di Marco Costa
La vicenda di Hong Kong è stata in larga parte determinata dalla sua posizione geografica: incuneandosi nel Mare Cinese Meridionale, ha assunto il ruolo di avamposto strategico commerciale del “Celeste Impero”, suscitando però le ambizioni dei coloni e dei mercanti occidentali, britannici in particolare. Il territorio di Hong Kong, essendo in buona parte costituito da un’isola principale (Hong Kong Island) attorniata da un piccolo arcipelago di isole minori (New Territories) e da una parte di terraferma (Kowloon), ha caratterizzato – nel bene e nel male – tutta la storia della città, determinandone la sua vocazione marittima.
Abbiamo affermato che tale predisposizione alla vita marittima è stata sia un bene che un male, perché, paradossalmente, l’Isola del sud della Cina ha attirato nel corso dei secoli anche le brame di trafficanti senza scrupoli, briganti di ogni sorta, profughi, rifugiati, banditi e, soprattutto, dei pirati. Anzi per diversi secoli, Hong Kong è stata una vera e propria capitale della pirateria asiatica.
Se questa città dagli inglesi venne battezzata come “porto profumato”, e se oggi è anche conosciuta come “perla moderna d’oriente”, gli esploratori spagnoli e portoghesi la consideravano il braccio settentrionale di una catena di isole che chiamavano abitualmente come Isla Ladrones, ovvero l’isola dei ladri. Sembra paradossale, ma dietro allo sfarzo e al glamour della moderna Hong Kong c’è una storia ricca di contraddizioni tra popolazione autoctona e coloni occidentali, che, come abbiamo visto, non hanno sempre contribuito alla buona reputazione della città, e l’esempio della pirateria dei secoli passati ne costituisce il più eclatante esempio.
La pirateria in quella che è oggi Hong Kong ebbe origine nel XIII secolo come risposta al controllo autoritario della dinastia Ming, con una massima espansione del fenomeno che si estese dal XVIII secolo fino al tempo del dominio coloniale britannico. Quando arrivò la Royal Navy di Sua Maestà Britannica, Hong Kong ospitava vari “re pirati” a capo di migliaia di barche da guerra che terrorizzavano tutta la costa circostante con le loro incursioni banditesche, rimanendo di fatto fino al XIX secolo la capitale dei pirati del Mar Cinese Meridionale. Ma occorre fare qualche passo indietro.
Nel 1371, l’imperatore Ming dichiarò una sorta di “divieto marittimo” che proibiva il commercio marittimo privato, nel tentativo di consolidare il potere della sua dinastia alle prime armi e di centralizzare tutto il commercio estero. Questo divieto includeva il sequestro di tutte le navi private catturate nelle acque dell’Impero, nonché il trasferimento forzato di numerose comunità sulla costa. Il divieto fu revocato per un certo periodo sotto l’imperatore Yongle, che aveva usurpato il trono e finanziato i sette viaggi del leggendario ammiraglio Zheng He, che permisero alla Cina di costruire un’enorme flotta navale che l’Imperatore usò per rinforzare il dominio cinese sui mari asiatici. Tuttavia, questa tregua fu di breve durata: i successori di Yongle bruciarono la flotta di Zheng He e nel 1394 ripristinarono con una nuova formula il divieto di commercio marittimo privato. Per una strana eterogenesi dei fini, mentre il Governo pensava che il divieto avrebbe protetto le persone e i piccoli navigatori, la pirateria divenne un modo per sopravvivere per i pescatori, i commercianti e i costruttori di navi ormai impoveriti, che avevano bisogno di una fonte di reddito dopo che il loro commercio originale era stato bandito. Per contrastare questa crescente minaccia alla legge e all’ordine, il Governo imperiale vietò la costruzione di navi multi-albero, mentre nel 1525 sequestrò e distrusse tutte le navi oceaniche private, imprigionando chiunque fosse coinvolto nel commercio con gli stranieri. Quando l’era della vela in occidente iniziò a fiorire e le nuove rotte commerciali furono percorse dagli europei, l’Impero cinese iniziò a stringere la presa sui suoi territori marittimi. Nel 1661, l’Imperatore Kangxi della dinastia Qing organizzo un’evacuazione generale di tutte le popolazioni costiere; questa era una tattica impiegata per sconfiggere Coxinga, un lealista Ming che aveva sequestrato Taiwan agli olandesi e l’aveva usata come base operativa per la sua ribellione.i Tutti gli abitanti dei villaggi della costa meridionale della Cina, dal Guangdong a Shangai, vennero spostati a 25 chilometri nell’entroterra, le loro navi e le loro case furono ridotte in cenere e coloro che tentavano la fuga finirono giustiziati. In appena un paio d’anni, l’Imperatore Kangxi aveva a tutti gli effetti messo fuorilegge il commercio del Mare del Sud nel tentativo isolare e stremare il rivale Coxinga, una tattica che peraltro sul breve termine si sarebbe rivelata vincente.
