistan e Warduj, Badakhshan, con finanziamenti basati nel Raghistan. Queste aree settentrionali si collegano con la Cina attraverso lo stretto Corridoio Wakhan, un potenziale passaggio per i militanti dello Xinjiang. Per l’Onu, l’Etim collabora con Lashkar-e-Islam e Tehrik-e-Taliban Pakistan, e «ha un’agenda transnazionale per prendere di mira lo Xinjiang, la Cina, il corridoio economico Cina-Pakistan e altri Stati regionali». Pechino ha offerto a Kabul di addestrare le sue forze di sicurezza, con un possibile dispiegamento di forze cinesi in Afghanistan per impedire ai combattenti dell’Etim di usare il corridoio Wakhan nella provincia di Badakhshan per attraversare senza controllo lo Xinjiang, ma ha anche offerto ai talebani uno “sviluppo in cambio della pace”42.
Pace che Pechino vuole mentre l’Occidente sembra proprio non desiderare; l’Occidente intende dominare poiché soltanto una Cina sconfitta, umiliata e conquistata sarà “accettata” dall’Occidente mentre una Cina che rispetta sé stessa e aiuta gli altri sarà attaccata e brutalizzata dall’Occidente: finché la Cina andrà bene, meglio dell’Occidente, finché il suo sistema politico e sociale sarà sempre più popolare, in tutto il mondo, e soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, Washington, Parigi, Londra, Berlino, ma anche Tokyo, non smetteranno di attaccare e provocare Pechino.
“Per prosperare, e anche per sopravvivere, il drago cinese dovrà combattere. Gli attacchi alla Cina non sono solo di natura economica o militare. Le religioni sono tra le armi più potenti dei nemici della Cina. Che si tratti del buddismo radicale, del cristianesimo evangelico protestante o, come oggi, dell’Islam radicale. La Cina deve difendersi, con tutti i mezzi. Gli uiguri estremisti sono in marcia. Molti di loro sono brutali ed estremamente pericolosi. Hanno già ucciso migliaia di innocenti in vari Paesi. Il loro scopo è rompere l’integrità della Cina e dei suoi grandi progetti internazionalisti. Sono determinati, ben finanziati e totalmente egoisti. Il loro desiderio di “indipendenza” è stato alimentato e finanziato da potenze straniere. Il piano degli estremisti uiguri è semplice: perfezionare tattiche terroristiche ed estremiste e abilità di combattimento all’estero, quindi tornare in Cina e iniziare a diffondere l’incubo in patria. L’Occidente “aiuta” volentieri a sostenere la loro marcia omicida. La civiltà ecologica cinese, la fine della povertà nel Paese più popoloso del mondo e la Road and Belt Initiative (The New Silk Roads) sono visti come un pericolo per la supremazia occidentale, almeno in alcune aree come Washington, Londra e Bruxelles.
La Cina ha tutto il diritto di difendersi. Ha l’obbligo di farlo43”.
NOTE AL TESTO
1 New Cold War is Built on Humanitarian Interventionist Lies & Dismissal of Actual War Crimes, “Covert Geopolitics”
2 Legendary diplomat Chas W. Freeman, Jr., on U.S.-China strategy and history: Part 3, Sinica Podcast, SupChina.
3 Edward S. Herman, U.S. Sponsorship of International Terrorism: An Overview in “Crime and Social Justice”, 1987, n. 27/28, pp. 1-2.
