Ruanda. Parziale e faziosa, la relazione Duclert.

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Dal colonnello Jacques Hogard, comandante del gruppo meridionale dell’operazione Turchese (estate 1994) in Ruanda.

Il rapporto Duclert, commissionato dal Presidente della Repubblica per cercare di far luce sulla presunta responsabilità della Francia nel genocidio ruandese del 1994, ha fatto scorrere molto inchiostro dalla sua consegna il 26 marzo a Emmanuel Macron da parte del Prof. Vincent Duclert, capo della commissione di 14 storici riuniti per due anni in questa occasione.

Molto severo per la Francia – che esonera però dalla “complicità nel genocidio” -, questo rapporto travolge il potere in vigore al momento sottolineando ciò che secondo lui caratterizza la sua politica: una “cecità continua” nel sostegno a “razzismo, corruzione e regime violento” allora al potere in Ruanda, una “lettura etnica allineata a quella del potere ruandese del tempo ereditato da uno schema coloniale”.

Nonostante le posizioni generalmente molto favorevoli prese contro questo rapporto di 1.000 pagine, personalmente ho una posizione dissonante:

Per me, infatti, questa relazione molto dettagliata e molto voluminosa è paradossalmente parziale, e faziosa.

Parziale, perché guarda solo alle relazioni franco-ruandesi e alla storia del Ruanda per il periodo dal 1990 al 1994.

Faziosa perché marginalizza l’importanza del contesto storico dei primi anni ’90: la fine della guerra fredda e il bipolarismo mondiale dove si ridistribuisce l’equilibrio di potere. Durante la Guerra Fredda, la Francia era “il poliziotto dell’Africa” ​​e allora i nostri alleati americani la sostenevano. La situazione è improvvisamente cambiata.

E poi non possiamo ignorare la storia contemporanea del Ruanda “moderno”, la caduta della monarchia, l’avvento della repubblica contemporaneamente all’indipendenza (1959/61).

Lo stesso dicasi per le relazioni franco-ruandesi, che hanno cominciato a delinearsi nel 1975 con la firma di accordi di cooperazione firmati a nome della Francia da Valéry Giscard d´Estaing. Lo stesso dicasi per il drammatico periodo iniziato alla fine del 1994 e tuttora in corso, che ha coinvolto l’intera regione dei Grandi Laghi.

Mi sembra che non si possa capire nulla del genocidio dei Tutsi del 1994 se ignoriamo tutto questo contesto e in particolare i massacri dei Tutsi da parte degli Hutu nel 1959/60, il genocidio degli Hutu del Burundi da parte dei Tutsi. nel 1972, i massacri degli hutu da parte dei tutsi dell’RPF tra il 1990 e il 1994 (che provocarono l’afflusso di un milione di profughi davanti a Kigali durante questo periodo: “mendicanti” che furono successivamente massacrati dall’RPF nella loro frenetica fuga verso e attraverso lo Zaire (1995/96/97 …). Questi massacri continuano.

Tutto ciò è nel “Rapporto Mapping” delle Nazioni Unite (almeno nella sua versione originale, non zuccherata), in realtà tenuto sotto il gomito per non offendere Kagame.

Parziale anche perché difficilmente accenna alle gravi responsabilità dell’ONU, degli USA e delle altre potenze coinvolte (GB, Israele …). E ancora! Ci sarebbe così tanto da dire.

Mentre è lì, questa presentazione parziale si concentra solo sulla Francia. Che può aver commesso errori di giudizio. Ma non al punto da essere sopraffatta di fronte all’opinione pubblica mondiale, e in particolare di fronte al Ruanda di Kagame, largamente responsabile della drammatica situazione nei Grandi Laghi per 25 anni.

Mentre la Francia è l’unica potenza ad aver tentato qualcosa per fermare questo sanguinoso processo. Non ci resta che parlarne con il professor Denis Mukwege, premio Nobel per la Pace. Un privilegio che mi è stato concesso una volta e che non dimenticherò, tanto mi hanno impressionato la lucidità, il coraggio e l’elevata statura morale di quest’uomo.

Fazioso, perché nonostante l’abbandono del conteggio della “complicità nel genocidio”, che mi sembra il minimo, questo rapporto travolge la Francia attraverso il suo presidente di allora e alcune delle sue personalità politiche e militari, sottolineando in termini molto duri la loro cecità, il loro intorpidimento ideologico (complesso di Fachoda!) di fronte a un regime razzista, totalitario e in ultima analisi genocida. Forse non tutto è sbagliato in questa visione. Ma è facile dopo il fatto quando tutto si chiarisce col senno di poi.