Dopo la sconfitta di Coxinga nel 1684 e dopo che la dinastia Qing aveva ripristinato la sicurezza della propria costa meridionale, il commercio del Mare del Sud riprese nel 1727. Con relativa stabilità politica nel Regno, miglioramenti nella qualità della vita dei comuni abitanti dei villaggi e una esplosione demografica del Paese, sempre più persone iniziarono a ripopolare la costa meridionale, approfittando del boom dell’industria commerciale.
Tuttavia, temendo che l’influenza straniera si infiltrasse in Cina attraverso i numerosi porti che nacquero in ogni angolo della costa, l’Imperatore Qing istituì un sistema cantonale nel 1757, con una relativa legislazione che limitava il commercio estero all’unico porto marittimo di Guangzhou. Inoltre, solo una manciata di élite economiche controllava il porto, ciò significava che, ancora una volta, la regione costiera era precipitata nella povertà, poiché tutto il commercio e l’industria iniziavano a concentrarsi in poche mani. Nell’entroterra, le persone avevano due scelte: lottare per la sopravvivenza come agricoltori o altri lavori umili, o morire. Ma la costa proponeva una terza opzione: la pirateria. Mentre la disperazione e la sovrappopolazione erano all’ordine del giorno nell’area, una ribellione nel vicino Vietnam, nel 1778, diede avvio al fenomeno della pirateria nei Mari del Sud. La dinastia Tay Son del Vietnam aveva appena spodestato la dinastia rivale Le. Nel tentativo di sconfiggere tutti i loro avversari, i governanti vietnamiti strinsero un patto con i pirati cinesi, spingendoli a diventare corsari, ovvero pirati assoldati più o meno ufficialmente da un Paese straniero.ii Prima della ribellione di Tay Son, i pirati cinesi della zona di Hong Kong erano semplici abitanti di villaggio che si erano dedicati a una vita banditesca per integrare i loro magri mezzi di sussistenza. Ma con la dinastia vietnamita che li finanziava, diventarono veri e propri professionisti del settore: presto, i pirati incamerarono finanziamenti per costruire grandi flotte da guerra, armate con le armi tecnologicamente più avanzate dell’epoca, e persino un sistema di gestione in stile militare che dava loro l’organizzazione necessaria per evolversi da disturbo occasionale agli altri navigatori ad una vera e propria minaccia nazionale.
Nel corso dei decenni successivi, i pirati cinesi avevano terrorizzato il Mar Cinese Meridionale e saccheggiato tutte le navi e i porti che volevano; tuttavia, lotte intestine tra le varie fazioni comportarono un’implosione del loro intero modo di vivere. Per rimediare a questo, sette “re-pirati” si coalizzarono nel 1805 per formare una confederazione libera, completa di un rigido codice di condotta e di una burocrazia organizzativa. Il leader era il leggendario Zheng Yi, che riorganizzò la confederazione in 6 flotte pirata, ognuna delle quali dotata di centinaia di navi da guerra e suddivisa in territori specifici di competenza. Organizzati, ben armati e già veterani di molteplici conflitti, i pirati del Mar Cinese Meridionale diventarono una forza da non sottovalutare. Non erano più semplici pescatori con arpioni e la dinastia Qing dovette affrontare un nemico che consisteva in migliaia di navi, cannoni e guerrieri spietati nella battaglia. Questi pirati non solo minacciavano la dinastia Qing, ma anche i coloniali britannici e portoghesi che vedevano messi a rischio i loro possedimenti costieri e i carichi navali.
Nel corso del tempo, e solo attraverso uno sforzo combinato delle marine cinesi e britanniche, le flotte pirata iniziarono a ridursi di dimensioni, fino a provocare solamente episodi sporadici di saccheggio. Ma la loro eredità rimane nella storia di Hong Kong e di tutto il Mare Cinese del Sud, tanto che ancora oggi ci sono statue del grande capitano pirata Zheng Yi in molte città della costa meridionale.iii
Una volta debellato il fenomeno della pirateria, il porto di Hong Kong avrebbe vissuto una crescita poderosa nel corso dei decenni tanto da arrivare oggi ad essere il settimo terminal portuale al mondo per numero di merci mobilitate.iv Storicamente, il porto di Hong Kong si è sviluppato nelle acque profonde e ben protette di Victoria Bay (Weidoliyagan), situata in un luogo strategicamente importante nel sud della Cina, in corrispondenza del delta del Fiume delle Perle. Mentre nel periodo coloniale e fino all’inizio degli anni ‘70 le principali strutture portuali erano situate sulla costa settentrionale dell’isola di Hong Kong, le infrastrutture portuali si sono via via estese nel distretto di Khuaychin nei Nuovi Territori.
