di Marco Costa
Per cosa è solitamente conosciuta Hong Kong agli occhi occidentali? Per il porto direi, per la sua borsa finanziaria, per i suoi grattacieli e il suo aspetto avveniristico. Ma non meno per la sua industria cinematografica.
Non è infatti possibile trascurare il fatto che per diversi decenni questa fu la terza industria cinematografica nel mondo, dopo Bollywood e Hollywood, nonché la seconda per esportazioni. Nonostante una crisi generalizzata nell’industria del cinema iniziata a metà degli anni novanta, il cinema di Hong Kong ha mantenuto gran parte della sua identità e continua a giocare un ruolo di primo piano nel panorama cinematografico mondiale. In occidente il cinema pop di Hong Kong, specialmente quello d’azione, ha un forte seguito, essendo diventato ormai parte del mainstream culturale, largamente seguito e imitato, trasformatosi in un genere propriamente cult per molti estimatori.
Ai suoi albori il cinema di Hong Kong era subordinato a quello della Cina continentale, in particolare a quello di Shanghai, che all’epoca era la capitale delle produzioni cinematografiche in lingua cinese. Analogamente al resto della Cina, lo sviluppo dei primi film fu una emanazione più o meno diretta dell’opera e del teatro cinese, che per secoli rappresentò la forma dominante di intrattenimento. La trasposizione teatrale su pellicola vide compimento in produzioni quali due brevi commedie prodotte nel 1909 intitolate Stealing a Roasted Duck e Right a Wrong with Earthenware Dish. Il regista fu l’attore e direttore teatrale Liang Shaobo; il produttore, lo statunitense Benjamin Brodsky, risultò uno dei diversi occidentali che aiutarono la nascente industria cinematografica cinese ad accedere ad un pubblico di larga scala. Mentre il primo lungometraggio prodotto a Hong Kong viene generalmente considerato Zhuangzi Zi Shi Qi (traducibile come “Il filosofo Zhuang Zi mette alla prova la moglie”) del 1912, che prese spunto da una storia dell’opera cinese diretta da Li Minwei e Benjamin Brodsky. Li Minwei era un altro attore teatrale, che viene generalmente considerato come il fondatore del cinema di Hong Kong. Dopo uno stallo produttivo dovuto alle vicissitudini della Prima guerra mondiale, nel 1923 Lai, insieme al fratello e al cugino fondarono con Liang Shaobo la prima compagnia cinematografica completamente cinese, la Minxin Company. Anche sull’Isola, il cinema sonoro comparve agli inizi degli anni trenta, peraltro con non poche difficoltà dal punto di vista linguistico. Infatti, per sfruttare il vasto mercato del cantonese nella Cina meridionale, gli studi cinematografici di Shanghai trasferirono ad Hong Kong materiale e personale, trasformandola in uno dei centri principali della zona. Tuttavia, il governo del Kuomintang sosteneva una politica a favore del solo mandarino ed era ostile alle produzioni in cantonese, ed aveva anche messo al bando il popolare genere wuxia, che rappresentava opere sul tema di cavalieri erranti e spadaccini, accusandolo di promuovere la superstizione e la violenza. I film in cantonese e i film wuxia rimasero comunque popolari nonostante l’ostilità governativa e la colonia britannica di Hong Kong divenne luogo privilegiato di questo genere di produzioni, che potrebbero considerarsi a tutti gli effetti dei fantasy ante litteram. A lungo andare film musicali ed atti tratti dall’opera cantonese si dimostrarono anche più popolari dei wuxia e si trasformarono nel genere principale degli anni trenta. Le principali case di produzioni del periodo furono la Grandview, Universal, Nanyue e Tianyi. Tuttavia le produzioni subirono una drastica frenata in seguito alla seconda guerra sino-giapponese. In questo periodo vennero prodotti alcuni film patriottici sulla resistenza cinese contro l’invasione giapponese, che rimasero per anni uno dei principali generi di Hong Kong; tra i film dell’epoca degni di nota si può citare Lifeline (Kwan Man Ching, 1935), Hand to Hand Combat (Chiu Shu Sun, 1937) e March of the Partisans (Situ Huimin, 1938). Per parte loro, i giapponesi invasori decisero di fondere le pellicole di molti film anteguerra per estrarne il nitrato d’argento a scopi militari, rendendo introvabili molte delle preziose pellicole degli anni precedenti.
