di Lorenzo Borghi
All’atteso G20 di Roma che si terrà il 30-31 ottobre 2021 gli Stati dovranno dare delle risposte significative ed esaustive a tutte le tematiche inerenti all’attuale crisi socioeconomica dettata dalla pandemia COVID. Il focus centrale è orientato al ruolo che dovrà sostenere l’Unione Europea in questa serie d’incontri romani.
Il 30-31 ottobre La Nuvola di Fuksas di Roma ospiterà un importante G20. L’Italia è attesa alla sua prima volta, in quanto mai in passato il G20 è stato organizzato nel territorio italiano. Nella capitale romana sono attesi i Capi di Stato, oltre ai relativi ministri dell’economia, dell’Argentina, Australia, Brasile, Arabia Saudita, Canada, Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Turchia, India, Repubblica di Corea, Russia (Putin sarà presente virtualmente), Sud Africa, Singapore, Olanda, Spagna e Unione Europea con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Invece, per quanto riguarda la Cina, Xi Jinping, come ormai sta accadendo dallo scoppio della pandemia COVID-19, ha deciso di non presiedere direttamente a Roma.
Nella capitale italiana, i leader mondiali affronteranno le attuali questioni di politica internazionale, esaminando le dinamiche vaccinali, la crisi ambientale e la nuova crisi economica derivante dalla pandemia. Tutti questi tre macro-temi saranno incentrati attorno alle 3 P: Persone, Pianeta e Prosperità. L’obiettivo centrale del G20 romano è quello di affrontare, discutere e trovare soluzioni inerenti agli disequilibri economici e sociali globali, concentrandosi sui giovani, le donne e i lavoratori precari, oltre ad analizzare la miglior strategia per aumentare il numero di vaccinati anche nei Paesi meno sviluppati.
La probabile posizione dell’UE: un Recovery Plan globale potrebbe essere una soluzione
In sede dell’Unione Europea e di tutti i parlamenti europei, l’argomento più discusso non può che essere il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, o più comunemente conosciuto come Recovery Plan. Il Dispositivo, adottato dal Consiglio europeo l’11 febbraio scorso, si incentra in sei cardini e requisiti essenziali: transizione verde, transizione digitale, occupazione e crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e, infine, politiche per i giovani (istruzione e competenze). Il Piano di Ripresa è sostenuto da un’ingente quantità di risorse economiche pari a circa 672,5 miliardi di euro, ripartiti in 312,5 mld a fondo perduto e 360 mld in veri e propri prestiti. Nei propri PNRR gli Stati europei hanno l’onere di investire almeno il 37% nella transizione verde e il 20% in quella digitale e, inoltre, dovranno essere evidenziati gli obiettivi (elementi quantitativi, es. aumento valore delle borse di studio) e i traguardi (elementi quantitativi, es. riforma della giustizia o del fisco) che dovranno essere raggiunti entro il 31 agosto 2026.
L’Unione Europea ha puntato tutto sul Recovery Plan, arrivando addirittura a porre come garanzia sui mercati il proprio bilancio e le proprie finanze. In risposta, gli Stati UE hanno dato un gran contributo alla garanzia posta dall’UE aumentando i propri versamenti nelle casse europee così da applicare la mutualizzazione del debito. Con quest’ultimo si intende garantire ai creditori sui mercati, che qualora uno Stato europeo non riuscisse a ripagare i prestiti non a fondo perduto, l’Unione avrebbe la garanzia collettiva per poter rispettare gli oneri con i propri creditori.
A tal fine, visto quanto scritto qui sopra, non è così impensabile che l’UE e i Paesi europei che saranno presenti a Roma porteranno avanti il Recovery Plan con l’intento di convincere gli altri Paesi ad abbracciare questa riforma economica volta a risanare i disequilibri socioeconomici derivanti dalla pandemia COVID. Per questo motivo, tutti gli occhi degli economisti e statisti mondiali saranno riversati verso quanto accadrà nel Vecchio Continente, per verificare l’efficacia e l’applicabilità del Recovery Plan. Ovviamente, in caso di un responso positivo, gli indirizzi di massima degli Stati saranno orientati alla formazione di convenzioni economiche regionali, sulla base del Dispositivo di Ripresa e Resilienza.
