Da Vision 2030 alla Belt and Road Initiative. Quale evoluzione per l’Arabia Saudita?

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di Stefano Vernole

Il 26 settembre 2017 un ordine reale sbloccò quello che fino ad allora era stato il divieto per le donne saudite di guidare un’automobile da sole. Se è vero che questa decisione faceva parte del pacchetto di nuovi provvedimenti varati con il Traffic Law and Executive regulations, non si può dimenticare come essi si inserissero all’interno della nuova visione strategica saudita orientata verso il progresso e il maggior benessere dei propri cittadini.

Nelle intenzioni di Ryiad, Saudi Vision 2030 rappresenta infatti il fondamentale piano di sviluppo socio-economico sul lungo periodo, che è stato approvato dal Consiglio dei Ministri del Regno il 25 aprile 2016. Esso pone l’accento sulle riforme strutturali, le privatizzazioni e lo sviluppo delle piccole e medie imprese, con l’obiettivo di diversificare l’economia, creare nuove opportunità di lavoro e innalzare la qualità della vita nel Paese.

La Saudi Vision 2030 si articola su tre pilastri: il primo è lo status del Regno come cuore del mondo arabo e islamico; il secondo pilastro è la determinazione del Paese a diventare un motore globale di investimento; il terzo pilastro è collegato alla posizione strategica dell’Arabia Saudita e all’ambizione di diventare un hub globale tra Asia, Europa e Africa1.

I 96 obiettivi della Vision 2030 corrispondono a tre macroaree: una società vivace (A vibrant Society); un’economia fiorente (A thriving Economy); una nazione ambiziosa (An Ambitious Nation).

Gli obiettivi della prima macroarea consistono nel raddoppiare il numero di siti del patrimonio culturale saudita riconosciuti dall’UNESCO; incrementare le capacità ricettive per ospitare i pellegrini dell’Umrah e passare dagli attuali 8 milioni ai 30 milioni ogni anno2; elevare la spesa delle famiglie in attività culturali e di intrattenimento nel Regno, dal livello attuale del 2,9% al 6%; accrescere la percentuale di persone che fanno esercizio fisico almeno una volta alla settimana, dal 13% al 40%; ottenere il riconoscimento di tre città saudite tra le migliori 100 al mondo; innalzare la posizione dell’Arabia Saudita, dalla 26° alla 10° nell’indice del capitale sociale; aumentare l’aspettativa di vita media, passando dai 74 agli 80 anni.

Il secondo pilastro, basato sul concetto di “economia fiorente”, intende valorizzare il contributo del settore privato, portandolo dal 40% al 65% del PIL; passare ad essere tra i primi 10 Paesi nel Global Competitiveness Index; aumentare gli investimenti diretti esteri al 5,7% del PIL; giungere ad essere tra le prime 15 economie più forti al mondo; accrescere le risorse del Fondo di Investimento Pubblico, da 600 miliardi a più di 7 mila miliardi di SAR (il riyal saudita); elevare la localizzazione del settore petrolifero e petrolchimico dal 40% al 75%; ampliare la partecipazione femminile nella forza lavoro fino al 30%; ridurre il tasso di disoccupazione al 7%; incrementare il contributo delle PMI al PIL dal 20% al 35%; espandere la quota di esportazioni non petrolifere all’interno del PIL dal 16% al 50%; scalare il Logostics Performance Index, arrivando al 25° posto, così da confermare il ruolo del Regno nel panorama regionale.

Il terzo pilastro, contrassegnato dallo slogan “Una nazione ambiziosa”, vorrebbe migliorare la 36° posizione nell’E-Government Survey Index per arrivare ad essere tra le prime cinque; aumentare le entrate pubbliche non petrolifere da 163 miliardi di SAR a 1000 miliardi di SAR; migliorare la posizione nel Government Effectiveness Index, dalla 80° posizione alla 20°; elevare il contributo PIL del settore no-profit dall’1% al 5%; accrescere i risparmi delle famiglie dal 6% al 10% del reddito familiare; giungere ad un milione di volontari all’anno.