4 In un articolo della BBC del 2020 dal titolo China Uighurs: detained for beards, veils and internet browsing”, si legge che prevalentemente musulmani, gli uiguri sono più vicini per aspetto, lingua e cultura ai popoli dell’Asia centrale che all’etnia maggioritaria cinese, i cinesi Han. Negli ultimi decenni l’afflusso di milioni di coloni Han nello Xinjiang ha portato a crescenti tensioni etniche ea un crescente senso di esclusione economica tra gli uiguri. Tali rimostranze hanno talvolta trovato espressione in sporadici scoppi di violenza, alimentando un ciclo di risposte di sicurezza sempre più dure da parte di Pechino. Ma, come riporta Tony Cartalucci in un articolo per il New Eastern Outlook, la locuzione “a volte ha trovato espressione in sporadiche esplosioni di violenza” è un eufemismo deliberato e spettacolare con la stessa BBC che ha precedentemente documentato il macabro terrorismo che gli estremisti dello Xinjiang hanno compiuto. In Why is there tension between China and the Uighurs?, nel 2014, la stessa emittente britannica aveva riportato come “nel giugno 2012, secondo quanto riferito, sei uiguri hanno cercato di dirottare un aereo da Hotan a Urumqi prima di essere sopraffatti dai passeggeri e dall’equipaggio. C’è stato uno spargimento di sangue nell’aprile 2013 e nel giugno dello stesso anno, 27 persone sono morte nella contea di Shanshan dopo che la polizia ha aperto il fuoco su quella che i media statali hanno descritto come una folla armata di coltelli che attaccava gli edifici del governo locale Almeno 31 persone sono state uccise e più di 90 hanno riportato ferite nel maggio 2014 quando due auto si sono schiantate contro un mercato di Urumqi e gli esplosivi sono stati lanciati tra la folla. La Cina lo ha definito un “violento incidente terroristico”. Seguì un attacco conbombee coltelli alla stazione ferroviaria sud di Urumqi ad aprile, che uccise tre persone e ne ferì altre 79. A luglio, le autorità hanno affermato che una banda armata di coltelli ha attaccato una stazione di polizia e uffici governativi a Yarkant, provocando 96 morti. L’imam della più grande moschea della Cina, Jume Tahir, è stato accoltellato a morte giorni dopo. A settembre circa 50 persone sono morte in esplosioni nella contea di Luntai fuori dalle stazioni di polizia, da un mercato e da un negozio. I dettagli di entrambi gli incidenti non sono chiari e gli attivisti hanno contestato alcuni resoconti di incidenti nei media statali. Alcune violenze si sono riversate anche dallo Xinjiang. Una serie di accoltellamenti a Kunming, nella provincia dello Yunnan, che ha ucciso 29 persone a marzo, è stata attribuita ai separatisti dello Xinjiang, così come un incidente dell’ottobre 2013 in cui un’auto si è schiantata tra la folla e ha preso fuoco in piazza Tiananmen a Pechino”. Questi non sono certo “sporadici scoppi di violenza”, ma piuttosto una campagna concertata di terrorismo. È il terrorismo che da anni affligge lo Xinjiang e la Cina in generale.
5 Email riportata in Marco Pondrelli, Continente Eurasiatico. Tra nuova guerra fredda e prospettive di integrazione, Anteo Edizioni, 2021, p. 34.
6 Edward S. Herman, op. cit., pp. 8-10.
7 Ibidem, p. 12.
8 Tale formulazione è contenuta in Xinjiang: X la strategia americana del kaos , “Marx21”.
9 Come ben scrive il ricercatore Giuliano Bifolchi, l’idea di governare il mondo attraverso il controllo di questa regione“era viva anche durante l’era dei grandi imperi sovrannazionali quando la Russia zarista e la Corona britannica si fronteggiarono in uno scontro interpretato dagli storici dell’epoca come una contrapposizione tra il colonialismo britannico etichettato come “liberale” e quello zarista caratterizzato dalla volontà di allargare i propri confini attraverso l’espansione militare e la corruzione dei potenti locali. Durante la Guerra Fredda Zbigniew Brzezinski, politologo statunitense e consigliere per la sicurezza nazionale nella presidenza di Jimmy Carter, aveva individuato nella regione euroasiatica, e quindi nell’Asia Centrale, uno degli obiettivi della politica estera della Casa Bianca. La partita che si è giocata nel XX secolo nella regione ha visto lo scontro tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, eredità raccolta oggi da Mosca e Washington a cui si è aggiunto un terzo attore emergente, Pechino. Gli Stati Uniti sono stati coinvolti in Asia Centrale durante la Guerra Fredda dove hanno affrontato l’Unione Sovietica spingendo Mosca ad intervenire in Afghanistan e intrappolandola in un lungo conflitto (1979-1989) che sottolineò lo stato di decadenza della potenza militare sovietica e fu il preambolo, insieme a perestrojka e glasnost, del crollo dell’Urss. Sin dall’indipendenza delle repubbliche centroasiatiche post-sovietiche, conosciute anche come “gli Stan-countries”, Washington ha cercato di giocare un ruolo primario e decisivo nella regione attraverso la diplomazia e lo sviluppo di una rete di organizzazioni non governative e umanitarie che facilitassero la diffusione dell’American Dream e degli ideali del capitalismo e del liberalismo che avrebbero dovuto fare da contraltare al passato sovietico. Anche se la Nato ha chiuso il suo ufficio di collegamento a Tashkent in Uzbekistan nel 2017, Washington è ancora impegnata nella guerra in Afghanistan e vuole preservare la sua presenza militare e il suo peso diplomatico nell’area come deterrenza contro la Federazione Russa, l’Iran e la Cina”. Asia Centrale: teatro di scontro geopolitico e mercato energetico in rapida ascesa – L’Eurispes (leurispes.it)
