di Andrea Cantelmo
La Jugoslavia di Tito cominciò ad interessarsi all’Asia prima ancora della rottura con l’Unione Sovietica di Stalin, tentando di allacciare rapporti con i partiti comunisti locali. Già all’inizio del 1948 furono inviati a Calcutta Radovan Zogović, poeta montenegrino e funzionario dell’Agitprop, e Vladimir Dedijer, affinché partecipassero – come motivazione ufficiale della loro missione – al II Congresso del Partito Comunista Indiano. In realtà avevano l’incarico di stabilire contatti con Mao Zedong, che stava ancora lottando per il potere in Cina, e di stringere rapporti con il movimento di lotta anti-coloniale in Indonesia. Dopo l’emancipazione di quest’ultima, dell’India e la vittoria del Guomindang in Cina, l’interesse di Belgrado si intensificò ulteriormente, pur acquisendo contenuti nuovi a causa del conflitto con Stalin. Però i cinesi, già nel giugno 1948, si erano schierati con il leader sovietico, e quindi non fu più possibile dialogare con loro, nonostante la decisione della Jugoslavia di riconoscere, il 5 ottobre 1949, il nuovo Governo di Pechino. Intorno agli anni Cinquanta cominciò a prendere forma l’idea, tra i diplomatici jugoslavi, di una “terza forza”, indipendente dall’Occidente e dall’Oriente, non neutrale alla maniera svizzera, ma attivamente impegnata a risolvere i grandi problemi del mondo. Il concetto di non allineamento assunse un’elevata risonanza solo dopo gli anni Sessanta. All’inizio molti pensarono che il Movimento dei Paesi non allineati avrebbe avuto una rilevanza temporanea, dato che la tensione tra gli Stati Uniti e Unione Sovietica era in calo, e ciò avrebbe comportato la perdita del principio fondante della nuova coalizione e quindi la sua estinzione. Ma nonostante l’attenuarsi della Guerra Fredda, queste previsioni si rivelarono errate, sicché gli incontri tra gli Stati aderenti proseguirono con buona continuità, e inoltre numerosi Paesi decisero di entrare a far parte del Movimento negli anni seguenti. Un importante elemento di sviluppo del Movimento dei non allineati fu la Conferenza di Bandung del 1955, tenuta in Indonesia e fortemente voluta dal presidente Sukarno. Questo meeting riunì tutti gli Stati indipendenti dell’Africa e dell’Asia, ad eccezione della Corea e di Israele. I 29 Paesi partecipanti componevano un quadro molto variegato che andava dalla Cina comunista a Stati alleati dell’Occidente come Turchia, Filippine e Vietnam del Sud. Il dibattito risentì notevolmente della Guerra Fredda in corso. I nodi centrali della discussione furono la lotta contro il colonialismo e l’eguaglianza tra tutte le nazioni. Infine fu stilato un documento di dieci punti (il Manifesto di Bandung), ed uno di essi dichiarava esplicitamente l’obbligo di astenersi dal contrarre accordi di sicurezza collettiva al servizio di interessi particolari delle grandi potenze. La Conferenza diede una spinta eccezionale al movimento anti-colonialista, poiché per la prima volta un gruppo di Stati istituiti su vecchi territori coloniali si era riunito senza dover sottostare ad alcun tipo di potere europeo, e per le ex colonie che riuscirono a prendervi parte fu la definitiva affermazione della propria indipendenza.