Il Consiglio degli Affari Economici e dello Sviluppo (CEDA), presieduto dal Principe Ereditario, è l’organo competente per lo sviluppo, il monitoraggio e la valutazione dei programmi di attuazione della Saudi Vision 2030 (VRPs). I programmi di attuazione della Saudi Vision 2030 sono dodici. Tra questi, il Public Investment Fund (PIF) ne rappresenta lo strumento finanziario e, nel 2017, ha pubblicato il suo piano di azione per il biennio 2018-2020.3

La “Visione 2030” del Regno comprende 96 obiettivi strategici, disciplinati da un certo numero di Key Performance Indicators (KPI), che dovrebbero essere raggiunti attraverso una serie di iniziative sviluppate in codice ed eseguite da diversi enti governativi insieme a privati e organizzazioni no profit all’interno dei rispettivi ecosistemi. Il Consiglio di Economia e Sviluppo degli Affari saudita ha definito un modello di governance efficace e integrato, con l’obiettivo di tradurre Vision 2030 in più VRP (Programmi di Realizzazione della Visione) che lavorano in parallelo per raggiungere e realizzare l’obiettivo strategico.

Al fine di costruire le capacità necessarie a raggiungere l’ambizioso obiettivo di Vision 2030, il National Transformation Program è stato lanciato come un VRP che coinvolge 24 agenzie governative; esso mira a sviluppare il lavoro congiunto e a stabilire le infrastrutture primarie e digitali necessarie a realizzare i requisiti ambiziosi di questo piano a lunga scadenza.

In linea con il lancio dei nuovi VRP di Vision 2030 dovevano aver luogo alcune modifiche alla prima versione del Programma Nazionale di Trasformazione. Questi cambiamenti hanno richiesto l’adattamento, l’integrazione e la riorganizzazione di molte iniziative stabilite nella prima versione del piano di consegna NTP nel pertinente Piano di consegna dei VRP.

Lo scopo di questo aggiornamento è definire l’ambito, i ruoli, le responsabilità e i relativi obiettivi strategici della “Visione 2030” che si concentrano sui seguenti tre principi:

1. Raggiungere l’eccellenza operativa del Governo.

2. Migliorare i fattori economici.

3. Innalzare il tenore di vita4.

Purtroppo le difficoltà legate alla pandemia da Covid-19 e quelle dovute al crollo del prezzo del petrolio hanno notevolmente rallentato l’attuazione di questi obiettivi (a gennaio 2021 sono tornati sul mercato 500mila barili al giorno, invece di 1,9 milioni come prevedevano i piani stilati la primavera dello scorso anno), al punto che nell’estate 2020 il principe Mohamed Bin Salman ha dovuto avviare un nuovo piano di austerità e triplicare l’imposta sul valore aggiunto (passata dal 5 al 15%)5.

Tali ostacoli sono dovuti anche alla strategia geopolitica di contrapposizione all’Iran e ai suoi alleati come la Siria (e successivamente alla rivalità con Qatar, Turchia e perfino Emirati Arabi Uniti che in Yemen conducono una guerra autonoma) che Ryiad ha perseguito negli scorsi anni, il cui fallimento è alla base del rinnovamento totale effettuato da Bin Salman ai vertici politici del Regno.

Il 5 gennaio 2021 l’Opec plus è riuscita ad evitare una nuova crisi proprio tramite l’iniziativa solitaria dell’Arabia Saudita; mentre l’organizzazione dei Paesi produttori di petrolio ha deciso di aumentare la produzione, anche se di poco, i sauditi hanno spontaneamente annunciato nuovi, consistentissimi tagli per febbraio e marzo: il Paese arabo toglierà dal mercato da solo la bellezza di 1 milione di barili (oltre ai tagli già previsti).

Non bisogna tuttavia dimenticare che il Regno saudita possiede ancora un enorme potenziale di ripresa. Esiste innanzitutto un alto numero di giovani fra i 25 e i 30 anni, molti dei quali hanno studiato in Occidente, che verranno reimpiegati nel mondo del lavoro nazionale con condizioni sociali notevolmente migliorate rispetto al passato (si veda il progetto “una casa per tutti”). L’enorme piano di costruzioni ha comunque garantito intere città con un’impronta green in procinto di nascere, grandi piani regolatori già avviati grazie al coinvolgimento di progettisti e costruttori da tutto il mondo, l’introduzione in tutte le imprese di un numero di lavoratori sauditi almeno pari a quelli esteri. Fino al 2020, chi veniva a lavorare in Arabia Saudita doveva avere un garante, uno sponsor locale per ottenere ingresso e documenti, oggi l’accesso è totalmente libero.