10 Xinjiang: X la strategia americana del kaos , “Marx21”.
11 Informazioni Marittime: Cosco incrementa gli investimenti nel Pireo.
12 Da non dimenticare il fatto che questa regione è ricca sia di petrolio (21 miliardi di tonnellate) che di giacimenti di carbone (40% delle intere riserve cinesi) ed è una regione immensamente ricca tanto da registrare un notevole sviluppo economico tra quando la Cina ha stabilito la regione negli anni ’50 e oggi. Queste mosse economico-strategiche della Cina sono potenzialmente positive per la maggior parte della popolazione mondiale ma esiziali per alcuni dei potenti gruppi di interesse del mondo occidentale – bancario, industriale, militare e politico – che al tempo della Guerra Fredda, quando il nemico principale era l’URSS, vedevano Pechino come potenziale amico dell’America, mentre, ora, lo percepiscono come il nuovo nemico emergente. I piani di Pechino includono anche una maggior quantità di gas naturale per l’industria cinese da far pervenire dal Turkmenistan con la costruzione di una nuova diramazione del gasdotto Asia Centrale-Cina, che coinvolgerebbe anche Tagikistan e Kirghizistan. All’epoca Xi Jinping fece riferimento alla costruzione di una “cintura economica lungo la Via della seta”, un progetto trans-eurasiatico che si estende dall’Oceano Pacifico al Mar Baltico. In un discorso ad Astana, in Kazakistan, Xi dichiarò che la Belt and Road Inititiave avrebbe creato una cintura economica abitata da “quasi 3 miliardi di persone e il più grande mercato del mondo con un potenziale senza pari”. Nella sua visita in Turkmenistan nello stesso tour, Xi si è che assicurato il gasdotto in costruzione avrebbe percorso la tratta dal Turkmenistan all’Uzbekistan-Tagikistan-Kirghizistan fino in Cina. L’unico problema di Pechino – come sostiene tra gli altri il giornalista indipendente F. William Engdhal – è che il gasdotto dell’Asia Centrale e altri gasdotti, linee elettriche e reti di trasporto attraversino tutta la regione autonoma uigura dello Xinjiang.
13Nello stesso report, Fuller elabora quattro possibili scenari:
A. Una Cina in difficoltà
La prospettiva di una “Cina in difficoltà” è davvero agghiacciante. Tale condizione sarebbe innescata dal diffondersi della disoccupazione e dei disordini sindacali, una crisi finanziaria derivante da crediti inesigibili e persistenti interventi statali nell’economia, calo della fiducia da parte degli investitori internazionali, divisione tra le élite sulla politica, leadership debole che non è in grado di stabilire una direzione chiara, incapacità di abbandonare le restrizioni del controllo a partito unico, crescente regionalismo man mano che le forze centrifughe arrivano a predominare sulle forze centripete e una preoccupazione per gli affari interni trascurando le questioni internazionali;
B. Una Cina ostile e belligerante
La forza trainante di questo scenario è la congiunzione di una crescita economica continua ma irregolare in patria, una serie di battute d’arresto o umiliazioni sulla scena internazionale, e una leadership che volta le spalle all’innovazione e agisce invece in nome di un gretto sciovinismo. Incerta della sua capacità di controllare gli eventi, la leadership riafferma il ruolo guida di un partito comunista d’élite, impone controlli più severi sulla politica e sull’economia e riduce la sperimentazione del libero mercato tranne che nelle aree del capitalismo di stato e nelle zone controllate per gli investimenti stranieri. Frustrata per la questione di Taiwan ma non disposta ad accettare la situazione, questa Cina diventerebbe apertamente ostile agli Stati Uniti e cercherebbe di sviluppare le proprie alleanze informali di anti-USA. forze. Aumenterebbe anche il suo budget militare e adotterebbe un approccio pesante nei confronti dei vicini dell’Asia centrale, usando il suo peso economico per ottenere una voce dominante lì mentre gli Stati Uniti si ritiranogradualmente dalla regione;
C. Una Cina di successo e trionfante
Questo scenario prevede una Cina che ha gestito con successo la sua economia. Ha favorito ulteriori privatizzazioni, risolto problemi nel settore bancario, mantenuto un alto tasso di crescita, ampliato ulteriormente il suo fiorente commercio estero e ridotto, ma non eliminato affatto, disoccupazione e povertà. Il Partito Comunista conserva il suo monopolio del potere, ma ora accetta più uomini d’affari nei suoi ranghi e accoglie con favore la democrazia all’interno del partito. Grazie a questo, la Cina ottiene la piena accettazione come una delle maggiori potenze mondiali e contemporaneamente un forte senso del destino nazionale e fiducia in se stessi.
