di Lorenzo Salimbeni
Lo scorso 25 marzo la Grecia ha celebrato i 200 anni dall’inizio della sua lotta per l’indipendenza dalla dominazione dell’Impero Ottomano: tale data rappresenta abitualmente una festività civile, ma quest’anno il bicentenario e la contrapposizione con la Turchia per la questione dei confini marittimi e delle Zone Economiche Esclusive (ZEE) hanno dato un risalto particolare alla ricorrenza, che le autorità di Atene, nonostante la crisi economica e sanitaria, hanno voluto celebrare al meglio.
In presenza o da remoto sono intervenuti i rappresentanti di Gran Bretagna, Francia e Russia, vale a dire gli Stati successori delle potenze europee che all’epoca sostennero la causa indipendentista ellenica, giungendo fino allo scontro navale con la flotta turca nelle acque di Navarino. Numerosi furono i patrioti italiani che intervennero come volontari per combattere a fianco dei greci, ma ben pochi in Italia lo hanno ricordato, in continuità con una politica di acquiescenza nei confronti della Turchia nel Mediterraneo orientale che scorre senza soluzione di continuità dal Governo Conte Bis al Governo Draghi. Ben diverso l’approccio francese, che si è fatto sentire sul piano diplomatico e delle forniture militari a sostegno di Atene (e di Nicosia), e russo, che rientra nella più ampia dialettica Mosca-Ankara anche se il Governo Mitsotakis ha proseguito ad aderire alle sanzioni occidentali nei confronti del Cremlino ed il Patriarcato greco ha riconosciuto la legittimità dello scisma da Mosca della Chiesa ortodossa ucraina.
La guerra d’indipendenza greca
D’altro canto anche in passato non erano mancati gli elementi di contrapposizione tra il nascente Impero Russo e la Grecia, con particolare riferimento all’eredità bizantina: la translatio imperii del 1453 al momento della caduta della vecchia capitale imperiale in mano turca aveva in effetti gratificato la nascente potenza moscovita, ma da un punto di vista religioso il primato dell’Ortodossia greca sarebbe stato duro da scalfire ancora per molto tempo. Dalla comunità greca residente nel quartiere Fanar a Costantinopoli provenivano altresì i cosiddetti “fanarioti”, vale a dire personale greco inseritosi negli alti ranghi della classe dirigente ottomana, quasi ad assicurare una larvata continuità di potere della componente greca. Ciononostante, l’idea di Stato nazionale che si diffuse con le spedizioni napoleoniche dette linfa alla costituzione della Philiki Hetairia, fondata nel 1814 a Odessa, quindi in ambito russo, all’interno della locale comunità mercantile greca. Tale struttura clandestina, che negli anni seguenti avrebbe fatto da modello ad altri gruppi cospirativi, godeva di buone entrature tra i fanarioti. In particolare emerse la figura di Alexandros Ypsilanti, il quale sarebbe stato tra i leader dell’insurrezione proclamata appunto il 25 marzo 1821 dal Metropolita Germanos nel Monastero di Santa Lavra.
Nell’Europa occidentale era, invece, radicato da tempo un movimento culturale filellenico sulla base del gusto neoclassico che si era diffuso in vari settori dell’arte e della cultura, perciò numerosi furono i volontari che imbracciarono le armi per cimentarsi a fianco degli insorti. Nonostante l’aura epica che avvolge tuttora questi volontari (tra cui l’italiano Santorre di Santarosa e l’inglese Lord Byron), essi non sempre vennero accolti a braccia aperte, giacché, non sbagliandosi del tutto, i ribelli greci temevano che dietro a questi nuovi alleati si celasse la longa manus delle potenze europee, desiderose di portare nella propria sfera d’influenza un neonato Stato greco indipendente. Il contributo maggiore che i filelleni portarono riguardò soprattutto il piano dell’informazione nei confronti dell’opinione pubblica europea, ampiamente edotta in merito alle stragi perpetrate dai turchi e dalle truppe mobilitate dal Pascià d’Egitto Ibrahim a danno dei civili greci. Famosissimo restò il quadro di Eugène Delacroix “Il massacro di Scio”, ma caddero vittima della repressione anche gran parte dei fanarioti e lo stesso Patriarca ortodosso di Costantinopoli, i quali pur si erano ufficialmente dissociati dal fermento insurrezionale, temendo di perdere le proprie prerogative all’interno dell’Amministrazione ottomana. Successivamente alla conquista di Atene nel 1822, ebbe luogo la prima assemblea nazionale ellenica a Epidauro, tuttavia appena nel 1827 il Trattato di Londra riconobbe la Grecia autonoma, ancorché tributaria