Come abbiamo visto, prima della presenza britannica, Hong Kong era un piccolo villaggio di pescatori che spesso fungeva da rifugio per i pirati. Dal 1821, i mercanti britannici iniziarono a utilizzare l’isola di Hong Kong per l’ancoraggio delle loro navi e lo stoccaggio dell’oppio importato dall’India britannica. Nel giugno 1841, l’amministratore britannico Charles Elliot dichiarò Hong Kong un “porto franco” dove il commercio sarebbe stato del tutto esentasse, il che attirò sull’Isola molti mercanti europei da Guangzhou e Macao. Le prime compagnie a costruire i loro magazzini furono le grandi imprese commerciali britanniche come Lindsay & Co, Jardine, Matheson & Co e Dent & Co. Come conseguenza della prima guerra dell’oppio, Hong Kong cadde sotto il controllo britannico nell’agosto 1842, allorquando gli inglesi puntarono su uno sviluppo di vasta scala del porto e della base navale annessa. Inoltre, gli inglesi ottennero dalla dinastia cinese l’apertura al libero scambio di cinque porti cinesi (Guangzhou, Xiamen, Fuzhou, Ningbo e soprattutto Shanghai), che si trasformarono in mete privilegiate del traffico marittimo in uscita da Hong Kong. Il commercio tra Hong Kong e Guangzhou si rivelò (malauguratamente) particolarmente intenso, in quanto dalla colonia venivano inviati bastimenti carichi di oppio. Va inoltre ricordato che nel 1843 scoppiò nella colonia uno sciopero dei lavoratori cinesi contro la costruzione di un porto commerciale.
A metà del XIX secolo, oltre all’oppio, cotone, tessuti e prodotti in metallo furono forniti attraverso il porto di Hong Kong alla Cina, mentre vennero riportati seta, tè, porcellana, zucchero, indaco e artigianato. Per avere qualche dato quantitativo, si può dire che nel 1845: 672 navi con una portata totale di 227 mila tonnellate entrarono nel porto di Hong Kong, nel 1847: 694 navi (228 mila tonnellate), nel 1850: 884 navi (299 mila tonnellate), nel 1847: 283 navi per un totale di 83mila tonnellate dai porti lungo il Fiume delle Perle ad Hong Kong, mentre arrivarono dai porti della costa cinese 139 navi (per 24mila tonnellate), dall’India 111 (66mila tonnellate), dal Sud America 56 (16 mila tonnellate), dalla Gran Bretagna 53 (21 mila tonnellate), dall’Australia 33 (10 mila tonnellate) e dal Nord America 16 (8 mila tonnellate).v
Hong Kong si trasformò così rapidamente in una base fondamentale per le compagnie di navigazione che servivano il traffico marittimo tra la colonia e i porti della Cina e di tutto l’Oriente, nonché uno snodo di transito quasi obbligatorio per le linee passeggeri e merci che collegavano la Cina con il Sud-Est e l’Asia meridionale, l’Europa, l’America e l’Australia. La società Peninsular & Oriental stabilì un collegamento fisso con Londra, Guangzhou e Shanghai, la linea di Hong Kong, mentre la concorrenza era costituita dal porto di Guangzhou dove operava la società Hong Kong e Canton Steam. A poco a poco, le principali compagnie marittime di Hong Kong – Jardine, Matheson & Co, Dent & Co e Russell & Co – stabilirono proprie rotte fisse per le navi a vapore. Va anche ricordato che nemmeno la città di Hong Kong rimase indenne da un altro evento epocale della storia cinese, ovvero l’episodio della celebre rivolta dei Taiping.vi
Nel settembre 1854, una piccola flotta di Taiping entrò nel porto di Hong Kong, e nel gennaio 1855 risposero le giunche Qing con duemila soldati a bordo. Le autorità britanniche tentarono di evitare una battaglia navale tra le due fazioni, dopo di che promulgarono un decreto che vietava alle navi delle parti in guerra di entrare nelle acque di Hong Kong. Tuttavia, nel settembre 1856 la flottiglia Taiping arrivò ad Hong Kong, unendo le forze con le navi dei pirati locali, ma gli inglesi rifiutarono loro l’assistenza militare.