D. Una Cina di successo, liberalizzazione e contenuta
Questa visione è caratterizzata da molte delle stesse caratteristiche che apparivano nel ritratto di una “Cina di successo e trionfante”. La differenza cruciale è che questo scenario prevede anche un’evoluzione politica che porta a un maggiore decentramento del potere cinese, a una parziale accettazione dei principi di devoluzione e autogoverno, e a una liberalizzazione complessiva della politica interna. Al contrario, assume un ruolo minimo per il pensiero sciovinista o xenofobo in Cina e una sorta di fiduciosa integrazione nella comunità mondiale.
Le condizioni essenziali per tali sviluppi sono uno sviluppo economico e sociale stabile ma non destabilizzante, un ambiente internazionale relativamente non minaccioso e una prima esperienza da parte dei leader cinesi di “quarta generazione” di interazione positiva con esso.
I principali motori del cambiamento in questa direzione sono la comunicazione, l’educazione e soprattutto la leadership. Presuppone che i membri della nuova leadership che provengono dalle province interne e comprendano la loro situazione svilupperanno soluzioni costruttive alle questioni di governance che possono essere raggiunte attraverso processi evolutivi e che coloro che ancora difendono le vecchie tecniche di comando e controllo possano essere gradualmente e pacificamente emarginati.
Chiaramente, l’ultimo di questi quattro scenari offre non solo la migliore, ma probabilmente l’unica prospettiva per la gestione di successo del problema dello Xinjiang e, più in generale, per la stabilità, il benessere e la redditività a lungo termine della Cina. Notiamo che tutti gli altri tre scenari lasciano la questione uigura sostanzialmente irrisolta, con poco o nessun movimento verso qualsiasi tipo di risultato che sarebbe accettabile per gli uiguri stessi. […] La lezione di questo scenario è che qualsiasi forma di sviluppo economico nello Xinjiang che favorisca i cinesi Han rispetto ai popoli indigeni turchi aggraverà il senso di privazione e disaffezione degli uiguri piuttosto che migliorarli.
14 Su Jingxiang, U.S. Strategy and Xinjiang, 7.7.2021, China-Us Focus: www.chinausfocus.com
15La rinascita economica dello Xinjiang dopo la pacifica liberazione – Centro Studi Eurasia e Mediterraneo (cese-m.eu)
16 Traducibile in italiano come politica di periferia, questa politica di ricerca di interessi reciproci con i vicini asiatici ha servito gli interessi della Cina nello stabilire un ambiente di sicurezza regionale stabile e promuovere la modernizzazione economica lungo linee pragmatiche. In particolare, la Cina ha mantenuto e ampliato relazioni di importanza strategica con la Russia, le repubbliche dell’Asia centrale recentemente indipendenti, due Coree e i principali Paesi del sud-est asiatico dopo la fine della Guerra Fredda. Il successo è di queste politiche si è registrato in gran parte lungo i suoi confini terrestri a nord e a ovest. È qui importante sottolineare come l’apertura economica all’Asia centrale abbia fornito a Pechino un elemento significativo di leva per indurre gli Stati dell’Asia centrale ad aiutarla nella sua ricerca per proteggere lo Xinjiang dal “separatismo” uiguro negli anni 2000.
17Citazione libera da Clarke Michael, China, Xinjiang and the internationalisation of the Uyghur issue, “Global Change, Peace & Security”, 2010.