del Sultano. Di fronte alla lentezza turca nel rendere esecutive le disposizioni del trattato, il quale prevedeva anche l’allontanamento della popolazione turca dal territorio del nuovo Stato, previo l’acquisto delle proprietà degli esuli da parte dei greci, navi da guerra inglesi, francesi e russe attuarono un blocco davanti al litorale greco. Si giunse in questa maniera allo scontro di Navarino, in cui la flotta turca venne annientata e la Russia iniziò una vera e propria campagna militare. Non potendo appellarsi ai principi di salvaguardia della stabilità europea fissati dalla Santa Alleanza a margine del Congresso di Vienna del 1815 al quale non aveva preso parte, la Sublime Porta fu costretta ad arrendersi nell’estate del 1829, dopo che le truppe zariste avevano finalmente sfondato il fronte balcanico a Varna. La successiva pace di Adrianopoli sancì l’indipendenza ellenica (sul cui trono sarebbe salito nel 1832 il principe tedesco Ottone I di Baviera), la libertà di transito negli stretti del Bosforo e dei Dardanelli per la flotta commerciale russa, la definizione di un nuovo confine russo-turco alle bocche del Danubio, nonché il riconoscimento di una garanzia russa sui Principati danubiani (Moldavia e Valacchia) ed ampliamenti territoriali congiunti a maggiori autonomie per il nascente Principato serbo.
Ottone I di Grecia fu rovesciato (dopo che sua moglie aveva già subito un attentato per il cui giovane esecutore si mobilitò incredibilmente una campagna di solidarietà europea) in seguito a moti scatenati non solo dalla mancata attuazione delle libertà costituzionali di cui si era fatto garante, ma anche dall’atteggiamento anti-italiano ostentato mentre nel 1859-’60 casa Savoia compiva le tappe fondamentali della sua espansione nella Penisola italica. La Seconda guerra d’indipendenza e l’impresa dei Mille avevano riscosso, infatti, grandi simpatie tra la popolazione greca, la quale auspicava uno sbarco di Garibaldi pure in quelle contrade, al fine di portare a compimento il proprio percorso di unificazione nazionale.
La megale idea
Nel 1862 entrarono nell’assemblea nazionale di Atene anche rappresentanti delle comunità greche ancora sotto dominio ottomano e l’anno successivo Giorgio I di Danimarca venne incoronato re degli Elleni. Questo titolo lo poneva a punto di riferimento non solo di uno Stato, ma anche di una comunità etnica sparpagliata sotto dominazione straniera e rappresentava un aspetto della megale idea, la “grande idea” propugnata dal capo del governo Ioannis Kolettis di racchiudere tutti i greci in un unico Stato, laddove sul versante religioso già nel 1850 il patriarca ecumenico di Costantinopoli aveva riconosciuto l’autocefalia della Chiesa greco-ortodossa.
In questo clima Creta dichiarò nel 1866 la propria annessione alla Grecia, provocando l’afflusso di volontari europei in suo aiuto, la reazione armata turca e lo scoppio di analoghe rivolte in Epiro, Tessaglia e Macedonia: nel 1868 l’isola mediterranea dovette accontentarsi di ottenere una maggiore autonomia. Cominciò così ad operare l’Ethniké Ethaireia (Società Nazionale), che intendeva rinvigorire il progetto panellenico: dopo che la nomina da parte degli ottomani di un governatore cristiano a Creta condusse alla protesta della locale comunità turca, il Colonnello Vassos sbarcò nel 1897 sull’isola, proclamandone l’unione con la Grecia, mentre scoppiavano tumulti in Macedonia. Contestualmente sorsero nell’Europa occidentale “Comitati a favore degli insorti di Candia e dei popoli oppressi d’Oriente”, ai quali aderirono fra gli altri garibaldini, socialisti e mazziniani del neonato Regno d’Italia. Le truppe turche riorganizzate da consiglieri militari tedeschi ebbero, però, la meglio sugli insorti e sull’esercito greco fiancheggiato dai volontari europei, in particolare nella battaglia di Domokòs. La mediazione delle grandi potenze impose un armistizio che riconobbe maggiore autonomia a Creta sotto la garanzia decennale di un presidio militare europeo ed impose il pagamento di una pesante indennità ad Atene. Ritiratosi il contingente europeo, i nazionalisti presenti a Creta proclamarono nuovamente l’enosis (unione) alla Grecia, ma di fronte all’ultimatum turco il Governo ateniese non rispose all’appello dei cretesi. Due anni dopo l’esercito portò al potere con un colpo di Stato il giurista cretese Eleutherios Venizelos allo scopo di riavviare in maniera più decisa il processo di riunificazione nazionale.