L’Arabia Saudita è il principale Paese del Golfo, unico membro G20, ubicata in posizione strategica, a cerniera di tre continenti: Africa, Europa e Asia. La popolazione di 34,2 milioni di abitanti, di cui 2/3 sauditi, cresce ad un tasso annuo superiore al 2% e il 70% della popolazione ha età inferiore ai 35 anni. Il Regno dispone di ottime infrastrutture (trasporti, telecomunicazioni, ICT) e di un sistema bancario e finanziario capitalizzato e redditizio. Negli ultimi anni, quasi tutti i settori economici sono stati liberalizzati e il miglioramento di Ryiad è sancito dal rapporto della Banca Mondiale Doing Business 2020 nel quale emerge come Top Reformer, scalando ben 30 posizioni rispetto all’edizione precedente. Nel quadro del processo di privatizzazioni, tra dicembre 2019 e gennaio 2020, è stato effettuato il collocamento sulla Borsa di Ryiad (Tadawul) dell’1,7% della compagnia petrolifera nazionale Saudi Aramco; la società ha raccolto la cifra record di 29,4 miliardi di dollari, raggiungendo una valutazione totale pari a 1.850 miliardi.

Un consistente volano di crescita saranno i grandi progetti a guida del fondo sovrano saudita (Public Investment Fund), come la città del futuro “Neom”, il parco di intrattenimento “Qiddiya” ed il Red Sea Project.

Rimangono quindi grandi disparità, specie nel pieno riconoscimento del ruolo femminile nella società, ma la situazione interna è certamente in evoluzione e molto dipenderà dalle imminenti scelte di campo che i suoi governanti si apprestano a compiere.

La Nuova Via della Seta e la centralità geopolitica saudita

Il 27 gennaio 2021 l’Amministrazione nordamericana guidata dal neo Presidente Joe Biden ha annunciato di “sospendere temporaneamente” la vendita di armi all’Arabia Saudita; il Dipartimento di Stato USA ha chiarito che si tratta di una “misura di routine amministrativa tipica dei processi di transizione”. In ogni caso la decisione della nuova Amministrazione USA segna, almeno parzialmente, un lieve allontanamento dalla politica di Donald Trump; infatti l’Arabia Saudita era stato il primo Paese estero che l’ex presidente aveva visitato una volta insediatosi alla Casa Bianca. Inoltre, come annunciato dallo stesso Biden, gli Stati Uniti si assicureranno che le armi nordamericane non vengano più usate dalla coalizione a guida saudita nel conflitto yemenita contro il gruppo sciita degli Houthi. Frutto probabilmente del tentativo statunitense di riprendere i colloqui sul nucleare iraniano e di allontanare Teheran da un’alleanza con Pechino che sta rivelandosi sempre più caratterizzante per entrambi i Paesi6. Altro segnale in tal senso è giunto lo scorso 16 febbraio, quando il neo Presidente USA ha dichiarato che taglierà fuori dalla linea di comunicazione diretta il principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs), leader de facto dell’Arabia Saudita, mentre terrà i contatti con il re Salman bin Abdulaziz, con il chiaro obiettivo di riequilibrare la relazione tra i due Paesi rispetto all’Amministrazione Trump. Biden ha elevato la questione dei diritti umani tra i vettori della sua politica estera e ha annunciato la possibile desecretazione di documenti riguardanti il caso Khashoggi.

Cina e Arabia Saudita hanno stabilito relazioni diplomatiche nel 1990, ma negli ultimi 30 anni il rapporto bilaterale si è intensificato, come dimostrato dalla partnership strategica globale firmata durante la visita di Stato nel 2016 del presidente Xi Jinping.