Con lo scoppio della seconda guerra dell’oppio, il porto di Hong Kong si trovò chiuso in un blocco; dopo qualche tempo le truppe anglo-francesi conquistarono Guangzhou e, dopo la conclusione del conflitto, la Gran Bretagna prese possesso anche della penisola di Kowloon. Tuttavia, dopo la guerra, il ruolo di Hong Kong e del suo porto iniziò a declinare e molte aziende britanniche iniziarono a trasferirsi a Shanghai. Inoltre, nel biennio 1867-1886, le autorità cinesi stabilirono nelle regioni costiere del Guangdong un nuovo blocco di Hong Kong, tentando così di imporre un dazio sul commercio dell’oppio e aprire le dogane direttamente nella colonia britannica. Le imbarcazioni cinesi arrestarono le navi dedite al contrabbando, compiendo i sequestri delle merci. Si stabilì una situazione abbastanza caotica, che si sarebbe risolta negli anni ‘60 dell’Ottocento con la creazione di una speciale polizia portuale per ristabilire l’ordine nell’area delle banchine e dei magazzini. Mentre le aziende commerciali europee con sede a Hong Kong, fino agli anni ‘70 dell’Ottocento, si dedicavano prevalentemente al commercio dell’oppio, le aziende locali si specializzarono nel commercio tessile, nei trasporti e nei servizi finanziari. Tuttavia, va segnalato che l’assenza di una base di riparazione navale influì negativamente sullo sviluppo del porto di Hong Kong. Nel 1863, in seguito alla fusione tra la Cooper Docks, situata a Huangpu (Guangzhou), e la Lapreik Docks, costruita nel 1857 ad Aberdeen, fu costituita la grande compagnia di Hong Kong e Whampoa Dock, guidata dall’imprenditore scozzese Thomas Sutherland, direttore della compagnia di navigazione Peninsulare e orientale a Hong Kong e futuro fondatore della rinomata Banca di Hong Kong e Shanghai. All’inizio del 1870, la leadership nel commercio dell’oppio si è trasferita da Jardine, Matheson & Co alla società David Sassoon & Co, proprietà della famiglia Bombay Baghdadi Jewish Sassoon.
Nel settembre 1874, a seguito di un terrificante tifone nel porto, rimasero danneggiate 35 grandi navi, morirono circa 2mila persone causando danni economici stimati in 5 milioni di dollari. Durante la guerra franco-cinese, i lavoratori portuali si rifiutarono di gestire le navi francesi che facevano scalo a Hong Kong; dopo il loro arresto, i membri delle società segrete nell’ottobre 1884 organizzarono uno sciopero generale dei lavoratori cinesi; nel 1886 fu concluso un accordo tra la Cina e Hong Kong, secondo il quale tutto l’oppio trasportato attraverso il porto di Hong Kong veniva registrato all’importazione e all’esportazione, il movimento notturno delle giunche era vietato e nella colonia fu aperto un dipartimento doganale marittimo cinese, che distribuiva le licenze per l’importazione di oppio.
Come dato più complessivo, va considerato che la quota di Hong Kong nel commercio estero della Cina registrò un incremento dal 17,5% nel 1868 al 34,8% nel 1886 (nello stesso periodo di tempo, la quota di Hong Kong nelle importazioni cinesi aumentò dal 22% al 39,8% e nelle esportazioni dal 12,9% al 29,2%). Quasi tutto il commercio si svolgeva attraverso la linea regolare di navi a vapore e una grande flotta di giunche, che detenevano un ruolo chiave nelle operazioni di cabotaggio.
A seguito dell’apertura del Canale di Suez nel 1869, le spedizioni dall’Europa diminuirono drasticamente. Negli anni 1870 e 1880, carbone, petrolio, cherosene, riso, coloranti, stagno, semilavorati, acciaio e fiammiferi furono forniti alla Cina tramite Hong Kong, mentre vennero riportati cuoio, lana, verdure, oli vegetali, legumi, canapa e stuoie. Con lo sviluppo dell’attività finanziaria, assicurativa, del magazzinaggio e della riparazione navale a Hong Kong, l’Isola si trasformò gradualmente in un importante centro di distribuzione per il commercio internazionale lungo il confine meridionale della Cina, dove iniziarono ad arrivare grandi spedizioni di merci da Singapore, Stati Uniti e Giappone. Dopo la revoca del blocco, la quota di Hong Kong sul fatturato del commercio estero cinese aumentò nel 1887 al 47,3%, suddivisa tra il 56,4% delle importazioni e il 36,5% delle esportazioni. Nonostante ciò, il fatturato del commercio costiero navale aumentò solo relativamente, passando da 3,37 milioni di tonnellate nel 1884 a 3,44 milioni di tonnellate nel 1887. Le strutture marittime e portuali stavano diventando aree di investimento sempre più appetibili per le corporations commerciali britanniche e cinesi. Nel 1885, più del 37% degli investimenti di Jardine, Matheson & Co erano rivolti verso compagnie di navigazione, e circa il 29% veniva investito in imprese di costruzione e riparazione navale, porti turistici e stoccaggio merci. Alla fine del XIX secolo, la Hong Kong and Shanghai Banking Corporation divenne il gruppo finanziario più influente di Hong Kong, essendo il maggiore azionista della Douglas Steamship Co e Hong Kong, Canton & Macao Steamship, superando le compagnie di navigazione di proprietà delle aziende commerciali Butterfield & Swire, controllata dalla China Navigation Company, e il gruppo Jardine, Matheson & Co, controllato dalla Indo-China Steam Navigation Company. Altra importante concorrente era la compagnia di navigazione Shanghai Steam Navigation di proprietà di Russell & Co.