Per l’Unione potrebbe essere l’occasione di rivalsa innanzi agli alleati statunitensi, a dimostrazione del fatto che l’UE può ancora avere una posizione rilevante in ambito geopolitico e di poter di trattare quasi alla pari con la Superpotenza statunitense e, quindi, di non dover accettare incondizionatamente ogni loro decisione. Inoltre, potremmo vedere un ulteriore ampliamento del raggio d’azione dell’USMCA (ex NAFTA), dove oltre a rivolgersi ai dazi doganali, potrebbe vedere Stati Uniti, Canada e Messico uniti con l’intento di affrontare la crisi economica attuale. Ovviamente ad oggi pare utopistico, però qualora gli effetti del Recovery Plan dovessero produrre ottimi risultati, nulla vieterebbe ai già preesistenti accordi regionali di abbracciare un piano di ripresa comune con i rispettivi Paesi membri.
Gli strumenti che l’UE ha a sua disposizione per promuovere il Recovery Plan e a chi potrebbe indirizzare il comunicato finale del G20 di Roma
La storia dei G7, G10 e G20 insegna come il ruolo determinante di questi incontri internazionali siano rivolti al comunicato finale, come ad esempio con lo Smithsonian Agreement del 1971 dove l’allora G10 comunicò al Fondo Monetario Internazionale l’intenzione di modificare il regime di tassi di cambio fissi, come codificato nell’articolo 4 dello Statuto del FMI, che determinò l’inizio dell’evoluzione dei tassi di cambi sino ad arrivare al Secondo emendamento del Fondo e il nuovo sistema di tassi di cambio flessibili.
Di conseguenza, lo strumento di cui dovrà avvalersi l’UE è proprio il comunicato finale del G20 di Roma 2021. L’Unione Europea, grazie anche alla presenza di Italia, Germania, Francia, Olanda e Spagna e alla presidenza dell’incontro in territorio italiano, ha quindi l’onere di trovare un’intesa con i propri membri che saranno a Roma, qualora decidesse di perseguire la strada di illustrare e glorificare il Recovery Plan, così da aver maggior peso durante gli incontri.
La questione rilevante, infine, potrebbe riguardare il destinatario del comunicato finale e a quale istituto economico multilaterale rivolgersi, dal momento che in prima istanza, risulterebbe complicato istituire velocemente delle convenzioni regionali. A tal fine, i principali “mittenti” potrebbero essere il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale tramite la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (IBRD). Per entrambe la critica rivolge il proprio sguardo verso la loro prassi che ha visto rispettivamente l’imposizione di politiche economiche occidentali nei confronti di Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, risultate inefficaci ed errate nei contesti in cui sono state implementate. Ad ogni modo, una richiesta di partecipazioni a queste due organizzazioni internazionali o anche a una delle due, dovrà prima essere concordata con gli Stati che detengono le più alte quote di voto all’interno di esse, dato che qualsiasi decisione sull’assistenza finanziaria si ottiene con una maggioranza dell’85%. Di conseguenza, l’UE e i Paesi europei presenti a Roma dovranno fare leva necessariamente sugli Stati Uniti d’America, i quali detengono una quota di voto circa del 17% nel FMI e 16,5% nell’IBRD. Pertanto, come accaduto dal secondo dopoguerra, tutto è nelle mani degli USA, i quali dovranno eventualmente decidere se emulare il Recovery Plan all’interno di queste due organizzazioni internazionali.
Lorenzo Borghi si è laureato alla triennale in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso La Statale di Milano e sta attualmente frequentando la magistrale di Relazioni Internazionali, sempre presso La Statale di Milano.
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