Analogamente a quanto accadde per l’industria manifatturiera dell’Isola, anche l’industria cinematografica fu catalizzata da un significativo afflusso di capitali (e di artisti) dalla Cina continentale e da altri Paesi occidentali. All’indomani del 1949, con la fondazione della Repubblica popolare, si assistette alla definitiva consacrazione di Hong Kong quale capitale del cinema cinese. La colonia fece anche grossi affari esportando le sue produzioni nell’Asia sudorientale e nelle numerose chinatown delle nazioni occidentali. Inoltre prese il via il genere che sarebbe diventato quello di maggior successo per la produzione locale, ovvero i film sul tema delle arti marziali: nasce in questo periodo il cosiddetto gongfupian. Viene prodotta una serie di oltre cento film di kung fu con protagonista Kwan Tak Hing nel ruolo dell’eroe popolare Wong Fei Hung, a partire da pellicole quali The True Story of Wong Fei Hung (1949) fino a Wong Fei Hung Bravely Crushing the Fire Formation (1970). Film seriali wuxian con effetti speciali disegnati a mano sulla pellicola, come The Six-Fingered Lord of the Lute (1965), aventi protagonista la star giovanile Connie Chan Po-chu, ebbero anch’essi un notevole successo.
Nella seconda metà degli anni sessanta gli Studio Shaw inaugurarono una nuova generazione di film wuxia più intensi e meno fantastici, con una produzione patinata, mosse acrobatiche spregiudicate e maggiore violenza. La tendenza fu ispirata dalla popolarità dei film di samurai importati dal Giappone; anche il cinema italiano, con la violenza iperbolica dei suoi western (i celebri spaghetti western del regista Sergio Leone), fu preso a modello. Pellicole da ricordare sono senz’altro Temple of the Red Lotus (Xu Zenghong, 1965), Le implacabili lame di rondine d’oro (King Hu, 1966), Dragon Inn (King Hu 1967) e Tiger Boy (Chang Cheh, 1966), Una mano piena di vendetta (Chang Cheh, 1967) e The Golden Swallow (Chang Cheh, 1968).
Con gli anni ’70 la casa di produzione Cathay cessò la produzione di film, lasciando gli Shaw come unico megastudio sul mercato. Il sottogenere dei film basati sulla disciplina del kung esplose nella sua popolarità internazionale con Bruce Lee quale campione d’incassi in occidente e con lo Studio Shaw che ne monopolizzava l’ondata dal punto di vista della distribuzione.
La vivacità della scena, dal punto di vista commerciale, si sarebbe tradotta nella fondazione di una nuova casa di produzione; infatti nel 1970 gli ex dipendenti dello Studio Shaw, i direttori esecutivi Raymond Chow e Leonard Ho, fondarono un proprio studio, il Golden Harvest, riuscendo in alcuni anni a scavalcare il primo per volume di affari, proprio grazie alla messa sotto contratto dell’ormai celebre Bruce Lee. Questo attore, nato nella chinatown di San Francisco da genitori cantonesi, aveva ottenuto solo parti minori nelle produzioni statunitensi e fu solo con il film Il furore della Cina colpisce ancora (1971) prodotto dalla Golden Harvest che avrebbe fatto il grande salto verso la celebrità mondiale. Altre pellicole che lo videro nel ruolo di protagonista, senz’altro da menzionare, sono Dalla Cina con furore (Jing wu men/ The Chinese Connection), regia di Lo Wei (1972), L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente (Meng long guo jiang/ Way of the Dragon), regia dello stesso Bruce Lee (1972), I 3 dell’Operazione Drago (Enter the Dragon), regia di Robert Clouse (1973). Lee merita di essere ricordato, oltre per le sue doti funamboliche di attore-acrobata, per avere sistematizzato una vera e propria tecnica di arte marziale, denominata Jeet Kune Do. Questa disciplina, solitamente abbreviata in JKD, consiste in un’arte marziale sincretica non tradizionale, con valenze anche scientifico-filosofiche, basate sul combattimento “essenziale” fondata dal celebre maestro Bruce Lee alla fine degli anni sessanta. In cantonese Jeet significa “intercettare”, Kune “pugno” e Do “via”; in altri termini Jeet Kune Do potrebbe essere tradotto come “la via del colpo intercettore”.
Ma con la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 un altro personaggio iconico del cinema di Hong Kong iniziava a muoversi sui set cinematografici, ricalcando e rinnovando la tematica dei film d’azione incentrati sulle arti marziali. Alla fine degli anni settanta la Golden Harvest era lo studio principale ed aveva messo sotto contratto il regista-attore Jackie Chan che nei venti anni successivi avrebbe prodotti i più grandi successi di botteghino del cinema asiatico. I suoi film furono popolari in tutto il mondo, specialmente nel terzo mondo, dove furono spesso adottati come simbolo dell’orgoglio ribelle di un’Asia insorgente, finalmente fiera e protagonista anche dal punto di vista culturale e mediatico. Dal punto di vista distributivo, la disponibilità di cinema e videonoleggi delle innumerevoli chinatown permise ai film di Hong Kong di essere scoperti da appassionati occidentali attratti dalla loro esoticità e platealità nelle sequenze incalzanti dell’azione.