Entro la fine del XIX secolo, circa 4,5 mila persone lavoravano nelle imprese di Hong Kong e Whampoa Dock, che a quel tempo avevano assorbito molti altri cantieri navali e il controllo di diverse banchine. Hong Kong e Whampoa Dock non era solo la principale società di riparazioni navali di Hong Kong, ma anche delle grandi navi ormeggiate in tutti gli altri porti cinesi. Contemporaneamente all’industria della cantieristica navale, si svilupparono attività di magazzinaggio e portuale; nel 1886 il gruppo Jardine, assorbita dalla Matheson & Co, creò la prima la compagnia Hong Kong e Kowloon Wharf e Godown, che costruì a Kowloon moli e magazzini dalla capacità di 750 mila tonnellate.
Strutture portuali moderne, movimentazione rapida delle merci e un’industria di riparazione navale sviluppata trasformarono Hong Kong in un comodo hub di transito per l’intero Estremo Oriente. Nel 1888, il fatturato del porto di Hong Kong era di 12,7 milioni di tonnellate, nel 1892 di 13,5 milioni di tonnellate, nel 1896 di 16,1 milioni di tonnellate. La stragrande maggioranza del carico veniva trasportata da navi britanniche e cinesi, ma anche la quota di compagnie americane, canadesi, francesi, olandesi e giapponesi era in costante crescita. Nel 1895, il fatturato del porto di Hong Kong superava quello di Londra di 775 mila tonnellate, quello di Liverpool di 1,03 milioni di tonnellate e quello di Cardiff di 1,05 milioni di tonnellate.
Nel campo dell’assicurazione marittima, le compagnie principali erano la Jardine, Matheson & Co, la Butterfield & Swire e Hongkong e la Shanghai Banking Corporation, che operavano non solo a Hong Kong, ma anche in tutti i principali porti della Cina meridionale. Inoltre, lo sviluppo del nuovo porto di Kowloon portò alla necessità di stabilire un collegamento regolare tra Hong Kong e la penisola; nel 1888, Pars Dorabji Naoroji Mithhawala fondò la compagnia di traghetti Kowloon Ferry, che fu ribattezzata Star Ferry dieci anni dopo.
Nel primo decennio del XX secolo, Hong Kong mantenne il ruolo di intermediario nel commercio estero cinese, sebbene la sua quota nel fatturato del commercio estero nel 1910 scese al 33,2% (dal 1901 al 1910, il fatturato aumentò del 46%). Attraverso il porto di Hong Kong, transitava il 40% delle esportazioni di seta cinese e il 6% di tè, mentre una quota significativa del fatturato proveniva dal commercio del minerale di stagno che giungeva dalla provincia dello Yunnan, così come dalle forniture della Cina meridionale riguardanti farina di frumento, riso, carbone, cherosene, tessuti, acciaio, macchinari, macchine utensili e prodotti chimici. In questo periodo va registrato un notevole afflusso di capitali cinesi a Hong Kong, attivi soprattutto nel campo della navigazione. Perciò, con l’aiuto di investimenti esteri, furono create sull’Isola diverse compagnie di navigazione medie e piccole, tra cui la Shantou-Chaozhou Steamship Company, Taoshan, Yuanan, Tongan, Fuan, Quanan, Lingsheng, Chengxing, Shenye, Siyi, Taisheng. Basti pensare che solo nel 1913 a Hong Kong vennero costituite 15 compagnie di navigazione cinesi con un capitale totale di $ 2,54 milioni, un equipaggio di 29 navi ed una capacità di quasi 14,3 mila tonnellate.