Un’altra visita nel febbraio 2019, quando il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman Al Saud, popolarmente indicato come MbS, è andato a Pechino, dove ha offerto un esempio dei legami sempre più profondi. MbS co-presiede l’High Level Joint Committee (HLJC), il comitato direttivo per la completa partnership strategica, con il vice premier cinese Han Zheng, e i due si incontrano ogni anno per coordinare la cooperazione bilaterale. Durante questo incontro, sono stati firmati 35 accordi commerciali e di investimento per un valore di 28 miliardi di dollari. E’ davvero interessante la posizione politica tenuta da Pechino di fronte alla condanna internazionale dopo l’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi; il principe ereditario è stato comunque calorosamente accolto dal presidente Xi, che ha ricordato al principe ereditario e ai media riuniti che “la Cina è una buona amica e partner dell’Arabia Saudita. La natura speciale della nostra relazione bilaterale riflette gli sforzi che hai fatto”7.

Nell’aprile 2020 il “China’s Beijing Genome Institute” ha firmato un accordo da 265 milioni di dollari con il “National Unified” dell’Arabia Saudita; questa società di approvvigionamento fornirà al Regno nove milioni di kit di test per il coronavirus, il supporto di 500 tecnici specializzati e sei laboratori sperimentali. Gli Stati Uniti sono rimasti sopraffatti; l’emergenza sanitaria ha creato un’opportunità per la Cina di sviluppare ulteriormente il proprio rapporto con l’Arabia Saudita, rafforzando allo stesso tempo l’utilità di una maggiore cooperazione tra le due nazioni.

Al di là dell’impatto economico e dei messaggi politici, la pandemia è stata un riflesso della crescente profondità delle relazioni bilaterali. La Belt and Road Initiative (BRI), che collega nazioni e mercati in tutta l’Eurasia e nella regione dell’Oceano Indiano, sta rendendo la Repubblica Popolare Cinese un attore sempre più decisivo in Medio Oriente, dove l’Arabia Saudita gode di una notevole influenza politica, economica e religiosa. Allo stesso tempo Saudi Vision 2030, essendo un programma di diversificazione economica dipendente dall’esterno per investimenti e competenze, con i progetti BRI che approfondiscono l’impronta economica della Cina in Medio Oriente, presenta una sinergia naturale che guiderà Pechino e Ryiad verso una più stretta cooperazione.

Attualmente il significativo divario tra gli impegni economici e di sicurezza della Cina con l’Arabia Saudita sono in fase di progettazione; se Pechino dovesse perseguire un rapporto militare più profondo con Riyad sfiderebbe l’alleanza Stati Uniti-Arabia Saudita innestando un processo decisamente antagonista con Washington. Mantenendo un rapporto di primo piano soltanto economico, la Cina è in grado di continuare a trarre benefici da un’alleanza mantenuta dagli Stati Uniti nell’ordine regionale senza contribuire ai pesanti costi di messa in sicurezza del Golfo Persico.

Dal punto di vista di Pechino, l’Arabia Saudita offre tre attributi unici per sostenere la BRI: una posizione geostrategica, il suo ruolo di superpotenza energetica e la sua preminenza nell’Islam globale. Geograficamente, l’Arabia Saudita è ben posizionata per trarre vantaggio dalle ambizioni di connettività marittima e terrestre della BRI. È un grande Stato, che occupa circa l’80% della Penisola Arabica, ed è l’unico Paese con accesso costiero sia al Golfo Persico che al Mar Rosso. Con le potenziali strozzature nei mercati energetici globali dello Stretto di Hormuz e di Bab el-Mandeb, l’Arabia Saudita rappresenta una possibile alternativa quale percorso di transito attraverso la Penisola nel caso in cui l’accesso sia limitato o chiuso. La sua importanza geografica è accentuata dalla sua centralità nel Medio Oriente, dove condivide i confini con otto Stati, condizione che consente all’Arabia Saudita di essere il perno di molte questioni regionali e che la rende un attore imprescindibile nelle trattative diplomatiche8.