Il Movimento dei non allineati fu riconosciuto dalla comunità internazionale solo dopo la Conferenza di Belgrado, tenuta nel 1961, in cui gli Stati aderenti precisarono formalmente e in modo articolato gli interessi comuni. Questo summit fu originato dall’incremento della cooperazione tra Tito, Nasser e Nehru registratosi dal 1956 in poi. Willetts descrive il 1956 come l’anno in cui fu concepito realmente il non allineamento, in concomitanza della crisi del canale di Suez e di quella ungherese. La nazionalizzazione del canale di Suez da parte dell’Egitto fu l’evento che fece scaturire la crisi, poiché Israele, con il benestare della Gran Bretagna e della Francia, decise di attaccare lo Stato egiziano alla fine di ottobre. L’India sostenne immediatamente Nasser soprattutto per ragioni economiche, dato che Suez rappresentava una rotta fondamentale per i suoi scambi commerciali con l’Europa. Anche la Jugoslavia, come tutti gli altri Paesi comunisti, condannò l’invasione israeliana e l’atteggiamento delle due potenze occidentali. Inoltre, l’attacco sovietico all’Ungheria, avvenuto anch’esso in due tempi tra il mese di ottobre e novembre, fece ricomparire il timore che a Mosca ci fossero piani di un’aggressione armata nei confronti di Belgrado. Tutto ciò portò il leader jugoslavo a sentirsi molto vicino alla situazione di Nasser, poiché comprese che entrambi guidavano piccoli Stati in balia delle grandi potenze occidentali e orientali. Infatti, la Jugoslavia era uno Stato che era riuscito a mantenere la propria indipendenza in seguito all’aspro confronto del 1948 con l’Unione Sovietica, che era una delle grandi potenze mondiali, e da allora aveva sempre sentito la necessità di proteggersi da possibili ingerenze sovietiche. Nei primi anni Cinquanta, Belgrado adottò una politica totalmente opposta a quella della neutralità, poiché accettando i cospicui aiuti economici e militari americani, e stipulando, nel 1953, un trattato con Grecia e Turchia, entrambi membri della Nato, trattato divenuto l’anno successivo un vero e proprio accordo militare, aveva chiaramente spostato la propria politica estera a favore del blocco occidentale. Questa nuova rotta era stata impressa dal Ministro degli Affari Esteri, Koča Popović, descritto come un uomo assolutamente contrario a rimanere neutrale e fortemente deciso a far venir fuori la Jugoslavia dall’isolamento in cui si trovava. In seguito alla morte di Stalin, avvenuta nel 1953, ci fu (è noto) un grande cambiamento all’interno dell’Unione Sovietica che portò Chruščëv alla guida del Paese soprattutto dopo l’allontanamento di Malenkov dalla Presidenza del Consiglio nel 1955. I rapporti tra Mosca e Belgrado, dopo una clamorosa visita del leader sovietico in Jugoslavia, migliorarono notevolmente proprio in quell’anno tanto che il Governo jugoslavo mise in secondo piano l’intesa militare balcanica raggiunta l’anno precedente. Tito era convinto che il confronto politico, ideologico e militare tra Stati Uniti e Urss fosse il contesto ideale per mantenere la sicurezza e l’indipendenza del proprio Stato. Questo dimostra che, fino al 1961, il concetto chiave della politica estera jugoslava era la “coesistenza attiva e pacifica”. Di differente parere erano i dirigenti sovietici, poiché da quanto si deduce dagli scritti di Pirjevec, Tito voleva ottenere il ruolo di guida del movimento comunista internazionale, come dimostra il programma esposto al VII Congresso della Lega dei Comunisti.
L’iniziativa decisiva per far sì che si convocasse una Conferenza dei Paesi non allineati fu intrapresa da Tito, che si recò in Africa dal 13 febbraio al 23 aprile del 1961, visitando Ghana, Marocco, Togo, Liberia, Guinea, Mali, Tunisia, Sudan e la Repubblica Araba Unita, per promuovere l’idea del non allineamento. Gli indiani erano contrari al crescente interesse a favore degli Stati africani del leader jugoslavo, poiché temevano che il Movimento si sarebbe potuto trasformare in un qualcosa di esclusivamente anti-coloniale. Nel suo viaggio, però, Tito trovò il supporto sufficiente per ignorare l’opposizione indiana, e insieme a Nasser decise di invitare al Cairo un piccolo gruppo composto da diciassette Stati. In seguito a questa nuova situazione, l’India fu costretta ad appoggiare il meeting e chiese di aggregarsi a coloro che erano stati già invitati. I venti Paesi che erano presenti all’incontro preparatorio del Cairo del giugno 1961 consistevano nei sei del Gruppo di Casablanca, più altri tre Stati