18 La lunga partita a scacchi di Brzezinski: 20 anni dalla pubblicazione de La Grande Scacchiera – Istituto di Politica
19 La lezione di Brzezinski su Usa e Ue: così ha previsto il mondo del 2021 (insideover.com)
20 “Foreign Relations of the United States”, 1964–1968, Volume XXX, China – Office of the Historian riportato in Continuity of Agenda: US Encirclement of China Continues Under Trump, “New Eastern Outlook” (journal-neo.org)
21 Nel pezzo a firma Emanuele Pierobon ci si riferisce a Mosca ma il discorso resta valido per Pechino. Perché la Russia dovrebbe preoccuparsi della crescente presenza della Turchia nel -stans (insideover.com)
22 ibidem
23 Stefano Vernole: Usa ritirano truppe da Afghanistan per dispiegarle invisibilmente in regione (AUDIO) – “Pars Today”
24 Why is the US Involving Turkey in Afghanistan?, “New Eastern Outlook” (journal-neo.org).
25 Things to know about all the lies on Xinjiang: How have they come about?– China.org.cn
26 Poco noto il fatto che il primo a parlare senza mezze misure di genocidio fu proprio lo stesso Presidente turco quando, in seguito all’attentato del 5 luglio a Ürümqi, ha criticato la Cina dicendo che “questi incidenti in Cina sono come se fossero un genocidio. Chiediamo al Governo cinese di non rimanere spettatore di questi incidenti”.
27 Erdogan, sultano degli uiguri, “Il Simplicissimus” (ilsimplicissimus2.com)
28 La marche des Ouïghours par André Vltchek, “Histoire et société” (histoireetsociete.com) Nella presentazione dell’elaborato al lettore, il sito Histoire e Société scrive: “l’articolo non usa mezzi termini e invita tutti coloro che stanno pensando di prendere posizione: l’Occidente ‘aiuta’ volentieri a sostenere la loro marcia (degli Uiguri, ndR) omicida. La civiltà ecologica cinese, la fine della povertà nel Paese più popoloso del mondo e la Road and Belt Initiative (The New Silk Roads) sono visti come un pericolo per la supremazia occidentale, almeno in alcune aree. luoghi come Washington, Londra e Bruxelles. La Cina ha tutto il diritto di difendersi. Ha l’obbligo di farlo. È dovere dei pensatori di tutto il mondo dire la verità. Se tacciono o vendono la loro dignità per denaro e privilegi, come stanno facendo tante persone in Occidente, saranno condannati dalle generazioni future”.
29 A scanso di equivoci, Vltchek predispone una nota importante all’inizio dello scritto in cui specifica che “gli uiguri sono riusciti a creare una cultura molto antica e profonda. La maggior parte di loro sono buoni cittadini rispettosi della legge della RPC. Anche la stragrande maggioranza dei seguaci dell’Islam sunnita sono persone pacifiche. Questo lavoro riguarda i terribili problemi associati all’estremismo e al terrorismo, la maggior parte dei quali creati e poi nutriti dall’Occidente e dai suoi alleati. L’obiettivo è quello di danneggiare la Cina. Le vittime vivono in Paesi diversi)”.
30A cura di Fabio Massimo Parenti, Xinjiang. Capire la complessità, costruire la pace, p. 18.
Il report in questione è liberamente consultabile al seguente indirizzo Rapporto “Xinjiang. Capire la complessità, costruire la pace” promosso dal Cesem con EURISPES e Istituto Diplomatico Internazionale – Centro Studi Eurasia e Mediterraneo (cese-m.eu)
31 Xinjiang: X la strategia americana del kaos , “Marx21”. Nel suo lungo articolo Giambattista Cadoppi cita anche un intervento di Domenico Losurdo qui sopra riportato nel contesto della citazione.
32 Yufan Hao e Weihua Liu, Xinjiang: increasing pain in the heart of China’s borderland in Journal of Contemporary China, vol. 21, num. 74, anno 2012, pp. 219–220.