In termini energetici, la posizione dell’Arabia Saudita come superpotenza petrolifera è una considerazione essenziale per la Cina. Le sue riserve provate di petrolio greggio sono le seconde al mondo, con 267 miliardi di barili che rappresentano il 18% del petrolio mondiale (cfr. Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio). È il più grande produttore di petrolio del mondo, pompando fuori una media di 10,317 milioni di barili al giorno (bpd) nel 2018. Fondamentalmente, il Regno ha la capacità di aumentarlo di 2,2 milioni di barili al giorno, diventando così lo swing producer del mondo (cfr. “Energy Information Agenzia”, 2017). L’Arabia Saudita è costantemente una delle due principali fonti di petrolio, l’altra è la Russia, mentre nel 2019 ha rappresentato poco più del 14% delle importazioni di petrolio greggio della Cina (cfr. “ChinaMed”). Di fronte alle rinnovate sanzioni statunitensi contro l’Iran, le esportazioni dell’Arabia Saudita verso la Cina sono quasi raddoppiate tra agosto 2018 e luglio 2019, da 921.811 bpd a 1.802.788 bpd. Nonostante le conseguenze economiche dovute al coronavirus, l’importazione di greggio cinese dall’Arabia Saudita è rimasta su un robusto 1,77 milioni di barili al giorno per tutto il primo trimestre del 2020.

L’Islam è il terzo fattore che contribuisce all’importanza dell’Arabia Saudita per la Cina. La sua custodia della Mecca, di Medina e di altri luoghi sacri dell’Islam contribuisce all’influenza dell’Arabia Saudita a livello mondiale. La Cina, con una popolazione musulmana di circa 22 milioni di abitanti, è particolarmente sensibile all’Islam politico. Il ruolo dell’Arabia Saudita nel plasmare le norme e le pratiche islamiche, quindi, ha la capacità di influenzare la politica interna cinese. La promozione dell’Arabia Saudita dell’Islam wahabita-salafita è meno preoccupante in Cina, dove il controllo statale sulla religione aiuta a mantenere il dominio delle sue minoranze musulmane. Tuttavia, la cooperazione con l’Arabia Saudita sugli affari islamici aiuta la Cina a rafforzare la sua legittimità agli occhi della stessa popolazione musulmana. Questo è particolarmente importante nello Xinjiang, sede degli uiguri, un gruppo etnicamente turco con tradizioni religiose, culturali e linguistiche distinte. Nel luglio 2019 l’Arabia Saudita ha supportato, insieme ad altri 36 Paesi, la firma di una lettera di sostegno alle politiche cinesi nella regione occidentale dello Xinjiang; l’agenzia di stampa “Reuters” ha dichiarato di aver preso visione di una copia della lettera e ha riferito che, tra le altre cose, i firmatari avrebbero scritto che la sicurezza era tornata nello Xinjiang e che i diritti umani fondamentali delle persone appartenenti a qualsiasi gruppo etnico erano stati salvaguardati: “Di fronte alla grave sfida del terrorismo e dell’estremismo, la Cina ha intrapreso una serie di misure di antiterrorismo e de-radicalizzazione nello Xinjiang, tra cui la creazione di centri di istruzione e formazione professionale”, si legge nella missiva.

Da parte dell’Arabia Saudita, anche relazioni più profonde con la Cina sono importanti, sia a livello nazionale che internazionale. Sul piano interno, la Cina è un importante partner economico, sia come mercato energetico a lungo termine che come fonte di investimento in progetti relativi a Saudi Vision 2030. A livello internazionale, Pechino aiuta l’Arabia Saudita a diversificare le sue relazioni con potenze extra-regionali, particolare significativo a fronte di una percepita diminuzione dell’impegno degli Stati Uniti in Medio Oriente. Il fabbisogno energetico attuale della Cina lo rende un attraente mercato per l’Arabia Saudita e altri esportatori di petrolio del Golfo Persico. Il rapporto energetico si è diversificato oltre il petrolio, per includere investimenti nelle infrastrutture energetiche cinesi. Amin H. Nasser, il presidente e l’amministratore delegato di “Saudi Aramco”, ha articolato un concetto dei rapporti aziendali con la Cina come una strategia che si sposta “oltre un rapporto acquirente-venditore a uno in cui noi possiamo effettuare investimenti significativi per contribuire alla crescita economica e allo sviluppo della Cina”. Ciò è evidente dai risultati di un SaudiChina Investment Forum che si è tenuto durante la visita di MbS 2019, durante il quale è stato firmato un memorandum d’intesa (MoU) tra “Saudi Aramco” e “Norinco” per una joint venture volta a costruire una raffineria da 10 miliardi di dollari e un progetto petrolchimico a Liaoning, così come per stabilire un’attività di vendita al dettaglio di carburante e una impresa cooperativa di marketing9. “Saudi Aramco” ha anche formalizzato un accordo nella Zhejiang Free Trade Zone per acquistare una quota di minoranza del 9% in una raffineria locale a Zhoushan con una capacità di 800.000 bpd. Anche questo affare include un contratto di fornitura a lungo termine e l’uso di “Zhejiang Petrolchimico” quale impianto di stoccaggio del petrolio greggio per servire i mercati asiatici di “Aramco”. Il rapporto energetico bilaterale, quindi, fornisce all’Arabia Saudita qualcosa di più di un semplice mercato di esportazione; la Cina è un partner che soddisfa un’ampia gamma di interessi energetici del Regno10.