africani; sette Paesi dell’Asia; l’Iraq, che aveva da poco lasciato il Patto di Baghdad; l’Arabia Saudita, che era momentaneamente in buoni rapporti con l’Egitto; Cuba, che era uscita vincitrice dalla battaglia della Baia dei Porci e infine la Jugoslavia. All’incontro del Cairo, l’India sostenne che il Movimento era stato, fino a quel momento, troppo esclusivo. Quindi i delegati indiani proposero di allargare l’Alleanza anche ad altri Stati, così da diventare un vero e forte interlocutore per le due superpotenze. Su questo punto non vi fu pieno accordo, ma fu trovato un compromesso che prevedeva l’invito a: Cipro, Libano, Nigeria, Togo, Alto Volta (attuale Burkina Faso), e tre Stati dell’America del Sud. Di questi otto nuovi candidati solo i primi due parteciparono, a pieno titolo, alla Conferenza di Belgrado. Inoltre furono invitati tardivamente, per varie vicissitudini, la Tunisia, il Congo e lo Yemen. Così il numero dei partecipanti alla riunione nella capitale jugoslava salì a venticinque. Sei anni di stretta collaborazione tra Tito, Nasser e Nehru mostrarono come tre Stati di differenti continenti e diverso regime interno, potessero avere una simile, sebbene non identica, politica estera. Così facendo, nacque un nucleo dal quale si sarebbe formata l’Alleanza del Terzo Mondo. La Conferenza di Belgrado iniziò il primo di settembre del 1961. Subito si presentarono problemi simili a quelli sorti nei cinque anni precedenti: era necessario chiarire il significato concreto dell’espressione “non allineamento”, dare indicazioni maggiormente precise e, se possibile, vincolanti su che cosa significasse far parte del Movimento, chiarendo i rapporti da tenere o meno con i due blocchi. Tuttavia, la scelta dei protagonisti fu compiuta in senso restrittivo: vennero considerati, pertanto, solo quei Paesi che non erano vincolati da accordi precisi con le grandi potenze, e che non aderissero ad alcuna intesa di carattere militare e multilaterale, includendo così solo chi non avesse qualche relazione con gli Stati che costituivano la governance mondiale del tempo. La scelta della Conferenza era un chiaro riflesso dell’assenza, nella città jugoslava, di potenze che avrebbero potuto costituire il punto di forza del non allineamento, come il Giappone, la Cina, il Pakistan o la Turchia, visto che erano parte (chi coinvolto pienamente, chi molto meno) in un’importante rete di relazioni diplomatiche con i due blocchi. Credendo, però, che in tal modo, il Movimento potesse essere inteso in maniera eccessivamente rigorosa e ridursi all’unione di poche potenze senza alcuna speranza di influenzare le vicende internazionali, si discusse durante i lavori jugoslavi della sua futura composizione. Si palesarono chiare divergenze in merito, mostrando le difficoltà nel superare le contraddizioni di un Movimento che mai seppe darsi una chiara identificazione. Infatti, nei lavori di Belgrado non si riuscì a determinare un’organizzazione concreta, un sistema di consultazione o un sistema chiuso, entro cui racchiudere tutti gli attori del Movimento. Si diede ancora spazio, contrariamente a quanto sostenuto all’apertura della Conferenza, ad una coalizione senza confini rigidi. Infatti nelle riunioni degli anni successivi, parteciparono Paesi, che seppur con un ruolo non di primo piano, erano appartenenti ad altre alleanze. A tal proposito, molti studiosi ritengono che il non allineamento fu realmente effettivo solo dopo la Conferenza di Belgrado del 1961. Altri sostengono che l’esperienza di una terza coalizione si sia conclusa con quella riunione, poiché già dal secondo meeting tenuto al Cairo nel 1964, si poteva notare che si trattava di una Conferenza afro-asiatica e non del Movimento dei Paesi non allineati. L’ideologia del non allineamento fu ancora rilevante negli anni Settanta e Ottanta, poiché esso si concentrava non solo sul mantenimento dell’indipendenza dei piccoli Paesi, ma contribuì anche alla conclusione del processo di decolonizzazione e alla promozione dello sviluppo economico. Il Movimento visse una fase di declino nel periodo in cui pochi Stati volevano o potevano opporsi alle azioni effettuate da Israele con l’appoggio delle grandi potenze occidentali. Ma tornò ad una certa vitalità con le questioni del Vietnam e dell’Africa del Sud, che però furono battaglie anti-coloniali combattute dai singoli Stati non essendoci, come detto, un’organizzazione ben collaudata alle spalle.
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