La Prima guerra mondiale influenzò negativamente le attività del porto di Hong Kong; i collegamenti dell’Isola con l’Europa si indebolirono, comportando una stagnazione del commercio internazionale. Le difficoltà temporanee delle società britanniche vennero sfruttate dai loro concorrenti giapponesi e statunitensi, che incrementarono le loro posizioni nel mercato cinese in rapida crescita. Gli eventi conseguenti alla rivoluzione Xinhai (soprattutto nel Guangdong e la lotta di destabilizzazione tra “signori della guerra”), ostacolarono temporaneamente il commercio tra Cina continentale e Hong Kong.vii
Nei primi decenni del XX secolo, il porto di Hong Kong ha continuato a svolgere un ruolo importante nell’economia complessiva dell’Isola: ha visto la nascita di molte banche, compagnie di assicurazione, società commerciali, uffici di intermediazione e officine di riparazione. Il costante incremento del numero di posti barca sui moli e di magazzini nella darsena, ha accresciuto il fabbisogno di manodopera, che è stata reintegrata principalmente dai migranti dalle regioni adiacenti del Guangdong e del Fujian. Infatti dal 1910 al 1930 la popolazione di Hong Kong è passata da 434mila a quasi 840mila abitanti. Se nel 1910 il fatturato del carico del porto di Hong Kong era di 20,9 milioni di tonnellate (con più di 17,5 mila navi) e nel 1920 di 21,5 milioni di tonnellate (con 21,5 mila navi), nel 1930 saliva a 37,9 milioni di tonnellate (quasi 28,4 mila navi). Tuttavia, all’inizio degli anni ’30, a causa della riduzione degli scambi con la Cina, il volume del traffico di cabotaggio diminuì notevolmente. Un altro fattore che influenzò la riduzione del traffico di cabotaggio, in particolare del traffico passeggeri, fu l’apertura nel 1911 del traffico ferroviario sulla linea Kowloon-Canton, che collegava la regione di Chimsachi (a est della città) con la regione del Guangzhou. Alla fine degli anni ‘20, a seguito del protezionismo adottato dal governo del Kuomintang, ci fu una diminuzione del volume delle esportazioni e delle importazioni di Hong Kong in Cina (comprese le forniture attraverso il porto di Hong Kong di riso dal Siam e dal Vietnam, carbone dal Borneo e zucchero di Hong Kong). La quota di Hong Kong nel commercio estero cinese nel 1920 scese al 22,6% e nel 1930 al 17%, mentre nel dettaglio la quota del porto di Kowloon nel fatturato del commercio estero cinese nel 1930 calò al 2,2%. Allo stesso tempo, ci fu un aspro confronto tra i porti concorrenti, e i mercanti di Hong Kong adottarono ogni strategia per impedire alle navi di attraccare direttamente a Guangzhou, aggirando il loro porto. Analogamente a quanto avvenne in diversi porti e complessi industriali occidentali, anche il porto di Hong Kong e le industrie ad esso collegate subirono diversi scioperi e boicottaggi. Nella primavera del 1916, i marinai scioperarono, chiedendo salari più alti e l’ufficializzazione del loro sindacato di categoria. Nel maggio 1920 i meccanici e gli operai delle banchine smisero di lavorare; nel gennaio 1922 iniziò uno sciopero dei marinai cinesi, insoddisfatti della disoccupazione, dei salari e delle gravose condizioni di lavoro sulle navi. Inizialmente, 1.500 marinai appartenenti a 90 equipaggi incrociarono le braccia, e una settimana dopo 6.500 lavoratori di tutte le compagnie di navigazione marittima e fluviale di Hong Kong entravano in sciopero. Al culmine di tali mobilitazioni, circa 20.000 marinai non lavoravano, metà dei quali alla fine di gennaio si era trasferita da Hong Kong a Guangzhou, dove si trovava il quartier generale della protesta. Gli armatori tentarono di ricondurre gli scioperanti a Hong Kong, ma i marinai di Shanghai si unirono ai loro colleghi hongkonghesi, mentre l’esercito industriale di riserva disponibile tra i marinai indiani e filippini non aveva qualifiche sufficienti. Ben presto i barcaioli, alcuni caricatori e i meccanici si unirono ai marinai e il numero degli scioperanti raggiunse le 30mila persone. Entro il 10 febbraio 168 navi con 260mila tonnellate di carico venivano accumulate nel porto di Hong Kong, le comunicazioni su cinque linee oceaniche e nove costiere erano state completamente interrotte. Il 28 febbraio 1922 iniziò uno sciopero generale ad Hong Kong, al quale parteciparono più di 100mila persone, al termine del quale le autorità e gli armatori furono costretti a fare concessioni al sindacato dei marittimi.
Negli anni ‘30, il commercio tra Hong Kong e la Cina visse un tiepido arretramento, ma dopo l’inizio dell’aggressione giapponese esso tornò a crescere. Dopo la caduta di Shanghai e lo spostamento del governo del Kuomintang a Chongqing, il porto di Hong Kong iniziò a fungere da “finestra sul mondo” per la parte non occupata della Cina. Se nel 1937 il 3% delle importazioni e il 12% delle esportazioni cinesi passavano attraverso il porto di Hong Kong, già nel 1938 si era arrivati al 45% delle importazioni e ad oltre il 41% delle esportazioni. Inoltre, Hong Kong fungeva da importante punto di transito commerciale per i territori cinesi occupati dal Giappone, specialmente dopo che i giapponesi conquistarono Guangzhou nell’ottobre del 1938.