Il conflitto italo-turco per il controllo della Libia nel 1911-’12 avrebbe avuto tra le sue immediate conseguenze lo scoppio delle Guerre Balcaniche. Serbia, Montenegro, Grecia e Bulgaria erano sì giunte all’indipendenza dall’Impero Ottomano nel corso dell’Ottocento, ma per completare i rispettivi percorsi di riunificazione nazionale rivendicavano ancora territori che erano sotto il controllo della Sublime Porta. Le loro forze congiunte, coalizzatesi nei mesi precedenti anche grazie alla mediazione diplomatica russa ed incoraggiate dalle batoste rimediate dall’esercito turco, che aveva opposto un’effimera resistenza allo sbarco delle truppe coloniali italiane in Tripolitania e Cirenaica salvo poi organizzare una combattiva resistenza, scatenarono nell’autunno 1912 l’offensiva.
Il primo ministro ellenico Eleutherios Venizelos aveva dedicato negli anni precedenti, durante i quali era anche stata proclamata unilateralmente l’enosis cioè l’annessione di Creta, particolare attenzione alla riorganizzazione delle Forze Armate. D’altro canto l’esercito aveva rivendicato un ruolo guida nel percorso di riunificazione nazionale, soprattutto da agosto 1909, allorché la Lega Militare (Stratiotikì Syndesmos) aveva iniziato a condizionare con pesantissime ingerenze l’attività di un governo sotto costante minaccia del colpo di Stato.
Le Guerre Balcaniche
Alla vigilia delle Guerre Balcaniche, Atene aveva suddiviso le proprie truppe nell’armata di Tessaglia (6 divisioni di fanteria ed una brigata di cavalleria, corrispondenti a 100.000 uomini con 160 pezzi di artiglieria) ed in quella dell’Epiro (solamente 10.500 effettivi con l’aggiunta di volontari cretesi e garibaldini guidati da Ricciotti Garibaldi); i moschetti Mannlicher-Schonauer erano di provenienza tedesca, le artiglierie invece francesi (pezzi da campo Schneider-Creusot e da montagna Schneider-Canet). Se l’aeronautica annoverava 4 aerei, rilevante era la flotta, alla quale spettavano i compiti di sostenere l’urto navale ottomano e di appoggiare eventuali operazioni di sbarco in Anatolia: all’ammiraglia Georgios Averios (un incrociatore di fabbricazione italiana varato nel 1910) si aggiungevano 16 cacciatorpediniere, 19 torpediniere ed un sommergibile.
Coerentemente con la tradizione bellica locale le truppe risultavano affiancate da formazioni paramilitari di volontari, alcune delle quali già operavano clandestinamente sul territorio che sarebbe stato teatro del conflitto, altre provenivano da località confinarie così come dall’interno del territorio metropolitano. Come in precedenti occasioni nel corso dell’Ottocento, vi fu anche un flusso di volontari europei soprattutto con i già ricordati garibaldini (tra cui Gabriele Foschiatti, successivamente legionario fiumano e poi animatore del Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste, nonché autore di significative memorie inerenti tale esperienza) e Lenin riconobbe un valore progressista al conflitto in corso. Ricciotti Garibaldi ebbe spazio per il suo quartier generale all’università di Atene e costituì una sorta di legione internazionale cui aderirono italiani, inglesi, americani e qualche francese, nonché fuoriusciti macedoni, bulgari e cretesi e addirittura un cinese, inquadrati da ufficiali italiani.