La sinergia tra Belt and Road Initiative e Saudi Vision 2030 è anch’essa altamente considerata dai leader dell’Arabia Saudita. La BRI è essenzialmente eurasiatica, la connettività e la costruzione di infrastrutture e investimenti cinesi sono centrali a questo obiettivo. Saudi Vision 2030 è l’ultimo tentativo di Riyad di creare un ambiente più diversificato di economia piuttosto che l’attuale modello di rentier a risorsa unica. La Compagnia McKinsey ha pubblicato un rapporto nel 2015, Saudi Arabia Beyond Oil: The Investment and Productivity, che raccomandava di investire in otto settori per diversificare l’economia dell’Arabia Saudita: miniere e metalli, prodotti petrolchimici, produzione, commercio al dettaglio e all’ingrosso, turismo e ospitalità, sanità, finanza e costruzioni. Il risultato sperato è la creazione di sei milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030, riducendo la dipendenza dall’occupazione statale. Per raggiungere questo risultato impegnativo la situazione dell’Arabia Saudita richiede un massiccio afflusso di investimenti diretti esteri (IDE) e joint venture con aziende internazionali, ciò significa che gli obiettivi delle due iniziative sono sostanzialmente allineati. La Cina è stata particolarmente attiva nella collaborazione con l’Arabia Saudita nelle componenti digitali previste da Saudi Vision 2030, che vengono utilizzate per costruire un’economia basata sulla conoscenza. Huawei ha firmato un Memorandum of Understanding (MoU) con i ministeri dell’Arabia Saudita per migliorare le proprie capacità nella digitalizzazione “intelligente”, per sviluppare città, campus universitari, logistica, istruzione, traffico, reti, sicurezza e strade “intelligenti”. Ryiad ha anche firmato un MoU con “ACWA Power” per cooperare nei campi dell’intelligenza artificiale e dei big data.

Il 24 luglio 2020 il Ministro degli Esteri di Pechino Wang Yi ha dichiarato che “le relazioni tra Cina e Arabia Saudita sono diventate un modello di rispetto reciproco, reciproci vantaggi e cooperazione vantaggiosa per entrambe le parti”. Secondo quanto riportato dall’agenzia “Xinhua”, Wang ha affermato che la Cina è pronta a lavorare con l’Arabia Saudita per applicare l’importante intesa raggiunta tra i leader dei due Paesi, rafforzare costantemente la reciproca fiducia in campo politico, continuare a sostenersi fermamente a vicenda e favorire un allineamento profondo della Belt and Road Initiative con la Saudi Arabia’s Vision 2030, in modo da costruire insieme un futuro migliore di relazioni bilaterali.

La Cina è a sua volta percepita dall’Arabia Saudita come una grande potenza emergente che non ha le stesse aspettative degli Stati Uniti basate sui “valori” nelle sue relazioni estere. Il modello cinese “di crescita economica senza riforme politiche” è attraente, così come lo è il principio di “non interferenza negli affari interni di altri Stati”, codificato nei suoi “cinque principi di pacifica convivenza”, la dottrina centrale della politica estera di Pechino.

Anche se gli Stati Uniti, nonostante alcuni segnali contrari, dovessero rimanere i più importanti alleati internazionali dell’Arabia Saudita, è sempre più chiaro che la partnership con la Cina è maggiore di un semplice flirt, o di una relazione transazionale e unidimensionale limitata al commercio di energia. Pechino e Riyad hanno molto da offrire l’uno all’altro. Poiché gli interessi e l’influenza della Cina in Medio Oriente continuano ad espandersi, diventando un fattore importante dell’economia e della sicurezza regionali, il suo rapporto bilaterale con l’Arabia Saudita sarà un pilastro del nuovo ruolo che Pechino ha assunto nella regione.