A partire da quell’anno, i principali partner commerciali dell’Isola nel settore delle esportazioni divennero Cina, Impero britannico, Stati Uniti, Indocina, Macao, Gran Bretagna e Tailandia, mentre nella sfera delle importazioni Cina, Gran Bretagna, Stati Uniti, Impero britannico, Indie orientali olandesi, Germania, Tailandia e Indocina. Nell’estate del 1939, i giapponesi bloccarono tutti i porti della Cina meridionale, dopodiché il commercio con Hong Kong diminuì drasticamente: il fatturato del porto commerciale nel 1939 scese del 20% rispetto al 1927. Durante l’occupazione giapponese di Hong Kong (1941-1945), il volume degli scambi crollò e il porto di Hong Kong servì principalmente da alloggio per la marina nipponica. Nel 1946, il commercio estero di Hong Kong si riprese e superò persino i livelli prebellici. In larga misura, ciò fu facilitato dal fatto che durante la guerra il porto di Hong Kong praticamente non subì bombardamenti e nel 1946 riconquistò la sua posizione in termini di fatturato e di mobilitazione mercantile. La ripresa della guerra civile in Cina influì negativamente sul commercio con l’Isola, costringendo gli imprenditori di Hong Kong a riorientarsi verso Tailandia, Singapore e Malesia; con la fondazione della RPC, la quota della Cina nel commercio estero di Hong Kong aumentò nuovamente, soprattutto nella prima metà del 1950, ma dopo l’inizio della guerra di Corea, Hong Kong, sotto la pressione degli Stati Uniti, venne costretta a imporre restrizioni alla fornitura di molti prodotti alla Cina. Dopo la Seconda guerra mondiale l’economia di Hong Kong iniziò a concentrarsi sulla produzione di beni di esportazione, e anche il suo porto cominciò a specializzarsi nell’esportazione di prodotti locali quali filati, tessuti, vestiti, cibo su vasta scala. L’orientamento all’esportazione si intensificò ancora di più quando l’embargo commerciale statunitense fu imposto alla Cina. Infatti nel dicembre 1950 gli Stati Uniti e nel maggio 1951 le Nazioni Unite adottarono una risoluzione per un embargo generale sul commercio con la Rpc; Hong Kong e Macao si trovarono in una situazione estremamente difficile se non paradossale. Gli imprenditori di Hong Kong iniziarono a prestare sempre più attenzione ai mercati di Taiwan, Indonesia, Tailandia, Singapore, Giappone, Gran Bretagna e Paesi del Commonwealth, sebbene, nonostante le sanzioni, il livello degli scambi con la Cina maoista rimanesse imprescindibile.
Con la crescita del commercio internazionale si registrò un prevedibile aumento anche del volume di traffico del porto dell’isola; se nel 1952 il giro d’affari delle merci del porto ammontava a quasi 4,4 milioni di tonnellate, nel 1967 superava i 9,5 milioni di tonnellate. A metà degli anni ‘50, solo due dei più grandi cantieri navali di Hong Kong avevano varato 458 navi con una capacità totale di 1,7 milioni di tonnellate. Negli anni ‘60, la composizione delle esportazioni di Hong Kong era caratterizzata da tessuti, abbigliamento e maglieria, elettronica (soprattutto apparecchi radio), macchine utensili e altre apparecchiature industriali, prodotti in plastica (inclusi giocattoli e fiori artificiali), parrucche. A partire dal 1966, sull’Isola si registrarono le prime mobilitazioni di massa, prima svolte dai giovani contro l’aumento del prezzo dei biglietti dei traghetti tra Hong Kong e Kowloon ed in seguito, nella primavera del 1967, sullo sfondo della Rivoluzione culturale cinese scoppiarono disordini su vasta scala, paralizzando il lavoro di alcune parti del porto. Nel mese di maggio, dopo i primi scontri delle forze filo-maoiste con la polizia, i lavoratori dei traghetti e delle banchine a Kowloon nonché gli scaricatori portuali scioperarono, nel mese di giugno furono interrotti tutti i collegamenti marittimi e fluviali.
All’inizio degli anni ‘70, il porto di Hong Kong ha iniziato a sviluppare il settore dei container, che ha richiesto una significativa espansione delle aree portuali e un significativo dragaggio nell’area di Khuaychun, tanto che durante i lavori effettuati tra gli anni ‘70 e ‘90, tre piccoli isolotti sono stati fusi nella penisola di Kowloon. Attorno al nuovo terminal container è emersa una moderna industria logistica, compresi magazzini portuali, di imballaggi e spedizioni. Come nel decennio precedente, anche negli anni ‘70 le esportazioni di Hong Kong hanno continuato a essere caratterizzate da tessuti, abbigliamento, plastica, elettronica di consumo e orologi da polso. Anche attrezzature industriali, macchine utensili, presse e altri macchinari industriali sono state esportate attraverso il porto di Hong Kong verso i mercati mondiali. Per parte sua, la RPC ha continuato a fornire al Porto Profumato cibo (riso, carne e pesce), materie prime per l’industria locale (metalli, cotone, materiali da costruzione, fibre chimiche e plastica), beni di consumo (abbigliamento e calzature) a prezzi molto concorrenziali.