33 Fondazione Nozugum, Organizzazione Regionale Uigura del Kazakistan, Associazione Kazaka Unità Uigura (Ittipak), Associazione per la libertà dello Uiguristan, Unione Giovanile Uiguri, Organizzazione per la liberazione dell’Uyghurstan e il Fronte Rivoluzionario Unito del Turkistan orientale guidato da Yusupbek Mukhlisi, tutti basati nell’Imatay del Kazakistan; la Kyrgyz Uyghur Unity Association (Ittipak) e il Bishkek Human Rights Centre, entrambi con sede a Bishkek, capitale del Kirghizistan. I terroristi del Turkestan orientale sono invece supportati anche direttamente dalle forze terroristiche internazionali dal momento che, sostengono gli estensori dell’articolo che stiamo citando, non solo riceve un sostegno incondizionato da Al Qaeda ma è anche diventata una parte importante delle sue forze terroristiche. Le forze terroristiche guidate da Bin Laden hanno fornito molti aiuti finanziari e materiali ai terroristi del Turchestan orientale. Alcuni uiguri hanno combattuto a fianco dei talebani o del Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU) con sede in Afghanistan, mentre altri si sono uniti ai mujahidin ceceni durante i primi anni della seconda guerra russo-cecena iniziata nel 1999. “Nel febbraio 2001, i terroristi di Bin Laden e i leader talebani si sono incontrati a Kandahar per discutere dell’addestramento dei terroristi del Turchestan orientale. Hanno deciso di stanziare una grossa somma di denaro per l’addestramento dei terroristi del Turchestan orientale e hanno promesso di sostenere i costi delle loro operazioni nel 2001. Inoltre, i terroristi di Bin Laden, i talebani e il Movimento di liberazione islamico dell’Uzbekistan hanno offerto un grande affare di armi e munizioni, mezzi di trasporto e apparecchiature per le telecomunicazioni ai terroristi del Turchestan orientale. Il gruppo di Bin Laden ha anche addestrato direttamente il personale per le forze del Turchestan orientale. Hasan Mahsum ha scelto alcuni criminali, estremisti religiosi e separatisti nazionali sia in patria che all’estero per l’addestramento nei campi di addestramento dei terroristi di Bin Laden in Afghanistan, a Kandahar, Mazar i Sharif e in altri luoghi. Dopo la rivolta del 5 luglio, Al-Qaeda ha persino giurato vendetta contro lavoratori cinesi in Africa per la morte dei musulmani uiguri nello Xinjiang”.
34 Maria Morigi, Xinjiang, “nuova frontiera”. Tra antiche e nuove vie della Seta, Anteo Edizioni, Cavriago, 2019, p. 168.
35 Nel rapporto Xinjiang. capire la complessità, costruire la pace si legge che “il Movimento Islamico per il Turkestan Orientale è tra le formazioni più violente e maggiormente attive nella regione. […] Nel 2000, così, l’ETIM ricevette una somma pari a 300.000 dollari dallo stesso sceicco terrorista e dai talebani, che l’anno successivo coprirono interamente le spese sostenute dall’organizzazione per dotarsi di armamenti, equipaggiamenti, documenti, passaporti falsi per espatriare all’estero e partecipare ad addestramenti o veri e propri combattimenti sul campo”.
36Ibidem, pp. 169 – 170.
37 Passando in rassegna la successione cronologica degli eventi di matrice terroristica si può notare come tra il 1990 e il 2014 lo Xinjiang abbia vissuto tre diverse ondate di rivolte e atti terroristici. Il primo fatto si verifica il 5 aprile 1990 quando un gruppo di terroristi, aiutato e spalleggiato dal Partito Islamico del Turkestan orientale, e guidato da Zahideen Yusuf, uno studente influenzato dagli ideali della jihad afgana, organizza un grave incidente terroristico nei pressi della cittadina di Barin: il gruppo predicava una “guerra santa”, l’eliminazione dei pagani e l’instaurazione della “Repubblica del Turkestan Orientale“. I terroristi, inoltre, cercarono di fare pressione sul Governo prendendo in ostaggio dieci persone, demolendo due auto a un incrocio stradale, uccidendo sei poliziotti, sparando ai funzionari del Governo assediati con mitra e pistole e lanciando contro di loro esplosivi e bombe a mano; questa sommossa domata dall’impiego di 200.000 militari cinesi ha segnato la ripresa della lotta delle minoranze più radicali per un Turkestan Orientale indipendente. Una seconda ondata si apre il 5 febbraio 1992 quando un gruppo di terroristi fece esplodere due autobus (linee n. 52 e n. 30) a Urumqi, la capitale dello