In questo periodo, i registi e produttori Tsui Hark e Wong Jing possono essere scelti come figure definitive di queste tendenze. Tsui fu un esponente della cosiddetta Hong Kong New Wave, che simbolizza l’assorbimento del movimento nel mainstream, divenendo la tendenza trainante dell’industria cinematografica asiatica e il maggiore sperimentatore tecnico. Wong, ancora più prolifico, è secondo la maggior parte dei critici il produttore cinematografico di Hong Kong di maggior successo qualitativo degli ultimi due decenni, con la sua produzione instancabile di film pulp aggressivi ma tuttavia commerciali.
Altre pietre miliari di questa tendenza tematica includono film riguardanti storie di gangster o membri della “Triade” lanciata dal regista John Woo, dal produttore Alan Tang e dominata da Chow Yun-Fat; i melodrammi romantici e fantasie di arti marziali con protagonista Brigitte Lin; le commedie di star come Cherie Chung e Stephen Chow; film tradizionali di kung fu dominati da Jet Li e film d’azione moderni basati su acrobazie e manovre ai limite del parossistico di kung fu iconografati dalle gesta di Jackie Chan, Sammo Hung e Yuen Biao (interpreti anche di Kung fu, Wuxia e Horror comedy).
Va anche ricordato, a titolo di curiosità, che Jackie Chan il celebre attore, regista e produttore cinematografico cinese, ha ricevuto nel 2013 un’importante incarico a livello politico, diventando infatti membro della Conferenza politica consultiva della Repubblica Popolare Cinese, la massima istituzione politica del Paese dopo l’Assemblea popolare nazionale. Mentre quest’ultima, infatti, esercita il potere legislativo assoluto, la Conferenza svolge funzioni consultive e rappresenta i vari partiti politici della Repubblica Popolare Cinese, sotto la direzione del Partito comunista e degli altri partiti aderenti al Fronte unito. E recentemente lo stesso attore si è espresso nettamente a favore dell’integrazione di Hong Kong nella Repubblica Popolare Cinese.i
Se per le generazioni precedenti Brucee Lee era il volto del cinema hongkonghese, nella scena contemporanea questo ruolo è assolutamente ricoperto da Jackie Chan. Su cui vale la pena soffermarsi brevemente. Jackie Chan, pseudonimo di Chan Kong-Sang, nato ad Hong Kong il 7 aprile 1954, è un attore, artista marziale, stuntman, produttore cinematografico, regista, sceneggiatore, doppiatore e cantante hongkonghese. Nel 1990 ha cambiato ufficialmente il suo nome in Fáng Shìlóng, riacquisendo l’antico cognome del padre, mentre in Cina è conosciuto principalmente con il pseudonimo di Chéng Lóng. Chan è oggi uno dei più famosi attori al mondo di action movie orientali: ha girato oltre 200 film ed è conosciuto per il suo particolare stile di combattimento che fonde le arti marziali cinesi alla mimica tipica del cinema muto, con l’utilizzo di spettacolari e rocambolesche scene d’azione in cui si mette in gioco in prima persona ricorrendo all’utilizzo di armi improvvisate non convenzionali, il tutto sempre prestando attenzione a non sfociare nella violenza gratuita ed ingiustificata. In merito a ciò l’attore ha puntualizzato in molte interviste che nei suoi film non c’è vera violenza – ovvero scene di sangue, cruente o di sesso – ma una “violenza sobria e pulita”, che non offende o inquieta lo spettatore, anche perché i suoi film sono indirizzati ad un target prevalentemente giovanile, facendo sempre leva sulla comicità e sulle ripetute gag anche autoironiche che lo vedono come protagonista.
Una particolarità e segno di riconoscimento dei suoi film sono i bloopers che Chan inserisce alla fine di ogni sua pellicola, in cui si vede chiaramente che è lui stesso a interpretare le scene pericolose ed ostiche, senza l’utilizzo di controfigure. Il 26 febbraio 2017 il successo internazionale venne suggellato con il premio Oscar alla carriera. In Italia non tutti i suoi film vengono distribuiti e doppiati, alcuni arrivano direttamente sul mercato home video. Molti dei suoi cult-movie infatti, soprattutto quelli degli anni ottanta-novanta (Armour of God, Dragons Forever, Armour of God II – Operation Condor e altri), sono addirittura del tutto inediti sul nostro mercato.