Comunque dalla metà degli anni ‘80, la Cina aveva riconquistato una posizione predominante nel commercio estero di Hong Kong, con il 25,5% delle importazioni, seconda solamente in alcuni settori agli Stati Uniti, che incameravano il 44,4% delle esportazioni del porto. Già nel 1995, i maggiori partner commerciali del porto di Hong Kong erano Cina (14,5%), Nord America (12,5%), Singapore (11%), Giappone (11%), Europa (9,8%), Taiwan (9,8%), Australia e Nuova Zelanda (6%), Corea del Sud (5,3%). A partire dalla epocale riunificazione del 1997 tra Hong Kong e la Madrepatria cinese si registrò un’ulteriore ri-orientamento delle rotte commerciali in partenza dall’Isola. Dopo una breve situazione di stallo, vissuta allorquando l’economia cinese e quella del Porto Profumato risentirono degli effetti della crisi finanziaria asiatica, che si tradusse in un calo del commercio internazionale e delle spedizioni, già nel 1998 Hong Kong è diventato il più grande porto container del mondo, movimentando 14,5 milioni di TEU. Sempre nel 1998 il Port Development Board è stato riorganizzato in Hong Kong Port and Maritime Board, per coordinare le attività portuali e di tutto il settore doganale e marittimo. Nel 2000 il porto di Hong Kong ha movimentato 18,1 milioni di TEU. Nello stesso anno è proseguita la ristrutturazione dell’Hong Kong Ports and Maritime Council, dopodiché si è puntato ulteriormente all’implementazione dei servizi logistici del porto, rafforzandone la competitività sulla scena marittima internazionale. Infatti nel 2005 venne creato il grande terminal container n. 9, con una capacità di trasporto di 3 milioni di TEU all’anno edificato sulla costa orientale dell’isola di Chhinyi, grazie ad una joint venture tra gli operatori portuali della Hong Kong Modern Terminals e della Hong Kong International Terminals. Nel 2007 Hong Kong ha ceduto a Shanghai il ruolo di porto più grande del mondo, a causa del fatto che il suo fatturato merci è cresciuto solo dell’1,5% rispetto all’anno precedente, mentre per Shanghai il dato in quell’anno fu dell’oltre 20%.
NOTE AL TESTO
i Coxinga, anche conosciuto come Zheng Chenggong.
ii Sulla differenza tra pirati, corsari, bucanieri e filibustieri è utile la lettura del testo G. Khun, La vita all’ombra del Jolly Roger. I pirati dell’epoca d’oro tra leggenda e realtà, Elèuthera, Milano, 2015.
iii Vedi Dian H. Murray, Pirates of the South China Coast, 1790-1810, Stanford University Press, 1987.
iv Vedi https://www.worldshipping.org/about-the-industry/global-trade/top-50-world-container-ports
v Per statistiche più complete si possono consultare diversi testi, tra cui vanno segnalati Tzu-nang Chiu, The Port of Hong Kong: A Survey of its Development, Hong Kong: Hong Kong University Press, 1973. C. Genzberger, Hong Kong Business: The Portable Encyclopedia for Doing Business with Hong Kong, San Rafael, California: World Trade Press, 1994. A. Grantham, Via Ports: From Hong Kong to Hong Kong, Hong Kong University Press, 2012.
vi La rivolta dei Taiping fu una devastante guerra civile che si combatté nell’Impero Qing tra il 1851 e il 1864. Essa identifica un movimento rivoluzionario cinese che si espande nel sud dell’Impero cinese, tra il 1851, anno della fondazione del “Regno Celeste della Grande Pace” per opera dell’ispiratore della rivolta, Hong Xiuquan, e il 1864, anno della sua soppressione. Nata come reazione al regime corrotto dei Qing-Manciù e subito degenerata in guerra civile, la rivolta fu repressa dall’esercito imperiale col supporto britannico nel 1864.
vii La Rivoluzione Xinhai o Rivoluzione Hsinhai, conosciuta anche come la Rivoluzione del 1911 o la Rivoluzione repubblicana cinese, fu una guerra civile che iniziò con la Rivolta di Wuchang il 10 ottobre 1911 e si concluse con l’abdicazione dell’Imperatore Pu Yi il 12 febbraio 1912 e la conseguente ascesa di Sun Yat-sen alla presidenza della nuova Repubblica di Cina. Le parti principali del conflitto sono state le forze imperiali della Dinastia Qing (1644-1911) e le forze rivoluzionarie dell’Alleanza Rivoluzionaria Cinese. La rivoluzione è così chiamata perché il 1911 è un anno Xinhai nel ciclo sessagesimale del calendario cinese, e pose fine al millenario Impero cinese.
Il CeSE-M sui social