Si trattò comunque di una vera e propria guerra lampo: in 40 giorni la lega balcanica aveva schiantato le difese ottomane, annientato le truppe dislocate in Macedonia e quasi posto d’assedio Costantinopoli, costringendo il governo turco ad avviare trattative di pace. L’armistizio entrò in vigore il 3 dicembre, anche se la Grecia proseguì con il blocco navale (onde evitare che giungessero rifornimenti in Albania o che navi ottomane portassero insidie nei tratti di fronte prospicienti al mare) e con l’assedio di Janina nell’Albania meridionale.
Pur proseguendo le operazioni militari con minore intensità, le trattative di pace si aprirono a Londra sotto gli auspici delle Grandi Potenze, interessate a tenere sotto controllo il quadrante balcanico, e la delegazione ottomana adattò una tattica dilatoria, confidando che col passare del tempo emergessero frizioni all’interno del fronte dei vincitori, con riferimento alla spartizione della Macedonia e non solo. Salonicco, infatti, era stata espugnata dalle truppe elleniche, ma vi era entrato anche un distaccamento bulgaro, avanzando la scusa che il principe ereditario, che ne era a capo, non poteva continuare ad alloggiare in un accampamento fuori dalle mura cittadine e necessitava di un alloggio adeguato al suo rango e ovviamente doveva portarsi appresso anche una scorta sufficiente: la presenza di questo presidio militare in città costituiva la base per le rivendicazioni di Sofia. Mentre la flotta greca proseguiva nel suo sbarramento al largo dell’Anatolia, il 5 marzo 1913 cadeva la piazzaforte di Janina e per l’esercito greco e le formazioni paramilitari autoctone che lo fiancheggiavano sembrarono spalancarsi le porte dell’Epiro settentrionale, conteso con il nascente Regno di Albania. Le ostilità sarebbero cessate ufficialmente il 30 maggio, con la Turchia costretta a riconoscere la sconfitta e a mantenere in territorio europeo solamente una sottile striscia di terra tra il Bosforo e i Dardanelli a protezione della capitale.
L’impasse diplomatica in merito alla spartizione del territorio sottratto ai turchi e la tensione ai confini fra le potenze vincitrici vennero interrotte dall’iniziativa di Sofia, che cercò di sorprendere i suoi vecchi alleati, passando all’attacco nella notte tra il 29 ed il 30 giugno 1913 senza neppure formalizzare la dichiarazione di guerra. Sulle prime la reazione si fece attendere, poiché si riteneva che si trattasse delle ennesime scaramucce, che già avevano caratterizzato le nervose settimane precedenti. Solamente di fronte alla massiccia avanzata bulgara nella valle del Vardar avente l’obiettivo di dividere le truppe greche da quelle serbe, si scatenò il contrattacco. Tale controffensiva, inizialmente contenuta, si sarebbe rivelata fatale per Sofia, tanto più che sul fronte orientale le divisioni turche passarono dalla fase difensiva a quella offensiva riconquistando Adrianopoli e di lì a breve da nord sarebbero avanzate, quasi senza colpo ferire e portandosi sino alle porte della capitale, anche le truppe rumene. Si trattò di un’altra guerra-lampo, la quale annichilì in un mese soltanto le armate bulgare, imbaldanzitesi dopo i successi contro le truppe del Sultano al punto da sovrastimare il proprio potenziale, sottostimare la capacità di reazione non solo dei vecchi alleati, ma anche degli ottomani ed immaginare addirittura un intervento rumeno in proprio aiuto per assestare il colpo finale alla Serbia.
Volendo dimostrare tutta la propria autonomia e capacità decisionale sul piano diplomatico, le potenze vincitrici di questa seconda fase del conflitto si riunirono di loro spontanea iniziativa a Bucarest per trattare la pace e ridisegnare i confini dell’area già il 31 luglio. In base al Trattato del successivo 10 agosto, le assegnazioni territoriali andarono incontro ovviamente a quasi tutti i desiderata dei vincitori: in particolare Salonicco, la Macedonia egea e la Tracia occidentale vennero date alla Grecia, la quale avrebbe comunque mantenuto ancora forti rivendicazioni nei confronti di territori sotto il controllo ottomano, rappresentando uno dei tanti irredentismi che sarebbero sfociati di lì a poco nella Prima Guerra Mondiale.