Tra le sue altre pellicole in veste di attore ne vanno citate assolutamente alcune: Dalla Cina con furore, regia di Lo Wei (1972), Il segreto della palma d’acciaio, regia di Chu Mu (1973), Attack of the Kung Fu Girls, regia di Lo Wei (1973), Snake and Crane Arts of Shaolin, regia di Chen Chi Hwa (1978), Il serpente all’ombra dell’aquila, regia di Yuen Wo Ping (1978), Jacky Chan: la mano che uccide, regia di Jackie Chan (1979), Chi tocca il giallo muore, regia di Robert Clouse (1980), La corsa più pazza d’America, regia di Hal Needham (1981), Project A – Operazione pirati, regia di Jackie Chan (1983), Dragons Forever, regia di Sammo Hung (1988), Crime Story, regia di Kirk Wong (1993), Hollywood brucia, regia di Alan Smithee e Arthur Hiller (1997), Senza nome e senza regole, regia di Benny Chan (1998), Il giro del mondo in 80 giorni, regia di Frank Coraci (2004), La vendetta del dragone, regia di Yee Tung-shing (2008), The Karate Kid – La leggenda continua, regia di Harald Zwart (2010), Shaolin – La leggenda dei monaci guerrieri, regia di Benny Chan (2011), Kung-Fu Yoga, regia di Stanley Tong (2017), Bleeding Steel – Eroe di acciaio, regia di Leo Zhang (2018), Journey To China – The Mystery of Iron Mask, regia di Oleg Stepchenko (2019). L’elenco dei suoi film di successo è praticamente sterminato.
Infine vanno segnalate altre produzioni di genere diverso che tuttavia hanno riscontrato un notevole successo da parte della critica e degli spettatori della cinematografia hongkonghese contemporanea. Infatti va registrato uno sforzo dei produttori locali per diversificare le produzioni oltre al genere predominante, l’action. Questi hanno sviluppato film maggiormente patinati, incluso il ricorso a molte scene di computer grafica, un maggior uso di tecniche di marketing di massa analoghe a quelle di Hollywood e l’affidarsi ripetutamente a giovani star della musica pop. I generi che hanno avuto successo dalla fine degli anni novanta e inizio 2000 includono ancora film d’azione in stile americano come Downtown Torpedoes (1997), Gen-X Cops (1999) e Purple Storm (1999), oppure il sottogenere dei Triad kids lanciato da pellicole quali Young and Dangerous (1996), commedie romantiche improntate alla mentalità yuppie come The Truth About Jane and Sam (1999), Needing You (2000), Love on a Diet (2001) e infine horror sovrannaturali come Horror Hotline: Big-Head Monster (2001) e The Eye (2002). Con gli anni 2000 ci furono altri importanti successi in termini di incassi al botteghino; la Milkyway Image, fondata dai registi Johnnie To e Wai Ka-Fai a metà degli anni novanta, registrò un considerevole successo di critica e di pubblico, specialmente con film provocatori o incentrati sulle tematiche criminali come The Mission (1999) e Running on Karma (2003). Un successo ancora maggiore del genere registrò la trilogia Infernal Affairs (2002–2003) di thriller polizieschi codiretti da Andrew Lau e Alan Mak (il film The Departed – Il bene e il male vincitore di quattro Oscar è un remake del primo film di questa trilogia). Il comico Stephen Chow, la star cinematografica più popolare degli anni novanta, ha diretto e interpretato il celebre Shaolin Soccer (2001) e Kung Fu Hustle (2004); queste pellicole utilizzano effetti speciali in computer grafica per trasformare l’umorismo nel parossistico e nel surreale, riscontrando l’apprezzamento del pubblico mondiale.
Bibliografia
- Simone Bedetti e Massimo Mazzoni, La Hollywood di Hong Kong dalle origini a John Woo, PuntoZero, Bologna, 1996.
- Jackie Chan e Jeff Yang, I Am Jackie Chan: My Life in Action, Ballantine Books, New York, 1998.
- G. Nazzaro, Il cinema di Hong Kong. Spade, kung fu, pistole e fantasmi, Le Mani-Microart’S, Genova, 2014
- G. Nazzaro e A. Tagliacozzo, Il dizionario dei film di Hong Kong, Libreria Universitaria Editrice, Padova, 2005.
- S. Locati, Il nuovo cinema di Hong Kong. Voci e sguardi oltre l’handover, Bietti, Milano, 2014.
- F. Massaccesi, Asian fever. Il cinema orientale in 30 schede, Libreria Universitaria Editrice, Padova, 2009.
NOTE AL TESTO
i Vedi https://www.lastampa.it/spettacoli/cinema/2019/08/26/news/le-star-litigano-su-hong-kong-quanto-pesano-le-proteste-sul-mercato-cinematografico-cinese-1.37382924
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