Conclusioni

La grande complementarietà nelle strutture industriali, la profonda collaborazione nella costruzione di infrastrutture e nel settore energetico stanno dominando le aree del partenariato Cina-Arabia Saudita, ed entrambi corrispondono alla Belt and Road Initiative e alla Saudi Vision 2030. A causa di entrambi gli interessi comuni, i due Paesi stanno rafforzando la loro stretta cooperazione in settori come tecnologia, finanza, cultura, sicurezza e difesa. È interessante notare che la Cina e l’Arabia Saudita prevedono di intensificare la cooperazione reciproca in altri aspetti, compresi l’istruzione, l’industria e il commercio. Per la Cina, la BRI è un nuovo veicolo per migliorare la sua politica di apertura a tutto tondo ed espandere gli investimenti diretti all’estero. L’Arabia Saudita è aperta e cooperativa per esplorare più affari, opportunità e raccogli frutti vantaggiosi per tutti. La BRI è una grande opportunità per il Regno di accedere a nuovi mercati e attrarre più investimenti diretti esteri, facilitando l’attuazione di Saudi Vision 203011.

Alla base del suo successo futuro rimane la capacità della Repubblica Popolare Cinese di mantenere un forte equilibrio tra Ryiad e Teheran; la sua presa di posizione a sostegno dell’Iran dipende, in larga misura, dall’interesse che la Cina ha nei confronti di una Persia stabile e inserita a pieno titolo nel sistema internazionale. L’Iran ha infatti un ruolo chiave all’interno dei progetti BRI a causa della sua posizione geografica tra Europa e Asia che permette l’incontro tra i corridoi Nord-Sud ed Est-Ovest. Inoltre, la rete ferroviaria di 2300 km che collega Urumqi a Teheran è, per la Cina, la porta terrestre verso l’Europa.

La Cina teme quindi di ritrovarsi schiacciata dalla rivalità tra Iran e Arabia Saudita e di dover far fronte ad un sistema regionale lesivo per i suoi progetti. Inoltre, l’importanza strategica del controllo delle infrastrutture diviene ancora più evidente se si considera che, acquisendo un avamposto a Gwadar (in Pakistan), l’Arabia Saudita guadagna un avamposto strategico nei pressi dello stretto di Hormuz, uno dei principali chek point globali – da cui transita il 20% del petrolio globale12.

Dopo gli investimenti sauditi di 20 miliardi di dollari nella “Terra dei Puri”, le tensioni nel Kashmir hanno nuovamente riavvicinato Islamabad allo storico alleato cinese; la neutralità e la ricerca di nuovi rapporti bilaterali nei confronti dell’Iran, potrebbero così trasformare il Pakistan nel mediatore ideale per la pacificazione della regione voluta dalla Cina per implementare la BRI13.

L’articolo fa parte del Focus Asrie “GEOPOLITICS OF SAUDI ARABIA: FOREIGN POLICY, ENERGY MARKETS, AND VISION 2030”, https://www.cese-m.eu/cesem/2021/03/focus-asrie-geopolitical-vol-2-2021-geopolitics-of-saudi-arabia-foreign-policy-energy-markets-and-vision-2030/

NOTE AL TESTO

1 http://www.arabia-saudita.it/page.php?id=227

2 Trovandosi i Luoghi Sacri dell’Islam nel cuore del Regno, Mecca e Medina in particolare, il turismo religioso vale circa il 7% del PIL saudita. Nel giugno 2020 l’Arabia Saudita ha ufficializzato la sostanziale cancellazione (preannunciata già a febbraio, quando hanno interrotto l’Umrah, il ‘pellegrinaggio minore’ che si svolge durante tutto l’anno) dell’Hajj, il pellegrinaggio che almeno una volta nella vita il musulmano in salute e con capacità economica deve compiere presso le città sante di Mecca e Medina, che è stato consentito solo a circa 1.000 pellegrini residenti nel Regno, a causa della pandemia da coronavirus Covid-19. Il mancato pellegrinaggio di milioni di fedeli ha comportato ovviamente perdite economiche importanti per le due città sante.