Xinjiang, uccidendo tre persone e ferendone altre 23. Altre due bombe, una piazzata in un cinema e l’altra in un edificio residenziale, furono scoperte e disinnescate prima che potessero deflagrare. Sono anni caratterizzati da attentati prevalentemente dinamitardi verso obiettivi civili quali autobus, treni e bazar: nel 1993, dal 17 giugno al 5 settembre, l’organizzazione terroristica “Turkestan Orientale” è stata responsabile di dieci esplosioni in grandi magazzini, mercati, hotel e luoghi per attività culturali nella parte meridionale dello Xinjiang, provocando due morti e 36 feriti. La terza ondata (1996 – 1997) ha come obiettivi anche le persone fisiche e le loro proprietà: il 29 aprile 1996, una dozzina di terroristi armati fino ai denti fecero irruzione nelle case di Qavul Toqa – membro del Comitato nazionale della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese (CCPC) e deputato al Congresso del popolo della regione autonoma dello Xinjiang Uygur nel villaggio di Qunas – e di altri tre funzionari locali di base uigura, che hanno commesso violenze sanguinose mediante esplosioni, sparatorie e accoltellamenti. Anvar Qavul, il figlio di Qavul Toqa, è morto per nove coltellate e un colpo alla testa, e sua moglie è morta per otto coltellate e due colpi alla testa. Javup Muhammatman, un funzionario del villaggio, ha ricevuto gravi coltellate; il 12 maggio, i terroristi uccidono Arunhan Aji, il capo mullah della moschea di Id Kah e contemporaneamente vicepresidente del Comitato Regionale dello Xinjiang del CCPC. Nel 1997, il “Partito islamico di Allah del Turkestan orientale” e alcune altre organizzazioni terroristiche fomentarono l’incidente di Yining, una grave rivolta durante la quale i terroristi gridarono slogan per l’istituzione di un “Regno islamico” nello Xinjiang, marciando e sventolando la bandiera della Repubblica del Turkestan Orientale degli anni ’40. Durante questi giorni turbolenti, furono attaccate persone innocenti, distrutti e bruciati negozi e danneggiati auto e autobus. Durante questo incidente sono state uccise sette persone innocenti, più di 200 persone sono rimaste ferite, più di 30 veicoli sono stati danneggiati e due case private sono state bruciate; il 25 febbraio, dirigendo nuovamente le sue attività terroristiche verso la capitale dello Xinjiang, l’organizzazione terroristica “Turkestan Orientale” ha fatto esplodere tre autobus (autobus n. 2, n. 10 e n. 44) a Urumqi: negli incidenti sono morte nove persone e altre 68 sono rimaste gravemente ferite, tra cui persone di etnia uigura, hui, kirghisa e han; il 6 novembre, un gruppo terroristico guidato da Muhammat Tursun, per ordine dell’organizzazione estera “Turkestan Orientale”, spara ed uccide Yunus Sidiq Damolla, membro dell’Associazione islamica della Cina e dell’Associazione islamica dello Xinjiang, presidente dell’Associazione Islamica di Aksu e imam della moschea della contea di Baicheng. Il 5 luglio del 2009 a Urumqi si verificò l’attentato più grave che provocò 200 morti: innescato dalle organizzazioni uigure con sede a Washington, sono scoppiati solo pochi giorni dopo un incontro tra i membri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che avevano come ospite ufficiale l’Iran di Ahmadinejad, a Ekaterinburg. C’era una chiara connessione tra l’incontro di Ekaterinburg e la rivolta uigura. Washington non era affatto felice di vedere cooperare le nazioni dell’Eurasia. Per una timeline del terrore nello Xinjiang rimandiamo a Timeline: Terror in Xinjiang, china.org.cn
38 The Biggest Lie About China’s Xinjiang “Internment Camps”, “New Eastern Outlook” (journal-neo.org).
39 Xinjiang: X la strategia americana del kaos , “Marx21”.
40 La marche des Ouïghours par André Vltchek, “Histoire et société” (histoireetsociete.com)
41 A cura di Fabio Massimo Parenti, Xinjiang. Capire la complessità, costruire la pace, pp. 20 – 21.
Il report in questione è liberamente consultabile al seguente indirizzo Rapporto Xinjiang. Capire la complessità, costruire la pace promosso dal Cesem con EURISPES e Istituto Diplomatico Internazionale – Centro Studi Eurasia e Mediterraneo (cese-m.eu).
42 CINA. Ecco il gruppo terroristico che Pechino teme dopo il ritiro afgano degli USA (agcnews.eu).
43 Vltchek, op. cit.
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