E soprattutto procede – come in Algeria con la relazione Stora – da uno spirito di pentimento tanto ostinato quanto controproducente, che, devo dire, non mi fa vibrare. È la Francia ad essere così umiliata di fronte al mondo e tanti amici africani in questi giorni mi hanno chiesto quale vespa abbia punto Macron per auto-flagellarsi in questo modo? “Sei davvero masoschista, francese!” Mi hanno detto un certo numero di miei corrispondenti! Non hanno torto.

La cosa peggiore così è che la Francia si umilia di fronte a un regime totalitario ed etnico al quale il suo predecessore appare come “il figlio di Maria”.

Dobbiamo quindi aspettarci che un nuovo Rapporto tra 20 o 25 anni al più tardi (è probabile che arrivi molto prima) a sua volta castighi in termini ancora più severi la cecità, l’intopridimento colpevole di coloro che avranno così cercato di piacere e compiacere all’inizio degli anni 2020 il disastroso regime totalitario del presidente generale Kagame!

Parziale, perché mostra poco rigore storico suggerendo, ad esempio, che l’attacco del 6 aprile sia stato commesso da estremisti hutu, tesi a cui non credono persone serie, nemmeno magistrati francesi che hanno concluso con un molto diplomatico non luogo a procedere, mentre scrivevano che tutto converge comunque per incolpare l’RPF di questo evento che ha innescato il genocidio! …

E poi è interessante notare che non appena si parla dell’attacco e dei suoi responsabili, il rapporto Duclert dice poi che “in ogni caso, non importa, il genocidio sarebbe comunque avvenuto. Con o senza un attentato ”!! .. Questo ovviamente non è né l’opinione di Carla Del Ponte, ex procuratore del Citr, né quella di storici o ricercatori eminenti ma politicamente scorretti, è vero, come Lugan, Onana o altri!

E ci sono molti altri esempi dello stesso tenore.

Possiamo anche rimpiangere il metodo: se un dottorando avesse completato la sua tesi sull’argomento, il suo relatore della tesi lo avrebbe obbligato a moltiplicare le fonti. Se non l’avesse fatto, la giuria lo avrebbe sanzionato e gli avrebbe chiesto di tornare l’anno prossimo. Tuttavia, qui non è avvenuto. Un vero peccato per una commissione di storici.

Allo stesso modo, non esiste la bibliografia, ma il “gioco” della ricerca consiste nello stabilire prima un inventario delle conoscenze sull’argomento. Inoltre, non esiste un archivio orale, in particolare le interviste ai partecipanti al processo decisionale e alle operazioni.

In realtà, penso che questo rapporto che giudica il passato attraverso il filtro del presente, cosa che uno storico non dovrebbe mai fare, sia un rapporto essenzialmente politico il cui unico scopo è quello di avvicinare il nostro Paese al Rwanda (Ma appunto, il Rwanda di Kagame !).

Questo non è un rapporto di storici, ma di attivisti che vogliono imporre la loro versione della storia.

Il desiderio di imporre, ad esempio, questa idea falsa e menzognera per cui in questa regione sia avvenuto un solo genocidio, non è accettabile. Il doppio genocidio non è una tesi, è una realtà, con tutto il rispetto per i signori Duclert e Saint-Exupéry, ed è ai miei occhi vero negazionismo ignorarlo.

Un genocidio, per quanto atroce, non deve nasconderne un altro, oppure è una macchia indelebile nella memoria degli uomini. Ancora una volta, questo deve essere discusso con il dottor Mukwege!

Infine, mi sembra che questa relazione politica, parziale e faziosa, non apporterà nulla di buono o redditizio alle relazioni franco-ruandesi o franco-africane. Non farà che indebolire la Francia e la sua immagine, già maltrattata in questo continente dove, però, paradossalmente abbiamo tanti amici, disorientati da quello che è diventato oggi la nostra politica estera.

Colonnello (er) Jacques Hogard; Parigi, 2 aprile 2021

p.s. Non ho menzionato altrove, ma avrei potuto farlo, l’assassinio nell’ottobre 1993 del presidente hutu democraticamente eletto del Burundi Melchior Ndadaye, assassinato dalle forze armate burundesi (allora interamente tutsi) e la severa repressione degli hutu del Burundi da parte dell’esercito, provocando la partenza di decine di migliaia di loro connazionali verso i Paesi vicini, compreso ovviamente il Ruanda. Isolare il Ruanda dai suoi vicini e in particolare dal Burundi e dalla RDC, per capire la situazione, non ha senso.

France-rwanda.info

Traduzione per il CESEM di Stefano Vernole

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