La Prima Guerra Mondiale
Allo scoppio della Grande Guerra il Regno di Grecia rimase inizialmente neutrale, anche se nei confronti del neonato Regno di Albania e del traballante Impero Ottomano si manifestavano ampie rivendicazioni territoriali. La megale idea (il progetto di unificare tutte le comunità elleniche in un unico Stato) era insomma il corrispettivo dell’irredentismo italiano, così come Bulgaria e Romania intendevano portare entro i propri confini comunità di connazionali ancora sotto dominazione straniera e rimasero a lungo alla finestra in attesa di decidere da che parte schierarsi nel conflitto che stava assumendo proporzioni sempre più spaventose in termini di costi umani e materiali. I tanto bistrattati giri di walzer della diplomazia italiana, insomma, erano tutt’altro che esclusiva del Regno sabaudo.
Ciò che tuttavia contraddistinse l’entrata in guerra della Grecia non ha eguali negli altri casi di governi indecisi, a prescindere dal fatto che Re Costantino I era legato per motivi dinastici all’asse Vienna-Berlino ovvero propenso alla neutralità, mentre il capo del governo Eleutherios Venizelos guardava con favore all’Intesa, ove si trovavano Russia ed Inghilterra che furono tra i sostenitori dell’indipendenza greca quasi un secolo prima. Perdurando tale contrapposizione a livello istituzionale ed essendo entrato in crisi il fronte serbo causa l’entrata in guerra della Bulgaria a fianco degli Imperi Centrali, gli anglo-francesi presero il controllo del porto di Salonicco nell’autunno 1915. Mentre si consumavano gli ultimi disperati assalti alle postazioni fortificate turche di Gallipoli, i comandi dell’Intesa favorirono l’insediamento nel porto egeo di un Governo Provvisorio di Difesa Nazionale presieduto da Venizelos in contrapposizione al Governo monarchico di Atene. In un clima di guerra civile, questo “Scisma Nazionale” avrebbe poi portato all’esilio del sovrano ed alla sua abdicazione nei confronti del più malleabile secondogenito Alessandro, il quale si allineò alle posizioni dello statista cretese e portò ufficialmente la Grecia in guerra.
Sedutasi al tavolo dei vincitori, la diplomazia ellenica ottenne con il Trattato di Neuilly la Tracia occidentale dalla Bulgaria (che veniva così estromessa dall’Egeo) e quella orientale con il Trattato di Sevres dalla Turchia, alla quale prendeva pure Smirne ed il suo entroterra. Di fronte al rifiuto del governo golpista nazionalista guidato da Mustafà Kemal di sottoscrivere queste ed altre pesantissime condizioni di pace (perfino l’Italia avrebbe partecipato alla spartizione del territorio anatolico ricevendo la baia di Antalya), l’esercito greco scatenò un’offensiva diretta verso la capitale repubblicana Ankara, con l’auspicio di conseguire una vittoria tale da reclamare pure l’annessione di Costantinopoli. Kemal durante il precedente conflitto aveva acquisito un’enorme fama nei combattimenti di Gallipoli ed in questa nuova circostanza dette ulteriore dimostrazione di capacità militare riorganizzando l’esercito dopo alcuni rovesci iniziali. Fermata l’avanzata ellenica a Sakarya (settembre 1921), Kemal vinse poi a Dumlupinar (agosto 1922), iniziando l’inseguimento dell’esercito avversario, il quale ripiegò seguito da decine di migliaia di civili di nazionalità greca che abbandonavano le località dell’Asia Minore in cui da secoli avevano vissuto.
Il Trattato di Losanna del 1923 non solo costrinse Atene a rinunciare a Tracia Orientale e Smirne, ma regolò anche il colossale scambio di popolazioni che portò mezzo milione di turchi residenti in Grecia a trasferirsi in Turchia ed un milione di greci dell’Asia Minore e del Ponto a spostarsi in Grecia. Responsabili civili e militari di tale disfatta finirono fucilati e cominciò per la Grecia un periodo di grave instabilità, durante il quale fra l’altro venne abolita la monarchia, tornò al potere Venizelos che poi finì esiliato, fu ripristinata la monarchia di re Giorgio II ed infine nel 1936 il generale Ioannis Metaxas effettuò un colpo di Stato che gli consentì di instaurare un regime di modello fascista, pur mantenendo una linea politica filobritannica.