3 Sito ufficiale del Programma Saudi Vision 2030: http://vision2030.gov.sa/en/ntp.

4 National Transformation Program. Delivery Plan 2018-2020, vision2030.gov.sa/en/ntp.

5 Paola Stringa, Difficoltà di visione per l’Arabia Saudita, “Il Sole 24 Ore”, 5 agosto 2020.

Sulle difficoltà saudite legate alla geopolitica del petrolio, cfr.https://www.cese-m.eu/cesem/2020/03/la-geopolitica-del-petrolio-tra-russia-araba-saudita-e-stati-uniti-una-guerra-senza-esclusione-di-colpi/

6 L’accordo di cooperazione tra Iran e Cina, siglato a luglio (2020 n.d.r.), è strettamente connesso con questo cambio di strategia USA. I fondamenti di questo patto risalgono alla visita di Xi Jinping a Teheran del 2016. In quell’occasione i due Paesi produssero un comunicato congiunto in 20 punti che presenta passaggi di particolare interesse. Il punto 5, ad esempio, afferma: “Both sides strongly support each other regarding issues pertaining to their core interests such as independence, national sovereignty, and territorial integrity. The Iranian side continues its strong commitment to the One-China policy. The Chinese side supports the Iranian side’s ‘Development Plan’ as well as increasing Iran’s role in regional and international affairs. Mentre il punto 7 dice: “The Iranian side welcomes ‘the Silk Road Economic Belt and the 21st Century Maritime Silk Road’ initiative introduced by China. Relying on their respective strengths and advantages as well as the opportunities provided through the signing of documents such as the ‘MOU on Jointly Promoting the Silk Road Economic Belt and the 21st Century Maritime Silk Road’ and ‘MOU on Reinforcement of Industrial and Mineral Capacities and Investment’, both sides shall expand cooperation and mutual investments in various areas including transportation, railway, ports, energy, industry, commerce and services”. Cfr. Daniele Perra, Il declino USA e l’Asse islamico-confuciano, www.eurasia-rivista.com, 20 settembre 2020.

7 Jonathan Fulton, Situating Saudi Arabia in China’s Belt and Road Initiative, www.researchgate.net, 28 novembre 2020. Secondo la Cia l’ordine di uccidere l’oppositore sarebbe arrivato direttamente da Mohamed bin Salman, cfr. Pierre Haski, La svolta di Washington sull’omicidio di Jamal Khashoggi , “France Inter”, 22 gennaio 2021.

8 “Salutati come un’intesa storica che delinea un nuovo Medio Oriente, gli “Accordi di Abramo” hanno inaugurato un corso inedito; Emirati e Bahrein sono stati i primi Paesi del Golfo a partecipare e la speranza del Governo israeliano è che altri si aggiungano presto all’intesa, in particolare l’Arabia Saudita, peso massimo della regione”. Non è un caso che Israele interpreti questi accordi come un mezzo per isolare diplomaticamente l’Iran nella regione ed è esattamente il motivo per cui l’equilibrata geopolitica cinese nella regione potrebbe consentire invece a Teheran e a Ryiad di trovare un’intesa che avrebbe, quella sì, un carattere davvero storico, cfr. Cecilia Scaldaferri, Per Israele “gli Accordi di Abramo sono una svolta e l’Iran è isolato”, www.agi.it, 17 gennaio 2021.

9 Fulton, ibidem.

10 Cfr. Arabia Saudita – Cina: accordi da 10 miliardi di dollari, sicurezzainternazionale.luiss.it, 22 febbraio 2019.

11 Khaled Mohammed Alqahtani, Does Saudi Arabia Benefit From China’s Belt and Road Initiative?, “Journal of Management and Strategy”, Vol. 11, No. 1; 2020.

12 Annalisa Perteghella – Giulia Sciorati, Go West”? I rischi dell’equilibrismo cinese tra Iran e Arabia Saudita, “ISPI”, 22 febbraio 2019.

13 Perché il Pakistan sta cercando di mediare nei colloqui di pace tra Iran e Arabia Saudita?, it.globalvoices.org, 5 giugno 2020.

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