La Seconda Guerra Mondiale
Il 28 ottobre 1940, anniversario della marcia su Roma, l’Italia attaccò dall’Albania la Grecia, rea di non averle ceduto alcune basi militari che erano state richieste in un complesso e contorto ultimatum, il cui respingimento è ancor oggi celebrato in Grecia con la “Giornata del NO”. L’impreparazione del Regio Esercito fu tale da consentire una controffensiva ellenica fino in territorio albanese e nella primavera successiva l’azione italiana che avrebbe dovuto “spezzare le reni alla Grecia” portò ad un nulla di fatto, laddove si sarebbe rivelato determinante l’intervento tedesco dalla Bulgaria (Operazione Marita). Nella Grecia sottoposta a quell’occupazione italotedesca e bulgara che portò ad una vera e propria carestia, venne a crearsi una situazione abbastanza comune nell’Europa controllata dalle potenze dell’Asse: l’instaurazione di un governo collaborazionista (presieduto da Ioannis Rallis, il quale avrebbe dato vita ai Battaglioni di Sicurezza come forza di ordine pubblico) e lo sviluppo di un movimento resistenziale diviso al suo interno in varie anime con opinioni diversissime in merito al futuro assetto istituzionale (Fronte di Liberazione Nazionale ed Esercito Nazionale Popolare di Liberazione afferenti al Partito Comunista Greco, il movimento repubblicano Liberazione Nazionale e Sociale e l’Unione Nazionale Greca Democratica di fede monarchica). Spariti gli italiani dopo l’8 settembre 1943, tedeschi e bulgari ripiegarono un anno dopo, contestualmente all’avanzata sovietica in Romania e la Commissione Politica di Liberazione costituita dalle varie anime della resistenza si vide affiancata dalle truppe inglesi sbarcate a Patrasso e ad Atene. Le ingerenze britanniche (la pretesa di disarmare le formazioni partigiane di ispirazione comunista portò a scontri con morti e feriti nella capitale) e le incertezze sul futuro istituzionale (un discusso referendum vide il successo dell’opzione monarchica) degenerarono nella guerra civile, che vide le componenti comuniste proclamare la repubblica nelle montuose regioni settentrionali ed alimentare la contrapposizione militare con il sostegno interessato della Jugoslavia di Tito, il quale mirava a creare in Albania, Grecia e Bulgaria dei regimi a lui collegati e sottoposti. Nel 1949 la conclusione delle ostilità sancì il successo delle forze legate alle potenze atlantiste, che fecero entrare Atene nella struttura della NATO. Il Partito Comunista venne considerato fuorilegge, molti suoi militanti e simpatizzanti ripararono in Albania, mentre la stabilità di governo rimase a lungo una chimera.
Nel frattempo le relazioni con la Turchia iniziavano a peggiorare causa la questione cipriota, poiché la maggioranza della popolazione isolana reclamava l’annessione alla Grecia ed Ankara sosteneva invece le aspirazioni indipendentiste della comunità turca.
Il 21 aprile 1967 i Colonnelli instaurarono il proprio Governo, parzialmente mitigato dalla permanenza della figura del Presidente della Repubblica, ma costringendo in seguito il re all’esilio e soffocando poi duramente l’opposizione studentesca al Politecnico di Atene. Nell’estate del 1974 la maldestra gestione del problema di Cipro portò all’occupazione turca della porzione settentrionale dell’isola (Operazione Attila) ed all’uscita della Grecia dalla NATO per alcuni anni in segno di protesta poiché l’Alleanza Atlantica non aveva saputo frenare gli ardori militari della Turchia che ne faceva ugualmente parte. Ne conseguirono inoltre e soprattutto il crollo del regime ed il ritorno alla dialettica democratica, che sarebbe rimasta a lungo imperniata sulla contrapposizione tra la dinastia dei Papandreou nel versante socialista e dei Karamanlis sul fronte moderato.
L’adesione alle strutture comunitarie europee risale al primo gennaio 1981: da qui discendono gli eventi che avrebbero portato alla catastrofe economica ed alla vittoria elettorale di Alexis Tsipras, il quale prometteva di traghettare la Grecia finalmente verso una fase di stabilità e di benessere. I suoi insuccessi hanno portato alla vittoria elettorale dello schieramento conservatore, ma nel frattempo ai consueti attori che seguono dall’estero e con partecipazione le vicende elleniche si è aggiunta la Cina, che, approfittando delle vendite di patrimonio nazionale che Atene ha dovuto effettuare per conseguire il risanamento economico, ha acquistato il porto del Pireo, facendone il terminale mediterraneo di quella “collana di perle” che costituisce la Via della Seta marittima.
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